Nivel 3
Carta/Carta al director
Amico Demetrio. Dite agli Scrittori del Caffè, ch’io sono un giovane,
che sto per incamminarmi nella carriera di fare il Medico, e che da molto tempo aspetto che scrivano
qualche articolo sulla professione, ch’io voglio intraprendere; essa ha molta influenza certamente
sulla vita degli Uomini, e merita che di essa si parli. Vi prego, amico Demetrio, fate sì che ne
parlino una volta; ed avrei molto piacere se ne parlassero in guisa di farmi un piano del sistema,
che essi credon buono, per riuscirvi felicemente. Addio.
V’è un sistema buono per farsi un buon Medico, e v’è un sistema buono per farsi volgarmente
stimare un buon Medico; rare volte questi due sistemi possono eseguirsi dalla stessa
persona. Un giovane deve scegliere fra queste due strade: Se avete nell’animo un generoso amore
della verità, e tale da ricompensarvi coi progressi, che andrete facendo, della contenzione che vi
farà d’uopo usare per instruirvi; se preferite la stima degli Uomini illuminati all’applauso
volgare, ed alle ricchezze che gli vanno compagne; se avete in somma di mira o la gloria, o una
dilettevole occupazione per voi nello studio della Medicina, allora appigliatevi al sistema di
formarvi un buon Medico. Ma se all’incontro voi ricercate il pane, e propostovi tal fine volete
interporre i più brevi, comodi, e più sicuri mezzi per ottenerlo, scegliete il sistema di farvi
volgarmente stimare un buon Medico. Io do un’occhiata generale all’Europa, e dico, che se prendiamo
tutt’i Medici Europei in complesso, ella sarebbe cosa molto problematica il decidere se siano più
gli Uomini ammazzati, o risanati dall’arte loro. Se prendiamo dunque la Medicina non per quello, che
mi si dice che dovrebb’essere, ma per quello ch’ella è in effetto, ella è un’arte che non si può
riporre fralle benefiche senza usare di molta indulgenza. Facil cosa è il comprendere ch’io in
questo senso intendo colla parola Medicina non la scienza per se, ma la somma delle azioni, che i
Medici in complesso esercitano su i corpi umani. Se l’amor della scienza stessa vi porta alla
Medicina, riflettete al bel principio che la medicina altro non è, che la fisica applicata al corpo
umano, cioè a quella macchina, la quale anche al dì d’oggi è molto imperfettamente conosciuta, e non
lo sarà forse mai in tutta la sua estensione. Le parti nobili del corpo umano non potiamo noi
vederle mai nell’esercizio loro, ma bensì inerti, e già mutate da quel fenomeno
insigne, che chiamasi morte, per cui dallo stato di materia organizzata passa la spoglia umana a
quello di semplice materia: Nè coll’ajuto de’ nostri sensi benchè assistiti da’ più perfetti
stromenti ottici possiamo noi ragionevolmente lusingarci di seguitare l’organizzazione fino ai
minimi elementi, da’ quali forse deriva il principio fisico del moto della circolazione, della
traspirazione, del nodrimento, e di tant’altre riparazioni, e perdite, e modificazioni diverse di
materia, che rendono mirabile egualmente, che oscura l’indole di un corpo organizzato. Che se sí
denso è il velo, che ci nasconde i principj, per i quali vive, movesi, genera e si nutre un corpo
posto in quello stato sul quale ci è lecito fare maggiore numero di sperienze, poiché stato comune
alla maggior parte degli Uomini; quanto più dovete voi credere, che siano oscuri i principj che
guastano l’ordine della economia animale, e fanno passar l’uomo dallo stato di sanità a quello di
malattia! Quello ch’io chiamo stato di sanitá, non è quello stato di perfetta sanitá, che non
potrebbe trovarsi che in un corpo immortale; poichè se tutte le perdite nostre venissero risarcite
per l’opera di visceri perfettamente sani sarebbero le nostre perdite perfettamente risarcite:
quindi non conosceremmo nè la vecchiaja, nè la morte naturale; chiamo dunque stato di sanità quello
