La Gazzetta Veneta: N. XCII

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N.o XCII.

Sabbato addi 20. Decembre 1760.

Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.

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Lettera scritta dagli Elisii da Cosimo Napolitano, detto nel Mondo dalla Carriola.

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Letter/Letter to the editor

A Paolo Colombani~i Librajo.

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Utopia

Sicchè per proseguire, come vi scrissi nell’altra mia, io giunsi qui, e fui condotto dinanzi a Radamanto Giudice di questi luoghi, il quale mi domandò qual arte io avessi esercitata nel Mondo. E udito da me, che la mia occupazione era stata il ricogliere le spazzature per le strade con infinita diligenza, e che per mercede di tale opera avea da’Bottegai ricevuto alquanti pochi quattrini per Settimana, che bastavano al mio vitto; e ch’io m’era di tal guadagno appagato quanto ciascheduno delle più belle, e grasse possessioni, mi disse: Va negli Elisii, e starai tra’Filosofi. Io non potei fare a meno di non ridere udito quest’ordine, sapendo l’ignoranza mia, e gli risposi: Egli è vero, o Signore, ch’io ho più volte bazzicato con Libraj, e ch’io me n’avea eletto per Fratello uno nel Mondo; ma non ho però mai in tutto il tempo, che vissi, imparato l’abbicì, e quivi dimorai come una zucca. Anche la confessione della tua ignoranza, ripigliò Radamanto, è indizio di sapienza. Non hai tu con grande animo comportata la tua povertà? Non camminavi tu quasi nudo, o vestito di grosso panno, senza veruna invidia fra la seta, l’oro, e l’argento? Non procacciasti tu, per quanto potevi, col sudore della tua fronte, e con lo stento delle tue braccia di giovare a quella Società, nella quale conducevi pacificamente i tuoi giorni verso la fine, senza speranze, nè timori grandi? Che vuoi tu più per essere vero Filosofo? Credi tu che la vera sapienza stia nell’articolazione delle pompose voci, nelle nobili materie che si trattano con le parole, e col calamajo, o nell’operazioni, e ne’fatti? Va, va, figliuol mio, tu se’Filosofo, e per tale negli Elisii verrai da tutti onorato. Così detto, mi volse le spalle, ed io mi mossi per andarmene alla beata campagna degli Elisii. Appena posi il piede sui confini di quella, che vi trovai un fiumicello di splendide, e correnti acque, ond’io, che pel lungo viaggio avea non poca sete, mi chinai per bere, e ad ogni sorso, sentiva discendere in me una gran voglia di sapere ogni cosa; tanto, che quando mi rizzai, non avea altro desiderio, che d’osservare, e di sapere l’usanze, e i costumi de’luoghi, ne’quali entrava, e s’io avessi seguitato a bere, certamente credo, che mi sarei dimenticato tutto quello, che m’avvenne nel vostro Mondo, essendomi già uscite di mente molte cose, per la qualità dell’acqua bevuta. Voi dovete immaginare, che sendo al presente Ombra, passai sopra l’acqua del fiume, non altrimenti, che una penna, o un fil di paglia, ed entrai nella nuova terra, della quale, perchè so che costà piacciono, le cose nuove, vi farò una breve descrizione. Questa è una delle più popolose terre, che si veggano, perchè da ogni parte vi concorrono Abitatori. Ma quantunque ci sieno numerosissimi i Popoli, e un bulicame continuo di Genti, appena hanno conversazione fra loro. Salutansi talvolta per le vie in fretta, ma poco s’arrestano insieme, e brevemente favellano; perchè essendo quì la stagione sempre uguale, senza tempeste, venti, nè piogge, mancano loro anche queste materie, che sono costà fra voi le principali de’ragionamenti. Stimano che la tranquillità, e l’ozio sia il miglior bene, che si possa godere; per la qual cosa, hanno fabbricate certe picciole logge di malva, e di papaveri, tutte letticelli all’intorno, i cui materassi sono empiuti delle foglie di queste due piante, e quivi per lo più si ritirano, si posano, e sonnecchiano saporitamente. Egli è vero, che talora fanno alcuni pochi passi, che saranno forse da cento in un giorno, a capo de’quali giungono a certe altre picciole chiostre di verdura, appena capaci di contenere due o tre ombre, dove s’arrestano, e di nuovo siedono, e vien loro ministrata in certe chiocciole una bevanda di colore fra il nericcio, e il rossigno, premuta anch’essa dalle foglie d’un papavero, che nel vostro Mondo non si ritrova, il quale ha facoltà di far parlare di varie cose, che non importano, e di saltare ne’ragionamenti di palo in frasca, per non dare alla mente l’inquietudine della meditazione. Si ritrova a queste ultime chiostre spesso anche qualche ombra di Donna; e fra l’altre v’ho riconosciuta Didone, che rappacificatasi con Enea, era con esso lui in una d’esse, borbottando seco delle passate infedeltà di lui, e succiando il liquore della chiocciola, mentre che in un’altra si stavano Sicheo, è (sic.) Creusa, questa beffando Enea, e quegli dicendole tutti i difetti di Didone. Quello che c’è quì di buono si è, che l’età non fa più invecchiare, la qual cosa è grata all’ombre delle Femmine grandemente; onde chi domandasse tanto a Didone, quanto a Creusa, venute quì a un dipresso tuttadue verso lo stesso tempo, cioè dopo la distruzione di Troja, quanti anni esse abbiano, rispondono l’una ventotto, e l’altra trentadue, perchè tutto il tempo passato dopo la distruzione, nol contano. In somma quì i costumi sono affatto diversi da quelli de’Paesi di costà.
Gradite per ora questo piccolo sbozzo. Salutate il Fratel mio, ch’è da voi conosciuto; e se accaderà cosa nuova, ve ne farò partecipe. Addio.

