Il Caffè: XV
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Niveau 1
XV
Le delizie della Villa.Citation/Devise
Secura
quies & nescia fallere vita.
Niveau 2
Metatextualité
Ho ricevuta la lettera seguente, la quale forse non sarà discara
a’nostri Lettori. Io vorrei certamente passare i miei giorni come li passa il mio Amico; quella
Villa che mi descrive, è il modello appunto ch’io mi proporrei; tanti cervelli, tante diverse faccie
ha la felicità, vedremo se qualch’altro uomo vede quella felicità sotto un aspetto un po’conforme a
quello, sotto il quale la vedo io. Ecco in somma la lettera.
Niveau 3
Lettre/Lettre au directeur
Amico. E’ ormai trascorso un intero mese dacchè me ne sto in questa
fortunata campagna, albergato dal più cortese e giudizioso Ospite, ch’io m’abbia conosciuto al
Mondo; e fa bisogno ch’io lo veda sull’Effemeridi per persuadermi che un mese appunto sia già
passato. Caro Amico, se il tempo della nostra felicità ci pare così corto, e quello della noja così
lungo, non potremo mai giudicar bene per sentimento della somma de’momenti felici paragonata a
quella de’momenti infelici; ed ecco forse l’origine delle universali doglianze degli uomini sul loro
destino. Io sono adunque in una Villa lontana a X . . . . quattr’ore; cioè lo spazio di circa dieci
miglia Italiane, appunto quanto basta ad allontanare dai rumori della Città, o dalle
visite importune, lasciandoci comodamente godere degli avvantaggi, che si hanno nella vicinanza
della Capitale. L’aria quì è sana, temperata, e ridente; il Paese ci presenta da una parte una vasta
pianura tutta sì ben coltivata, che sembra un seguito di non interrotti giardini; dall’altra parte
cominciano le collinette coperte di uve eccellenti, che producono vini squisti; quì non si fanno i
nomi di nebbia, di stussioni, o di mal di capo; cose che per isperienza ho provato andar sempre
accompagnate: la vista è amena, e variata quanto immaginar potate; in conclusione il luogo solo
merita il nome che porta, cioè l’Eliso. In questa deliziosa contrada il Marchese N. vi ha fabbricata
la casa, dove ora mi vuole in compagnia d’altri gentili e colti suoi Amici. Immaginatevi un salone
di otto lati esattamente eguali, il quale finisce in una sorte di copula, e prende la luce da otto
finestre (superiori al tetto della casa), oltre quattro porte, che sono a pianterreno in mezzo ai
quattro lati opposti perfettamente in croce. Quattro belle stanze quadrate fiancheggiano il salone
ai quattro lati che rimangono; così ogni lato del salone ha nel mezzo una porta, e queste
alternativamente conducono una alla stanza, l’altra a un portico formato in tre archi, e sostenuto
da quattro colonne, due ad ogni sostegno, pei quali portici si scende da uno ad un viale, che
conduce al Borgo, dagli altri tre a tre differenti giardini. La scala è in una delle quattro stanze,
ed una loggia interna al salone dà la comunicazione a tutte le stanze superiori, delle quali quattro
sono sopra quelle descritte a pianterreno, e quattro sopra i portici, restando ad ogni stanza un
piccolo ritiro triangolare per tenere chi vuole un domestico vicino, o per altro uso.
