Cita bibliográfica: Pietro und Alessandro Verri (Ed.): "VII", en: Il Caffè, Vol.1\07 (1766), pp. NaN-95, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4309 [consultado el: ].


Nivel 1►

VII

Nivel 2► Nivel 3► Carta/Carta al director► Nivel 4► Satire► svisceratissimo Amico, dovete sbracciarvi accostando, e allontanando ambe le mani alternativamente dalla bocca; facendo più volte un Orate fratres, e seeundum qualitatem personarum, talora a ciò s’aggiunga un riso, un ah ah, e persino un ruggito da Leone; ed eccovi fatto un amico intrinseco.

Aggiungerò poscia la esatta calcolazione di quel-[82]le riverenze, le quali si fanno più dilicatamente, accostando bel bello l’estremità delle dita della mano destra al labbro con un insensibile curvamento, indi scostandola adagio adagio con uno schiavo per lo più nasale, e con un vezzoso increspamento di pelle da Mandarino Chinese, che sorride.

Vi sarà una annotazione su i Profondissimi; e sono, questi Profondissimi coloro, i quali da animali a due piedi diventano ad un tratto quadrupedi, e presentando al Protettore tutto il disco della loro umilissima schiena pare che voglian dire, Vossustrissima mi faccia l’onore di bastonarmi. A questi implacabili facitori di riverenze io mostrerò, come le carotidi secondate dalla gravità della Terra debbano fare una inondazione di sangue nel capo, ed entrerò a degustare un po’ di fisica, dilucidando l’azione che questo rigurgito deve fare sulle meningi, e quindi sull’ordine delle idee per quel nesso occulto, per cui la disposizione organica vi influisce. Finirò poscia consigliando ai Profondissimi di stringersi ben bene la parrucca in capo, acciocch’ella non cada in segno d’omaggio ai piedi del riverenziato.

Poichè tutto ciò sia fatto, entrerò a dare una corsa alla Istoria, e farò vedere, come alcune Epoche memorabili abbiano fatto cambiare le riverenze in diversi luoghi. Così la battaglia famosa di Salamina fece mutare tutte le lezioni di ballo ai Greci; così la battaglia d’Azio fu cagione, che mutassero riverenze i Romani; e discendendo poi verrò allo stabilimento di Costantinopoli, agl’imperatori Ottoni, a Federico Primo, e nelle altre Nazioni ad altri Principi e Uomini illustri, fra’ quali avran luogo distinto Cromwell, il Cardinale Richelieu, Filippo secondo, Carlo Duodecimo ed il Czar Pietro.

[83] Delle donne converrà ch’io dica qualche cosa. Elleno non secondano i cambiamenti, che accadono negli uomini, e ciò cred’io, perchè sono esse come uno Status in Statu, che non ha immediata parte nel governo. Da ciò farò vedere, come la maggior parte delle Donne Europee nè abbassino il capo, nè incurvinsi negl’inchini, ma si contentino di rannichiarsi, ed allungarsi, conservando rigidamente la perpendicolare.

Entrerò poi in una complicatissima questione, cioè se di due, uno de’ quali faccia una profondissima riverenza, e l’altro la riceva, possa dirsi, che ciascuno di essi abbia sincerità, cognizione, e stima dell’altro; e la risolverò stabilendo, che almeno una di queste tre cose manca in uno dei due.

Per dire poi qualche cosa dei caratteri degli uomini farò vedere, che l’uomo saggio risguarda tutte le cerimonie come mezzi efficacissimi per tenersi lontani gl’importuni o i malvagi. Egli fa una moderata riverenza lontana dal fasto egualmente, e dalla bassezza; e poichè gli uomini hanno fatta una tacita convenzione, per cui l’incurvarsi il dorso è un segno d’ossequio, egli urbanamente lo mostra a chi conviene con questo segno.

Gli uomini timidi fanno per lo più o profondissime riverenze, o non ne fanno di sorte alcuna. Le fanno profondissime a coloro da’ quali sperano; e non ne fanno nessuna a coloro che odiano, essendo propria della debolezza la rusticità.

Gli uomini pessimi sono bene spesso de’ più officiosi, poichè temendo essi in ogni uomo o un testimonio, o un rimproveratore delle loro iniquità, implorano colle riverenze, e colla adulazione quella connivenza, di cui tanto hanno bisogno. Sono essi ben sovente gli uomini i più compiacenti di tutti.

