Donna galante: Num. II

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Num. II

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Qual è la qualita’ piu’ propria a rendere felice un matrimonio? Venezia vanta, e ben a ragione, il Libro più aureo, più erudito, più critico, più instruttivo, più dilettevole, che abbia l’Italia sopra quella materia importantissima. E’ questo la Scelta della Moglie, Opera di Francesco Barbaro Gentiluomo Veneziano, Cav., e Proc. di S. Marco, tradotta da Alberto Lollio Ferrarese, ristampata coll’Ortografia corretta, aggiuntevi onorevoli Testimonianze intorno all'Autore, ed all' Opera. In Vicenza 1785. nella Stamperia Turra; e può aversi per sole lire due, benchè di ottima edizione, al Negozio Albrizzi a S. Benedetto. Ognuno accorda e con giustizia che vi deve essere una sorte d’eguaglianza fra le persone che fi maritano, soprattutto nell’età, e nella condizione. Guai a quelli che non badano a questa verità; si sà ch’ella è per lo più la loro disgrazia; ma vi è un altro preservativo dell’innocenza delle moglj, e dell’onore dei Mariti. Noi vogliamo indicarlo e disingannare il genere umano di un errore ch'è molto comune. Si parla d’una massima generale, che le Signore hanno per la maggior parte adottata: ed è che il Marito migliore è un libertino convertito; massima che senza dubbio hanno ricavata da qualche Commedia o da qualche Romanzo, perchè ivi ordinariamente i Mariti di questo genere sono la gloriosa ricompensa del merito delle Donne: ma quelle che seguono questa bella massima non hanno certamente un’idea giusta del carattere di un libertino. Se lo rappresentano forse sotto l’immagine di un giovine scherzevole, che va vagando per la Città, si ferma spesso ai Caffè, conta delle storielle alle ragazze, che hanno la folìa di ascoltarlo. Hanno inteso a dire ch’egli è padre di molti figliuoli, i quali non lo conoscono: che nella maggior parte delle sue dissolutezze egli non pensava male, e che rispetto ad altri suoi disordini, ne ha già pagato il fio abbastanza. Queste parole per altro cuoprono un senso terribile che spiegato nel vero suo significato potrebbe dire che un tal giovine operando così si famigliarizza col disordine, col giuoco e di lui conseguenze; pone in artifizio la furberia per sorprendere la semplicità e sedurre l’innocenza; che abbandonando i figlj diventa un uomo inumano, ed irreligioso; ha perduto ogni sentimento della differenza, che passa tra il vizio e la virtù , e finalmente ruina la sua salute con malattie che non mancheranno di essere tramandate alla posterità in una maniera più o meno funesta. Ci sembra che il solo aspetto di questo ritratto debba inspirare alle Femmine della ripugnanza per l’originale. Accordiamo intanto che le Signore sì determinano sovente per un altro principio. Quelle che danno l’esclusiva al libertino scelgono l’uomo di spirito, e danno preferenza sopra di ogni altra cosa al talento. Questa qualità senza dubbio è di un gran pregio; anzi visono autori di distinzione, che hanno avuto la cura di consigliare alle Femmine questa preferenza, e non hanno mancato d’insinuar loro che la maggior felicità della vita è di avere un marito di questa tempra. Quest’è la maniera, dicono, di procurarsi la dolcezza di un commercio dilicato, e sublime, che è il solo degno di un ente ragionevole. Crederessimo di non ingannarci supponendo che questo consiglio per quanto bello egli sembra, non sia dato bene spesso che per vanità. Se lo scrupolo di offendere le nostre Giovinette non ci fermasse la penna, potressimo proporre la questione: se tutte le donne hanno l’anima suscettibile della metà dei piaceri che questi talenti posono procurare. Rinunziamo dunque questo, dubbio ingiurioso per indicare un altra qualità che ci pare più essenziale alla felicità conjugale: questa è la vera bontà del cuore. Che cosa è dunque la vera bontà di cuore? Non v’entri nè asprezza d’umore, né nerezza di malignità, niente di contenzioso, niente di stizzoso; non v’ha cosa più opposta a questo carattere quanto il puntiglio, e la vendetta; egli è al contrario un tenero sentimento che lega al