La cucina, e gli altri restano sotterra, e gl’impiegati in essi alloggiano in due vicine case, le
quasi servono d’imboccatura del viale, che va al Bongo. Tutta la fabbrica è involta di muraglie
massiccie, con tutte le opere di legno egregiamente lavorate, cosicchè vi si ha il maggior asilo
possibile contro tutte le stagioni. I mobili di questa casa sono fatti corrispondentemente; qui non
vedrete oro nè argento, ma tutte le sedie, e le tavole comode, durevoli, e liscie, cosicchè
maneggiandole non trovate angoli, o asprezza, che conservi la polve, o v’imbratti, o laceri in verun
conto. Il pavimento del salone è di marmo bianco; quello di tutte le altre stanze è di legno di noce
connesso con qualche simmetrìa, e così ben custodito, e lucido, che quasi riflette l’immagine di chi
vi sta sopra. Le muraglie tutte al di dentro sono intonacate d’una sorte di stucco, che al
pulimento, ed alla dolcezza del tatto lo credereste un vero marmo, cosicchè in qualunque parte vi
appoggiate, non correte verun rischio di sconciare, o offendervi nè la persona, nè gli abiti. Quì
non vedreste quadri di sorte alcuna, nè pitture, trattene quelle della cupola del salone, e della
stanza detta fra noi Atene. I quadri offuscano le stanze, piacciono al primo colpo d’occhio, poi vi
si avvezza, e non se ne sente che l’oscurità, e la tetragine, quì tutto è di allegro colore, non
però bianco affatto, onde più dolce è la luce nè ferisce dolorosamente gli occhj. V’è una stanza per
le scienze, e questa si chiama Atene, ella è risposta dirimpetto alla scala: la volta di essa è di
color celeste, nè ha altro ornamento che delle stelle di diversa grandezza disposte nel
medesin’ordine, in cui sono sul nostro Emissero. Ivi sta sul pavimento un’esatta meridiana; sulla quale cade un raggio di Sole attraversando una piccola apertura fatta nella
muraglia. I quattro lati dell’Atene sono coperti di quattro quadri dipinti a oglio precisamente
coincidenti ai lati, come una tappezzerìa; ivi stanno simboleggiate le Scienze tutte; d’un canto
alcuni Amorini, che indirizzano un Telescopio; ivi vicino un altro, che collo specchio ustorio
accende fuoco; poco discosto un terzo ch osserva attentamente entro un Microscopio; chi ha in mano
de’Prismi, e chi delle camere ottiche: Da un altro canto v’è la macchina Elettrica, e diversi
Amorini che la pongono in moto, e ne estraggono le scintille: Quì la Pneumatica, là l’Idraulica; chi
disotterra iscrizioni; e così del rimanente tutta a chiaro scuro bianco, e celeste è dipinta intorno
la stanza. Una tavola immobile sta nel mezzo di essa, sotto la quale stanno riposti circa trecento
volumi e non più, tutti scelti e con eleganza rilegati uniformente. Un esattissimo pendolo
Astronomico, un Quadranre, verj Telescopj, e Cannochiali, Sfere, macchine in somma le più perfette
di tutta la Fisica riempiono la stanza, della quale ciascuno di noi ha una chiave, acciò s’unisca
colla libertà nostra di goderne la sicurezza dai disordini che le visite, che talora vengono in
nostra assenza, potrebbero cagionare. Il Giardino, che resta dalla parte opposta al Viale, è tutto
sul gusto Francese a parterre, circondato da due remore allees di portici verdi; questo è
propriamente fatto pel gusto del secolo: I due altri giardini laterali sono fatti pel gusto nostro;
quello che resta alla sinistra entrando, è destinato alla Botanica del palato: ivi trovate tutte le
erbe, e i frutti più saporiti dell’Asia, dell’Africa, e dell’America, e gli alparagi, i poponi, e le
lattuche più squisiti d’Olanda; le quali senza offendere l’illustre lignaggio degli
Ananassi, e dell’uve di Buona Speranza s’alimentano sullo stesso terreno: col mezzo delle serre
riscaldate attentamente ivi avete frutti più esotici, e pellegrini; ed al finire dell’Autunno
raccogliete le pesche, le cerase, e tali altri simili doni di Primavera, e d’Estate. Il Marchese ha
riscusato di ammettere fra questi vegetabili la vastissima serie delle piante forastiere, le quali
sterilmente occupano il terreno, nè ad altro uso servono che a compiere le pretese classi, nelle
quali gli uomini si ostinano a dividere le produzioni della natura. Tutto quì servir deve o
all’istruzione, o ai piaceri dell’odorato, e della mensa; il fasto, la vana magnificenza non sono
degne d’un uomo di gusto, che cerca il vero non l’ostentazione, e l’opinione del volgo. L’altro
Giardino posto alla dritta sembra a chi lo mira dal bel principio ancora da farsi: ivi non vedete
viali, non parterre, non simmetria alcuna, ma bensì la natura ferace, che ha prodotto una sorra di
