La Gazzetta Veneta: N. XCVIII
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Livello 1
N.o XCVIII.
Sabbato addi 10. Gennaro 1761.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Livello 2
Citazione/Motto
Perchè Amore sia da Poeti descritto, e da Pittori dipinto sempre
Bambino.
Livello 3
Utopia
Dopo il Diluvio di Deucalione, quando furono rinnovati gli abitatori
della terra coi sassi d’una montagna, narra un antichissima leggenda Orientale, che di là a pochi
anni, parendo a nuovi uomini, che il vivere nel mondo fosse uno stento, deliberarono fra loro di non
voler più maritaggi, e di lasciarlo finire. Avvenne quello, che nessuno potrebbe immaginare a questi
giorni, e ciò fu, che tanto s’ostinarono in tal pensiero tutti uomini, e donne, che pareano nimici
mortali, e a pena si vedeano da lontano, che fuggiano l’uno dall’altro, come dal fuoco. Dicesi, che
la principal cagione di ciò fosse un Filosofo e Poeta, il quale in certi suoi, per altro dolcissimi
Versi, avea raccolte tutte le calamità di questo mondo, e cantandole intorno intorno a que’Popoli,
avea destato in loro questo pensiero, e ne gli rendeva saldi, e ostinati più l’un giorno, che
l’altro. Poco mancò allora, che Giove non allagasse un’altra volta la terra, e distruggesse per
sempre il genere umano, il quale gli dava tanto, che fare. Ma avvenne in que’dì che Venere partorì
quel suo bellissimo figliuolo, che venne poi chiamato Amore; di che venne dato annunzio a Giove da
Mercurio, il quale sapendo la stizza di Giove gli disse in tal forma. Regnatore dell’Olimpo, io
credo, che il fanciullo ora nato, come quegli che nasce da un’affettuosissima Dea, sarà al caso per
far germogliare affetto fra gli abitatori, e le abitatrici della terra; tanto più, ch’egli è nato
con l’ale, e poco gli costerà il volare colaggiù, e già comincia a svolazzare; e sta al collo della
propria Madre con un vezzo tale, che mi da indizio della sua Natura. Piacque a Giove il parere di
Mercurio, e andato alla Stanza di Venere le disse la sua intenzione, e il fanciullino ne rise,
perchè i figliuoli degli Dei, non sono come i nostri terreni, che appena intendono dopo molti anni.
Passati dunque pochi giorni, Giove ritornò a lui, e vedutolo già grandicello, gli diede un turcasso,
con certe a noi invisibili Saette, e gli disse: Prendi, va in terra, e salvami il mondo. Io ti
raccomando però, che tu non iscagliassi mai queste Saette nel capo degli uomini, nè delle donne; ma
dirizza il colpo tuo piuttosto bassotto, perchè se tu dai loro nel cervello faresti un mondo
d’arrabbiati, e di balordi, piuttosto, che altro. Or va, figliuolo, e non perder tempo. Amore prese
le Saette, venne sulla terra, cominciò a fare l’ufficio suo; ma non sempre dava nel segno
ordinatogli da Giove, onde nascevano poi zuffe, litigi, scandali, e pazzie, perchè le Saettuzze
aveano tocco il cervello, e così fa ancora talvolta.
Livello 3
Lettera/Lettera al direttore
Al sig. Gazzettiere~k
Sofronia. S.~i IL (sic.) Viaggiatore, amico mio, che è ritornato dal Regno della Virtù, m’ha raccontato mille e cento cose; una più bella, e più importante dell’altra. Avrò, dunque, di che divertire le Donne, che leggeranno le mie Lettere, e col mezzo di tali Novelle, indicar’ potrò ad esse i veri mezzi per piacere. Per piacere! ma a chi? o! quì stà il punto. Una delle amiche mie, per nome Eufrosia, m’ha promosso questo dubbio; e sebbene io l’avessi prevveduto, pure non mi dava l’animo di toccare questo odioso tasto. Sono pertanto, di molto obbligata all’amabile Eufrosia~i, la quale m’ha tratto fuori d’un imbarazzo non lieve. Ecco, dunque la Lettera da essa scrittami; nel mentre, per questa volta colla solita stima ed amicizia, mi protesto vostra Serva ed Amica. Addio.
