Référence bibliographique: Pietro und Alessandro Verri (Éd.): "XV", dans: Il Caffè, Vol.1\15 (1766), pp. NaN-212, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4317 [consulté le: ].


Niveau 1►

XV

Le delizie della Villa.

Citation/Devise► Secura quies & nescia fallere vita. ◀Citation/Devise

Niveau 2► Metatextualité► Ho ricevuta la lettera seguente, la quale forse non sarà discara a’nostri Lettori. Io vorrei certamente passare i miei giorni come li passa il mio Amico; quella Villa che mi descrive, è il modello appunto ch’io mi proporrei; tanti cervelli, tante diverse faccie ha la felicità, vedremo se qualch’altro uomo vede quella felicità sotto un aspetto un po’conforme a quello, sotto il quale la vedo io. Ecco in somma la lettera. ◀Metatextualité

Niveau 3► Lettre/Lettre au directeur► Amico.

E’ ormai trascorso un intero mese dacchè me ne sto in questa fortunata campagna, albergato dal più cortese e giudizioso Ospite, ch’io m’abbia conosciuto al Mondo; e fa bisogno ch’io lo veda sull’Effemeridi per persuadermi che un mese appunto sia già passato. Caro Amico, se il tempo della nostra felicità ci pare così corto, e quello della noja così lungo, non potremo mai giudicar bene per sentimento della somma de’momenti felici paragonata a quella de’momenti infelici; ed ecco forse l’origine delle universali doglianze degli uomini sul loro destino.

Io sono adunque in una Villa lontana a X . . . . quattr’ore; cioè lo spazio di circa dieci miglia Italiane, appunto quanto basta ad allontanare dai [198] rumori della Città, o dalle visite importune, lasciandoci comodamente godere degli avvantaggi, che si hanno nella vicinanza della Capitale. L’aria quì è sana, temperata, e ridente; il Paese ci presenta da una parte una vasta pianura tutta sì ben coltivata, che sembra un seguito di non interrotti giardini; dall’altra parte cominciano le collinette coperte di uve eccellenti, che producono vini squisti; quì non si fanno i nomi di nebbia, di stussioni, o di mal di capo; cose che per isperienza ho provato andar sempre accompagnate: la vista è amena, e variata quanto immaginar potate; in conclusione il luogo solo merita il nome che porta, cioè l’Eliso.

In questa deliziosa contrada il Marchese N. vi ha fabbricata la casa, dove ora mi vuole in compagnia d’altri gentili e colti suoi Amici. Immaginatevi un salone di otto lati esattamente eguali, il quale finisce in una sorte di copula, e prende la luce da otto finestre (superiori al tetto della casa), oltre quattro porte, che sono a pianterreno in mezzo ai quattro lati opposti perfettamente in croce. Quattro belle stanze quadrate fiancheggiano il salone ai quattro lati che rimangono; così ogni lato del salone ha nel mezzo una porta, e queste alternativamente conducono una alla stanza, l’altra a un portico formato in tre archi, e sostenuto da quattro colonne, due ad ogni sostegno, pei quali portici si scende da uno ad un viale, che conduce al Borgo, dagli altri tre a tre differenti giardini. La scala è in una delle quattro stanze, ed una loggia interna al salone dà la comunicazione a tutte le stanze superiori, delle quali quattro sono sopra quelle descritte a pianterreno, e quattro sopra i portici, restando ad ogni stanza un piccolo ritiro triangolare per tenere chi vuole un domesti-[199]co vicino, o per altro uso. La cucina, e gli altri restano sotterra, e gl’impiegati in essi alloggiano in due vicine case, le quasi servono d’imboccatura del viale, che va al Bongo. Tutta la fabbrica è involta di muraglie massiccie, con tutte le opere di legno egregiamente lavorate, cosicchè vi si ha il maggior asilo possibile contro tutte le stagioni. I mobili di questa casa sono fatti corrispondentemente; qui non vedrete oro nè argento, ma tutte le sedie, e le tavole comode, durevoli, e liscie, cosicchè maneggiandole non trovate angoli, o asprezza, che conservi la polve, o v’imbratti, o laceri in verun conto. Il pavimento del salone è di marmo bianco; quello di tutte le altre stanze è di legno di noce connesso con qualche simmetrìa, e così ben custodito, e lucido, che quasi riflette l’immagine di chi vi sta sopra. Le muraglie tutte al di dentro sono intonacate d’una sorte di stucco, che al pulimento, ed alla dolcezza del tatto lo credereste un vero marmo, cosicchè in qualunque parte vi appoggiate, non correte verun rischio di sconciare, o offendervi nè la persona, nè gli abiti. Quì non vedreste quadri di sorte alcuna, nè pitture, trattene quelle della cupola del salone, e della stanza detta fra noi Atene. I quadri offuscano le stanze, piacciono al primo colpo d’occhio, poi vi si avvezza, e non se ne sente che l’oscurità, e la tetragine, quì tutto è di allegro colore, non però bianco affatto, onde più dolce è la luce nè ferisce dolorosamente gli occhj.