nostro il cuore degli altri, che partecipa il loro disgusto, e il loro piacere, e che ci anima fortemente e senza stancarsi a questi due oggetti; uno di stendere la nostra felicità col comunicarla, e l’altro di sollevare gl’infelici prendendo parte nelle loro disgrazie. E’ desiderabile che la persona che a noi è unita più da vicino, ed alla quale abbiamo maggior interesse di piacere, non s’accorga dei nostri difetti più di quello che facciamo noi stessi, e che il suo affetto per noi sia per così dire della natura del nostro amor proprio. Felice effetto che non può essere prodotto se non dalla bontà del cuore! Si dirà forse che anche un uomo di sentimento e di spirito non può diportarsi male con una moglie. Diportarsi male? Spieghiamoci. Persone di una fina penetrazione e che hanno il sentimento molto dilicato si offendono di mille cose, e molto più spesso degli altri. Un uomo che ha molto spirito senza avere un grado eguale di bontà non essendo trattenuto nei suoi risentimenti, non mancherà di punire in questo modo le offese volontarie, o involontarie che gli saranno fatte. Supponiamo che soffriate in silenzio questa punizione, e che non vi opponiate altro che la vostra confusione, e le lagrime: può essere che in quel caso il vostro tiranno si raddolcisca forse, si rimprovererà il suo rigore; ma questo sentimento, come il rimorso di un micidiale, vien troppo tardi, e la ferita è già data. II timore ch’egli vi avrà ispirato farà succedere agli amabili sorrisi d’un cuor contento, a quei raggi vivi, e preziosi che sono la bellezza medesima, le nere idee d’un’anima inquieta, incerta, agitata, in cui regnano il torbido, e le perplessità. Quindi nasceranno delle nuove offese molto sensibili a quel dilicato padrone, e per conseguenza nuovi castighi, nuove angosce, nuovi rimorsi: da una parte l’offesa è involontaria, come conseguenza naturale dell’impressione che vi è stata data; dall’altra il sentimento non ha più freno. In questo stato di cose dov’è di grazia quella squisita, e permanente felicità ch'è la sola degna di un ente ragionevole, e che non si può aspettare se non dal commercio d'un bello spirito? Da tutto questo ci par bene di aver ragione di conchiudere, che se le più eminenti qualità dello spirito possono supplire alla bontà del cuore, questo è il maggior merito che si possa avere. Ci sia dunque permesso di porre per massima: che la qualità più essenziale alla felicità del Matrimonio è la bontà del cuore. E certamente qualunque differenza di opinioni e di gusti, che vi possa essere tra marito e moglie, se hanno eglino il cuor buono, e se non portino cagionarsi l’un l’altro nè disgusti, né piaceri, senza egualmente provarli, facil cosa è l’indovinare a quale di questi due sentimenti daranno la perferenza, e quale accordo vi sarà fra di loro per produrlo. Ma come conoscerli questi cuori buoni o cattivi, dirà qualche brava Signorina vogliosa di trovarsi un marito di buon cuore? In questo è molto difficile di soddisfarla. Come mai discoprire il cattivo cuore framezzo a tante assiduità, e compiacenze? Come puossi conoscer l’uomo sotto l’abito d’amante? Egli ha troppo interesse di mascherarsi, Ciò che possiamo dire di più sicuro si è, che non bisogna prendere per indizj la bontà del cuore, nè le scipite carezze che non sono che smorfie, nè quel riso di applauso che previene il moteggio grazioso che voi siete per dire, nè quell' eco che vi ripete sempre per lusingarvi. Non è nemmeno sicuro il fidarsi delle apparenze di libertà che giungono alla profusione nelle feste, e nelle partite di allegrie; o di quelle officiose attenzioni che prevengono i vostri minimi desideri: ponete mente al modo di pensare del vostro amante; esaminate la condotta ch’ei tiene con quelli che sono sotto la sua dipendenza. Vedete voi ch’egli si diverte a spese degli altri, e che con tratti di satira cerca di divertirvi? ovvero parla egli degli assenti con candore e senza malizia? Mostra egli una compiacenza nobile e disinvolta per coloro che sono presenti? Facendo bene attenzione a queste circostanze potrete forse formare una giusta idea del suo carattere.