boscaglia irregolare per dove non si fa bene come entrare; ma avvicinandovi, un sentiero vi guida in
quel delizioso boschetto, dove le erbe che premete son dittamo, timo, serpillo, e simili
fragrantissime, che imbalsamano co’lor naturali profumi l’aria che respirate: ivi per tubi
sotterranei vi sbocca l’acqua condotta nascostamente dalle vicine sorgenti della collina, e così
artificiosamente disposta, che sembra nascere, e serpeggiate in diversi piccioli ruscelli, che vanno
inaffiando le rose, le fragole, le violette, ed altri fiori, ed erbe grate per la figura, e la
fraganza. Gli uccelli ivi liberamente vivono, e sono sì domesticati cogli uomini (fatti animali
benefici in quel recinto) che quasi non temono d’essere da noi toccati. Questo
passeggio è delizioso in ogni stagione, ma sopramondo nelle state, quando le piante sono ben
coperte, e quì sono sì giudiziosamente disposte, che sembra opera libera della natura quello ch’è
l’ultimo raffinamento dell’arte. Queste piante poi sono tutte fruttifere, e nessuna sterile vi si
sopporta, onde passeggio medesimo trovate che la natura vi presenta di prima mano i suoi più
deliziosi doni. Nel mezzo di questo incantato boschetto v’è una circolare pianura, nella quale
stanno pittorescamente sparsi diversi rottami d’antica Architettura, colonne, archi, piedestalli,
iscrizioni, scale mezzo diroccate, statue cadute, e infrante, tante anticaglie in somma coperte
d’erbe su di esse nascenti; e sì graziosamente disposte, e interrotte da alcune piante nate
fra’dirupi, ch’io mi rimasi attonito ed assorto per la sorpresa, e per la vaghezza del disordine:
credea talora d’essere ad una scena di Teatro, e talora di premere gli augusti avanzi del
commerciante Cartagine, o della conquistatrice Roma: in somma cosa non ho veduto sin ora tanto
deliziosa, quanto questo disordinato giardino, il quale non costa meno al Padrone spesa, e incomodo
degli altri due. Siamo sei Ospiti, e il Marchese che fa sette, abitiamo
ciascuno in una stanza dissopra. Sino a mezzo dì ciascuno vive come vuole, e questo è il tempo, in
cui compiuti gli atti di Religione, con un libro me la passo nel delizioso boschetto; giunto il
mezzo di ognuno è vestito, e si impiegano le due ore prima del pranzo, o in ascoltare la lettura di
qualche manoscritto del Marchese, o in fare qualche osservazione, ovvero nella lettura di qualche
squarcio di buon Autore, e talvolta nella declamazione di qualche Tragedia, o Commedia
delle più scelte; così passano le due ore dolcissimamente, e con profitto. Ne viene poscia il
pranzo; ivi non v’accorgereste che il Marchese sia il Padrone di casa; non comanda, non disapprova,
non offre a veruno. La tavola è dilicata quanto essere è possibile; i cibi sono tutti sani, e di
facile digestione; non v’è una fastosa abbondanza, ma v’è quanto basta a soddisfare: le carni
viscide, o pesanti, l’aglio, le cipolle, le droghe forti, i cibi salati, i tartuffi, e simili veleni
della umana natura sono interamente proscritti da questa mensa, dove le carni de’volatili, e di
polli, le erbe, gli aranci, e i sughi loro principalmente hanno luogo. I sapori sono squisiti, ma
non forti; ogni cibo, che fortemente operi sul palato istupidisce poco, o molto il palato medesimo,
e lo priva d’un infinito numero di piaceri più dilicati; oltre di che qualunque cibo fortemente
stimoli il palato, fortemente ancora agisce sulle tonache del ventricolo, e degli intestini, e da
quì ne vengono infiniti mali, che compensano con molta usura il piacere della sensazione provata. I
vini raccolti dalle vicine colline hanno molto sapore, e poca forza, cosicchè mischiati con qualche
porzion d’acqua rassembrano al legger acido loro alle limonate, e sono una gustosa bevanda che ajuta
la pronta digestione. Nessun cibo d’odor forte è ammesso alla nostra mensa, ed è proscritta ogni
erba che infracidendosi dia cattivo odore, perciò i cacj, e i cavoli d’ogni sorta ne restano
esclusi. Tale è il nostro pranzo, che terminiamo con un’eccellente tazza di caffè, soddisfatti,
pasciuti, e non oppressi da grossolano nodrimento, dal quale assopito lo spirito spargerebbe la noja
nella società nostra, nella quale anzi dopo il pranzo sembra rianimarsi la comune ilarità. Allora è, che allestiti i cocchj, e sellati i cavalli viaggiamo unitamente ora ad una
Terra vicina, visitando le civili persone che vi alloggiano, ora in luoghi solitarj di bella veduta,
ovvero dove qualche curiosa sorgente d’acqua, o qualch’altra naturale produzione degna di osservarsi
c’invita. Queste geniali partite ci fanno sparire il tempo sino a sera, avvicinandosi la quale ce ne