V’è una stanza per le scienze, e questa si chiama Atene, ella è risposta dirimpetto alla scala: la volta di essa è di color celeste, nè ha altro ornamento che delle stelle di diversa grandezza disposte nel medesin’ordine, in cui sono sul nostro Emissero. Ivi sta sul pavimento un’esatta meridiana; [200] sulla quale cade un raggio di Sole attraversando una piccola apertura fatta nella muraglia. I quattro lati dell’Atene sono coperti di quattro quadri dipinti a oglio precisamente coincidenti ai lati, come una tappezzerìa; ivi stanno simboleggiate le Scienze tutte; d’un canto alcuni Amorini, che indirizzano un Telescopio; ivi vicino un altro, che collo specchio ustorio accende fuoco; poco discosto un terzo ch osserva attentamente entro un Microscopio; chi ha in mano de’Prismi, e chi delle camere ottiche: Da un altro canto v’è la macchina Elettrica, e diversi Amorini che la pongono in moto, e ne estraggono le scintille: Quì la Pneumatica, là l’Idraulica; chi disotterra iscrizioni; e così del rimanente tutta a chiaro scuro bianco, e celeste è dipinta intorno la stanza. Una tavola immobile sta nel mezzo di essa, sotto la quale stanno riposti circa trecento volumi e non più, tutti scelti e con eleganza rilegati uniformente. Un esattissimo pendolo Astronomico, un Quadranre, verj Telescopj, e Cannochiali, Sfere, macchine in somma le più perfette di tutta la Fisica riempiono la stanza, della quale ciascuno di noi ha una chiave, acciò s’unisca colla libertà nostra di goderne la sicurezza dai disordini che le visite, che talora vengono in nostra assenza, potrebbero cagionare.

Il Giardino, che resta dalla parte opposta al Viale, è tutto sul gusto Francese a parterre, circondato da due remore allees di portici verdi; questo è propriamente fatto pel gusto del secolo: I due altri giardini laterali sono fatti pel gusto nostro; quello che resta alla sinistra entrando, è destinato alla Botanica del palato: ivi trovate tutte le erbe, e i frutti più saporiti dell’Asia, dell’Africa, e dell’America, e gli alparagi, i poponi, e le [201] lattuche più squisiti d’Olanda; le quali senza offendere l’illustre lignaggio degli Ananassi, e dell’uve di Buona Speranza s’alimentano sullo stesso terreno: col mezzo delle serre riscaldate attentamente ivi avete frutti più esotici, e pellegrini; ed al finire dell’Autunno raccogliete le pesche, le cerase, e tali altri simili doni di Primavera, e d’Estate. Il Marchese ha riscusato di ammettere fra questi vegetabili la vastissima serie delle piante forastiere, le quali sterilmente occupano il terreno, nè ad altro uso servono che a compiere le pretese classi, nelle quali gli uomini si ostinano a dividere le produzioni della natura. Tutto quì servir deve o all’istruzione, o ai piaceri dell’odorato, e della mensa; il fasto, la vana magnificenza non sono degne d’un uomo di gusto, che cerca il vero non l’ostentazione, e l’opinione del volgo.

