La Gazzetta Veneta: N. C
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Livello 1
N.o C.
Sabbato addi 17. Gennaro 1761.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Livello 2
Livello 3
Lettera/Lettera al direttore
Al sig. Gazzettiere~k
Sofronia. S.~i
Sofronia. S.~i
Metatestualità
Eccovi la Lettera, che ho scritto ad Eufrosia~i. Non v’è cosa di cui io non vi metta, volentieri, a parte. M’è caro l’aver persona, nel seno di cui depositare, e le mie contentezze, ed i miei dispiaceri. Fra questi ultimi, non entra già l’opinione, in cui sono appresso molti, o di vecchia, o di malinconica, o d’abbandonata; e fra le prime, tiene distinto luogo, la soddisfazione che ho d’esser vostra buona Serva ed Amica. Addio.
Livello 4
Lettera di Sofronia~i ad Eufrosia~i.
Lettera/Lettera al direttore
Eufrosia~i Cariss.
O quanto! è maravigliosa la condizione del vostro cuore, quanto siete differente del nostro Sesso, alla moderna avvezzato; e quanto siete diversa da quello, che una volta eravate. Quello, che riempirebbe l’animo d’altra Donna, di rabbia e di dolore, e che per il passato avrebbe servito ad accendervi di furore, presentemente forma la vostra delizia! Voi ritirata in Campagna, e limitata alla compagnia di vostro Marito, e de’suoi Genitori? Voi contenta di tale stato di vita, e lontana da Teatri, dal Ridotto, dalle geniali brigate, dite d’esser nel Tabernacolo della tranquillità? E con tutto questo vorreste farmi perder la speranza di coglier alcun frutto dalle mie Lettere, e mi date la cosa per disperata, quando non nascano spessi casi, simili al vostro. Nò. Io penso assai più vantaggiosamente, di quello che voi pensate delle nostre Donne. Egl’è vero, che il disordine è grande, ma è vero altresì, che non ha preso radici così profonde, che non possa esser svelto. La Virtù accompagnata dalla Ragione, non lascia radicare questo albero velenoso, che co’suoi frutti ha distrutto le più fiorite Famiglie dell’universo. Io ne ho tali sicurezze, che non mi permettono di dubitarne. I Teatri sono la Pietra di Paragone, su cui faccio l’esperienza degl’animi umani, e delle loro inclinazioni. Parlo delle Commedie; ma non già di quelle, nelle quali co’voli arditi si sollevano i Poeti fin’alla sfera della più alta Mitologia, e poi cadono rovinosamente nel fango delle maravigliose inverisimiglianze. Parlo di quelle Commedie, le quali sono una vera imitazione della vita, ed un vero specchio de’costumi. Osservo attentamente quelle Scene, le quali piacciono all’universale e dallo spirito di esse argomento delle inclinazioni de’Spettatori. La Commedia, intitolata la Casa Nuova~i, rappresentata non ha molto, serve di sodo fondamento alla mia speranza, e mi ha convinto, che il disordine non supera la Ragione. Questa è una Commedia, in cui in compendio si vede il disordine della Moda, si veggono le misere sue conseguenze, e si vede, che un’onesto Uomo, che vive alla vecchia, diviene necessario per redimere dalla miseria, gli’Enti moderni caduti nell’ultimo delle angustie, per aver vivuto alla moda. L’universale de’Spettatori l’ha trovata ottima, ed è stata universalmente, gradita, lodata ed approvata. E che segno è questo? Questo è segno, Eufrosia mia, che si conosce il male, e si disapprova. Perché, dunque, non s’abbandona? A poco a poco s’abbandonerà. La buona fama, che diviene equivoca; la borsa, che diviene più leggiera; i Serventi, che divengono prepotenti Padroni; la salute, che va logorandosi; le fanciulle, che stanno senza Marito, per violenza delle attrazioni geniali, e per stravagante forza di ripulsione de’sagri impegni, faranno a poco a poco un buon effetto. Si frequenteranno i Teatri, non per ozio, o per comodo, ma solamente per divertirsi, e per vedere il ridicolo, ed il danno di certe usanze. S’anderà in Maschera, per osservare, quanto sia poco dicevole il vedere una Donna alla testa d’un Reggimento d’interessati adulatori, quanto sia di cattivo esempio il condurre Ragazzi e Ragazze, che appena possono camminare in Maschera, ad imbeversi di quelche veggono e di quelche sentono. S’anderà al Ridotto, per vedere le precipitose conseguenze del giuoco. E così si farà del rimanente, e si caverà il mele dalla Cicuta. Verrà, sì verrà, Eufrosia mia, per tutti quel felice Periodo di vita, di cui, ora, voi godete, e sì conoscerà da tutti, che la tranquillità d’animo è un tesoro che io stimo più d’ogn’altra cosa; ed a questa succede l’amicizia vostra, la quale mi fa essere
Vostra buona Serva ed Amica
Sofronia~i.
