Donna galante: Num. XV
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Num. XV.
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Dialogo
Fra Enrico III., ed Enrico IV.
Dialog
Enrico III. Mio caro cugino, eccovi finalmente nella trista situazione nella quale mi trovo io.
Enrico IV. È vero, la mia morte fu violenta come la vostra; ma niuno però vi fu che abbia sentito per voi del dispiacere, fuorchè i vostri Favoriti, a motivo delle somme immense, che avete profuse per esso loro. Io però fui compianto da tutta la Francia, e col tratto dei secoli avvenire mi si proporrà come il modello dei Re virtuosi, e saggi, attesa la calma, l’abbondanza, ed il buon ordine, che v’introdussi.
Enrico III. Quando io fui ucciso a S. Cloud, avea di già distrutta la famosa lega; Parigi era vicino a rendersi, ed avrei saputo ristabilire ben tosto la autorità.
Enrico IV. Con quali mezzi potevate ristabilire la vostra riputazione cotanto annerita? Voi passavate per un furbo, un’ipocrita, un dissoluto. Quando si ha perduta una volta la riputazione, e la buona fede, non si può godere di una autorità tranquilla, e soda. Voi eravate disfatto del Duca di Guisa, ma non potevate giammai disfarvi di tutti quelli, che abborrivano vostri disordini.
Enrico III. Non sapete che la dissimulazione è la vera arte di regnare?
Enrico IV. Queste sono le belle massime che vi hanno inspirate Duguasto, l’Abate d’Elbene, ed altri seguaci della politica di Machiavello. La Regina vostra madre vi allevò con tali sentimenti, ma essa ebbe purtroppo a pentirsene, perchè avendo da lei appreso ad essere snaturato, voi lo foste di fatti anche colla medesima.
Enrico III. Come potea io operare con sincerità, e fidarmi d’altrui, se gli uomini sono per la massima parte corrotti, e simulati?
Enrico IV. Convien dire, che voi non abbiate mai praticato delle persone oneste; e però voi credete, che non ve ne sia al mondo; ma io sono piuttosto di sentimento, che invece di andarne in traccia, voi le fuggiste. Voi amavate di aver d’intorno degli scellerati, i quali si studiassero di procurarvi dei nuovi piaceri, che fossero capaci dei più neri delitti, e che non vi facessero mai sovvenire la religione, nè i doveri dell’uomo. Con tali principj non era sì facile il trovare delle persone dabbene. Io però le ho trovate, ed ho saputo servirmene alle occasioni, come per esempio Sully, Jeannim, d’Ossat, ed altri molti.
Enrico III. Se alcuno vi sentisse parlar così senza conoscervi, egli vi crederebbe un Catone. Per altro in tempo di vostra gioventù voi non foste meno sregolato di me.
Enrico IV. È vero: Io era appassionatissimo per le donne, ma in mezzo a’disordini io non fui nè ingannatore, nè malvaggio . Io era debole, troppo dedito ai piaceri, e pigro di natura; ma le avversità mi hanno servito non poco a migliorarmi.
Enrico III. Quante belle occasioni avete trascurate di vincere i vostri nemici, intanto che vi trattenevate alla riva della Garonna a sospirare per la Contessa de Guiche? Voi eravate come Ercole, quando fillava a’fianchi di Onfale?
Enrico IV. Non posso negarlo; ma le diverse battaglie da me vinte’, come quelle di Coutras, di Yury, di Arques, e di Fontaine-Francoise, possono riparare in parte alle mie stravaganze.
Enrico III. Quando è così, io pure ho guadagnate le famose battaglie de Journac, e de Moncontour.
Enrico IV. Sì, ma Enrico III sostenne male le speranze, che si avevano concepire del Duca d’ Anjou; quando Enrico IV per lo contrario ha saputo.°.°.°.°
Enrico III. Credete voi forse che io non sappia tutti i vostri intrighi colla Durchessa di Beaufort, colla Marchesa di Vernevil, colla Contessa di Moret, e con molte altre.