L’altro Giardino posto alla dritta sembra a chi lo mira dal bel principio ancora da farsi: ivi non vedete viali, non parterre, non simmetria alcuna, ma bensì la natura ferace, che ha prodotto una sorra di boscaglia irregolare per dove non si fa bene come entrare; ma avvicinandovi, un sentiero vi guida in quel delizioso boschetto, dove le erbe che premete son dittamo, timo, serpillo, e simili fragrantissime, che imbalsamano co’lor naturali profumi l’aria che respirate: ivi per tubi sotterranei vi sbocca l’acqua condotta nascostamente dalle vicine sorgenti della collina, e così artificiosamente disposta, che sembra nascere, e serpeggiate in diversi piccioli ruscelli, che vanno inaffiando le rose, le fragole, le violette, ed altri fiori, ed erbe grate per la figura, e la fraganza. Gli uccelli ivi liberamente vivono, e sono sì domesticati cogli uomini (fatti animali benefici in quel recinto) che quasi non temono d’essere da noi toccati. Questo [202] passeggio è delizioso in ogni stagione, ma sopramondo nelle state, quando le piante sono ben coperte, e quì sono sì giudiziosamente disposte, che sembra opera libera della natura quello ch’è l’ultimo raffinamento dell’arte. Queste piante poi sono tutte fruttifere, e nessuna sterile vi si sopporta, onde passeggio medesimo trovate che la natura vi presenta di prima mano i suoi più deliziosi doni. Nel mezzo di questo incantato boschetto v’è una circolare pianura, nella quale stanno pittorescamente sparsi diversi rottami d’antica Architettura, colonne, archi, piedestalli, iscrizioni, scale mezzo diroccate, statue cadute, e infrante, tante anticaglie in somma coperte d’erbe su di esse nascenti; e sì graziosamente disposte, e interrotte da alcune piante nate fra’dirupi, ch’io mi rimasi attonito ed assorto per la sorpresa, e per la vaghezza del disordine: credea talora d’essere ad una scena di Teatro, e talora di premere gli augusti avanzi del commerciante Cartagine, o della conquistatrice Roma: in somma cosa non ho veduto sin ora tanto deliziosa, quanto questo disordinato giardino, il quale non costa meno al Padrone spesa, e incomodo degli altri due.

Metatextualité► Eccovi descritto il luogo della mia dimora: ora vi dirò come in questo luogo si viva. ◀Metatextualité Siamo sei Ospiti, e il Marchese che fa sette, abitiamo ciascuno in una stanza dissopra. Sino a mezzo dì ciascuno vive come vuole, e questo è il tempo, in cui compiuti gli atti di Religione, con un libro me la passo nel delizioso boschetto; giunto il mezzo di ognuno è vestito, e si impiegano le due ore prima del pranzo, o in ascoltare la lettura di qualche manoscritto del Marchese, o in fare qualche osservazione, ovvero nella lettura di qualche squarcio di buon Autore, e talvolta nella declamazione [203] di qualche Tragedia, o Commedia delle più scelte; così passano le due ore dolcissimamente, e con profitto. Ne viene poscia il pranzo; ivi non v’accorgereste che il Marchese sia il Padrone di casa; non comanda, non disapprova, non offre a veruno. La tavola è dilicata quanto essere è possibile; i cibi sono tutti sani, e di facile digestione; non v’è una fastosa abbondanza, ma v’è quanto basta a soddisfare: le carni viscide, o pesanti, l’aglio, le cipolle, le droghe forti, i cibi salati, i tartuffi, e simili veleni della umana natura sono interamente proscritti da questa mensa, dove le carni de’volatili, e di polli, le erbe, gli aranci, e i sughi loro principalmente hanno luogo. I sapori sono squisiti, ma non forti; ogni cibo, che fortemente operi sul palato istupidisce poco, o molto il palato medesimo, e lo priva d’un infinito numero di piaceri più dilicati; oltre di che qualunque cibo fortemente stimoli il palato, fortemente ancora agisce sulle tonache del ventricolo, e degli intestini, e da quì ne vengono infiniti mali, che compensano con molta usura il piacere della sensazione provata. I vini raccolti dalle vicine colline hanno molto sapore, e poca forza, cosicchè mischiati con qualche porzion d’acqua rassembrano al legger acido loro alle limonate, e sono una gustosa bevanda che ajuta la pronta digestione. Nessun cibo d’odor forte è ammesso alla nostra mensa, ed è proscritta ogni erba che infracidendosi dia cattivo odore, perciò i cacj, e i cavoli d’ogni sorta ne restano esclusi. Tale è il nostro pranzo, che terminiamo con un’eccellente tazza di caffè, soddisfatti, pasciuti, e non oppressi da grossolano nodrimento, dal quale assopito lo spirito spargerebbe la noja nella società nostra, nella quale anzi dopo il pranzo sembra rianimarsi la comune ilarità. [204]

Allora è, che allestiti i cocchj, e sellati i cavalli viaggiamo unitamente ora ad una Terra vicina, visitando le civili persone che vi alloggiano, ora in luoghi solitarj di bella veduta, ovvero dove qualche curiosa sorgente d’acqua, o qualch’altra naturale produzione degna di osservarsi c’invita. Queste geniali partite ci fanno sparire il tempo sino a sera, avvicinandosi la quale ce ne ritorniamo al nostro Eliso. Ivi la Domenica si balla, e tutte le compagnie del vicinato vengono a passarvi quella sera. La piccola orchestra sta sulla loggia; nella gran sala è il ballo, e nelle due stanze libere a pianterreno, in una vi sono le tavole de’giuochi, nell’altra una cena campestre, a cui chiunque vuole partecipa, togliendo, senza la formalità di sedere, da una mensa ben fornita di deliziosi cibi freddi, e di squisite bottiglie quanto abbisogna. A mezza notte finisce regolarmente il ballo.