[84] Gli sciocchi poi (che sono pur pochi!) sono stravaganti nelle riverenze loro, come lo sono ne’ loro ragionamenti. Altri pare, che vacillando vi cadino a’ piedi; altri serpeggiano e gambettano in mille sconci modi, ed or con l’uno, or con l’altro piede alternano, come se scagliassero calci; ed altri in varie guise, le quali saranno distinte in sei Dissertazioni divise in trenta Capitoli, e ciascun Capitolo in tre Sezioni, e ciascuna Sezione in quaranta paragrafi, col che sarà fatto un mirabil ordine di parole sempre pregievole, quand’anche non vi fosse nessun ordine nelle idee.

Metatextualidad► Per interrompere poi la noja al Lettore d’una continuata lettura interporrò un benissimo intaglio in Rame, rappresentante la celebre riverenza, che Marco Tullio Cicerone fece a Cesare, quando venne trionfatore da Farsaglia, delineata da un antico basso rilievo. ◀Metatextualidad

Nivel 5► Exemplum► Farò menzione della celebre riverenza dei Signor Cristoforo, quando inchinandosi al Sig. Tommaso gli urtò colla testa sì potentemente nello stomaco, che il Sig. Tommaso perdette la respirazione, e il Sig. Cristoforo la parrucca; onde uno stordito dalla percossa, e l’altro a testa ignuda rimasero stupidi guardandosi in viso per ben due minuti, finchè uno ricuperato il fiato, e l’altro la parrucca, il Sig. Cristoforo disse chiamo mille scuse, e il Sig. Tommaso rispose non v’e niente di male; con che s’accomodò anche questa, come tutte le differenze cerimoniose, per ispasmodiche ch’elleno possan essere, hanno fine con quelle magiche parole. ◀Exemplum ◀Nivel 5

Finalmente farò vedere, quanto siano incomodi i saluti di taluni, che inchinandosi profondamente vi afferranno come in una tenaglia a tutta forza la mano, e replicatamente tutto il braccio vanno scuotendo; quindi in segno d’estrema benevo-[85]lenza digrignano per fine i denti quasi per tener raccolto il fiato a sì gran fatica, e terminano sciogliendo uno schiavo, sprigionando un addio, lasciandovi un carissimo, uno stimabilissimo di tutto cuore, con un tuono falsetto penetrante che consola. Questi vi farò vedere come siano i veri amici. Non avete che ad aspettarne l’occasione per essere convinti, che sono di vero cuore.

Quanto poi agl’inchini de’ Preziosi io non ardirò di esprimerli altrimenti, se non trascrivendone la corta e vivace descrizione, che ne fa un nuovo Giovenale in questi termini

Nivel 5► Cita/Lema► . . . egli all’entrar si fermi

Ritto sul liminare, indi elevando

Ambe le spalle, qual testudo il collo

Contragga alquanto, e ad un medesmo tempo

Inchini il mento, e col estrema falda

Del piumato cappello il labro tocchi. ◀Cita/Lema ◀Nivel 5 ◀Satire ◀Nivel 4

Tale è finalmente, Demetrio amico, il piano della mia Opera, il quale comunicherete ai vostri Scrittori, pregandoli da mia parte acciocchè vogliano presentarlo ne’ loro fogli al Pubblico, e procurarmi degli associati per l’edizione che medito di farne.

A. [ALESSANDRO VERRJ] ◀Carta/Carta al director ◀Nivel 3

Metatextualidad► Le lettere ci piovono da ogni parte, e quello, che ci consola si è, che speriamo che siano per piacere al pubblico. Almeno ella è cosa sicura che piacciono a noi. Dalle Riverenze passiamo ad un soggetto interessante la Fisica, e sono le Osservazioni sul Clima Milanese. Ecco la lettera che ci è stata diretta. ◀Metatextualidad

P. [PIETRO VERRI]

Nivel 3► Carta/Carta al director► Amico.