Erudizione.
Sponsali degli Antichi Romani.

Se non potremmo dispensarci dal far osservare la meschinità de’ moderni Teatri, Spettacoli, e Feste, qualora ci caderà a proposito, non possiamo altresì far a meno, d’imporre silenzio a coloro che declamano su questo punto contro il nostro secolo, e ciò col rammemorare ad essi (la schiettezza è il mio principale istituto) o insegnar loro, infinitamente distanti esser noi dalle spese che si facevano a’ tempi de’ Romani. Siami permesso sorelle mie per questa sol volta usare qualche Latino vocabolo. Non voglio imporvi; è inevitabile. Gli opportuni Artefici, e Venditori di tali apprestamenti ci vengono tutti riferiti da Plauto. Mille grazie all’erudito Poeta Comico, poiché ci ha trasmessa una sì preziosa Memoria.

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Eteroritratto

Ci volevano dunque Fullones, cioè i Lavapanni; Phrygiones, i Ricamatori; Aurisices, i tessitori di roba con oro; Lanarii, Filatori di lana; Cinifiones, Aricciatori di capelli; Patagiarii, Orlatoti con ornamenti del lembo delle vesti muliebri; Indusiarii, quelli che facevano le camicie; Flammearii che fabbricavano veli da testa per la Sposa in segno della passata verginità, e pudicizia; Violarii, Tintori di color pavonazzo; Carinarii, di color di cera; Molochinarii, d’una quasi porpora di color di malva, Crocotarìì, di color giallo; Myrobracharii Profumieri , che vendevano odorose calzette, o siano stivaletti per le donne; Manuelarii, Sartori di vestimenti. Propolæ, Rigattieri, e Rivenditori di roba a più caro prezzo, Calceolarii, e Diabatrarii quelli, che parte all’uso Romano, e parte all’uso Greca facevano le scarpe per le donne; Sarcinatores, Cucitori di panni sdruciti; Strophiarii quelli che lavoravano corone, e serti di fiori per adornare le tempia, ed altre fascie fatte a collana, che discendevano fino al petto; Limbolarii, Cucitori di crespa, e di orlature allo vesti, ed alla stola; Arcularii , Fabbricatori di scrigni, e cassettine per riporvi i femminili più preziosi ornamenti; finalmente Philacistæ importuni Creditori, che dubitando del pagamento molestavano continuamente la Casa del Debitore.
Roma antica, e Roma moderna, Mondo vecchio, e Mondo nuovo, quanto vi rassomigliate! Qual torto alle femmine odierne di crederle peggiori delle antiche! Vendetta, vendetta; ecco l’ Apologia de’moderni maritaggi. Scusa, carità, perdono! Sorelle mie, involontario è l’errore. Il S. Presidente della Salpetriere, che soffro alla mia Toelette , o questa bestia di Sieur de la Folie, da cui, vuole la Moda, ch’io mi lasci far comparire la mia povera testa in aspetto bene spesso oggetto di riso, supponendo cotesta Apologia una cartaccia inutile, una ricetta per malattia irremediabile, l’hanno lacerata, o trafugata. Strepito, tempesto, strapazzo; tutto è inutile. Sono due faccie toste, due anime inesorabili. Leggano almeno queste righe; e mi crederò soddisfatta. Lo farete voi pure? Io ne dubito.

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Consiglio alle giovinette che fanno all’amore O Giovinette, se dall’amante Bramate amore, e amor costante, E se volete, o giovinette Esser le sole a lui dilette, Non son novello d’amor nel regno, Udite, udite quant’io v’insegno. Sul vostro labbro, se vien bramoso Tentando un furto, furto amoroso, Ira fingete, ma il bacio invano Segnato al labro l’abbia la mano Dona agli amanti, chi amor intende Non ciò ch’appaga, ma ciò che accende. Se genuflesso, se lagrimoso Prega il cor vostro che sia pietoso Se vi rammenta la sua costanza, Dategli il premio della speranza: E lo può dare una fanciulla. Nulla a voi toglie, a lui da nulla. A me credetelo, è la fierezza Più ancor possente della bellezza; Se troppo facile questa concede Dai paghi Amanti fuggir si vede, Ma incerta speme, certo rigore I nodi sono d’eterno Amore.