ritorniamo al nostro Eliso. Ivi la Domenica si balla, e tutte le compagnie del vicinato vengono a
passarvi quella sera. La piccola orchestra sta sulla loggia; nella gran sala è il ballo, e nelle due
stanze libere a pianterreno, in una vi sono le tavole de’giuochi, nell’altra una cena campestre, a
cui chiunque vuole partecipa, togliendo, senza la formalità di sedere, da una mensa ben fornita di
deliziosi cibi freddi, e di squisite bottiglie quanto abbisogna. A mezza notte finisce regolarmente
il ballo. Le altre sere talvolta le passiamo colla musica, tre della nostra compagnia son buoni
suonatori, e formano un concerto a tre, eseguendo delle suonate a tre stromenti, delle quali appunto
come di più facile esecuzione il Marchese ha fatto una copiosa e scelta raccolta ne’suoi viaggi, e
la conserva legata in diversi volumi. Frattanto altri giuoca, o legge, o ascolta, o ragiona come
piace, Talvolta per tema che l’uniformità non ci annoj, varj altri passatempi vi s’introdocono, nè
v’è cosa che si reputi frivola presso di noi, quando serve all’importantissimo affare d’impiegar il
tempo con piacere; perciò mille giuochi si sono messi in campo; mille scherzi innocenti ora cadendo
sopra l’uno, ora sopra l’altro rallegrano la compagnia, senz’avvilire l’amor proprio di alcuno. Così
passa con una dolce allegria la sera; nè altra maggior cura ha il Marchese di quella
di prevenire sempre il tedio, e far sostituire una nuova occupazione a quella che proseguendo,
potrebbe illanguidire l’attenzione. Così viene l’ora della cena; dopo la quale ciascuno passa nella
propria stanza. La maldicenza, e la irreligione sono le sole lingue proibite severamente in questa
innocente nostra vita; tutto respira l’umanità, e la vera virtù. La premura di renderci
reciprocamente grato questo soggiorno è la passione che ci anima tutti a vicenda; in conclusione si
vive così beatamente, che i sultani dell’Asia, quand’anche fossero intimamente persuasi che cento
milioni di uomini sono nati per essi, non credo che provino in vita loro il piacere di vivere come
lo proviamo noi. Quello che sovranamente abbella tutto, è il Marchese, uomo che ha conosciuto tutte
le Corti, e Regni floridi d’Europa; uomo che ha avuta famigliarità cogli uomini più cospicui in ogni
genere, e che da’suoi viaggi, e da’suoi studj, ai quali per natura è stato sempre inclinato, ha
cavata una quantità di tante notizie, ed una sì fatta coltura, e grazia di farne uso, ch’io non
saprei nominarne un altro di più gentile, e interessante conversazione. Egli è uomo amabile, ma non
debole; deciso, ma non ributtante. In questa sua campagna altri Commensali non vi sono, che i suoi
amici; ed ha saputo sì bene farsi intendere su quest’articolo, che alcuno non osa introdurvisi, se
non è formalmente pregato da lui. Di tutti quelli che quivi cenano al Ballo liberamente, un solo non
ardirebbe presentarsi a partecipare della nostra vita ordinaria. Così questo vero Saggio sa vivere
nel Mondo; sa goderlo senza esserne schiavo. Mi sono trovato spesse volte in compagnie splendide in Villa, non mai in una sì ben concertata, e insieme così geniale, come si è questa,
dove per compimento di perfezione non provo il dispiacere di vedere il Padrone di casa incomodarsi,
e comperare l’attuale magnificenza colla carestia futura, sentimento che mi ha amareggiato nel
secreto del cuore ogni volta che mi sono trovato nel caso di averlo. Il Patrimonio del Marchese è di
dodici mila scudi all’anno; nei primi anni della gioventù gli ha spesi regolarmente in viaggiare:
Ritornato poscia nella Patria, quattro mila soli scudi si è riservati pel suo mantenimento, e otto
mila all’anno ne spese nella costruzione di quest’Eliso. Finito l’Eliso altra distribuzione ha
stabilita alla sua entrata; quattro mila scudi per la sua persona, mille scudi per le riparazioni
dell’Eliso, due mila scudi per sollevare i poveri, mille scudi per ajutare, e ricompensare gli
uomini di merito, che producono qualche buona cosa in qualunque genere, e i quattro mila scudi che
rimangono servono a passare due mesi ogn’anno della vita, che vi ho descritta, senza che mai alcuna
di queste partite ecceda a danno dell’altra. Se vi dovessi dire come, e con quali nobili maniere
impieghi i mille scudi a premiare ora un Letterato, ora un Pittore, ora un Artista, e quanto bene
faccia alla sua Patria con soli mille scudi annui, avrei soggetto per farvi una nuova lettera:
Vedreste s’è vero che un Cittadino illuminato ha più influenza nel mutare una Nazione, che non ne
abbiano i più gravi volgari Catoni. Ma tempo è di finirla: v’abbraccio e sono Dall’Eliso, 5. Ottobre
1764.