Enrico IV. Non cerco di giustificarmi su questo punto; ma ciò non ostante ho saputo farmi egualmente amare, che temere. Io ho sempre detesta quella politica crudele, ed ingannatrice, di cui eravate cotanto ebro, e che vi portò ad una infinità di disgrazie. Io ho guerreggiato da forte, io ho concluso una pace solida, io resi felici, e floridi i miei Stati, io seppi obbligare i Grandi, ed anche gli stessi Favoriti i più insolenti all’adempimento de’proprj doveri; e tutto ciò senza inganni, senz’assassinj, senza ingiustizie, affidandomi alle persone dabbene, e facendo consistere tutta la mia gloria, nel sollevare i miei popoli.
Enrico III. Ma con tutto questo voi foste ucciso da Ravaillac.
Enrico IV. E voi da Fra Giacomo Clemente, vuol dite ciò, che niuno può salvarsi da un tradimento; quindi conviene operar bene affine di non lasciare un cattivo nome dopo di se.
Zitat/Motto
Osservazioni sopra le prerogative delle donne pressi i Franchi sulle Corti di Amore.
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La bellezza poco vale senza spirito.
Exemplum
Un giorno Carlo II passeggiava nel suo Parco vide in esso una giovine d’una sorprendente bellezza, la quale fece tanta impressione sopra di lui, che subito le si avvicinò per parlarle. Dopo aver fatto l’elogio delle sue bellezze con quell’aria piacevole, ed interessante che gli era naturale, queste Principe la invitò a portarsi a Corte, assicurandola che la sua bellezza vi avrebbe sparso un nuovo lustro. – Questo può essere, rispose la Dama, ma io non vi anderò mai – E per qual ragione, domandò il Re? – Perchè non voglio, replicò incivilmente la Dama. Una tale risposta villana guarì in un momento l’amoroso Principe della passione che aveva cominciato ad inspirargli; e si ritirò quindi esclamando: bella ed ignorante nel tempo stesso: che peccato, che una donna debba perdere nell’aprir solo della bocca tutto il vantaggio della sua bellezza!
Aneddoti
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Il carattere si scuopre fino nelle cose più piccole.
Exemplum
Era stato conchiuso fra due giovani un matrimonio col consenso dei rispettivi Genitori, e fissato il giorno di portarsi alla Chiesa per ricevervi la Benedizione nuziale. Il Curato tardava molto a venire: la giovine domandò al futuro sposo quale ora si fosse: e che v’importa questo? rispose villanamente. Queste parole dette in tal tuono fece fare alla giovine alcune riflessioni: Oh! Oh! disse ella, come mi tratterreste se io fossi di già vostra moglie? Sul momento fortì dalla Chiesa senza che si potesse trattenerla, ed incontrando per via il Parroco, non v’incomodate, gli disse, poiché il mio matrimonio è sciolto, nè si accomoderà più mai.
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Sensibilità funesta.
Exemplum
Betty figlia di un ricco Negoziante era stata allevata col figlio d’un amico di suo padre. Questi due fanciulli conobbero in qualche parte l’amore nei primi lor giuochi. Tai sentimenti non fecero che crescere coll’età. Betty avea un carattere melancolico, e la malincolia accrebbe la sua tenerezza. Stanley diede all’amante sua qualche motivo di gelosia: ella se ne lagnò, pianse, e un giorno gli desse: Stanley voi sapete che vi amo, e che non amo che voi; se voi continuate a veder Jenny voi sarete cagione della mia morte.
