La Frusta letteraria di Aristarco Scannabue: Numero XXXII
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Nível 1
N.° XXXII.
Trento I luglio 1765.
Nível 2
Metatextualidade
Bisogna però informarvi,
leggitori, non essere questa stata la prima volta che la
virtù del fiasco gli ha fatte sbagliare le composizioni sue
per composizioni d’altrui.
Nível 3
Nel suo Discorso parenetico a pag.
65 vi è pure un dizionarietto di alcune parole e frasi usate
dal Griselini, parte del quale dice così. « Scienza
digerita. Viste creatrici. Lettere infantate. Menzogna
lampante. Pezzo singolarissimo. Breve sfoderato.
Inserviente. Intangibile. Ente rarissimo. Motivi che saltano
allo spirito d’ogni mediocre ingegno. In mentre. Spoglio
d’ogni spirito d’interesse. Istillare spirito. Infantare
invenzioni. Infantar lettere. Nicchiare nel suo luogo.
Gittare in imbarazzo. Dar dietro ad una fortezza. Dar dietro
ad un’opera. Dar dietro ad un’istoria. » Sentiamo ora come
la paternità reverendissima ha accozzate insieme queste
auree parole e frasi purissime del buon Griselini nel
suddetto Discorso Parenetico a pag. 66. « Qual nuovo genio
maligno v’ istillò a sfoderare un libro, e in mentre siete
spoglio d’ogni scienza digerita, d’ogni vista creatrice, e
d’ogni discorso, infantare un ente rarissimo di menzogna
lampante, e nicchiar tra noi un pezzo singolarissimo e
intangibile d’impudenza inserviente a saltare
allo spirito d’ogni mediocre ingegno, e a gittare in
imbarazzo la ragione, e dar dietro alla logica. » Oh virtù
del fiasco, virtù del fiasco! Quante belle cose fai
iscaturire dai cervelli di questi incappucciati, quando alla
disingenuità accoppiano il vil talento di Menippo! Vorrei
però sapere da don Luciano, o da qualche suo leccapiedi, se
con questa bell’arte di riunire questa e quell’altra parola
da questa e da quell’altra pagina d’una qualunque
composizione, vorrei sapere, dico, se sarebbe difficile di
mettere in derisione presso gli sciocchi l’evangelio di san
Luca? Si ricordi però la
paternità sua, quando verrà a protestare e a giurare che il
Bue Pedagogo non fu sua fattura, di protastare e di giurare
altresì che nemmeno il Discorso Parenetico fu fattura sua;
nè pure farà male, se protesterà e se giurerà che non
compose nè tampoco il Suicidio Ragionato, in cui lodò tanto
il Discorso Parenetico. E se mai giudicherà a proposito di
far correre per l’Italia qualche protesta o giuramento a questo fine, si ricordi eziandio di ficcarvi
dentro quante più virgole sarà possibile, onde almeno a
questo segno non appaja autore di que’tre capi d’opera.
Torniamo nella carreggiata. Non solamente don Luciano
disapprova le parole già riferite, e moltissime altre da me
usate nella mia Frusta, ma disapprova altresì moltissime
delle mie frasi, e non vorrebbe esempligrazia sentirmi dire
che nel suo Bue Pedagogo « v’è un flagello di ribalderie e
di bugie scempiate, » e non vorrebbe sentirmi dire che sua
paternità « non può senza fatica pronunciare drittamente un
nome straniero; » e non vorrebbe sentirmi dire che « i suoi
pensieri non hanno soverchia elasticità; » e non vorrebbe
sentirmi dire che « nella sua poesia non v’è poesia; » e non
vorrebbe sentirmi dire che Agatopisto Cromaziano « non è uno
di que’sovrani ingegni atti a scoprire incognite provincie
nel vasto continente dell’umano sapere, e stia pure il dì e
la notte mulescamente fitto nello studio di Demostene e di
Timoleonte; » e in somma egli non vorrebbe più che io
scrivessi in avvenire alcuna di quelle frasi da esso
accuratamente registrate nella sua sesta novella menippea,
schiamazzando che non sono buone frasi, che non sono frasi
del Boccaccio, che non sono frasi coll’andamento ciceroniano e col contorno alla latina, e
vociferando che il mio modo di scrivere non è chiaro, non è
naturale, non è semplice, non è corrente come quello
d’Agatopisto Cromaziano; e che gli arcadi lo vituperano, che
i cruscanti lo detestano, e che tutta Italia lo abborre come
troppo somigliante al modo di scrivere de’secentisti, anzi
pure come troppo somigliante agli scorpioni ed alle bisce.
Ma, frate mio, con quale autorità mi proverai tu che quelle
mie frasi non sieno buone frasi? Coll’autorità tua propria?