Sofronia. S.~i IL (sic.) Viaggiatore, amico mio, che è ritornato dal Regno della Virtù, m’ha raccontato mille e cento cose; una più bella, e più importante dell’altra. Avrò, dunque, di che divertire le Donne, che leggeranno le mie Lettere, e col mezzo di tali Novelle, indicar’ potrò ad esse i veri mezzi per piacere. Per piacere! ma a chi? o! quì stà il punto. Una delle amiche mie, per nome Eufrosia, m’ha promosso questo dubbio; e sebbene io l’avessi prevveduto, pure non mi dava l’animo di toccare questo odioso tasto. Sono pertanto, di molto obbligata all’amabile Eufrosia~i, la quale m’ha tratto fuori d’un imbarazzo non lieve. Ecco, dunque la Lettera da essa scrittami; nel mentre, per questa volta colla solita stima ed amicizia, mi protesto vostra Serva ed Amica. Addio.
Livello 3
Lettera di Eufrosia~i a Sofronia~i.
Sofronia~i Carissima.Lettera/Lettera al direttore
Uno degl’innocenti divertimenti, de’quali godo in questo mio silvestre Ritiro, sì è
quello, di leggere la Gazzetta Veneta. Ho veduto in essa alcune delle vostre Lettere, dettate ed
animate da quello spirito d’amor Socievole, che è una delle vostre, molte, amabili qualità. Voi
vorreste vedere le Donne un poco più, di quel che, peravventura, non sono ricordevoli de’loro
doveri, e vorreste indicar’ad esse i veri mezzi per piacere. Ottimo desiderio; lodevole scopo delle
vostre premure. Ma, come credete voi di riuscirvi? Io dubito molto, che le vostre fatiche saranno
gettate al vento, quando le Donne non vengano dall’amor della verità, e della virtù sì fortemente
accese, che volgendo le spalle agli uomini, non curino i loro falsi incensi, ma volgan tutto lo
spirito a quel solo degno Sovrano Oggetto, a cui si debbono i nostri più puri affetti, e colla
esatta osservanza, o delli doveri, della verecondia verginale; se sono Fanciulle, o della fede
conjugale; se sono Maritate; o della mesta circospezione; se sono Vedove; mettano, una volta, il
sodo argine della Moderazione, al precipitoso Torrente della Moda dannosa, e poco dicevole. Ma, sè
le Donne vorranno, che voi insegniate loro la maniera di piacere al gran Mondo in cui vivono, voi vi
troverete pentita d’aver gettato il vostro tempo senza frutto alcuno. Ditemi, di grazia, in qual
modo posson le Donne ricordarsi de’loro doveri, se da una parte quelli, che debbono vegliare alla
loro educazione, ed alla loro custodia, profondamente dormono, o col pernicioso esempio, in qua, ed
in là si divagano; e dall’altra parte quelli, che hanno adottata la Moda d’invadere i diritti
altrui, vegliano; assediano, assaltano, ed espugnano? Voi sapete, Sofronia Carissima, ed io mi sento
penetrata d’alta vergogna, tutte le volte, che me ne ricordo; sapete, dissi, che io era alla Testa
delle prime linee delle Moderne Guerriere, che con tanta intrepidezza affrontano le geniali
amicizie. E sò io, che il continuo strapazzo della salute, e nelle veglie, e nelle cene, ed in altre
piacevoli ed estatiche distrazioni, m’aveva ridotta, quasi all’ultima linea di tutte le cose. I
Medici avevano pronunziato il ferale Decreto; i Sacri Riti per la mia partenza eran stati
amministrati, e vicino era il mio naufragio nel tremendo Mare della Eternità. La Morte m’avea posto
avanti gl’occhi lo Specchio terribile dell’avvenire, e col saggio riflesso mi fè vedere il passato.