in cui nessun dolore, nessuna lassitudine, nessun fenomeno apparente ci avverte d’alcun disordine
avvenuto nel sistema della organizzazione nostra. V’é molto maggior differenza fra malattia e
malattia di quella che non vi sia fra un corpo sano e un corpo sano. Dirò di più: forse non si sono
vedute da Ipocrate a questa parte due malattie perfettamente eguali. Pare che le leggi universali, colle quali e diretta la Fisica, sieno costanti, e inviolabili; ma pare altresì che i
fenomeni particolari, ossia le combinazioni de’ principj invariabili, sieno variabili all’infinito;
e come forse da Ipocrate a questa parte non sono comparse sulla terra due figure d’Uomini
perfettamente simili; come forse da Ipocrate a questa parte non sono comparse sulla terra due foglie
d’albero perfettamente simili; così per analogia facilmente può credersi, che due malattie
perfettamente simili non si sieno ancora date da che gli Uomini hanno trovata l’arte di trasmettere
alle generazioni venture i loro pensieri colla stabile testimonianza della Scrittura. Cosa molto più
facile e sempre il comprendere, come una macchina ben costrutta eserciti le sue azioni, di quello
che non lo sia il prevedere e definire tutte le cagioni straniere e intrinseche, per le quali può
essere interrotta ne’ suoi movimenti. Da queste brevi riflessioni ne deduco una conseguenza; ed è,
che sempre sarà molto incerta e ne’ suoi principj, e nella applicazione di essi principj la
Medicina; e che un Filosofo che ne faccia la professione, adoperata che abbia la più scrupolosa
diligenza ne’ casi particolari, avrà costantemente compagno un cauto dubbio, ed un pirronismo
ragionevole, che lo porterà sempre ad ommettere, anzi che ad eccedere operando.
1A questo termine proponetevi dal bei principio di
giungere, e sappiate che quello che è stato detto forse troppo generalmente delle
scienze tutte, cioè che le estremità loro si toccano, e che al principio, e al termine egualmente
trovasi l’ignoranza, ciò particolarmente e proprio della Medicina, in cui quando siete mediocre vi
credete a parte de’ secreti di natura, ma a misura che fate progressi, e che esaminate con maggiore
analisi le vostre nozioni, scema il numero de’ secreti svelati, e vi accostate all’ignoranza dotta,
che resta al termine della carriera. Cosa ridicola in verità si e il leggere alcuni Autori di
Medicina, e specialmente di Bottanica, anche accreditati; non v’è erba che non risani da qualche
malore, non v’è malattia che non abbia più erbe prontissime a sradicarla; pare, leggendoli, che non
vi sia ormai più maniera di morire, se non per gl’ignoranti. All’occasione poi vediamo l’effetto di
tante pompose promesse. La Medicina è dunque un’arte di sua natura molto circoscritta, e che merita
il nome di conghietturale che le vien dato; ma s’ella non fa agli Uomini tutto quel bene che se ne
promette il volgo, e che ne vanno proclamando i Ciarlatani addottorati, pure in mano d’un illuminato
e onesto uomo, ossia, in una parola sola, in mano d’un Filosofo, ella è un’arte che non solamente
serve a provare sin dove giunga l’industriosa ricerca dell’ingegno umano, ma serve ancora a recare
solidi beneficj all’umanità o prevenendo le malattie o risanandole. Ma per giungere a
ciò fare, primieramente io ricercherò da un giovane la preparazione alle scienze, cioè una costante
abituazione del suo intelletto di far l’analisi delle proprie idee, di definire esattamente ogni
vocabolo, di tessere in somma quasi in catena ben costrutta i proprj ragionamenti, cosicché il
desiderio della verità sia in esso sempre più robusto della inerzia, alla quale forse più che ad
altre cagioni dobbiamo attribuire la parte maggiore de’ falsi ragionamenti degli Uomini. Se quest
disposizione dell’animo, che i Scolastici chiamano Logica, è il primo fondamento delle umane
cognizioni, se questa è la sola scorta che può farci fare progressi nelle scienze tutte, a più