Oh a quell’autorità tu ti dei oggimai essere avveduto ch’io
sono schiavo umilissimo, devotissimo, ed obbligatissimo!
Metatextualidade
Intanto voi dovete,
leggitori, vedere molto chiaramente dal confronto di
questi due passi, che questo in derisione del Griselini
è stato, dirò così, lo schizzo, dal quale don Luciano
cavò poi quello stupendo quadro nel quale si pensò di
dipingermi in caricatura.
Nível 3
Discorso ottavo in cui finalmente
si trova quello che si cercava. Dal quel pochino che s’è
detto negli antecedenti Discorsi la vastissima confraternita
de’gonzi dovrebbe omai essere intieramente convinta che non
decise con esuberante saviezza quando decise non esser
possibile all’autore della Frusta il dare alcuna risposta al
Bue Pedagogo. Confraternita amabile e rispettabile, io
potrei aggiungere molt’altri pochini a quel pochino; e
vieppiù mostrando la stoltezza di quella tua decisione
potrei confermarti vieppiù nel tuo disinganno. Potrei mostrarti che, tratto quell’orribile negozio del
barometro, non v’è smilzo ette nell’opera mia che non sia
una perla, un zaffiro, una gemma delle più preziose. Potrei
mostrarti che il titolo di Frusta Letteraria è un titolo da
far istrabiliare ognuno che ne contempli la proprietà,
l’energia, la vaghezza. Potrei mostrarti non v’essere un
pelo fuor di luogo in tutto quello che ho sentenziato di
messer Dante, di messer Petrarca, di messer Boccaccio, e di
tutti gli altri messeri della lingua nostra: potrei
mostrarti che ho parlato anch’io come un Demostene, e come
un Timoleonte quando feci motto degli arcadi, de’cruscanti e
di tutti i nostri autori passati, presenti e futuri. E in
somma, potrei mostrarti, amplissima ed inestinguibile
confraternita, che non sarà mai data ad alcuno de’tuoi
membri la facoltà di provare che la mia Frusta non sia la
più bella Frusta, e la più vezzosa Frusta, e la più
peregrina Frusta, e la più ammiranda Frusta, che sia stata
veduta mai, o che si possa mai più vedere. A che però buttar
via il tempo in mostrare una cosa che è veduta da ogni
monoculo non che da ogni binoculo? E a che sconciarsi tanto
per la confraternita de’gonzi? Invece dunque di fare una
scialacquatura inutile d’invincibili ragioni, che farebbero finalmente afa, meglio sia porsi a
rintracciare il vero nome e cognome di colui al quale si
deve la somma gloria d’avere scritto questo Bue Pedagogo. Ma
qui un mezzo milione di genti griderà che non occorre punto
rintracciare, poichè tutti sanno che sotto la diafana
maschera di Luciano da Firenzuola si scorse un giorno
distintamente quella bella, rubiconda e bernoccoluta
facciaccia del reverendissimo padre don Appiano Buonafede
abate celestino. Siccome però la paternità sua
reverendissima va oggidì schiamazzando che quella diafana
maschera non ricoperse mai quella facciaccia bella,
rubiconda e bernoccoluta, con la qual metafora vuol dire che
il Bue Pedagogo non è fattura sua; però m’è forza provargli
che la paternità sua reverendissima ha mille torti quando
vuole così smentire un mezzo milione di genti, e che a
nessuno fuorchè al reverendissimo padre don Appiano
Buonafede abate celestino si deve la somma gloria d’avere
scritto quel gran pezzo di birbologia intitolato il Bue
Pedagogo. Fa dunque d’uopo sapere, signori miei, che la
Pubblica Voce la quale attribuisce il Bue Pedagogo al
Buonafede (lascio nella penna la ripetizione de’suoi titoli
per brevità) ebbe appunto origine in quella Bologna dove
risiede non so da quant’anni. Giunto in
quella città il n. XVIII della Frusta, in cui v’è la tante
volte accennata critica alla prima Commedia filosofica
d’Agatopisto Cromaziano, vale a dire d’Appiano Buonafede, il
buon padre menò un vampo grandissimo contro quel povero
numero, e contro tutti gli altri numeri, e più contro la
persona del loro autore.