Stanley tutto promise per assicurare Betty, ma non mantenne la parola, e questa infelice ne fu pienamente informata. Non rinnovò ella già le sue doglianze, ma alimentò nel cuor suo una cupa disperazione. Tutta la tenerezza, e tutta l’inquietudine dei suoi genitori non bastarono per trarle di bocca il suo segreto. Andò da essi una sera giusta il solito a ricevere la loro Benedizione, e dopo di avergli abbracciati si titirò: s’avvide però la madre che le erano cadute delle lagrime dagli occhi, perciò tormentata tutta la notte dallo stato, in cui lasciato avea la figlia, non potè resistere all’impazienza di vederla. Fu appena giorno che volò alla di lei camera. Quale spettacolo per la tenerezza di una madre! Trovò la figlia strangolata ad una colonna del proprio letto, con una carta sul petto su cui erano scritte queste due sole parole: Per l’amore. Si riseppe la cagione della sua morte dallo stesso Stanley, il quale fieramente colpito da tale funesta avventura s’imbarcò per le Indie per non lasciarsi vedere in Europa mai più.
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Utopie
Lasciamo che l’Uomo di Dordrecht può essere stato Ermafrodito; anzi supponiamolo d’interna, ed esterna struttura niente agli altri Uomini differente, e stato sempre lo stesso sin dal suo nascimento, perchè forse da alcuno non si credesse, essere in lui avvenuto lo stesso, che in Cena, o Ceneo, e di Tiresia raccontano le favole; e di altri Soggetti si narra pure da qualche Storico, cosicchè prima di esser Maschio, e Femmina fosse stato, come di Ricciardetto credè la semplice Fiordispina, e come l’accorto Fulvio diede ad intendere di se allo sgraziato Marito di Lavinia. Senza nulla di questo, è possibile la gravidanza di un‘Uomo nè questo considerarsi deve un stravagantissimo paradosso. In conferma all’incontro recar potrei curiosi straordinarissimi esempj più stupendi forse, e più meravigliosi assai di quello, di cui ho parlato. Quante volte non fu ritrovato un voro racchiuso entro altro vovo, e tutto intiero col guccio, ed il suo particolar rosso, e torlo fornito?
Accreditati Autori ciò narrano avvenuto anche ad alcune Bambine; e ce lo descrivono con tutte le circostanze. Se volessi entrare in alcune dimostrazioni Anatomiche, però troppo lubriche e in bocca, o sia in penna feminea, convincerei i più increduli; ma appunto dovendo parlare in questo opuscoletto nel mio linguaggio Italiano, ossia italo-Lombardo, e perciò suscettibile dell’universale udito; rimetto la mia assenzione agli Anatomici, ai Medici, alle Levatrici, e passò ad un’ Articolo ben più proposito dell’Istituto del mio Giornaletto.
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Exemplum
Il dottissimo Vallisnieri nel 1700 nè osservò uno della grandezza dei quello di una Colomba in altro ordinario di Gallina, ed in esso vidde un pezzo di carne ritondetta come una mola embrionata con qualche rozza similitudine di un Polastro. Applicando pertanto cotesta osservazione da un’animale bestia ad animale umano, la possibilità uon n’è convincente? Il Spilimbergo vidde una Vittellina sgravarsi appena nata; ed anco nella Francia una Cagnoletta appena nata si sgravò di un cagnuolino.
Zitat/Motto
L’essere innamorato rende l’Uomo inetto agli Studj. Canzone di un Pastore d’Arcadia nato presso la Patria di Virgilio.
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Zitat/Motto
Canzone.
Se in Ciel v’è qualche stella;
Che sopra i vati splenda,
Oggi la mia favella
Ad animar discenda.
Col miel su’labbri vengane,
E i labbri sien di rose,
Che ho da cantar gran cose.
D’amore il fier vessillo
Abbandonato avea,
Che vivere tranquillo
Per l’avvenir volea:
Avea deposti i tremoli
Sospiri, e i folli pianti,
Armi de’stolti amanti.
Dall’obliato campo,
Caliginoso oscuro,
Un apparito lampo
Fuor mi traea sicuro:
E mentre il lampo seguito.
Sassosa alpestre via
Sotto de’piè sentìa.