ragione dev’ella essere indispensabile laddove si tratti d’una scienza di conghietture, dove
l’ommissione d’un dato solo o d’una osservazione ci porta a conseguenze talvolta perfettamente
opposte. Una mente chiara, ragionatrice, vogliosa di fare agli Uomini quel bene che può loro farsi
colla Medicina, conviene che sia in istato di ben comprendere i libri scritti in Latino, ed in
Francese. Ogni discreto Lettore comprenderà benissimo, ch’io col vocabolo Latino non intendo la
lingua de’ Curiali o de’ Scolastici, lingua che non intenderebbe nè Cicerone, nè Livio, nè Tacito,
se dovessero essere condannati a leggere le tante belle cose che con essa lingua intermedia fra la
Latina e l’Italiana sono state scritte per la felicità se non delle Nazioni, almeno di alcuni pochi,
che mettevano a profitto la pubblica bontà. Conviene che un giovane, che vuol farsi Medico davvero,
intenda dunque la buona lingua Latina, quale la scrissero molti eccellenti Medici, e
così dicasi della lingua Francese. Io non vi farò qui una lunga declamazione da Pedante, per
provarvi che per guarir le malattie, e per ragionare in Medicina sia necessaria la statica
l’Idrostatica, la Geometria, l’Algebra, e tutte le altre parti della Matematica; molta impostura v’è
certamente in sì fatti discorsi, i quali li ripetono alcuni Medici, e persino alcuni Curiali, quasi
che le loro occupa-zioni esiggessero l’Enciclopedia; dirò bene, che le cognizioni della Fisica
universale sono necessarie, poichè, come ho già accennato la Medicina è l’applicazione della Fisica
al Corpo Umano. Convien dunque che abbiate una idea di quello che gli Uomini hanno osservato sulla
natura del calore, e del freddo, sulla dilatazione, e condensazione de’ corpi, sull’intestino loro
moto, sulle leggi della gravità, sulla vegetazione, sulla generazione, e simili oggetti risguardanti
la Fisica. Nemmeno io esigerò da voi, che siate un perfetto Bottanico, cosicché conosciate il
numero, la famiglia, e le proprietà d’ogni filo d’erba. Nemmeno esigerò io da voi, che siate un
Chimico, e che conosciate per nome, e per figura tutti i sali alcali, tutti gli acidi, e tutt’i
caratteri mezzo Arabi, e mezzo Gottici, co’ quali si rendono venerande assaissime inezie. A me basta
che affatto non siate digiuno di queste materie, e che sappiate all’occasione quai sieno gli Autori
migliori da consultarsi, per conoscere se accade qualche cosa fondatamente. La Notomia sì, che
dovete saperla; ma dovete sapere la Notomia ragionata, e comparata, non già la sterile nomenclatura
delle ossa, dei muscoli, dei tendini, e delle altre parti che formano il corpo
dell’Uomo. Sieno otto, o sieno quattro i muscoli dell’occhio, sieno sette, o sieno cinque i muscoli
del basso ventre, questo poco importa saperlo al Medico; son questi, oggetti che interessano la
Chirurgia, o il disegno. Ma sapere come, o per qual mirabile meccanismo il cibo nel ventricolo cangi
natura; come frammisto al fiele prenda il colore dal Chilo; come la parte più sottile filtrandosi
per alcuni minutissimi canaletti giunga nella Cisterna del Pequet a distillarsi in un latte puro,
come questo frammisto al sangue ripari le perdite di esso sangue, da cui si fanno continue
secrezioni; come queste secrezioni sieno sì diformi fra di loro, sebbene tutte emanate dallo stesso
principio; ma il conoscere come circoli il sangue, qual sia il primo mobile che lo spinge; come non
rigurgiti, nè prenda mai un moto contrario; come per esso si riparino le perdite de’ muscoli, delle
vene, delle arterie e persino delle ossa; come dallo stato d’un fluido passi una particella di esso
sangue a quello d’un perfettissimo solido; queste sono le mire che convengono a un Medico. Poiché
siate a questo segno disposto, e per la felice disposizione della mente, e per le cognizioni delle
lingue, e per la notizia delle cose fisiche, e per un ragionato sistema di Notomia, allora