E un’altra lettera pur da Bologna mi disse di lui:
Ma, diss’io nel ricevere queste notizie, che sorta di
creatura è mai questo frate? Perchè tutta questa sua
collera? Una critica è ella una pugnalata? Che male gli fa,
che male gli può fare? Se la trova giusta dovrebbe
approfittarsene e correggersi de’suoi difetti anzi che
andare in collera; ma se non la trova giusta in ogni punto,
perchè non si mette a confutarla? Perchè non cerca provare a
me e ad altri che la sua Commedia è squisita? Forse teme che
la mia critica gli faccia perdere il carattere di frate, o
quello di galantuomo se lo ha? Queste ed altre tali cose io
borbottai fra me stesso quand’ebbi letti i due riferiti
paragrafi di lettere. Senza però darmi soverchio pensiero
delle smanie claustrali, tirai innanzi a scrivere i miei
fogli: quand’ecco che il veneto revisore d’essi mi prega a
non criticar più alcuna opera del padre Buonafede. Egli s’è
adoperato, mi disse quel revisore, presso certi nostri
galantuomini onde siate indotto a lasciarlo in pace. Di qual
pace intendete voi, rispos’io, se questo matto mi sta
preparando una guerra peggio di quella d’Aspramonte? Io non
credo questo, soggiunse il revisore, ma comunque sia, egli
m’ha fatto parlare da più d’uno de’nostri gentiluomini; però fatemi il piacere di non toccar più
alcuna delle sue opere, onde non sia più infastidito per
conto suo. Ebbene, farò a modo vostro, diss’io, e
quindinnanzi non toccherò più alcuna opera d’un uomo che
teme tanto il solletico. Dopo che il Buonafede s’ebbe
co’suoi maneggi procurata così da me questa promessa, io
aveva ragione d’aspettare che sarebbe stato contento di non
far più fiato, e che si sarebbe acconcio a lasciar correre
intatta e inosservata quella inezia di quella poca critica
alla sua gran Commedia filosofica. Ma non passarono molti dì
che da molte parti mi fu scritto come sua paternità mi stava
preparando una satiraccia tanto tremendaccia da farmi
scappare sino i denti di bocca per maladetta paura. Oh
questa, pensai io, varrebbe propio cinque soldi! Il
Buonafede s’adopera co’gentiluomini di Venezia per farmi
tacere; il Buonafede mi fa promettere silenzio dal revisore
de’ miei fogli; e il Buonafede sta frattanto allestendosi a
satirizzarmi? S’egli però aveva questa intensione, perchè
non l’effettuare senza ricorrere ai gentiluomini. In questo
mentre una lettera da Torino mi disse:
Ben m’avveddi della nobiltà e della dottrina di
questo critico e antagonista sugli ultimi dì dell’anno
scorso, ricevendo da Bologna il Bue Pedagogo.
E un altro amico pur di Bologna mandandomene un’altra
copia senza sapere che n’avessi avuta una otto giorni prima,
mi scrisse:
E un’altra lettera pur da Bologna mi disse, che il
padre
« E una lettera di Parma mi disse »:
E un amico di Milano mi scrisse che
Mentre queste e moltissime altre lettere di consimile
tenore mi fioccavano addosso da tutte bande, Paolo Calombani
librajo e stampatore in Venezia fu indotto da due frati, uno
chiamato Scottoni, e l’altro Facchinei, a ristampare questo
Bue Pedagogo. Ma cominciata appena la ristampa con le debite
licenze de’superiori per la data forestiera, uno degli
eccellentissimi riformatori, vale a dire il procuratore
Lorenzo Morosini, fu avvertito che in alcune pagine di tal
opera v’era un’obbliqua invettiva a lui ed agli altri due
membri del magistrato in proposito d’una certa espressione
intorno a certi chiodi, che da esso Morosini e dagli altri
due colleghi era stata pro tribunali
sentenziata innocente, ad onta d’un cert’uomo grave e
venerando che pretendeva fosse offensiva. Che bella cosa se
in Venezia si fosse stampata con le debite licenze
de’superiori quell’obbliqua invettiva, e il bell’onore che
ne sarebbe derivato a quel signore, il quale permise la
ristampa di quell’infame libello il dì stesso o il dì dopo
che fece sospendere la Frusta! Viscere mie! Questa sì che
avrebbe fatto rider tutti da Venezia sino a Napoli! Ma la
fortuna che opera qualche volta con più giudizio che non
fanno gli uomini, volle che quell’eccellentissimo fosse
fatto accorto in tempo di quella invettiva, onde ordinò al
frate Scottoni di tagliarla via da questa nuova edizione. E
qui si sappia per parentesi che nella città di Venezia si
giudicò a proposito di sospendere un foglio letterario
intitolato la Frusta, perchè in quel foglio s’era provato
che il cardinal Bembo, quondam gentiluomo veneziano, disse
male due secoli fa quando disse che « se il cuore fosse