Nivel 4► Autorretrato► Se non mi conosci, ecco in pochi tratti, quale in parte io mi sia. Altro Polo, altre costellazioni [86] invisibili su quest’Orizonte videro i miei occhi allorchè nacqui. Altre terre non ancora calpestate da piede Europeo diedero forma al mio corpo; ed altro Clima, cui il Quadrante non ancora, ma il calcolo solo dell’immortale Inglese1 fissò i confini, modellò il mio spirito e le mie passioni. Una catena di eventi mi ha fissato da qualche anno in queste Lombarde pianure. Le Lingue Europee hanno impiegato per alcun tempo i miei studj. La Francese, e l’Italiana sono le due, che ho voluto rendermi più famigliari. L’una per la sua universalità mi parve indispensabile; l’altra per la dolcezza, e la forza dell’espressione mi piacque. Lo stile conciso, spogliato da parole superflue, è l’unico al mio gusto. Tale è il genio del mio idioma natio. Il tempo, che ho perduto nell’Astrologia, mi ha fatto conoscere, che l’osservazione, ed il seguitare ne’ suoi fenomeni la Natura, benchè a passi lenti, è il solo mezzo onde fissare qualche regola, o legge nella scienza delle Meteori; ◀Autorretrato ◀Nivel 4 scienza, che può essere anch’essa delle più utili, e nella quale relativamente al volerne predire gli evenimenti non vi hanno ancora che chimere, ed inconseguenze.

L’esempio della Francese Accademia delle Scienze, che quasi da cent’anni non ha interrotto le giornali osservazioni de’ fenomeni dell’Atmosfera, mi ha determinato ad osservare io pure, e scrivere di giorno in giorno quelli di questo Insubre Cielo, e gli effetti che seco traevano. Queste osservazioni, e le illazioni, che si possono derivare, non sono indifferenti allo scoprire maggiormente la natura di questo tuo Patrio Suolo. A Demetrio ho domandato il tuo nome. Se possono essere di qualche uso a te, cui sprona il vero utile e l’amore non fanatico di tua Patria, e di tut-[87]ti gli uomini, le mando, altrimenti gettale al fuoco.

I Giornali delle osservazioni Meteorologiche da me fatte in questa Città e in questi contorni cominciano dall’anno 1756. Quest’Epoca in tal genere di cose è rimarchevole, cominciando essa da una fisica universale rivoluzione di tutto quasi questo terrestre Emisfero. Ad ognuno è noto, che nella fine dell’antecedente anno 1755 fu l’Europa, e buona parte dell’Africa, e dell’Asia ancora da’ Diluvj di piogge, da debordamenti di fiumi, e da torrenti inondata, da turbini di vento agitata, e finalmente da terremoti scossa, de’ quali il centro Lisbona porterà per lungo tempo la funesta memoria. Se è vero, che nelle cose fisiche dopo una grande e forte rivoluzione succeda un nuovo sistema, o in parte cambiato; fortunata per me sarebbe quest’Epoca, perchè qualunque sieno le conseguenze, che dalle mie osservazioni possono derivarsi, partirebbero da un punto cronologico non già, ma fisico, ed originario.

Il Barometro, ed il Termometro sono anch’essi divenuti alla moda. Sono due mobili necessarj per un Gabinetto; anzi dirò più, sono diventati capo di Mercanzia, e per questa ragione sotto una vernice lucida, ed una risplendente indoratura soggetti ad essere più facilmente falsificati, ed erronei essere ne’ loro moti. Passeggiano per le strade di questa Città, la maggior parte condannati ad essere quasi nel medesimo istante comperati, e fatti in pezzi dalla stessa inesperta mano, o ad essere alla polvere, e a un chiodo in un angolo dimenticati. Molti ne sanno promiscuamente, e indifferentemente il nome, pochi ne conoscono l’uso, e pochissimi li sanno osservare. Io ho avuto la pazienza, già quasi da nove anni a quest’oggi, di [88] consultare in ore fissate ogni giorno i movimenti, e le variazioni di questi due stromenti. Eccone pero i risultati.

Le osservazioni Barometriche fatte nell’Osservatorio di Parigi, già quasi da cent’anni, sono tutte di un Barometro costruito io sino nelli principj dell’Accademia delle Scienze dal Sig. de la Hire, e il di cui diametro è poco più di una linea del piede Parigino. Generalmente tutte le osservazioni Barometriche finora pubblicate, e nelle quali si ha la descrizione degli Stromenti, su’ quali sono State instituite, tutte furono fatte su de’ Barometri a presso poco di questo diametro; ed universalmente il diametro di quelli ben construiti, e purgati, che si vendono, è di una linea, o poco più o poco meno. Parimenti le seguenti mie osservazioni ho tutte riferite ad un Barometro ben purgato d’aria, che agitandolo rende luce molto vivida, e il di cui diametro è circa una linea Parigina.