consacratevi alla Medicina, scegliete gli ottimi Autori, ed ivi esaminando i loro sistemi, e
meditando sulle diverse sorti di malattie da essi esposte, su i fenomeni che le accompagnano, su i
rimedj che giovano, e sulle opinioni loro delle cagioni, instruitevi, e approfittate dei lumi, e
della pratica di molti secoli. Ridicola pretensione in vero si è quella di coloro, i quali cercano
di cuoprire la ignoranza loro nella teoria della Medicina, vantando la pratica in
favor loro. Vastissima è pur troppo la serie dei disordini, ai quali è soggetta la macchina del
corpo umano, e in paragone di essa la vita di un Uomo è un lampo passaggero S’egli è vero che da
Ipocrate a questa parte forse non si sono vedute due malattie esattamente simili, come potrà mai
sperare un Uomo solo, che dopo alcuni pochi anni di proprie osservazioni, le malattie, che gli si
presentino sieno, continue repetizioni d’altre malattie da lui vedute, il che vorrebbe dire la voce
Pratica! Ipocrate era il decimonono Medico di sua famiglia, e aggiungeva la propria pratica a quella
di diciotto generazioni, che gliela avevano trasmessa, e forse anco diciotto generazioni sarebbero
state non bastanti a compilare gli Afforismi, se ad esse non si fossero aggiunte le innumerevoli
Tavolette appese al tempio d’Esculapio, contenenti l’esatta descrizione di una vastissima serie di
malattie. Allora fu che, dopo la sperienza di molti secoli, e dopo una sterminata serie di casi
raccolti venne dato il distinguere quelle poche leggi universali, che son comuni a molte malattie, e
che infiniti diversi fenomeni somministrarono il filo per riascendere ad alcuni principj. Le
osservazioni, le sperienze, e più forse i casi fortuiti, e gli errori medesimi di molti secoli, che
vennero dopo, accrebbero il materiale della scienza; da tutto quest’ammasso ereditato dalle
generazioni passate un buon Medico cerca di dedurne la sua pratica, la quale diventa la pratica di
più secoli, la pratica di molti Uomini condensata in un Uomo solo; e questa è la vera pratica
rispettata dai saggi, da cui può sperarsi giovamento. Come per diventare un pittor
valente non bastano le osservazioni su i disegni, sulle statue, sulle pitture, e su i bassi rilievi,
ma vi vuole il nudo medesimo; così nella Medicina conviene che il Medico contragga una sorte
d’abitudine cogli Ammalati, la quale presentando a’ suoi sensi i sintomi diversi delle malattie con
maggiore efficacia di quello che non lo possono fare le descrizioni, o gl’intagli, lo renda più
sicuro di se medesimo. Non vi consiglio però di prendervi questa per principale occupazione. La
principale deve essere su i libri, e chi predica il contrario cerca di farvi un buon Infermiere
tutt’al più, non mai un buon Medico; ma secondariamente unite alla speculazione tranquilla del
vostro studio anche l’uso di esercitarla sugli ammalati. Ma del polso che diremo noi? Oseremo noi in
questo foglietto svelare gli arcani dell’arte, ed esporci alla vendetta dei Pseudo-Medici, per dar
materia di pensare ad alcuni pochi? La dimostrazione sarebb’ella capace di far fronte ad una
opinione venerata per secoli, e sostenuta dalle continue declamazioni di quanti vogliono parer
Medici, senza essersi presa la briga di diventarlo! Io voglio osarlo, e vuo’ scrivere una
proposizione scandalosa, empia, nefanda, abominevole; ed eccola: La cognizione del polso val poco a
illuminare un Medico. Io vi comincio a dire, che Ipocrate, e tutta la sua Scuola non ha mai fatto
gran caso del polso; che l’osservazione sulla pulsazione dell’arteria si è cominciata a fare dai
Chinesi, poscia gli Arabi la posero in credito, e questo credito andó forse per arte d’alcuni a tal
segno crescendo, che finalmente alla pulsazione dell’arteria si vennero ad attribuire
tali proprietà da renderla la verga divinatoria della Medicina.