stato d’un bel cristallo, madonna v’avrebbe potuto legger
dentro con quella facilità con cui un prete legge in un
breviario nuovo ». Questa fu la potentissima ragione che
cagionò la sospensione di quel foglio e che fece anzi
permetter subito la ristampa in Venezia del Bue Pedagogo. Oh
ragione potentissima! Chi potrebbe però dire
lo scompiglio de’poveri frati Scottoni e Facchinei quando
emanò dal Morosini l’ordine tremendo che la prefata obbliqua
invettiva intorno ai chiodi fosse troncata via da quel Bue
Pedagogo! Come mai fare il taglio crudelissimo, dicevano
essi quasi lagrimando, e come farlo in modo che il leggitore
non se ne avvegga! Finalmente dopo molto vano esaminare e
vano consultare, i due ignorantissimi reverendi furono
costretti ricorrere al già nominato revisore, che pigliando
pietà della loro bessaggine e del loro affanno, fece egli
stesso l’orribil taglio dell’obbliqua invettiva, e quindi
bellamente racconciò, e congiunse le due tronche estremità
con alcune poche parole così bellamente, che il senso
cammina molto bene, e chi non è informato di tutta questa
faccenda non è possibile possa scorgere dove il taglio fu
fatto se non confronta la seconda edizione colla prima. Io
domando adesso a’ miei leggitori, se dietro tutti questi
antecedenti dovevo credere il Buonafede autore del Bue
Pedagogo? Se potevo ricusare l’attestato della pubblica
fama? Se dovevo non arrendermi alla testimonianza del
Frugoni, notorio amico di sua paternità? Se potevo negar
credenza a’ padri Celestini di Milano, che affermarono il
Bue Pedagogo essere fattura d’Agatopisto Cromaziano? E se finalmente potevo ricusare di prestar
fede a tanti che mi dicevano e scrivevano il Buonafede
essere autore di quel libello, e a tanti che mel dissero e
scrissero anche alcuni mesi prima si pubblicasse?
Aggiungiamo a tutti questi argomenti la tanta somiglianza
del Bue Pedagogo coll’altre opere del padre Buonafede. Tutte
le sue opere sono bisbeticamente scritte con assai meno
virgole che non s’usa, e tutte con la stessa ortografia, e
tutte con la stessa sintassi soverchio latinizzata, con una
ricorrenza continua degli stessi vocaboli, delle stesse
frasi, e degli stessi pensieri, collo stesso metodo di
comporre, e di passare da cosa a cosa; e finalmente collo
stesso scialacquo d’erudizione, collo stesso ordine di
critica e di satira d’ appertutto dove costui vuol fare
l’erudito, il critico e il satirico. Io maneggio la penna da
tant’anni, che ben dovrei intendete questo mestiero, ed
essere in istato di conoscere l’autore d’ un libro dal suo
modo generale di scrivere quando n’abbia già scritto un
altro; e questo argomento solo nel presente caso mi fa tanta
forza, che mi terrei sicuro in coscienza dell’attribuzione
che ne faccio al Buonafede, se mi mancasse anche ogn’altro
argomento. Mosso dunque da queste tante riunite evidenze e
testimonianze, io concorsi cogli altri a credere fermamente
che il Bue Pedagogo fosse opera di costui:
quand’ecco che mi viene a casa un biglietto anonimo, in cui
sono ferocemente minacciato per parte di sua paternità
d’essere chiamato come calunniatore dinanzi a qualche
tribunale, se rispondendo al Bue Pedagogo dirò che il padre
Buonafede ne sia l’ autore, anzi se farò la minima allusione
alla paternità sua. Oh, oh, diss’io, che significa questo?
Che è quest’altra novella menippea? Stiamo a vedere che il
buon religioso comincia a rientrar in se stesso, e comincia
ad aver paura che il suo Bue non gli voglia recare quel
tanto onore che gli fu promesso dal Frugoni, dal Passeri, e
da qualch’altro. Sospettando nulladimeno che l’autore del
biglietto anonimo potess’ essere un qualche bell’umore vago
di baje e di pigliarsi trastullo a spese d’altri, mi venne
in capo di cercare io stesso al padre Buonafede come stava
questa faccenda: ed ecco la lettera che gli scrissi a
Bologna a questo effetto.
A questa mia semplice domanda mi pare che il
Buonafede avrebbe potuto dare una risposta semplicissima, ed
assicurarmi con quattro righe di non essere autore del Bue
Pedagogo se non lo è, o se non vuol esserlo. Invece però
delle suggeritegli quattro righe di suo pugno, sentiamo l’abbindolata, equivoca ed impertinente
risposta che mi fece, e commentiamola anche un poco nel
ricopiarla.
A che proposito, padre mio, questa furbesca
ambiguità? Perchè non negare a dirittura d’essere autore del
Bue Pedagogo? Perchè entrare nella discussione se chi m’ha
ragguagliato può provare o non può provare?