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Come Fare? Novella

Esempio

Versieux non aveva amato una tiranna, ma una donna infedele. Questa disgrazia è troppo comune per sorprendere. Quello che non è tanto facile si è il dolore che ne soffrì, a segno di voler per sempre rinunciare alla società. Dopo l’inconstanza di questa sua bella sembrava di amarla ancora perchè non poteva perdonarle il suo delitto. Aveva preso il partito di ritirarsi in campagna in un piccolo ritiro che aveva vicino ad alcuni suoi beni colla ferma risoluzione di non ricevere alcuno. Non è necessario di dire ch’ei più non volesse amare. Decise di non voler altra conversazione che
quella di alcuni libri che si portò seco; ma siccome il nostro cuore agisce per lo più senza consultare lo spirito, così quando Versieux nel suo ritiro volle gettar gli occhi sopra i libri che aveva presso di se, si avvidde che senza riflettervi scelti non aveva che libri d’amore. Versieux aveva il cuore ancora piagato; ma non voleva più esser seguace d’amore: aveva bisogno di fare delle riflessioni. Altronde in mezzo al suo dispiacere si ricordava ancora dei primi suoi contenti. I favoriti dall’amore sono meno ingrati che quelli della fortuna: questi una volta infelici scordano tutto quello che hanno ricevuto dalla loro Dea: gli amanti quando si trovano disgraziati si richiamano ancor con piacere i favori del loro Nume. Versieux avea un figlio, e questo era da lui così teneramente amato, che gli convenne permettergli di averlo per compagno nel suo ritiro. La lettura, ed il passeggio erano l’unico loro divertimento. Il padre si asteneva quanto gli era possibile di parlar d’amore con il figlio, perchè non voleva nè risvegliare, nè estinguere in lui questo sentimento, che dà tanta pena, e tanto piacere; ma non aveva ardito di chiudere la sua biblioteca. Nella solitudine in cui vivevano in mancanza di altri piaceri non credette di vietargli il virtuoso passatempo di leggere senza comparire inumano. La biblioteca dei libri d’amore di Versieux era la raccolta dei romanzi più teneri. Il di lui figlio aveva un ardente immaginazione, perciò non è da stupirsi se si vidde attaccato a quella lettura con ogni avidità. Divorava tutti i romanzi, che cadevano sotto i suoi occhi. Trovavasi nell’età in cui si ama, ed il padre aveagli sempre celato che le sue disgrazie altra cagione non aveano, che l’amore. In tali circostanze, o che Versieux avesse riacquistato il cuore della sua infedele, o l’avesse del tutto dimenticato, s’annojò della sua solitudine e ritornò in Città, dove seco condusse anche il figlio, il quale vi giunse colla testa piena di romanzeschi pensieri che aveva al cuore senz’avergli studiati. Ebrio questo giovine delle delizie di cui veduto aveva sotto tanti aspetti la seducente pittura, non conosceva ancora l’amore, se non per mezzo del ritratto che aveva veduto in alcuni teneri romanzi, i quali parlando di tenerezza dipingevano molto meno i piaceri del loro cuore, che i desiderj della loro immaginazione. Tutte queste tenere idee formavano la logica del figlio di Versieux quando entrò nel gran mondo: la prima sua cura fu di cercare il modello del seducente ritratto che Io aveva sedotto, e che portava sempre nel suo cuore. Troppo dolce illusione se avesse potuto conservarla! Oh quanto era diverso l’amore, che trovò da quello, che cercava! Vidde ben presto, che a sottrarre quanto l’immaginazione aveva somministrato alla verità, restava molto meno di quello che si era levato. L’amore gli parve quasi smile all’indifferenza, ed i suoi piaceri eguali alla noja. Prima di aver amato sembrava di aver sentito quel disgusto, quella sazietà ch’è la conseguenza dell’abuso del godimento. Intanto non poteva risolversi di rinunciare a quanto aveva sì vivamente desiderato: ogni bella che vedeva sembravagli quella che gli destinava l’amore; lusingato sempre, e mai disingannato correva incessantemente dietro alla sua chimera. Versieux lagnavasi tanto più della disgrazia di suo figlio in quanto che n’era egli stesso l’innocente cagione. Senza volerlo aveva gettato nel di lui cuore i semi di questa infelice passione. La paterna sua tenerezza gli fece diverse volte tentare di strapparlo da tale abisso, ma infruttuosi rimasero i suoi raziocinj e le stesse sue preghiere: questo giovine passava la sua gioventù nel desiderio e nell’impotenza di amare. Dopo di aver tentate tutte le risorse ordinarie affin di guarire per dir così l’amoroso suo figlio dall’amore, Versieux risolvette finalmente