Le altre sere talvolta le passiamo colla musica, tre della nostra compagnia son buoni suonatori, e formano un concerto a tre, eseguendo delle suonate a tre stromenti, delle quali appunto come di più facile esecuzione il Marchese ha fatto una copiosa e scelta raccolta ne’suoi viaggi, e la conserva legata in diversi volumi. Frattanto altri giuoca, o legge, o ascolta, o ragiona come piace, Talvolta per tema che l’uniformità non ci annoj, varj altri passatempi vi s’introdocono, nè v’è cosa che si reputi frivola presso di noi, quando serve all’importantissimo affare d’impiegar il tempo con piacere; perciò mille giuochi si sono messi in campo; mille scherzi innocenti ora cadendo sopra l’uno, ora sopra l’altro rallegrano la compagnia, senz’avvilire l’amor proprio di alcuno. Così passa con una dolce allegria la sera; nè altra maggior [205] cura ha il Marchese di quella di prevenire sempre il tedio, e far sostituire una nuova occupazione a quella che proseguendo, potrebbe illanguidire l’attenzione. Così viene l’ora della cena; dopo la quale ciascuno passa nella propria stanza.

La maldicenza, e la irreligione sono le sole lingue proibite severamente in questa innocente nostra vita; tutto respira l’umanità, e la vera virtù. La premura di renderci reciprocamente grato questo soggiorno è la passione che ci anima tutti a vicenda; in conclusione si vive così beatamente, che i sultani dell’Asia, quand’anche fossero intimamente persuasi che cento milioni di uomini sono nati per essi, non credo che provino in vita loro il piacere di vivere come lo proviamo noi. Quello che sovranamente abbella tutto, è il Marchese, uomo che ha conosciuto tutte le Corti, e Regni floridi d’Europa; uomo che ha avuta famigliarità cogli uomini più cospicui in ogni genere, e che da’suoi viaggi, e da’suoi studj, ai quali per natura è stato sempre inclinato, ha cavata una quantità di tante notizie, ed una sì fatta coltura, e grazia di farne uso, ch’io non saprei nominarne un altro di più gentile, e interessante conversazione. Egli è uomo amabile, ma non debole; deciso, ma non ributtante. In questa sua campagna altri Commensali non vi sono, che i suoi amici; ed ha saputo sì bene farsi intendere su quest’articolo, che alcuno non osa introdurvisi, se non è formalmente pregato da lui. Di tutti quelli che quivi cenano al Ballo liberamente, un solo non ardirebbe presentarsi a partecipare della nostra vita ordinaria. Così questo vero Saggio sa vivere nel Mondo; sa goderlo senza esserne schiavo.

Mi sono trovato spesse volte in compagnie splen-[206]dide in Villa, non mai in una sì ben concertata, e insieme così geniale, come si è questa, dove per compimento di perfezione non provo il dispiacere di vedere il Padrone di casa incomodarsi, e comperare l’attuale magnificenza colla carestia futura, sentimento che mi ha amareggiato nel secreto del cuore ogni volta che mi sono trovato nel caso di averlo.

Il Patrimonio del Marchese è di dodici mila scudi all’anno; nei primi anni della gioventù gli ha spesi regolarmente in viaggiare: Ritornato poscia nella Patria, quattro mila soli scudi si è riservati pel suo mantenimento, e otto mila all’anno ne spese nella costruzione di quest’Eliso. Finito l’Eliso altra distribuzione ha stabilita alla sua entrata; quattro mila scudi per la sua persona, mille scudi per le riparazioni dell’Eliso, due mila scudi per sollevare i poveri, mille scudi per ajutare, e ricompensare gli uomini di merito, che producono qualche buona cosa in qualunque genere, e i quattro mila scudi che rimangono servono a passare due mesi ogn’anno della vita, che vi ho descritta, senza che mai alcuna di queste partite ecceda a danno dell’altra. Se vi dovessi dire come, e con quali nobili maniere impieghi i mille scudi a premiare ora un Letterato, ora un Pittore, ora un Artista, e quanto bene faccia alla sua Patria con soli mille scudi annui, avrei soggetto per farvi una nuova lettera: Vedreste s’è vero che un Cittadino illuminato ha più influenza nel mutare una Nazione, che non ne abbiano i più gravi volgari Catoni. Ma tempo è di finirla: v’abbraccio e sono

Dall’Eliso, 5. Ottobre 1764. ◀Lettre/Lettre au directeur ◀Niveau 3 [Pietro Verri] [207]

Tentativo Analitico su i Contrabbandi.