Ecco un seconda furbesca ambiguità! Io non ho
domandato al Buonafede, se riconosce quel libretto per suo,
ma gli ho domandato se ne è l’autore. Ed altro è essere
l’autore d’una cosa altro è riconoscerla per nostra. Questo
Bue Pedagogo è un libello infamatorio, e pochi sono gli
autori di libelli infamatorj che messi al punto vogliano
riconoscerli per cose propie, quantunque ne sieno veramente
gli autori. Il Buonafede poi sapendo essere pubblica voce e
fama che il Bue Pedagogo sia suo, non doveva servirsi del
termine di chiacchiera’, ma sibbene di
qualche termine un po’ più forte, ed atto a mostrare che
sente dispiacere d’essere universalmente supposto e chiamato
autore d’un libello manifestamente infamatorio.
Cioè le dico che alcuni hanno ardito di raccontare
anche a me questa chiacchiera. Che importa però a me che
alcuni abbiano ardito o non ardito? A me importa solo sapere
se egli sia o non sia l’autore del Bue Pedagogo; e a questa
domanda sua paternità non ha ancora risposto ingenuamente
ne’ tre primi periodi della sua lettera. È vero che pende un
poco alla negativa, ma non me la decide risolutamante, come
dovrebbe fare chiunque si sente accusato d’essere autore
d’un libello infamatorio.
Come m’ha questo a bastare? Come può suppormi
soddisfatto da queste ambiguità, e da quella studiata
noncuranza con cui egli mi parla di questa faccenda che per
lui è di qualche importanza? E perchè vuole che io tacci di
chiacchiera temeraria la pubblica voce e fama? E perchè
vuole che io tacci di chiacchieroni temerarj il suo amico
Frugoni, e i suoi celestini di Milano, e tanti miei
corrispondenti? Egli mi dice così a mezza
bocca, e con leggerezza d’espressione, che nessuno di quelli
può provare quanto afferma; e toccherà a me a chiamarli
tutti temerarj per questo? Li chiami egli con questo
epiteto, se li giudica tali in coscienza, che io li ho per
galantuomini quanti sono, e non per temerarj nè per
chiacchieroni.
Bello quel sospettoso forse! L’innocenza però non
suol essere sospettosa, nè mai cerca di destar sospetti in
altrui senza un’evidente cagione; e qui il padre non aveva
cagione alcuna di sospettare che alcuno volesse godere la
commedia a spese sue, poichè stava in sua mano il non
cominciarla negandomi solennemente con quattro sole righe
d’essere autore del Bue Pedagogo a lui attribuito dalla voce
universale.
Cioè il suo grado gli comanda di non fare il Zanni in
teatro, come se la qualità mia lo permettesse a me. Ma
perchè dirmi obbliquamente questa impertinenza? Il suo grado
però gli doveva comandare di dirmi con
quattro righe, anzi di convincermi con ogni sua forza, che
egli non è l’autore di un libello infamatorio: ma questo è
quello che sua paternità graduata non seppe risolversi a
fare da buon senno per soverchia tenerezza al suo gran capo
d’opera.
Ecco qui il suo Grado un’altra volta, e convertito
francesemente in Rango! E che ho io che fare col suo rango,
o col suo grado? Ma a che proposito mi fa egli la minaccia
di chiamarmi dinanzi a tutti i tribunali del mondo? Non
bastava l’avermene già minacciato nel suo biglietto anonimo,
senza ripetermelo qui così inopportunamente? Qui non doveva
pensare a minacce, che delle minacce tutti gli uomini
animosi se ne ridono, nè egli ha prova alcuna ch’ io sia un
uomo vigliacco. Qui non doveva pensare ad altro che a
persuadermi di non essere l’autore del Bue Pedagogo; e
questo poteva farlo molto meglio con una seria e solenne
protesta in quattro righe, che non colle sue
minacce ridicole, e ‘col rappresentarmi il suo grado, o il
suo rango, di cui a me non importa uno sputo. Ma la
consapevolezza del suo iniquo delitto, e la paura per
conseguenza di esserne da me punito con una risposta al Bue
Pedagogo, gli fa girare la coccola, e lo fa appunto
allontanare da quella meta, alla quale vorrebbe avvicinarsi.
Lo credo anch’ io, perchè chi in un caso di tanta
importanza consiglia tanto male sè stesso, che s’induce a
scrivere con furbesca ambiguità, non è veramente uomo da dar
consigli a niuno.
Nota l’impertinente clausola, sine qua non.
II povero frate delira. E chi gli ha detto ch’ io
voglia aver litigio con esso o con altri? Lo so anch’ io che
dai litigi si raccolgono talora de’ biasimi e de’ malanni;
ma che ha questo che fare col caso mio? Un furfante dice di
me mille calunnie in istampa; io mi metto a confutare quelle
sue calunnie, ed il mio confutare si chiamerà litigio? Non
mi sono poi neppur sognato d’ andare per
alcun consiglio da lui, onde trovo molto strano ch’ egli
venga spontaneamente a darmene uno; e trovo più strano
ancora ch’ egli venga a darmelo in una causa sua propria,
coll’ aggiunta della impertinente supposizione, che avendo
ingegno ed erudizione potrei far questo e potrei far quello.