Quando crescendo il lume
Veggomi sotto un colle
Che con l’altier cacume
All’etra fin s’effolle.
E sento che dagli omeri
Spuntanmi fuori l’ale,
Nè sembro più mortale.
Volo d’un Sole in grembo,
Che un Sole almen somiglia.
E tal di raggi nembo
Ingombrami le ciglia;
Che per qualunque spazio
L’occhio rivolga in giro
Se non che luce io miro.
Or che farò quì dentro
In questo mar di rai?
Mar, cui non trovo centro,
Nè bordo estremo mai?
È qual virtù, qual spirito,
E per qual fin, si ratto
Ora quassù m’ha tratto?
Una gioconda voce
Simile al suon d’un rio,
Ch’esca dalla sua foce
Con dolce mormorio,
Subito allor risposemi:
Chiama Te, pur beato
Se quì ti trasse il Fato.
E chi se’tu ripiglio.
Ed ella: Io son colei,
Che illumino, e consiglio
Uomini, Mondo, e Dei.
Sono colei, the cercano
I Saggi della Terra:
Ma chi di lor mi afferra?
Io son colei che un giorno
Tu pien di fuoco amasti,
E d’ogni pena a scorno
A me salir giurasti:
Ma vano fu il mio attendere,
Che t’obliasti poi
I giuramenti tuoi.
Ah quell’affetto cieco,
Che il Mondo chiama Amore
T’have condotto seco
Degli anni tuoi nel fiore:
E Tu correndo, o semplice,
Dietro gl’inganni sui
Lasciasti me per lui.
Mira hce bella schiera
Di pazzi intorno avesti.
Mira da questa sfera
Che bel sentier battesti!
Torto, fangoso, e sucido
Di mille inciampi pieno,
Benchè per fiori ameno.
Questa è la gloria, o stolto
Che d’acquistare agogni?
Questo è ‘l fulgor, che in volto
Un dì portar ti sogni?
Dov’è la mente servida
D’alti pensieri eletti
Che un tanto premio aspetti?
Amore ogni altro foco
Nella tua mente ha estinto:
Giù dal suo proprio loco
Il tuo intelletto ha spinto.
E tutto a se l’imperio
De’tuoi pensieri preso
Te rozzo tronco ha reso.
Tu dì, che preso senno
A disamar comince:
Che più d’Amore il cenno
La tua ragion non vince;
Hai quelle vie dimentiche,
Che t’han sì mal condutto;
Se’al buon cammin ridutto.
Ringrazia, o amico, il raggio,
Che di quassù s’è mosso,
Nuovo ti diè coraggio,
E con vigor t’ha scosso;
Se no‘n bujo ignobile
Tu ten giacevi ancora,
Nè mai vedevi aurora.
Senti però qual callo
Tutto il cervel ti cuopra?
Non di natura è fallo
Certo, ma d’Amor opra,
Che con un lungo premere
Del grave piè, sovr’esso,
Alla mollezza antica
Quando avverrà ch’ei rieda!
Qual durerem fatica,
Prima che ai colpi ceda,
A’colpi industri e validi
Di questi raggi miei,
Se degno pur ne sei?
A tal dell’alma Diva
Giustissima rampogna
Quanta non mi copriva
E volto e sen vergogna!
I’volea pnr rispondere;
Ma la mia mente rea
Risponder non sapea.
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Gabinetto delle mode. Tavola XXIX. Fig. 38.
Fremdportrait
L’Emulazione, che, come abbiamo già detto, deve necessariamente esistere tra due nazioni tanto vicine, e tanto rivali, come la nazione Francese, e la nazione Inglese, fece nascere la moda quì rappresentata. Dopo che gl’Inglesi crearono i redingotti Franco-Anglomanes, ossia i redingotti da uomo di panno, e che li videro dai Francesi adottati, bisognava che per distinguersi essi cambiassero l’estrema semplicità di questi redingotti, che gli abbellissero, e che nuovi li rendessero coll’ornamento che vi aggiungevano. Di più; era d’uopo che immaginassero dei redingotti fino allora incogniti, che dimostrassero uno spirito d’invenzione, che i Francesi sempre giustamente superbi delle loro idee, sembravano essere in diritto di contestarli; perciò essi inventarono i redingotti di raso guarniti di martora, di volpe ec.