Metatestualità
Non è picciolo diletto il mio ad udire, che quando ho ne’miei fogli pubblicata qualche Novella, al primo apparire in luce la vien creduta una Favola, creata dal mio cervello. Di là a pochi dì vengono Lettere a uno e ad un altro del fatto, onde si vede, ch’io avea detta la verità, e che la Gazzetta è una Storia fedele quanto quella di Tucidide, o di Dionigi d’Alicarnasso. Questo m’è accaduto più volte, e spezialmente nel Foglio passato per la Novella delle tre Amanti adirate, che adoperarono le forbici; e similmente mi sarà prestato forse poca fede alla Storia, che ora narrerò, comecchè io abbia la Lettera nelle mani, con la quale io la posso autorizzare contro a ciascheduno, che non la volesse credere. Ma il male viene da ciò, che tacendo io per onesta cautela i luoghi, e i nomi delle Persone, a cui le cose sono accadute, tolgo una parte dell’autenticità a’fatti, che per altro sono verissimi, come per isperienza s’è fino a quì veduto più volte. Io però non oltrepassando que’confini, tra’quali m’obbliga la discrezione, seguirò l’usanza mia, e narrerò la Novella, che mi fu scritta dall’Amico, la quale è questa.
Livello 3
Racconto generale
In una Città sottoposta alla benigna Madre de’Popoli Vinegia, è una Famiglia Nobile, e antica, la quale, come portano le infinite rivoluzioni della fortuna, non è oggidì ricca di poderi, nè di que’beni, che sono l’ammirazione degli Uomini; ma all’incontro regna in essa un onorata virtù, e quella gentilezza, ch’ereditò da suoi Maggiori. Tre Fratelli la compongono, e diverse Sorelle, i quali, e le quali volendo compensare quelle ricchezze che la cieca sorte ha loro negate, hanno con diverse qualità di suono, di canto, e d’altre piacevoli virtù ornati i loro cortesi costumi, e si sono resi grati alla compagnia delle Genti. Pare però, che la fortuna abbia una certa nimicizia, e ostinazione invincibile appunto, contro a coloro, ch’ella vede meglio dotati di qualità d’animo. Imperocchè non bastandole di non esser larga de’suoi favori verso questa così bene educata Famiglia; ha quasi tutti i Fratelli, e le Sorelle, che in essa sono, con qualche difettuzzo nel corpo fatti nascere; e non solo essi; ma tutti di quel casato, secondo che raccontano i Vecchi di quel Paese ebbero in ciò qualche sciagura. La qual cosa gli Uomini di senno non sogliono mai imputare a mancanza della Persona, che n’è aggravata, anzi si guardano molto bene dal parlarne giammai, e stimano un’inurbanità grossolana, e un’arguzia plebea il favellarne.
tutti e tre questi buoni Fratelli rivolti col pensiero alle loro faccende, altro non hanno a cuore se non che di far sì, che quello, che posseggono sia misuratamente speso per modo, che la fine delle loro rendite tocchi sempre il principio del nuovo anno, fuggendo sempre le apparenze, e le maschere di grandezza, acciocchè duri uguale lo stato loro. Per la qual cosa due d’essi, quantunque assai ben veduti, ed accolti verrebbero da ciascheduno, vivono per lo più da se a se, senza curarsi di compagnie, nè di conversazioni; e il terzo che più giovane è per far sì che la Famiglia sua tenga appicco col Mondo, e abbia benevola la Società, si lascia spesso vedere, e costuma dove tutti gli altri. Della qual cosa venendo spesso da’Fratelli suoi rimproverato, scusavasi col dire, che la solitudine fa dimenticare altrui dell’Uomo, che in essa si seppellisce, e si tuffa, e che dovendo gli Uomini vivere l’uno dell’altro, era di necessità il conoscersi vicendevolmente. Così dunque facendo, com’egli dicea, ritrovavasi spesso in que’luoghi, dove più si veggono frequenti gli Uomini della sua Città, e quivi era per la pulitezza de’suoi costumi comunemente amato, e onorato. Avvenne un giorno fra gli altri, che standosi egli a sedere in una Bottega di Caffè, e ragionando con varii Signori, che quivi erano, entrò in quel punto un Avvocato, che quanto alla professione sua è uno de’più ingegnosi, e celebrati, che sieno in quel Paese; ma parte per natura, e parte per voglia di far ridere le brigate, si diletta di pungere, e motteggiare altrui forse più gagliardamente di quello, che consenta l’urbanità, e la gentilezza dell’animo. Giunto dunque l’Avvocato colà dove fra molti era il Giovane, e postogli prima gli occhi addosso, quasi avesse a chiedergli qualche cosa d’importanza gli disse: Signor mio, egli è lungo tempo, ch’io desidero intendere da voi; se nella vostra Famiglia