Le maggiori altezze del Barometro, che io ho veduto dal Gennaro 1756 a quest’oggi sono: Una volta 28. pollici, 4. linee ½, rare volte 28. pollici, 4. linee, più frequentemente 28. pollici 3. linee. Le minori altezze in tutto questo tempo da me osservate furono: Una volta 26. pollici 10 linee ½, rare volte 26. pollici 11. linee, più frequentemente 27. pollici. Facciasi però il medio aritmetico tra tutte queste maggiori e minori altezze, si avrà costantemente 27. pollici 7. linee ½, che chiamerò media altezza. Ho veduto costantemente qui in Milano, che il punto dove più comunemente sta fisso il Barometro, ovvero l’altezza corrispondente al tempo variabile è 27. pollici 9. linee cir-[89]ca, poco più poco meno; e questo è quello che chiamerò punto di variabile, che non è lo stesso di quello della media altezza, col quale da tutti gli osservatori, non so il perchè, è stato fin ora confuso.

Ho osservato generalmente, che se il Barometro è costante sopra il punto di variabile, nel tratto di tempo dal mezzo di alla mezza notte trovasi per lo più meno alto, che tra la mezza notte, e il mezzo giorno; e parimenti se la variazione va per gradi, ho veduto, che per lo più il maggior abbassamento succede dopo mezzo giorno, o prima della mezza notte, od avanti il mezzo di.

Generalmente, quando la variazione del Barometro va lentamente per gradi senza salti, certo è il cambiamento dopo di tempo, bello all’innalzarsi, cattivo all’abbassarsi; e il cambiamento che succede ad una lenta, e gradata variazione e di lunga durata, e la variazione precede anche di due o tre giorni. Ma se la variazione e subitanea, e grande, costantemente accade dopo cambiamento di tempo. Ad un subitaneo, e grande abbassamento succede per lo più un gran vento di Tramontana, o Levante; ad un presto totale cambiamento di tempo lungamente piovoso, e rotto in sereno bello precede ordinariamente un pronto, e grande innalzamento del Barometro, e questo innalzamento, e sereno non sono in tal caso per lo più di lunga durata; e generalmente la pronta variazione del Barometro non precede al presto cambiamento del Cielo, che al più lungo tempo di sei o sette ore. Finalmente varia il Barometro alle volte nell’atto istesso, che muta il tempo, e tali cambiamenti allora non sono di molta durata.

Allorchè sta costante non per ore circa il punto [90] di variabile, il Cielo non è nè sereno, nè piovoso, nè rotto; è in uno stato indifferente del bello, e del cattivo tempo. Che se dopo essersi sostenuto alquanto all’altezza del punto di variabile, abbassa sensibilmente sotto, è certa la pioggia, o il vento; se innalza sopra, è certo il bel tempo.

In questi ultimi quattro paragrafi si hanno tutti li risultati, che io ho saputo cavare da’ Giornali delle mie osservazioni Barometriche. Il primo di questi sembrami nuovo, o almeno non ho fin ora veduto, che altri abbiano fatte simili osservazioni. Gli ultimi tre confermano colla mia stessa esperienza ciò, che altri hanno veduto forse più in complesso, e con men ordine. Vedesi dunque in detti quattro ultimi paragrafi, quali sieno i cambiamenti del tempo, ossia del Cielo Milanese, che succedono alle differenti altezze del Barometro, cioè quando si fissa, o si abbassi, o s’innalzi sopra il punto variabile, e quando fa tali movimenti per gradi, e lentamente, o pronti, e subitanei. Queste costanti osservazioni possono essere altrettante regole, sulle quali stabilire i principj almeno di una nuova arte divinatoria; perchè posta la Barometrica verga in mano di uno spregiudicato, paziente, ed illuminato osservatore, potrà forse diventare un giorno di non piccolo uso nelle predizioni delle stagioni, e cambiamenti della terrestre atmosfera.