L’Algebra, non essendo che un metodo preciso e speditissimo di ragionare sulle quantità, non è alla sola Geometria, od alle altre scienze Matematiche che si possa applicare, ma si può ad essa sottoporre tutto ciò che in qualche modo può crescere, o diminuire, tutto ciò che ha relazioni paragonabili fra di loro. Quindi anche le scienze politiche possono ad un certo segno ammetterla. Esse trattano di debiti, e crediti d’una Nazione, di tributi, ec. cose tutte che ammettono calcolo, e nozione di quantità. Dissi fino ad un certo segno, perchè i principj politici dipendendo in gran parte dal risultato di molte particolari volontà, e da variissime passioni, le quali non possono con precisione determinarsi, ridicola sarebbe una Politica tutta tessuta di ciffre, e di calcoli, e più agli abitanti dell’Isola di Laputa adattabile, che nostri Europei. Pure siccome lo spazio, che occuperò in questo foglio, non è molto importante nell’Universo, ed il tentativo può piacere ai Lettori di un certo carattere, darò una leggera idea come si possano analiticamente considerare le scienze Economiche.

Niveau 3► Exemplum► Quando la Regalia esige un tributo sulle mercanzie che entrano, o escano, ella ordinariamente impone la pena della perdita della mercanzia sottoposta al tributo contro chi cercasse di sottrarvela. Il rischio dunque della Regalia è proporzionale al tributo, quello del Mercante al valore della mercanzia. Se il tributo uguaglia il valore, i rischj sono uguali da una parte, e dall’altra. Se il tributo è più forte del valore, sarà maggiore il rischio della Regalia di quello del Mercante. Se il [208] tributo è men forte del valore, rischia più il Mercante che non la Regalia. Aggiungasi, che se cresce il rischio del Mercante in proporzione de’Custodi, sminuisce in proporzione de’volumi. Questi principj sono così chiari, che sarebbe pedanteria l’esporli analiticamente; ma può farsi una ricerca, che condur potrebbe a scogliere in qualche modo l’importante problema per la bilancia d’uno stato, cioè quanto debba valutarsi il contrabbando d’una data merce che entra, o esce da uno Stato. Ripeto; che quanto soggiungerò non è la soluzione del problema, la quale fin ad ora non mi si è affacciata alla mente, ma parmi che possa incamminarvi.

Si cerca per quanto valore di una data merce i Mercanti dovrebbero defraudare la Regalia, cosicchè anche perdendo il resto si trovassero per il guadagno del contrabbando collo stesso capitale di prima. Il determinare una tal quantità generalmente può servir di lume a construire una Tariffa.

Sia il valor intrinseco della merce; il tributo; la porzione richiesta di mercanzia; la differenza tra il tributo, ed il valore; sarà il totale del valore a tutto il tributo come la porzione richiesta al suo tributo corrispondente, cioe u. t. x. Tx/u porzione di tributo corrispondente alla parte richiesta . Avrassi per la condizione del problema l’equazione x + tx/u =u, e moltiplicando u x + tx = uu, e dividendo x = ——— . Ma il tributo può essere uguale al valore, cioè t = u; maggiore del valore della quantità data d, cioè t = u + d; può essere minore della stes-[209]sa quantità d, cioè t = u - d sostituendo dunque nell’equazione generale x = u/u u/t alla quantità t, il suo rispettivo valore in ogni caso si avrà.

Quando t = u, allora x = u/u u/u = u/2u u/2u u/2

Quando t = u + d, allora x = —: T—T = —T < —v u + u + diu + dz „ 1 . J 11 uu uu Ü- u

Ouando t= u — d, allora x = —: -r = x > — 'v u + u-d2u-d2

Supponendo nell’equazione u x + t x = u u indeterminata la t, e la x, e costante la il luogo dell’equazione sarà ad una iperbola fra gli Assintoti, di cui le abscisse prese sull’Assintoto ad una distanza dall’angolo Assintotico, più la medesima distanza saranno alle ordinate paralelle all’altro Assintoto in ragione costante, cioè come il quadrato della potenza . L’inspezione della figura in chi la voglia costruire rischiarerà tutti i differenti casi dell’equazione.