d’impiegare un mezzo violento e poco usitato. Lo fece introdurre un giorno ma con prevenuti saggi compagni, in una di quelle case, che tanto è meno permesso di nominare che di frequentare, ove i lavori dell'amore sono una mercanzia, ove si permette al vizio di servire di vittima volontaria alla vergogna per impedire alla passione di sagrificargli la stessa virtù, ove finalmente si leva all’amore la sua dignità per togliergli i suoi furori. Il figlio di Versieux tutto osservava cogli occhi della più avida curiosità. Là vidde l’insulto invece del desiderio, e la crapula in luogo della voluttà; vidde perdersi la bellezza prodigalizzando il suo impero: vidde finalmente l’amore divenire orrido colla sua nudità, non avendo che disprezzi per omaggio. E’ difficile di far quì vedere tutta l’impressione che fece questo spettaccolo sui sensi del nostro giovine scolaro; fu tale che lo fece ritirar per orrore quando egli stesso fu invitato al godimento di que’ nauseanti piaceri. Quest’arditissima prova, il cui esempio farebbe a seguirsi pericoloso, riuscì dunque a Versieux secondo la sua speranza, ed al di là de’ suoi desiderj. L’amore dall’immaginazione troppo abbellito avea infiammato il cuore di suo figlio, l’amore avvilito dalla crapula aveva fatto succedere l’orrore all’entusiasmo, e Versieux vidde con piacere, che non avea corretto un eccesso, che con un altro; ma giudicò nello stesso tempo che in simile caso era più facile di vincere la ripugnanza, che di soddisfare all’entusiasmo, e che era ben più facile all’amore di accendere i desiderj in cuor giovanile, che di essere per essi bastante un’immaginazione troppo esaltata. La fortuna e la bellezza lo favorirono egualmente. Una giovine Signora, che Versieux, e suo figlio vedevano soventi accese di quest’ultimo. La decenza proibisce ad una bella di esser la prima a dire che ama, ma non le vieta però di procurare di farsi amare. Tale si fu il piano adottato da questa Signorina. Il suo spirito e la sua bellezza non sfuggirono dallo spirito del figlio di Versieux: l’amò e su da lei guarito dalla seconda malattia che veramente è meno incurabile della prima: comprese che l’amore non era nè inferiore, nè superiore all’umanità, e che non è, comunque si dica, nè un Dio, nè un Bruto: fu < gli felice colla sua sposa, e Versieux perdonò all’amore tutti i suoi disgusti vedendo la felicità che compartiva a suo figlio.
Le spille della signora moglie. In un contratto di matrimonio nulla ci sembra più singolare quanto l’articolo delle spille il quale è più o meno aumentato a proporzione che il Marito è più o meno vecchio, o che la Signora, sia di rango più o meno qualificato. La moglie ne dovrebbe impiegare milioni. Si fa però che col termine di spille le Signore Italiane intendono certi altri comodi: nel caso diverso alcuni buoni viventi avrebbero supposte le donne più laboriose e meno civette coll’uso di tante spille da cucire. Un buon’ uomo che si proponeva di prender moglie, destinò cento pertiche di terra per comperare un bel diamante alla nuova sua sposa; cinquanta delle più alte quercie di un bosco per la sua pettinatura; una miniera di carbone per la sua biancheria; il prodotto d’un mulino per i suoi ventagli, ed altre simili bagatelle, e la tosatura di dugento pecore per i suoi vestiti. Ecco delle magnifiche spille. Se la moda continua così non sarebbe fuor di proposito che ogni ricco possidente destinasse una buona masseria per le spille della sua Signora. Recentissima eleganza Paregìna Un orologio per l’utile che apporta è meno un mobile di lusso che di necessità, ma si rende tale coi magnifici accessorj di cui soventi viene arricchito un cattivo movimento. Ora è spinta più lungi una tal follìa. I petits-maitres portano adesso due orologi, e quelli che realmente non gli hanno il fanno suppore lasciando vedere pendenti dai due scarsellini le catene. Il Sig. di . . . uno di quei veterani della fatuità, malgrado l’età sua avanzata, troppo frivolo per non avere adottata quest’ eleganza, intanto che si vestiva trovandosi i suoi due orologi a far mostra sopra un tavolino, qualche adulatore lo felicitava, chiedendogli il permesso di vederli più da vicino, di esaminarli, di confronarli: nel prenderli dunque temette che uno non gli cadesse di mano, e senza poterlo infatti trattenere lasciò cadere anche l’altro: eccoli ambidue a terra. Vergognatosi di una tale disadattagine ne domandò perdono al padrone che lo rassicurò, dicendogli: perchè vi disperate? io non gli ho mai veduti andar così bene insieme.