Una delle più importanti conseguenze, che si può ricavare dall’aver determinato con una reiterata osservazione di più anni io il punto di variabile, ossia il limite tra le altezze corrispondenti al bel tempo, e quelle corrispondenti al cattivo, e circa il qual limite tiensi la colonna di Mercurio più frequentemente sospesa, è lo stabilire l’al-[91]tezza del pian-terreno di Milano sopra il Livello del mare. E noto a tutti, che tra li Tropici, e particolarmente sotto l’Equatore, le variazioni del Barometro sono quasi insensibili, e che al Mare è costante a 28. pollici, e che questo è il punto fisso, da cui partono, o al quale si riferiscono i metodi finora inventati per calcolare le altezze dell’atmosfera corrispondenti a quelle del Mercurio nel Barometro su differenti piani più o meno elevati della Terra. Dunque l’altezza, alla quale sta più comunemente fermo il Milanese Barometro sarà corrispondente all’elevazione del piano di detta Città sopra quello del Mare. Ho sopra fissato con replicate osservazioni di più Anni il punto di variabile in Milano a 27. pollici 9. linee misura di Parigi. Dunque sarà il pian-terreno della Città di Milano più alto della superficie delle acque del Mediterraneo secondo il metodo delli Signori Cassini e Maraldi, 31. tese Parigine, o 101. 5/11 braccia Milanesi, e giusta il metodo delli Signori Bouguer, e Niedam, 109. 33/55 braccia Milanesi, ossia 33 7/25 tese Parigine.

G. [GIUSEPPE VISCONTI] ◀Carta/Carta al director ◀Nivel 3

Metatextualidad► Il rimanente delle Osservazioni Meteorologiche lo daremo in breve. ◀Metatextualidad

Nivel 3►

Discorso sulla felicita de’ Romani

Se la grandezza e la gloria fossero sempre accompagnate dalla Felicità, come lo sono dall’ammirazione, avremmo molto da imparare da quelle Nazioni, che si resero famose coll’arrivarvi, e potrebbero le Storie loro essere una utilissima scuo-[92]la dove apprendere la difficile scienza di esser felice. Ma è ben diverso il sembrare felice dall’esserlo; il che siccome accade tante volte in ciascun uomo, che agli altri sovrasti, cosi pure alle Nazioni. Ammira, ed invidia il Volgo il fasto, e l’opulenza de’ Grandi, nè sa quanta noja, e quanti timori compensino, o superino questa apparenza di felicita. Volgo io pur credo, che siamo talvolta noi, venerando le Conquistatrici Nazioni, e loro invidiando la gloria, e ‘l potere. Si squarcia agli occhi d’un freddo Ragionatore quel velo, che col nascondere l’interno delle cose accresce loro venerazione. Quindi ritrovasi ben sovente il pianto e la miseria là, dove brilla il riso, ed il piacere.

Da tali verità non furono guidate le penne della maggior parte degli Storici, che tutti intenti a descrivere le battaglie, le vittorie, gli eserciti, ed i trionfi, abbastanza contenti di dare il nome di grandi, e di gloriose, non mai di giuste, e virtuose alle Nazioni, mandarono a’ Posteri una congerie di miserande grandezze, e ne celarono e tacquero tutti que’ mali, che accompagnano le grandi rivoluzioni. Quelle gloriose carnificine, in cui quasi fiere arrabbiate gli uomini miseramente si divorano, e distruggonsi, ottengono gli encomj della poesia, e della eloquenza, nè senza fremere nel fondo del cuore, che anzi, in rime canore, ed in purissimo stile sono celebrati i massacri di molte migliaja d’uomini tagliati a pezzi, come oggetti indifferenti di mera curiosità ed erudizione. Niente di più comune all’adulazione di una sonnifera dedicatoria che il lodare i nemici sconfitti, e le gloriose conquiste; mali, che, se pur talvolta son necessarj, dovrebbero esser sepolti nel silenzio, e nella oscurità, anzicchè esser per lungo tempo il [93] soggetto delle umane cognizioni. Quanto studio per un Antiquario per rintracciare fra le tenebre delle antiche cose in qual giorno fu la famosa battaglia di Canne, o del Lago Regillo? Eppure, che cerca egli mai, se non se di rischiarare la Cronologia degli umani delitti? E quale elogio avremo noi fatto alla umana natura, quando manderemo a’ nostri nipoti la memoria delle nostre crudeltà? Perchè piuttosto non consacrare la Storia agli esempj di virtù, di clemenza, di beneficenza, che alle illustri sceleratezze?