2 Non pretendo io già di dire, che la pulsazione
dell’arteria non sia un fenomeno da osservarsi in ogni ammalato, come s’osserva il calor delle
carni, il colore del volto, come s’osservano gli occhi,. la lingua, la flessibilità delle viscere,
la libertà della respirazione, le secrezioni del sangue, e simili; dirò di più, che la pulsazione
dell’arteria essendoci una guida per conoscere presso poco lo stato della circolazione del sangue,
ella è un sintomo da osservarsi anche con particolare attenzione. Ma il pretendere colla pulsazione
dell’arteria di distinguere una ad una le infinite malattie, il pretendere colla pulsazione
dell’arteria di conoscere i progressi, e le diverse vicende de’ mali del corpo umano, questo è un
pretendere cosa di cui compare l’assurdità per poco che vi si rifletta. Primieramente
il moto del sangue con somma facilità si altera nel corpo umano coll’urto semplice d’una passione
anche non forte; secondariamente riflettete, che tutte le variazioni possibili ad accadere nella
pulsazione dell’arteria si riducono a quattro elementi, e sono diversità di tempo, diversità di
luogo, diversità di forza, diversità d’ondulazione. Quattro elementi non possono produrre più che
ventiquattro combinazioni, come avrete veduto alla pagina 8 di questo foglio periodico, dunque il
polso non potrebbe indicare tutt’al più che ventiquattro stati diversi del corpo umano, non mai la
serie quasi infinita de’ stati, pe’ quali realmente può passare. Ma direte, questi stati sono
suscettibili di molte differenze di più, o meno; va benissimo; ed io vi pregherò a dirmi, se col
semplice tatto (senza un esatto orologio alla mano, che vi segni i minuti secondi, e i terzi, se
fosse possibile) si possano definire le minime differenze? Vi domando, se credete possibile, che un
Polsista possa paragonare matematicamente la celerità, o equi-distanza del polso della sera con
quello della mattina? Vi domando se, dopo il toccamento di tanti polsi, quanti ne esaminano i
Polsisti, sia sperabile questo esatto confronto? Gran bella scoperta ch’è stata quella del polso!
Chi vuol farsi credere medico, sebbene non sappia render ragione della sua professione, sebbene sia
un perfetto ignorante, s’appoggia alla perizia del polso, riclama un dono di natura intrinseco a lui
di conoscere tutte le malattie dal polso; e il volgo gli perdona la sua ignoranza, si fida de’ suoi
toccamenti, lo crede capace di risanare, e lo paga abbondantemente. Se poi due, o tre Polsisti si
conducono separatamente a visitare un ammalato, senza che si siano potuti fra di loro
concertare, uno dirà che non v’è febbre, l’altro che v’è febbre; uno dirà che entra, l’altro che va
in declinazione; del che rari sono gli Uomini, che non ne abbiano avuto più d’un esempio sotto gli
occhi in vita loro; esempio il quale solo basterebbe a convincere. Se meno si sostenesse l’opinione
del polso, sarebbero costretti coloro che vogliono fare il medico ad instruirsi, e minore sarebbe il
numero delle infelici vittime dell’ignoranza. Io per altro trovo cosa degna di riflessione il vedere
come in molte Città della nostra Italia si sottopponga ai più imparziali e rigidi sperimenti un
Uomo, che cerchi d’essere Maestro di Cappella di qualche Cattedrale, e si facciano rigorosi esami, e
disappassionati giudizj per eleggere il più armonico fra i concorrenti; e nessuna Città, ch’io
sappia, adoperi la metà di altrettante cautele avanti di permettere a un Uomo di operare sulla vita
dei Cittadini. Io credo veramente che una distonazione sia un minor male nella Repubblica, di quello
che non lo sia un omicidio.
Metatextualidad
Ritorniamo al proposito nostro.