Mi cred’egli tanto adolescentulo da scegliermi per
consigliero chi scrisse la Commedia filosofica, il Suicidio,
il Discorso Parenetico, e quell’ altre sue melensaggini
sconsigliatissime? Una persona veramente umilissima deve
risparmiarsi l’incomodo di dar consigli non richiesto,
perchè il dar consigli non richiesto è atto di persona
orgogliosa e vana, che pretende aver miglior cervello degli
altri, e che vuole arrogantemente sostituire il suo senno al
senno altrui. Quali malanni poi mi vuol egli far temere in
caso ch’ io risponda a lui come vero autore del Bue
Pedagogo? Stiamo a vedere che per la sua umilissima persona
tutti i tribunali del mondo anderanno a soqquadro! Che
persona umilissimamente superba! « Dicono ch’ ella abbia
molte notizie non comuni dell’arti, delle scienze, e de’geni
inglesi ». Questo dicono pute un poco d’ironia, e
conseguentemente d’ impertinenza; e dall’ impertinenza ogn’
uomo dovrebbe astenersi rispondendo ad una
lettera scrittagli con tutta civiltà. Nulladimeno, se egli
non giudica a proposito di stare a quello che le genti
dicono, la Frusta dice tanto di me, da far lasciare
l’impertinenza da un canto ad ogni onesto letterato, essendo
tutta piena di letteratura sana, di curiose notizie, e
soprattutto di morale veramente cristiana. Ma cotesta
gentaglia mal nata e peggio educata non può mai far forza a
sè stessa quando ha le passioni in moto, ed è pur d’ uopo
che a qualche segno si mostri sempre gentaglia mal nata e
peggio educata.
Il Buonafede qui la fa da magro buffone suggerendomi
di scrivere un libro col ridicolo e inintelligibil titolo
de’ Genj inglesi. Ma cosa intende sua paternità per libro
ben ragionato che potesse farmi onore? Forse che la mia
Frusta non è libro ben ragionato, e forse che mi fa
disonore? Ad quid questa sua nuova impertinenza? E pensa
egli di rimuovermi dal mio crederlo autore del Bue Pedagogo
quando mi dice che la mia Frusta ha cagionate delle sinistre
impressioni?
La volete più chiara, leggitori? Non solo il
Buonafede pensa che la mia Frusta sia un libro non ragionato
bene, e che non mi faccia onore, ma pensa che il Bue
Pedagogo abbia risposto bene alla Frusta, e per conseguenza
che sia ben ragionato, e da far onore al suo autore. Ed io
compatisco la paternità sua se pensa così, poichè nè la sua
ignoranza nè la sua rabbia gli possono permettere di pensare
in altro modo: mi maraviglio però come mostrandosi così
furbo in tanti luoghi del Bue Pedagogo, mi riesca poi tanto
babbione qui da lodar l’opera sua e da biasimare l’opera
mia. Questo non era nè il tempo nè il luogo da farlo s’egli
aveva pur paura d’ esser da me riputato autore del Bue
Pedagogo, come certamente aveva, e doveva avere. Ma così va
sempre coi furbi chiacchieroni. A forza di chiacchierare si
scoprono miseramente, essendo cosa difficilissima l’aver
torto, il parlar molto, e il non si scoprire.
Qui il poverello delira un’ altra volta! E come mai,
quand’ anche l’avesse voluto, avrebbe potuto ricevere i miei
sentimenti con animo appassionato, se io non gli ho
comunicato alcun mio sentimento? Se gli ho anzi detto che
riguardo a lui io non aveva alcuno de’ miei
sentimenti che fosse risoluto, ma che gli avevo tutti
nell’incertezza?
Quel suo equivoco potrebbe darsi toglie tutta la
sincerità al suo complimento, e così la lettera finisce con
quell’ambiguità furbesca con cui fu cominciata e proseguita.
Ecco la sua sottoscrizione.
Più su ha messo in dubbio s’ io abbia erudizione ed
ingegno: qui si dichiara ammiratore del mio ingegno, così si
viene a dar l’ ultima pennellata a questo capo d’ opera di
lettera con una finissima ironia; ed io pongo fine al
commento con rallegrarmi seco lui del suo doppio rango d’
abate e di visitatore; cosa tanto sovrumana nella gerarchia
ecclesiastica, che tutti i tribunali del mondo hanno a
sentenziare non esser egli autore del Bue Pedagogo quando la
paura della mia risposta lo faccia ricorrere al valoroso
ripiego di non riconoscere quel libretto per suo con qualche
pubblica protesta.