È forse per la comunicazione che ha con tutti i popoli, e per conseguenza coi Turchi, che questa nazione sia debitrice di tal moda; o al solo suo spirito d’invenzione?
Non entriamo in contestazione: non cerchiamo di essere del partito dei Francesi, e dei Francesi continuamente opposti agl’Inglesi. Ben capaci di disputare di merito con tutti i popoli della terra, gl’Inglesi hanno po.uto benissimo trovare questa moda. Essa è assai bella: accordiamo loro quell’omaggio che meritano. Ancorchè non avessero pensato, che a trasportare la moda degli uomini Turchi alle donne Inglesi, nell’istessa guisa che trasportarono la moda degli uomini Francesi alle donne Inglesi, noi dovremo ad essi l’onore dell’invenzione.
Intanto ecco la descrizione di questa nuova moda Inglese, che non saremo sorpresi se venisse adottata dalle nostro Dame.
Egli è questo un redingotto di raso color di coda di canarino mostrato, e bordato di pelle di volpe. Le cuciture d’unione di dietro sono coperti di cordoncini d’oro, e le saccoccie ai fianchi ricamate pure in oro.
Sotto questo redingotto si porta un gilet di raso a righe larghe color di rosa, e bianche, ed una sottana di raso violetto a righe cariche.
Le scarpe sono di raso color di coda di canarino con falbalà di nastro rasato bianco.
Al collo una larga crovatta di garza sopra un fazzoletto a gala con colletto a guisa di camiscia .
Guanti di pelle verde chiaro: ed alla destra mano una cannetta guarnita di un pomolo a guisa di un fungo.
Un cappello feltrato di testiera ben alta, la quale come pure il bordo di esso è guarnita di pelle di volpe: la testiera suddetta è cinta di un largo nastro violetto applicato con una fiubba d’acciajo lucido, con cui viene formato di dietro un grosso nodo colle estremità più pendenti del cappello.
Nelle orecchie tre piccole pera d’oro attaccate in fila, e la pettinatura, siccome gli uomini a tre ricci di fronte per parte, con un tapet largo alla greca, e con un grosso catogan di dietro. Si vede bene che il cappello è giù ficato fin sugli occhi come lo portano gli uomini.
Biasimeremo noi questa forma di cappello, e questa maniera di portarlo, come abbiamo fatto dei bonnetti a cappello? Nò. Il primo d’una ben diversa costruzione dell’altro, lascia vedere la più gran parte della faccia, e scuopre l’occhio che può brillante far colpo. I bonnetti a cappello cadendo a foggia di tetto intorno alla testa intieramente confondeva la figura, in vece che i cappelli feltrati avendo la maggior parte i bordi rilevati la lasciano liberamente vedere, e in vece di nuocere alla bellezza, le dà in vece un risalto maggiore. Noi sappiamo, che mille, e mille persone non hanno bella la faccia, che dalle sopracciglia al mento; o perchè la fronte loro è troppo stretta, o perchè è troppo alta, o perchè ha qualche altro difetto.
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Tavola XXX. Fig. 39.
Moda Francese.Fremdportrait
Il redingotto che porta la Dama quì raffigurata ben diverso agli altri, è fatto e tagliato come le vesti dette en chemise.
Questo redingotto è di panno scarlatto, attaccato davanti con grossi bottoni bianchi.
Le maniche sono tagliate in lungo alla marinaja con quattro piccoli bottoni bianchi applicati parimenti al lungo della manica. Noi potremmo decidere, che questa foggia di redingotto è particolarmente destinata per il ballo, tanti essendosene veduti per tale occasione.