La Storia del Popolo Romano oggetto si comune della curiosità d’ognuno, fu per tanti versi e scritta e contemplata, e dalla sagace erudizione rischiarata per modo, che ormai nulla rimane d’aggiugnere a tanta folla di Scrittori. Alcuni questa Storia hanno scritta sì diffusamente, che i menomi fatti non tralasciarono, esaurendo il proprio sapere, e la pazienza del Leggitore; altri con molta Filosofia hanno rintracciate le cagioni della grandezza, e decadenza di tanta Repubblica; altri i fasti, la Cronologia, ed i costumi Romani illustrarono. Nessuno ch’io sappia scrisse della Felicità di questa Nazione; punto ben più interessante, che la Raccolta delle Medaglie dei trenta Tiranni, o la scienza delle Iscrizioni; giacchè se malgrado tanti secoli di gloria, e tanta grandezza, non fosse stata quella Nazione felice, ne verrebbe in conseguenza, ch’ella, benchè vantisi il modello delle altre, non lo dovrebbe essere in conto alcuno, il che, se risulti dalla Storia istessa, scorrendovi brevemente sopra il vedremo.

Quanto turbolento, ed incostante fosse il sistema di Roma ne’ 244. anni della sua Monarchia ben ce lo prova il leggere, che Romolo, Tullo Ostilio, Tarquinio Prisco furono tutti assassinati [94] per congiura. Argomento non debole, che era il governo dispotico, non potendosi dare tal successione di Regicidj in un moderato governo. È certo il più grande dispotismo, Numa, il religiosamente sagace Numa stabili, interessando gli Dei a proteggere la sovrana Podestà; ed allora fu, che ogni Legge discese dal Cielo, e che industriosamente fu condotto il Popolo al dispotismo colla invenzione de’ giorni fasti, e nefasti, col Collegio de’ Pontefici al Re divori, e cogli augurj, insensibili, ed occulti ingegni della somma potenza. Allora al non mai ragionante Popolo colla veneranda Maestà d’una falsa Religione celaronsi gli arcani del dispotismo; e la guerra, e la pace, e le leggi dai prodigj, dal tuono, da1 volo degli uccelli, dalle palpitanti viscere delle vittime ebber norma. Quindi per altra via tal sistema corroborò Tullo Ostilio avveduto Legislatore, che i pubblici Comizj ridusse ad una pura apparenza di libertà, ben sapendo che gli uomini contentansi dell’esterno delle cose, gli usi, ed i costumi rispettando, nè più in là vibrano lo stupido sguardo, sicche lasciandogli le parole gli si tolgono le cose agevolmente.

Ridusse Tullo Ostilio colla famosa divisione delle Centurie in mano di pochi il governo, ed in tal guisa indusse nella Nazione forse il più fatale d’ogni sistema, cioè una corrotta Repubblica, non vi essendo dispotismo più duro di quello che ha molti Tiranni.

Al principio del terzo secolo di Roma era il numero de’ Cittadini Romani ottantaquattromila settecento (84700.) (1), numero minore di quello [95] di Roma d’oggidì. Con si ristretta popolazione ben vedesi, perchè tante piccole, e sanguinose tenzoni facessero coi vicini senza stendere i confini, e quale durissima vita menassero per resister continuamente a popoli più di loro agguerriti, che li circondavano.

Destossi finalmente il Popolo dal letargo di due secoli, e s’accorse di sua schiavitù. Fu tutta la Nazione in fermento per l’attentato di Tarquinio; ella che sofferse in pace, che Tullia il Padre assassinasse, e sul di lui cadavere scorresse col cocchio quasi in trionfo. Furono banditi i Re, ma altro con loro non bandissi, che il vocabolo Rex; e Mario, e Silla de’ Tarquinj più crudeli Roma dappoi insanguinarono impunemente, chiamati Dittatori; ma se avessero osato aggiugnere alla loro potenza quella odiata parola, avriano ritrovato in ogni Cittadino un Bruto.

Tolsesi il Popolo Romano dalla Tirannia per slanciarsi ad una estrema Libertà, e dall’avvilimento passossi alla Tirannia della Virtù; quindi per un crudele amor della Patria Bruto se uccidere i Figlj ribelli; ed il Popolo feroce per la nuova libertà, quanto fu infingardo sotto al dispotismo, disfece Console Collatino, che d’esser Parricida ricusò; ed il console Valerio dovette abbassare la sua Casa al comune livello, tanto temeasi ogni spirito di diseguaglianza.

In questo intervallo di pericoli, e di torbidi ripieno (come lo sono tutte le violenti mutazioni nella forma di governo) fu Roma veramente libera, e forse non lo fu mai in altro tempo. Gli esempj memorandi di virtù, che altro non è che l’utile comune1 , allora sfoggiarono, ◀Nivel 3 ◀Nivel 2 ◀Nivel 1

1Parlasi di virtù puramente umana.