Nível 4
Citação/Lema
« La collera di questo
superbo frate (mi disse una lettera di colà) è
propio una collera infernale. Egli va scorrendo per
le case de’nostri nobili e de’nostri dotti, e per le
botteghe de’nostri librai, svillaneggiando a tutto
potere, ed esecrando voi e l’opera vostra, e urlando
che siete un impostore, uno sciocco, un ignorante,
un bue, un pedagogo; ne si fa scrupolo di
soggiungere, citando questo e quel passo della
Frusta, che si vede bene voi essere stato molt’anni
fra gli eserciti d’Inghilterra, poichè vi mostrate
apertamente in essa un empio, un eretico, uno
spinosista, un ateo. Se mai vi scrive alcuna cosa
contro, come promette, aspettatevi pure di queste
accuse in quantità ».
Nível 4
Citação/Lema
« Egli ha scritto e
scrive a tutti i suoi amici che cerchino le più
esatte informazioni di voi e della vostra famiglia,
e delle faccende vostre, e de’vostri passati e
presenti casi, e insomma d’ogni minima coserella che
si riferisca a voi o ai vostri; e
giura che vi farà molto pentire della vostra
arditezza in criticarlo. Guardatevi da questo
Orlando furioso col cappuccio. »
Nível 4
Carta/Carta ao editor
« È stato scritto qui da
Bologna che un certo padre abate Buonafede
celestino, persona di molto grido nella repubblica
delle lettere, sta facendo una critica dottissima
alla tua Frusta. Spero vedremo
qualche cosa di migliore che non furono quelle
critiche, anzi furfanterie del Borga, del Vicini, e
di quegli altri. Mi rallegro teco d’ un così nobile
antagonista, e alla sua dottissima critica!
Nível 4
Carta/Carta ao editor
« Vi trasmetto (mi
scrisse un amico di colà) il Bue Pedagogo composto
come sapete dal padre Buonafede. Non ho mai letto
libello più pieno d’amarezza, di bile, d’ingiusta
critica, di contraddizioni, e di spropositi ».
Nível 4
Carta/Carta ao editor
« Leggetelo, e stupite
dell’iniquità di questo frate Malafede, come qui lo
chiamiamo. Ad onore però della nostra Bologna vi
posso assicurare che qui sono pochi quelli che non
ne sono stomacati; e molti di quegli stessi che gli
sono amici la disapprovano altamente e lo
consigliano a non dichiararsene autore. Non so se vi
sia noto che prima di pubblicarlo diede fuori un
manifesto in forma di lettera d’uno stampatore, in
cui si assicura che il Bue Pedagogo non contiene
ingiurie e villanie, ma che è pieno di brillanti
dottrine, d’esami eleganti, e di lepidezze
urbanissime. Leggetelo, leggetelo, e vedrete che
dottrine, che esami, e che lepidezze!
»
Nível 4
Carta/Carta ao editor
« Malafede aveva
consegnato a monsù Guibert, librajo francese in
Bologna, un centinajo di copie del Bue Pedagogo con
ordine gliele vendesse a tre paoli l’una. Queste
cento copie (soggiunse l’amico) saranno state parte
di quelle dugento, ch’egli suole ottenere per prezzo
d’ogni manoscritto che vende. Ed ora egli sta in
quella bottega molte ore ogni dì, salmeggiando le
laudi al suo libello in presenza d’ogni avventore,
cosa troppo sordida e troppo stomachevole, sapendosi
pur da tutti esserne egli 1’autore ».
Nível 4
Carta/Carta ao editor
Guardate, mi disse
un’altra lettera di Bologna, guardate che testa
debbe avere questo Malafede o Scannafede! Egli alza
al cielo il Bue Pedagogo come se fosse opera d’un
altro; e poi si pavoneggia d’alcune lettere
scrittegli in commendazione d’essa, e le va leggendo
a questo e a quello; e due specialmente ne legge,
una dell’antiquario Passeri, e l’altra del poeta
Frugoni, che muovono veramente a riso coi loro
sfondolati stupori d’un’operuzza così gretta, e che
ad essi pare una mole d’Adriano
Nível 4
Carta/Carta ao editor
il Frugoni non cape nella
pelle per l’allegrezza d’aver ricevuto dal padre
abate Buonafede il Bue Pedagogo. Egli v’ha scritto
al suo solito qualche sonetto contro, e ampollosi e
rimbombanti tutti al solito. Fra
questi ve n’ha uno in cui si leggono questi due bei
versi: .... Il dotto Buonafede Che vincitor ti tien
sul collo il piede. Se siete conoscente di cotesta
gentildonna Cornelia G... lo potrete leggere da lei,
che il Frugoni glie1’ ha mandato ».