Tutta la serie della mia vita, mi si presentò agl’occhi qual’insipida, sconnessa Commedia. Alcune
Scene mi facevano venire nausea, alcune mi riempivano di vergogna, altre poi mi facevano tremar per
orrore. Vedeva i segreti gemiti del mio buon Marito, obbligato dalla mia intollerabile focosa
maniera di vivere, a vedersi dalla mattina fin’alla sera, piena la Casa, ora di persone incognite,
ora di persone troppo familiari. Vedeva l’eredità, ed il Patrimonio de’Figli dilapidato crudelmente
per i miei capricci. Vedeva molti e molti di quelli, che componevano la corona de’miei Cortigiani,
mancar’alli doveri del loro stato, e quindi le estensive male conseguenze a danno di quelli, a prò
de’quali dovevano esser’impiegati tali doveri, che venivano sagrificati alli miei capricci. Vedeva i
Figli . . . . . ma quì risparmiatemi la confusione di rammemorare l’alto pungente mio cordoglio,
eccitato da morsi mortali del verme interno. Stupida, ed attonita m’addormentai, ed il mio sonno fu
giudicato qual mortale letargo. La Natura, frattanto, dopo lungo conflitto col male, restò
vincitrice. Mi svegliai con notabili segni di miglioramento, e dopo felice convalescenza ricuperai
la primiera salute. Cangiai la mia condotta, e piacqui al Marito, ed a suoi e miei buoni Genitori,
ma dispiacqui a tutto il rimanente degl’antichi amici. Il mio Marito m’ha proposto come necessario
il ritiro in Campagna per rimettere col risparmio la sbilanciata Economia, ed io mi vi sono portata,
e ci stò volentieri frà queste silvestri Scene, come nel Tabernacolo della tranquillità. Uso di
que’mezzi che voi avete disegnato di suggerire per piacere; e ci riesco. Piaccio al Marito; piaccio
alli suoi ed alli miei, ma al gran Mondo non piaccio. E perciò, Sofronia Carissima, se voi non
troverete delle Donne, le quali sieno state sul confine della morte, e nelle quali lo Specchio
salutare dell’avvenire e del passato, abbia fatto l’effetto, che ha fatto in me, ne troverete molto
poche, o quasi niuna, che senta volentieri le vostre pedanterie, per limitare il desiderio di
piacere a chi non deve importare, al desiderio di piacere a ch’importa. Peggio poi sarà, se
incontrerete di quegli uomini, alli quali dispiacerebbe, che le Donne cangiassero Moda, e fossero
più guardinghe. Sospendete, dunque, le vostre troppo serie ed importune riflessioni, e non
tormentate il Sig. Gazzettiere co’vostri melanconici fogli, i quali, credetemi, fanno morir di noja,
non solamente le Leggitrici, ma eziandio i Leggitori. Non è opportuna la vostra buona volontà. Vi
vogliono molti e spessi casi simili al mio, per fare quello, che voi non farete siccome non vi
riuscirà mai di fare, che io non sia vostra amica di cuore Amica di Cuore Eufrosia~i. P. S. di
Sofronia~i al Sig. Gazzettiere~i. Io non sono lontana dal credere, che Eufrosia abbia ragione. I
miei Fogli generano melanconia. Io però non saprei far ridere senza mia interna confusione. Voi che
conoscete l’umor de’Leggitori, tenete se vi pare la corrispondenza nostra segreta, e non ne fate
parte al Pubblico; di bel nuovo. Addio.
Livello 3
Lettera/Lettera al direttore
A Sofronia~k.
Il Gazzettiere~i. S. Le vostre Lettere sono ripiene d’una morale così sana, che meritano di vedere la luce, e perciò le vò, e anderò pubblicando sempre secondo, che mi verranno mandate da voi; e dalle Amiche vostre. Voi però siete d’animo così sincero, e pensate così rettamente, che non posso fare a meno di non avvertirvi di quanto vien detto. La Gente non vi conosce, e per quanto voi abbiate detto, che non siate in età avanzata, ciò non si vuol credere, e peggio, ch’egli si dice, che dal vostro scrivere si comprende benissimo, che voi avete il dispetto d’essere abbandonata da alcuno, e che siete assalita da un male di malinconia. Alcuni altri dicono: La Signora Sofronia non ha il torto; ma non hanno torto neppure le Donne, che vivono altrimenti. Il Mondo non dee essere tutto ad un modo, e questa varietà fa la sua bellezza. Se tutte le Donne facessero quello, che vuole Sofronia, noi avremmo fatto un Mondo quasi d’alberi, i quali non avrebbero altro, che la favella per parere Persone. Che vuol ella, che quel che s’usa non si faccia? Se le nostre Donne antiche avessero sermoneggiato, com’ella fa, e tutte avessero loro creduto, noi avremmo ancora le cuffie alte due palmi e più, in capo, e gli zoccoli alti un braccio in piedi. Così va il Mondo, e così fu sempre. Quel che fu un secolo fa, resta a’quadri; e noi apparecchiamo nel nostro materia per altri quadri, che saranno veduti nel secolo vegnente; nel quale forse le Donne torneranno a star sempre in casa a cucire, e a filare, e Sofronia verrà lodata allora, quando si leggeranno le sue Lettere. Per ora ella scrive cose de’Secoli passati, e forse di quelli, che verranno. Ognuno la pensa, secondo le meditazioni che vengono portate dalla vita, che fa: una Donna solitaria, che tutti fugge, e forse vien da tutti fuggita, non può avere in capo altro, che malinconie perpetue. Noi, che facciamo una vita lieta, che siamo care al Mondo, e a cui il Mondo è caro, l’intendiamo in altra forma, e siamo così lontane da’suoi pensieri, che appena sappiamo quello, che ci dice. Crederebb’ella mai, che ci potesse piacer più lo stile de’suoi ammaestramenti, che la dolce armonia degli strumenti, i quali c’invitano al ballo una notto (sic.)? Poi se alcuna di noi dipersè danneggia una famiglia, non ved’ella quanto bene fa a molti il nostro spendere? Quanti Artefici vivono di ciò? quanti Lavoratori? e Lavoratrici? Noi abbiamo un cuor grande, desideroso del bene universale, anche col danno proprio nostro. Ma qual danno infine? Finchè siam giovani abbiamo di che spendere, e quando siamo ad una certa età facciamo, come le Sofronie, e ritirate dal Mondo viviamo filosoficamente di quello, che ci resta. Le Figliuole nostre si maritano, e vanno a spendere di quello d’un’altra famiglia, e vivono liete. I Maschi trovandosi con poca roba, pensano ad adoperarsi in qualche cosa per acquistare, e sono utili alla Società, laddove, se noi avessimo sempre risparmiato si troverebbero ricchi, e il grande agio, e la molta abbondanza gli renderebbe disutili, ed infingardi. Queste sono ragioni, e intenzioni magnanime, e grandi; e questi sono i fini, co’quali operiamo. Tali, e varie altre cose, si vanno dicendo di voi, e io non manco di farvene avvisata, acciocchè conosciate sempre più, ch’io son vostro di cuore.