Metatextualité
Eccovi descritto il luogo della mia dimora: ora vi
dirò come in questo luogo si viva.
Niveau 3
Exemple
Quando la Regalia esige un tributo sulle mercanzie che entrano, o
escano, ella ordinariamente impone la pena della perdita della mercanzia sottoposta al tributo
contro chi cercasse di sottrarvela. Il rischio dunque della Regalia è proporzionale al tributo,
quello del Mercante al valore della mercanzia. Se il tributo uguaglia il valore, i rischj sono
uguali da una parte, e dall’altra. Se il tributo è più forte del valore, sarà maggiore il rischio
della Regalia di quello del Mercante. Se il tributo è men forte del valore, rischia
più il Mercante che non la Regalia. Aggiungasi, che se cresce il rischio del Mercante in proporzione
de’Custodi, sminuisce in proporzione de’volumi. Questi principj sono così chiari, che sarebbe
pedanteria l’esporli analiticamente; ma può farsi una ricerca, che condur potrebbe a scogliere in
qualche modo l’importante problema per la bilancia d’uno stato, cioè quanto debba valutarsi il
contrabbando d’una data merce che entra, o esce da uno Stato. Ripeto; che quanto soggiungerò non è
la soluzione del problema, la quale fin ad ora non mi si è affacciata alla mente, ma parmi che possa
incamminarvi. Si cerca per quanto valore di una data merce i Mercanti dovrebbero defraudare la
Regalia, cosicchè anche perdendo il resto si trovassero per il guadagno del contrabbando collo
stesso capitale di prima. Il determinare una tal quantità generalmente può servir di lume a
construire una Tariffa. Sia u il valor intrinseco della merce; t il tributo; x la porzione richiesta
di mercanzia; d la differenza tra il tributo, ed il valore; sarà il totale del valore a tutto il
tributo come la porzione richiesta al suo tributo corrispondente, cioe u. t. x. Tx/u porzione di
tributo corrispondente alla parte richiesta x. Avrassi per la condizione del problema l’equazione x
+ tx/u =u, e moltiplicando u x + tx = uu, e dividendo x = ——— . Ma il tributo può essere uguale al
valore, cioè t = u; maggiore del valore della quantità data d, cioè t = u + d; può essere minore
della stessa quantità d, cioè t = u - d sostituendo dunque nell’equazione generale x =
u/u u/t alla quantità t, il suo rispettivo valore in ogni caso si avrà. Quando t = u, allora x = u/u
u/u = u/2u u/2u u/2 Quando t = u + d, allora x = —: T—T = —T < —v ' u + u + diu + dz „ 1 . J 11
uu uu Ü- u Ouando t= u — d, allora x = —: -r = x > — 'v u + u-d2u-d2 Supponendo nell’equazione u
x + t x = u u indeterminata la t, e la x, e costante la u il luogo dell’equazione sarà ad una
iperbola fra gli Assintoti, di cui le abscisse t prese sull’Assintoto ad una distanza u dall’angolo
Assintotico, più la medesima distanza saranno alle ordinate x paralelle all’altro Assintoto in
ragione costante, cioè come il quadrato della potenza u. L’inspezione della figura in chi la voglia
costruire rischiarerà tutti i differenti casi dell’equazione. Da questo calcolo cavasi un Teorema
generale, che dati eguali volumi, egual custodia, e la massima industria ne’Mercanti, il niso per
bilanciarsi del tributo col contrabando sarà come il quadrato del valore della merce diviso per la
somma del valore, e del tributo.