Nível 4
Carta/Carta ao editor
« avendo fatto richiedere
ai padri celestini il Bue Pedagogo se l’avevano, i
padri gli mandarono alcune opere d’Agatopisto
Cromaziano, mandandogli insieme a dire che il Bue
Pedagogo non l’avevano ancora ricevuto, ma che
intanto poteva leggere quelle opere se il voleva,
che erano dell’autore stesso del Bue Pedagogo ».
Nível 4
Carta/Carta ao editor
« Reverendissimo padre
abate. Mi viene replicato da molte parti che il
libretto intitolato Il Bue Pedagogo sia stato
scritto dalla paternità vostra. Un anonimo però
m’avvertì jeri con un suo biglietto che ella niega
d’esserne autore. Avrei caro sapere come il fatto
stia, onde mi volgo a dirittura a lei pregandola
dirmi se quel libretto sia suo o non
suo. Se ella non ne è l’autore, non avrà difficoltà
di dichiararmelo con quattro righe di suo pugno. Se
poi ella ne è l’autore, io la suppongo uomo di tanto
coraggio da palesarsi tale. Vostra paternità
reverendissima comprenderà facilmente da questa mia
ricerca, che io ho intenzione di non lasciar passare
quel Bue Pedagogo senza risposta; cosa che
all’intrepido Luciano da Firenzuola, chiunque egli
sia, non dovrebbe dare il minimo fastidio, essendo
egli per suo propio dire fornito d’ingegno, di
letteratura, di sali, e di tutte quell’altre qualità
che gli devono rendere pochissimo formidabile, anzi
affatto dispregevole una debol penna qual egli
reputa la mia. Spero che vostra paternità
reverendissima non piglierà in mala parte questa mia
ricerca, e che la soddisferà valorosamente in caso
ch’ella sia 1’ autore di quel libretto. Sono intanto
con quegl’ incerti sentimenti che mi può supporre
nel presente caso, della paternità vostra
reverendissima non mediocre ammiratore G. B. »
Nível 4
Citação/Lema
« Coloro che si sono
presa la briga di ragguagliarla che io sia autore
del libretto intitolato il Bue Pedagogo, hanno
affermata una cosa che non sanno, e non possono
provare »
Nível 4
Citação/Lema
« Alcuni hanno ardito di
raccontare questa chiacchiera anche a me, ma io più
volte, e in presenza di molti ho detto assolutamente
che non riconosco per mio quel libretto. »
Nível 4
Citação/Lema
« Lo stesso io dico a lei
in risposta della sua interrogazione. »
Nível 4
Citação/Lema
« Credo che questo potrà
bastarle per conoscer la temerità di quella
chiacchiera. »
Nível 4
Citação/Lema
« Chiacchiera forse
sparsa da taluno, e fomentata da altri per vedere
qualche commedia a nostre spese, e prender giuoco di
me e di lei. »
Nível 4
Citação/Lema
« Quanto a me, non
avranno questo piacere. Il mio grado mi comanda di
pensar ad altro. »
Nível 4
Citação/Lema
« Solamente se il mio
nome fosse mai attaccato con personalità ed
attribuzioni ingiuste, io in tal caso, non per la
persona mia che è umilissima, ma per lo rango mio,
che è qualche cosa rispettabile nella gerarchia
ecclesiastica, dovrei farmi rendere ragione in
qualunque tribunale del mondo. »
Nível 4
Citação/Lema
« Io non sono uomo da dar
consigli a niuno. »
Nível 4
Citação/Lema
« Ma, se fossi, direi che
ella avendo ingegno ed erudizione, »
Nível 4
Citação/Lema
« Potrebbe applicarsi con
lode a gravi argomenti, e lasciare alle teste
picciole i litigi, dai quali dopo molte fatiche si
raccolgono biasimi e malanni ».
Nível 4
Citação/Lema
« Un libro ben ragionato
intorno a questa materia le potrebbe far onore, e
cancellare molte sinistre impressioni ».
Nível 4
Citação/Lema
« Ma un buon libro
sarebbe un argomento a cui Luciano non saprebbe
rispondere ».
Nível 4
Citação/Lema
« Desidero ch’ ella
riceva questi miei sentimenti con quell’animo
spassionato con cui io ho ricevuti i suoi ».
Nível 4
Citação/Lema
« Frattanto se potessi
mai servirla in qualche cosa, s’ avvalga pure di me,
perchè potrebbe darsi che deponesse gl’ incerti
sentimenti coi quali ha chiusa la sua lettera ».
Nível 4
Citação/Lema
« Vero ammiratore del suo
ingegno don Appiano Buonafede abate e visitatore
de’monaci celestini ».