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Lettera

Di Jeniceo~i a Antropeo~i in difesa delle donne.

Letter/Letter to the editor

Amico Stimatissimo Mi dispiace di vedervi nel numero di quegli Uomini, indiscreti ed incivili, che non sanno dire quattro parole, senza dir male delle Donne. Vi confesso la verità, che m’avete scandalezzato con quel vostro atroce discorso, che con sì poca cortesia avete fatto la sera passata, in presenza di quelle due così garbate Signore. Un rimasuglio di languida amicizia, che ancor conservo per voi, fa che per compassione vi scriva, e vi disinganni. Io non so concepire, come mai si possa pensar’e dir male di un Bene, che forma la più viva delizia della vita Umana, amar una cosa, e nel tempo medesimo riprovarla, è una furiosa pazzia. Egl’è vero, che le Donne hanno qualche difettuccio, ma questo appunto, come un neo sopra bella guancia, serve a renderle più vaghe e più amabili. Chi mette sotto la sferza della Critica le Donne, o è cieco, per non vedere il loro merito, o insensato, per non provarne il potere. Ma se li ciechi, li quali sebbene non veggano coll’occhio, pure per forza di natura sentono il potere, e s’accendono alla vitale scintilla; e se la Palma, senza la vicinanza del genere prolifico, sotto gli sterili rami non porta frutto, che dovrò io pensar di voi, che con mordace lingua, profanate il più bel dono della natura? Sradicate dal vostro cuore un sentimento, che ripugna all’essere dell’Uomo, e se noi siamo il Mondo, riconoscete, una volta, che le Donne sono l’anima, che ci ravviva, e senza la quale, oh! quanto il viver nostro sarebbe penoso. Le fatiche alle quali siamo condannati, ci opprimerebbono col loro peso, se non avessimo le Donne in ajuto, le quali colla loro giovialità temperano la molestia delle nostre occupazioni. Il dir male d’un Sesso, così benefico, è un delitto al Tribunale della Riconoscenza; ma l’Uomo è di natura ingrato verso le sue Benefattrici. I difetti delle Donne derivano dai difetti degl’Uomini. Le Donne sono qual terso e chiaro specchio, senza macchia alcuna, ma l’Uomo lo appanna col cattivo alito del mal’esempio, e lo specchio così appannato, se mostruosamente rappresenta gli oggetti, che gli stanno d’avanti, non è colpa dello specchio, ma è difetto dell’oggetto che rappresenta. Sian gli Uomini virtuosi, e vedrete virtuose tutte le Donne, imperciocchè uno specchio ben lavorato, come sono tutte le Donne, non mai rimanderà con riflessione storta, un raggio che dava a ferirlo dirittamente. L’Uomo, non mai attrae a sè le virtù delle Donne, come non attrae a sè lo chiarore dello specchio, chi in esso si mira. Veggonsi nelle Donne de’difetti; ma questi sono raggi riflessi de’nostri vizj. Non mai avrete sentito dire, che da Uomo buono si faccia la Donna buona, ma avrete bensì sentito, che dalla Donna buona si fa buono un Uomo; e