Porta al collo un semplice fazzoletto gonfio, le di cui due estremità formano una guernizione al petto alla foggia degli uomini: tiene una rosa in mano, ed in un altra una canna; ed ha in piede dei Sabots Chinesi gialli.
Porta in testa un cappello feltrato nero cinto d’un nastro scarlatto, il quale forma un grosso nodo di dietro, e davanti; su questo è collocata una figura di cometa dipinta blò.
Le pendono dalle orecchie delle boccole d’oro à la plaquette.
È pettinata in tapet. Due grossi ricci per parte le cadono sul seno; e di dietro i capegli sono rialzati in un disteso chignon.
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Moda Inglese Fig. 40.
Fremdportrait
Troppo poco sarebbe per la moda, che si riconosce tanto incostante, se non cangiasse che dopo un certo tempo, se non a certe epoche, e quando può nascere il disgusto, o ch’è già nato: essa deve cangiare anche più volte al giorno. Per tal ragione essa ha introdotto l’abito della mattina, l’abito del pranzo, l’abito della sera. Non adempiremmo il nostro dovere se rappresentassimo i soli abiti di gala, quelli del pranzo, e della sera. Dopo aver dati così soventi questi ultimi, ecco un abito di mattina, come si porta per attendere ai suoi affari, o per fare delle visite famigliari, o per andare al passeggio della mattina: noi potressimo per la sua forma e longhezza chiamarlo un abito-redingotto.
Questo è quello che quì rappresentiamo di panno color di fumo di Londra con lunghissime falde, con saccocie senza bottoni, con colletto di veluto scarlato, e colle maniche alla marinaja. Si allaccia quest’abito con tre bottoni dei più bassi per lasciarlo aperto al petto. I bottoni sono d’argento piatti con varj giri di colori disopra segnati.
Il gilet è di raso gridellino a righe color di rosa smunto, i calzoni di panno casimir colore di coda di canarino: e le calzette di seta a righe bianche e blò scuro.
Una larga crovatta gli gira al collo tre volte, lasciandone cadere le due estremità con un nodo sul petto.
La camiscia è guarnita di manichetti, e d’una gala di mussolo fine, soglio, e con orlo assai largo: il colletto della camiscia dev’essere molto alto, e rivoltato sulla crovatta.
L’affetto dei capegli è fatto in quadrato largo à la greque a ferro di cavallo, e con tre ricci di fronte per parte: i capegli di dietro sono uniti in una coda poco lunga e sottile.
Le fiubbe sono d’argento e di larga quadratura.
I guanti sono di camoccio giallo. Con una mano tiene il suo cappello Jockei di forma alta cinto d’un larghissimo nastro attaccato con una lungha fiubba d’acciajo lucido; e con l’altra una cannetta guarnita di un lungo pomo in oro, a cui è annesso un cordoncino di seta nera senza glani.
Non abbiamo bisogno di eire che la fodera è dello stesso colore dell’abito: ciò si vede abbastanza dalla figura. Convengono oggi tutti i seguaci della moda, che le fodere non sono da variarsi che negli abiti di gala, e che per li deshabillés, gli frac, gli abiti-redingotti, i redingotti semplici devono essere dello stesso colore, o che almeno s’avvicinino.
Quell’abito redingotto si porta moltissimo sopra i frac, o sopra i deshabillés. Questi sovente sono di un colore simile a quello dell’abito-redingotto: più spesso sono di un colore diverso. In quest’ultimo caso si fa pompa di maggior fasto; e nel primo di maggior gusto, e di maggiore semplicità: ciò pienamente giustifica che il gusto è indipendente dal fasto: quantunque sia triviale una tale verità a forza di esser detta, noi non crediamo inutile di ripeterla di nuovo, perchè pochi ne sembrano convinti.