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Avvenimento curioso ad un Avvocato villeggiante nella presente Estate 1786.

Racconto generale

Due Paesani ebbero tra loro una grave disputa. Il cane d’un di loro, ch’era nero, e che
chiamavasi morello, giuocò sì crudelmente con la scrofa dell’altro, che questa era morta sul fatto. Il Padrone della scrofa essendosi accorto d’un tanto danno fece citare il Padrone del cane, onde gliela pagasse. Questo non stava molto bene a ciarle, quindi si portò con due galline a raccomandarsi ad un Avvocato, cui sapeva, che non molto discosto villeggiava. Era l’ora del pranzo; la porta era socchiusa; il contadino la urta co’ piedi, onde far conoscere che aveva le mani impedite; e pizzicandole faceva nel tempo stesso gridare le due galline. Accorre un servitore alla porta; dimanda al Paesano ciò che voleva, gli risponde, che bramava parlare al Signor Avvocato, e dimandargli un consiglio sopra una Causa, che ci aveva, e per cui molto dubitava. II servitore lo condusse nel tinello, dove l’Avvocato sedeva a mensa con la sua Sposa, dicesi, e varj commensali. L’Avvocato, supponendo di potersi divertire: Cosa bramate, disse al villano, qual buon vento quì vi conduce? Signore, gli rispose, io qui vengo per offerirvi questo pajo di galline, e vi prego di un Consulto per una maledetta lite, che soffro; e di cui se averò contraria la sentenza in prima istanza, voglio appellare. Ebbene, amico, soggiunse l’Avvocato, narratemi il vostro affare, e vedrò se potrete, o nò appellarvi. Il Paesano gli disse allora, che non poteva ben raccontare l’affar suo se non faceva un paragone per farglielo ben comprendere. Ciò accordatogli, il Paesano così parlò all’Avvocato, cui per caricatura, e per accrescere la risata, s’era vestito di nero: Signore figuratevi d’essere il mio Cane Morello; che la Signora vostra Moglie, ch’è vestita di seta, sia la scrofa del mio vicino, e che la tavola ne sia il letamajo, su cui era la porca. Se la vostra Signora, ch’è la scrofa del mio vicino, si dà a giocolare sulla vostra tavola, ch’è il mio letamajo, e che voi, il quale siete il mio cane morello, la morsicate, e la trattate tanto male, ch’ella muore, dovrò dunque io pagarla? A questo paragone la Signora, e tutti quelli ch’ erano a tavola si diedero tanto a ridere, che non fu mai possibile all’Avvocato il dare alcun Consiglio; e finalmente accortosi il villano d’esser deriso fu costretto a ritirarsi, con lasciare per altro le due galline.

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Avvenimento ad una Festa di ballo nel Teatro di …. all’occasione della scorsa Fiera di …

Racconto generale

Una giovane perfettamente bella, quando voleva ballare il perpetuo minuetto, o la contradanza, invitava mai sempre un giovinetto. Meravigliato quello di un sì segnalato favore, credette assolutamente, ch’ell’ era di lui innamorata a perdizione. Se gli avvicinò dunque per ringraziarla, e dopo molte adulatrici ceremonie la supplicò istantemente, volergli dire, perciò lo aveva continuamente anteposto ad ogni altro. Signore rispose la gentil giovane; non ve ne maravigliate; m’è convenuto così fare, perchè mio marito mi ha comandato di non ballare con persone, che gli possano dare nemmeno ombra di gelosia; ed avendovi conosciuto appunto qual mi abbisogna, tanto siete brutto, ho sempre prescelto voi solo.

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Antica usanza fatta rivivere; ma spirante.

Esempio

Fralle antiche usanze, ve ne sono di singolarissime. La Città di Dunmore, nella Contea di Essex ora ne ha rinnovata una, cui da lungo tempo era obbliata perchè non si aveva avuto occasione di metterla in pratica. Consiste nel presentare con grande apparato, e solennità un pezzo di lardo a quel cittadino, che per tutto il corso del primo anno del suo matrimonio, non ha per un sol momento avuto dispiacere del nodo, che lo lega, nè ha avuto alcuna differenza, nemmeno leggiera, con sua moglie; e infine che non si è permesso alcun capriccio nè infedeltà. Un particolare di Andover, il quale si è rimaritato per la quarta volta un’ anno fa, ha congiunto tutte queste condizioni, ed ha in conseguenza ricevuto il dono.
Novelle nè Letterarie nè Politiche. Il giovane Vestris ballerino, da cui se piacera a Madonna Euterpe, ed a qualche impazzito Impresario, verrà un giorno onorata anche la nostra Italia, è ritornato da Londra a Parigi con quarantotto mille Franchi (12000 Ducati effettivi) di avanzo, oltre le somme spese fatte, e degne di sì preclaro, illustrissimo Soggetto. Se la sua assenza dalla Francia era stata considerata come una calamità, peggiore della carestia, il suo ritorno fu una vera felicità per quei numerosissimi Teatrali Spettatori. Ogni volta, che comparisce sul Teatro, singolarmente con qualche nuovo passo, si fa ribombare di Evviva, di Elogi, tutta l’Atmosfera. Misero Italiano! E tu ne sei privo! Corri, vola a Parigi; o sborsa danaro poco meno di quanto servirebbe a trarre dalla indigenza dozzine di Famiglie, e chiama su’ tuoi meschini Teatri questi prodigj d’ogni arte! Ben a ragione i sensibilissimi Scrittori Francesi ti compiangono! Oh quanto sono ragionevoli! Amena letteratura. Dal Negozio Albrizzi si continua a dispensare la tanto accreditata Gazzetta di Lejden in Francese. Se ne danno due Fogli alla settimana. Niuno ignora, ch’è la più elegantemente scritta, onde è ottima per i studiosi della medema Lingua. Parmi che i Maestri doverebbero ben raccomandarla a’ loro scolari! Nulla di più atto per apprender la Lingua Francese quanto l'esercizio di leggere, e di tradurre. Inoltre questa Gazzetta costa tanto poco! Nulla più di due zecchini all’anno; onde ogni Foglio costa meno di 10 soldi; e tanti appunto se n’esborsano volendola di volta in volta.