ciò perchè? perchè l’Uomo che non ha bontà non può altrui comunicarla, ma la Donna, che ne ha un pozzo, la communica con facilità: e convien dire, che sia molto cattivo, e di massime assai storte, quell’Uomo, che non s’approfitta di questa comunicazione. Approposito dello specchio mi direte che stà bene il paragone, almeno per la fragilità. Se non che, compatitemi, questa vostra maldicenza, ridonda in vergogna degli Uomini. L’Uomo è stato dato alle Donne, per custode; ma questo infedele custode, che fa egli? assalisce, e con insidie, e con aperta forza la cosa datagli in custodia. La Donna, che si dice forte, e tal’è per la sua resistenza, come mai diviene debole? S’interroghi l’astuzia, e s’interoghi (sic.) l’importunità degli Uomini. Appena si risveglia nel cuor dell’Uomo qualche passione, eccolo qual indomito destriere, rigoglioso e spumante, romper’il freno d’ogni moderazione, e poi scusarsi colla fragilità. Ma qual’ingiustizia è mai quella, con cui si condannano le Donne? Esse hanno da combattere colle loro passioni, e di queste trionfarebbero; ma aggiuntovi il cattivo esempio, e la violenza delle persecuzioni dell’Uomo, come mai si può dire debolezza quella, che cede all’assalto di due Nemici? È gran vergogna dell’Uomo il lasciarsi vincere da una sola passione, e della caduta delle Donne è reo l’Uomo per parte maggiore, perchè alla passione loro aggiunge l’importuna persecuzione. L’Uomo, per esempio, collerico, si corruccia al moversi della passione, và a Casa, sfoga il mal’umore con parole pungenti; la Donna pacifica e mite, ascolta e tace; l’Uomo alza il tuono, stimola, tenta, cimenta, ed ecco finalmente, che la Donna principia a strillare e a menar romore. Chi di due è senza giudizio? la Donna, o l’Uomo?

Metatextuality

Il proseguimento nella ventura Gazzetta~i.

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Letter/Letter to the editor

Al Gentilissimo Selinichitore~i. Quando io vengo favorito da voi, dovete tenere per fermo, ch’io vi sia obbligato, e vivere con questa buona fede, se punto mi conoscete. Le vostre Polizze non vengono prima in mia mano, e se ne fa qualche ciancia, ch’io non la posso sapere. Tali disordini nascono nelle corrispondenze fra gl’incogniti. Il mio indugio nel fare uso della Scrittura da voi mandatami giù dalla Luna è proceduto da ragione molto diversa, che quella, la quale costassù vi fu addotta. Avrei forse ritardato qualche giorno di più a pubblicarla, perch’ella stava meglio in un certo Statuto Poetico, il quale si va apparecchiando, che in questi fogli da sè. Tuttavia, perchè non sospettiate di quella gratitudine, e amicizia, che vi professo, la do oggi alle Stampe, desiderando di vero cuore, che le persone dabbene d’ogni Paese, sieno certe, che riconosco gli obblighi miei. Mi raccomando alla buona grazia de’Lunatici, e sono tutto vostro. Il Gazzettiere~i.