Da questo calcolo cavasi un Teorema generale, che dati eguali volumi, egual custodia, e la massima industria ne’Mercanti, il niso per bilanciarsi del tributo col contrabando sarà come il quadrato del valore della merce diviso per la somma del valore, e del tributo. ◀Exemplum ◀Niveau 3

Il vantaggio di questa ricerca per un costruttore di tariffe sarà quello di sapere quanto debba te-[210]mere dai Mercanti di contrabando anche dopo un certo numero di rappresaglie.

C. [Cesare Beccaria]

La coltivazione del Lino.

Nella nostra Italia la coltivazione del Lino è conosciuta, e nella Lombardia principalmente; perciò non credo cosa affatto inutile l’inserire in questo foglio un pensiero spettante appunto la perfezione di questa parte della nostra Agricoltura.

Il seme che si adopera nell’Agricoltura, contribuisce in gran parte a rendere il prodotto di buona o cattiva qualità. Questa proposizione è provata dalla sperienza di ogni più stupido Contadino. Da ciò ne scaturisce naturalmente per conseguenza, che anche il Lino nato da un ottimo seme sarà più perfetto di quello che non lo sia il Lino nato da un seme men buono.

I migliori Lini della Francia, cioè quelli di Picardia, di Bretagna e della Normandia sono prodotti dal seme di Lino, che ogni cinque anni almeno si fa venire dal Mare Baltico, e singolarmente da Riga. I filamenti di quell’erba sono più lunghi, più sottili, e più fibrosi d’ogn’altra sorta di Lino; ma va ogni anno degenerando il seme, cosicchè al quinto anno ha perduta tutta la naturale perfezione.

So, che per un comune pregiudizio si crede, che le belle tele di Harlem, quelle di Frisa, cioè delle migliori d’Olanda, e molte delle tele di Slesia, le quali si facciano spacciare per d’Olanda, sieno fatte non già di lino, ma bensì di canape. Chiunque abbia posto il piede nella Slesia, chiunque sia un pò instrutto delle manifatture e produzioni [211] dell’Olanda mi sarà testimonio, che tutte le tele fine bianche, che in quei Paesi si tessono, sono non già di canape, ma di lino; nè i fili del canape cred’io che possano mai filarsi sì sottilmente, nè ridursi a tale candidezza da formarne una tela veramente fina.

Io vedo che alcuni terreni della Lombardia producono Lini buoni naturalmente; e perchè non potrò io sospettare, che se quei terreni stessi fossero seminati co’semi del Baltico, produrrebbero lini di molto migliori? E chi mi proverà mai che fors’anco non si giungesse a tessere con lini nostri tele paragonabili a quelle della Germania, e dell’Olanda?

Non sarebbe molto il dispendio di farne una prova; dalla parte di Venezia; o di Genova facil cosa è il farci spedire dall’Olanda, ovvero da Riga una mediocre quantità di seme di lino, e chiarircene seminando poche pertiche di terreno del migliore con esso. In fine d’un anno un buon Regolatore de’proprj beni potrebbe agevolmente calcolare se vi si trovi vantaggio. Il prodotto d’una pertica sola, quando riesca buono per farne merletti, darà una somma capace da premiare largamente l’industria del tentativo; e quando a tal perfezione anche non giungesse, si avrà sempre un Lino per lo meno eguale a quello che raccogliamo comunemente, e la perdita della prova non sarà di gran danno. Bisogna nell’Agricoltura tentare sempre, e non negligentare giammai veruna vista, a meno che non vi si affacci un’aperta assurdità; bisogna tentare a costo di vedere andar falliti venti progetti, e riuscirne un solo; bisogna tentare, ma rischiar poco, e consacrare alle prove una piccola porzione de’nostri fondi, in guisa che riuscendo male non ce ne venga nocumento. Spero che [212] fra i Lettori del nostro foglio ve ne saranno alcuni, che approveranno questa massima, e forse in mezzo alla varietà delle cose, che si leggono nel nostro Caffè, chi sa, che taluna non giovi essenzialmente alla Società? Tale è almeno il fine che ci siamo proposto.

P. [Pietro Verri] ◀Niveau 2 ◀Niveau 1