Aneddoti e trattati di spirito.

La galanteria suol essere comunemente presa per una distinta attenzione dell’uomo per rendersi piacevole alle donne con discorsi dilicati e graziosi, dando di esse la più buona opinione. Sono di questo carattere anche li seguenti aneddoti; che daremo nel susseguente Foglio.

Gabinetto
Delle mode di Francia

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Tavola III.

Eteroritratto

Alla sua toelette una donna ha sempre bisogno di qualcuno che venga consultato per sapere se tale acconciatura, tale bonetto, tal cappello, tal veste le stia bene e se può farsi vedere vantaggiosamente al passeggio, o nelle conversazioni. Perchè non potrà il nostro Gabinetto essere il loro Consigliere? perchè non potranno le donne leggere nei nostri foglj i pareri che ci domandano? Zulma brillava jeri nel suo caraco surtout di mussolina tutto semplice, e voi pure Zelida comparire volete nella stessa maniera? Senza ricchezza nell’abito, senza ornamenti caricati trionfava il solo gusto, e voi volete scegliere quell’istesso gusto che vi ha sedotta? Ascoltate Zelida. Zulma meno doveva al suo abito, ed alla sua acconciatura, che al suo portamento, in cui regnava un’amabile libertà, un molle abbandono, ed una sostenuta facilità. Non si vedea ora curvata, ora tesa, ed ora inclinata a destra ed a sinistra per darsi un’aria di damerina (petite maîtresse); essa non studiavasi di contraddire la natura. Nata con quelle infinite grazie da essa compartite a quasi tutto il vostro sesso non le soffocava sotto tutte le affettazioni di cui si carica una donna che non ha uno spirito giusto e proporzionato. Non inganniamoci, Signorine mie: spirito vuol essere, e spirito assai buono, per avere del gusto. Un’idiota porterà un bell’abito, porterà un vestito alla moda, sarà ben coperto, ma guardi il Cielo che in lui si trovi un poco di buon gusto. Sarà affettato, studiato, stentato; il suo vestito e la sua pettinatura sembrerà determinare tutti i suoi passi. Dal suo camminare si vedrà il timore di perdere la cipria, e sedendosi si guarderà bene di piegare il suo vestito; non riderà nemmeno se questo dovesse alterare l’adottato suo portamento. Diportatevi, Zelida, con fermezza, siate nel vostro portamento assicurata: alzate pure con ardire la testa, e si scuopra nella vostra figura quella bella confidenza, quella nobile fierezza, che appartiene a tutti quelli che sono fatti per sentire e per ragionare. Che temete voi mai, passeggiando circondata ed esaminata da tutti i vostri simili? Che vi facciano arrossire, che vi rubbino la libera vostra fermezza? Voi non siete sfrontata, dunque siate certa ch’io rispondo per sempre del loro suffragio. Se da tale contegno può dipendere il vostro carattere siate convinta, che voi costringerete il piccol numero che avrebbe potuto sorprendervi ad approvarlo. E’ vero, che Zulma era vestita di un caraco, e d’una sottana di mussolina rigata ben bianca, elegantemente guarnita; che la sottana ed il corsetto di sotto color di rosa unendosi e confondendosi per così dire di colore col bianco spargevano nei suoi lineamenti una dolce freschezza ed una piacevole vivacità; ma vestirsi in tal guisa non è la cosa più difficile. Io chiedo da voi un bel portamento. Voi pure potete come lei facilmente mettervi sul capo un cappello di paglia di color naturale circondato da una ghirlanda di rose artefatte, sormontato da quattro piume tre bianche ed una rossa , tenendo attaccato di dietro un gran velo di garza bianca cadente fino alla cintura. Voi potete portare un mazzetto di fiori attaccato davanti al vostro corsetto, farvi pettinare con un largo tapet e tre ricci per parte, uno dei quali deve pendere sul seno; ma è necessario, ve lo ripeto, un bel portamento: ecco tutta la magìa di Zulma. Bisogna però convenire che Zulma avea evitato un difetto, di cui sono oggi quasi tutte le donne colpevoli, cioè di farsi caricare d’una libbra di polvere bianca la testa, invece di mettersene una di tinta leggiera, e d’indebolirla con un’altra pure leggiera di polvere bionda o di polvere rossa. Zulma si era bene avveduta che la polvere bianca ingrossa i lineamenti. Non bisogna mai farsi incipriare in bianco ammeno di non voler comparire deformi. Zelida, seguite questi consiglj. Prima di terminare io devo aggiungere che il Caraco non può essere che l’abito della mattina, quando si vuol sortire di casa per fare un passeggio prima del mezzodì, ovvero verso sera per prendere il fresco dopo di aver passato tutto il giorno in casa.