Il Gazzettiere~i. S. Le vostre Lettere sono ripiene d’una morale così sana, che meritano di vedere la luce, e perciò le vò, e anderò pubblicando sempre secondo, che mi verranno mandate da voi; e dalle Amiche vostre. Voi però siete d’animo così sincero, e pensate così rettamente, che non posso fare a meno di non avvertirvi di quanto vien detto. La Gente non vi conosce, e per quanto voi abbiate detto, che non siate in età avanzata, ciò non si vuol credere, e peggio, ch’egli si dice, che dal vostro scrivere si comprende benissimo, che voi avete il dispetto d’essere abbandonata da alcuno, e che siete assalita da un male di malinconia. Alcuni altri dicono: La Signora Sofronia non ha il torto; ma non hanno torto neppure le Donne, che vivono altrimenti. Il Mondo non dee essere tutto ad un modo, e questa varietà fa la sua bellezza. Se tutte le Donne facessero quello, che vuole Sofronia, noi avremmo fatto un Mondo quasi d’alberi, i quali non avrebbero altro, che la favella per parere Persone. Che vuol ella, che quel che s’usa non si faccia? Se le nostre Donne antiche avessero sermoneggiato, com’ella fa, e tutte avessero loro creduto, noi avremmo ancora le cuffie alte due palmi e più, in capo, e gli zoccoli alti un braccio in piedi. Così va il Mondo, e così fu sempre. Quel che fu un secolo fa, resta a’quadri; e noi apparecchiamo nel nostro materia per altri quadri, che saranno veduti nel secolo vegnente; nel quale forse le Donne torneranno a star sempre in casa a cucire, e a filare, e Sofronia verrà lodata allora, quando si leggeranno le sue Lettere. Per ora ella scrive cose de’Secoli passati, e forse di quelli, che verranno. Ognuno la pensa, secondo le meditazioni che vengono portate dalla vita, che fa: una Donna solitaria, che tutti fugge, e forse vien da tutti fuggita, non può avere in capo altro, che malinconie perpetue. Noi, che facciamo una vita lieta, che siamo care al Mondo, e a cui il Mondo è caro, l’intendiamo in altra forma, e siamo così lontane da’suoi pensieri, che appena sappiamo quello, che ci dice. Crederebb’ella mai, che ci potesse piacer più lo stile de’suoi ammaestramenti, che la dolce armonia degli strumenti, i quali c’invitano al ballo una notto (sic.)? Poi se alcuna di noi dipersè danneggia una famiglia, non ved’ella quanto bene fa a molti il nostro spendere? Quanti Artefici vivono di ciò? quanti Lavoratori? e Lavoratrici? Noi abbiamo un cuor grande, desideroso del bene universale, anche col danno proprio nostro. Ma qual danno infine? Finchè siam giovani abbiamo di che spendere, e quando siamo ad una certa età facciamo, come le Sofronie, e ritirate dal Mondo viviamo filosoficamente di quello, che ci resta. Le Figliuole nostre si maritano, e vanno a spendere di quello d’un’altra famiglia, e vivono liete. I Maschi trovandosi con poca roba, pensano ad adoperarsi in qualche cosa per acquistare, e sono utili alla Società, laddove, se noi avessimo sempre risparmiato si troverebbero ricchi, e il grande agio, e la molta abbondanza gli renderebbe disutili, ed infingardi. Queste sono ragioni, e intenzioni magnanime, e grandi; e questi sono i fini, co’quali operiamo. Tali, e varie altre cose, si vanno dicendo di voi, e io non manco di farvene avvisata, acciocchè conosciate sempre più, ch’io son vostro di cuore.