Se
volete dunque essere buon Medico, io v’ho in breve indicata la strada, che a me pare la buona per
diventar tale. Due avvertimenti mi rimangono ancora, e ve li dirò tosto; appartengono essi alla
buona morale. Primieramente siate in guardia sopra voi medesimo, acciocché i frequenti spettacoli
della Notomia, e l’abituazione di veder soffrire gli Uomini, non incallischino in voi quel dolce e
benefico principio di sensibilità, che produce la compassione, ossia il patimento de’ mali altrui.
La maggior parte delle virtù umane viene da questa sorgente, ed ogni animo ben fatto deve procurare
di mantenersela intatta, e delicata più che sia possibile. In secondo luogo
sovvengavi, che gli Ammalati sono Uomini più deboli per lo più degli altri, i quali affidano alla
vostra dottrina e all’onestà vostra la loro vita, e le loro debolezze; sovvengavi che, se passando
d’una visita all’altra voi vi faceste giuoco della debolezza altrui, e se faceste servire a
rallegrare gli sfacendati i racconti di quanto vedete, o udite nelle famiglie, che in voi confidano,
sovvengavi dico, che voi sareste agli occhi vostri medesimi, non che a quelli d’ogni onorata
persona, un vero infame uomo, un uomo indegno della stima d’ogni animo bennato, un mostro in somma
da far ribrezzo a qualunque è capace di virtù. La secretezza, e la discrezione sono due virtù
particolarmente necessarie a un Medico onorato.
3Eccovi in somma additata la strada per diventare buon Medico. Quando
lo sarete, aspettatevi che il volgo del pretesi Medici vi fugga, aspettatevi che disemini di voi che
avete della Teorica, ma non valete in Pratica; aspettatevi di ottener poco lucro, e molte
persecuzioni; e cercatevi una di queste tre cose, che sono le sole colle quali potrete passare la
vostra vita al coperto della cabala; o un nome procuratovi colle opere stampate, o un Sovrano che
con tutta la sua forza vi protegga, ovvero l’oscurità d’una vita ritirata, che vi celi ai morsi
dell’invidia. Se poi vi bastasse l’essere volgarmente creduto buon Medico, fate il
vostro giro alle Scuole pubbliche, fatevi addottorare, mettetevi a correr le strade in seguito a
qualche buon Polsista, rompete molte scarpe, imparate a scrivere una ventina di ricette, imparate a
mente una quarantina di parole Greche, una trentina di Afforismi d’Ipocrate, celebrate le virtù del
polso, arricchite la lingua colla creazione di nuove frasi, e parole nuove, ricevete le pensioni che
vi verranno assegnate, e sopra tutto pregate il Cielo che i lumi della sana Filosofia non continuino
a fare i progressi che tutto dì vanno facendo in Europa.
4
Metatextualidad
Conchiudo il mio ragionamento con tre ottave tolte da un Poema inedito d’un Autore, che pensava
presso poco come penso io.
Nivel 3
Cita/Lema
Oh genti, oh genti, oh voi, che avete in cura De’ Cittadini conservar
la vita, Aprite gli occhi, oh quanti mai ne fura Degli impostori Medici l’aita! Di quanti va nella
magione oscura L’alma sdegnosamente dipartita, Perchè affrettata vien l’ora fatale Da un Medico, che
è Medico stivale! Poniti a letto, fossi anche un Atleta, Fossi anche un Toro, fossi un Elefante;
Dopo una settimana di dieta, Tranguggia docilmente un buon purgante; Indi la vena s’apra, e
l’inquieta Cantaride t’infonda un vessicante Alle coscie, alle gambe due cauteri Popolatori delli
Cimiteri. Indi lásciati dare le copette, Le sanguisughe, e vari serviziali, E nuovo sangue, e poi
nuove ricette, E intorno al letto Medici, e Speziali; E dimmi poscia ch’io non vaglio un ette Se con
tanti rimedj non t’ammali. Fidati pur se vuoi; ma in questa forma Passa la bella Donna, e par che
dorma.
P.