Livello 3

Tavola IV.

Eteroritratto

“I File vede al passeggio una scarpa di nuova moda: guarda la sua, ed arrossisce; ella più non si crede la meglio calzata: era venuta per farsi vedere, e si nasconde: eccola trattenuta pel piede tutto il giorno nella sua camera”. Questo è senza dubbio ciò che fece dire tempo fa a Cicre: “ sì, se fosse d’uopo, anderei persino a Roma a cercarvi la moda: io sono vogliosa di piacere, e so quanto medesima coopera alla nostra bellezza.” Quanto è mai sincero un tale omaggio! Ma ecco la moda che viene ella stessa a instruirvi. Per quindici giorni almeno sbandite dalla vostra pettinatura le piume: quantunque voi ne mormoriate, e me ne lagni io stessa, bisogna obbedire. Le riprenderete, non dubitate, quanto prima, ma frattanto è neccessario di deporle. La vostra testa non sia coperta che da un chapeau-bonette (bonetto fatto a cazello) la di cui estremità cadi tutto all’intorno a guisa di un tetto, e la di cui testiera fatta a goffi assai larghi e rivelati, sia legata con un nastro che formi di dietro un nodo molto visibile. Ecco tutta la vostra pettinatura. Questo capello deve essere di garza bleu, o se più vi piace, di garza color di rosa, ovvero di un leggerissimo taffetà parimenti bleu o color di rosa legato con un nastro violetto o bianco, ma che non vi sia nulla di più. Non cambio che questa piccola cosa nella vostra pettinatura, ma mi compiaccio di questo cambiamento medesimo. Del resto portate come prima una veste all’Inglese o una veste en chemise, una veste alla Turca, o un Caracco, è la stessa cosa, ma la guarnizione come vedete, dev’essere a grossi bottoni di perle; abbiate però un fazzoletto grande al collo, e vi lascio la libertà di tenete tre, due oppure un riccio solo cadente sul seno, ma i vostri capelli di dietro devono essere acconciati a cignone schiacciato1; comandandovi espressamente riguardo al capello di non portarlo che come vi ho detto.
Tavola Delle Materie contenute in questo II. Numero. Qual'è la qualità più propria a rendere felice un Matrimonio? Pag. 35 Sponsali degli Antichi Romani. 41 Apologia de’ Moderni Maritaggi. 43 Consiglio alle Giovinette che fanno all’Amore. 44. Come fare? Novella. 45 Le Spille della Signora Moglie. 51 Recentissima Moda Parigina. 52 Avvenimento curioso ad un Avvocato villeggiante. 53 Avvenimento curioso ad una Festa di Ballo nel Teatro di .... all’occasione della scorsa Fiera. 55 Antica usanza fatta rivivere; ma spirante. ivi Novelle nè Letterarie nè Politiche. 56 Amena Letteratura. 57 Aneddoti e Tratti di Spirito. 58 Gabinetto delle Mode di Francia Tavola III. ivi
Tavola IV. 62

1Siccome i cignoni schiacciati si portano molto bassi, ed è impossibile che tutti i capelli si siano egualmente lunghi per esser riportati sino al pettine, che li tiene avvinti, è stato ora immaginato una sorte di legame di ferro, che di dentro si attacca verso la metà al cignone, e tiene i capelli fissamente collegati ed uniti; così più non si vedono capegli staccati sparsi sui collo, che presentano all’occhio una disgustosa deformità.