v’è un Testamento, uno Strumento, o altra Scrittura di fidecommissi, e primogenitura, o altro, per la quale debba in ogni tempo venire per eredità a’corpi del vostro casato qualche sconciatura. Il Giovane, che udì il ragionamento chiuso con tutto altro fine da quello, ch’egli avea nel principio immaginato, e udì ridere intorno la brigata alla malignità di quelle parole, arrossì prima, e sentendo in suo cuore non picciola confusione, gli rispose. Signore, io non ho, che ‘l sappia offesa mai la Persona vostra, nè lo farò; onde vi prego da quì in poi guardatevi dall’attaccar me con parole, perchè egli si potrebbe ancor dare, ch’io fossi di tristo umore, per aver pranzato male, e vi facessi pentire del vostro ardimento. Grammercè, ripigliò di subito l’Avvocato. Voi mi date un buon avviso, e io non vi parlerò più nè oggi, nè domani, nè l’altro, ne mai, perchè sarete di tristo umore ogni dì, sapendo, che non pranzate mai bene. Grammercè, grammercè dell’avviso. Risero tutti i circostanti dell’amara puntura, comecchè a molti intrinsicamente dispiacesse, essendo siffatta la natura umana, che non si può ritener dal ridere ad un improvviso morso dato ad altrui, comecchè non s’applaudisca in cuore al morditore. Il Giovane pieno di mortificazione, e addolorato, uscì della Bottega, e andato a casa sua, stavasi quel giorno alla mensa tutto malinconico, e non avea cuore di mettersi boccone alla bocca. Di che avvedutisi gli altri Fratelli, e chiedendogli di ciò la ragione, egli finalmente la disse loro, querelandosi altamente della lingua, che ingiuriato l’avea, senza nessun argomento, nè cagione. I due Fratelli, che più volte l’aveano ammonito, che ritirato si vivesse, non solo non giudicarono, che si dovesse di ciò punto dolersi; ma quasi si ricrearono, che ciò fosse accaduto per ammaestramento di lui, e in iscambio di confortarlo, gli rinfacciarono il suo modo di vivere, e deliberarono di starsene cheti. Non piacque punto la risoluzione ad una delle sorelle, la quale piena di spirito, e di vivacità essendo, così prese a dire: A cui fa danno la Famiglia nostra s’ella si vive contenta di quello, che il Signore Iddio le da, e qual nostra vergogna sì è che i corpi nostri non sono de’meglio fatti del mondo? Abbiamo noi colpa di ciò? E dobbiamo perciò essere derisi, e rinfacciati da una lingua, che morde il bene, e il male senza distinzione? Se noi sappiamo sofferire le nostre calamità con grande animo, io non chieggo già; che siamo di ciò lodati; ma, quanto è a me non intendo, che ciò ci acquisti biasimo, e derisione: e ben mi maraviglio di voi, che in iscambio di lagnarvi dell’altrui ardimento, rimproveriate il fratel vostro dell’altrui colpa. Oh! ci lasceremo noi sputare in capo, perchè non siamo nè gran ricchi, nè ben fatti come i ballerini? Io fo giuramento, che io medesima farò ravvedere l’Avvocato del suo errore. Così detto si tacque, e tacquero tutti gli altri, credendosi pure, che ogni cosa dovesse terminare in parole.
Ma la Giovane, a cui bolliva in cuore il suo ragionevole dispetto, non dimenticandosi nel vegnente giorno della sua promessa, presa ad una cert’ora una vesticciuola, ed un zendado, con cui tutto il viso si coperse, in compagnia d’una fanticella anch’essa travestita, andò ad un luogo, dove v’avea gran concorrenza di genti, e dove l’Avvocato era usato a trovarsi. Quivi giunta dunque, e veduto l’avversario suo, che appunto in un cerchio di persone si stava motteggiando, e ridendo, gli andò da vicino, e quale un repentino fulmine, che scocca dalle nubi, trattosi lo zendado indietro, e scopertosi il viso, gli auncinò con le mani il cappello, e la parrucca, e gli lanciò da lontano, indi senza punto restare incominciò, e con le ceffate, e con le pugna a battergli le guance, e il capo con tanta furia, e tempesta, ch’egli non sapea ove si fosse. Finalmente quando le parve, che bastasse, e che tutti i circostanti fossero rivolti a vedere la zuffa gli disse: Dottore, questi sono i Testamenti, gl’Istrumenti, e le Scritture de’fidecommissi, di Primogenitura della nostra Famiglia, voi siete Avvocato leggete, ed esaminatele a vostro agio, ch’io ve le lascio. E così detto andò per li fatti suoi, senza altre parole, lasciando l’avversario impacciato a raccogliere il cappello, e la parrucca dal fango, con tutte le persone intorno, che ridevano dell’avvenuto accidente.
Metatestualità
Ma per entrare nella Storia dico, che