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Utopia

Codice caduto dalla Luna per servir di difesa all’Autore del Nuovo Segreto~i ec. Noi Popoli abitatori Lunatici, sentite le grida, che oltrepassando l’Atmosfera terrestre a noi pervennero (tante erano elleno e sì forti) abiamo stabilito, a raconciare le parti focosamente disputanti, mandare a voi, Sig. Gazzettiere, un Codice, ch’uscito testè dal bizzarro capo del nostro tribunale, servir può di difesa al Moderno Alchimista Autore del Nuovo Segreto.

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Codice. Quelli che vogliono nel loro scrivere aver benefici i Lunatici influssi, e andar a versi del Popolo abitator delle belle Contrade di Cinzia, abbiano per regola universale di suggere il latte a tutta l’antichità, e poi darle de’calci e delle pugna, onde a terra gittata, questi appena spoppati fanciulli alto vengano a sublimarsi. O perchè lo stare in su Libri antichi non abbia ad iscemar troppo la bellezza, ed appariscenza della persona, sì vuole che come la Madre Natura diede a ciascuno ingegno, e fantasia, si getti giù checche d’esse originato venga, non istimando punto regole di Rettori, ed esempio contrario di chi varcò parecchi Secoli sempre onorato dalla Letterata Repubblica; poichè queste son cose tutte che metton pastoje, e legano la natural libertà di chi vuol comparir senza fatica. Ed acciocchè non sembri a qualche dilicato Censore nuova tal foggia di scrivere, e strana, alleghino que’Versi del Venusino terrestre Poeta, i cui Libri come quelli che alle Stelle giunsero, di quà pure lasciarono onorate vestigia

Citation/Motto

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Citation/Motto

O imitatores servum pecus.
non badando là dove esorta a volgere di giorno, e di notte gli Esemplari Greci; non curando Quintiliano che (Lib. 10. Cap. 1.) degli antichi in sul ragionare caduto, dice: Modeste tamen et circumspecto judicio de tantis viris pronunciandum est: disprezzando l’Inglese Pope (Saggio di Critica Arg. Prim.)

Citation/Motto

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Citation/Motto

Segue Natura chi gli antichi segue,
E chi legge si fa di loro leggi
Censor non tema.
mettendo in non cale ciò, che il Muratori (Perfetta Poesia Lib. 2 Cap. 11) disse:

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Citation/Motto

« Si vogliono venerare, ed imitare gli antichi, ed è poco saggio, anzi temerario chi vuol condannare in tutto una sì gran fila di Secoli, che hanno ammirato il merito di que’valenti Poeti ».
Insoma (sic.) si scriva da tutti a lor posta con istile Lunatico, voglio dire or gonfio, or basso e vile, creando, e producendo Lunaticamente parole che al Lunatico genio, de nostri Lunatici concittadini garbizzino, e quadrino.
Eccovi il Codice che autorizza le assurdità, che dall’emulo vostro Alchimista, nella fabbrica del Nuovo Segreto, furon prodotte. Selinichitore~i.

Metatextuality

La Novelletta, che si troverà scritta quì sotto, è una di quelle, che se ben me ne ricordo, mi pare d’averla udita altre volte. Con tutto ciò se la materia non è nuova, essa è però scritta nuovamente. Un amico me l’ha mandata, ed io gliela pubblico perchè la sia letta in Istampa.

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Il Dente posticcio.~i Novella.

General account

Io ho sopra tutto stizza contro a certuni, i quali quando hanno cominciato un ragionamento non pensano mai a toccarne la fine. Mille volte tu credi, che sieno per chiudere, e ritrovano tanti appicchi, viottoli, aggiramenti, e tante fila gittano, e ora a questo, ora e quello s’appigliano, che il fatto loro è una morte a stargli ad udire. In tutto l’anno presente, io sono uscito un giorno solo di Venezia due dì fa, e mi sono abbattuto a uno di questi tali, che m’empiè il capo di tante parole, che fui vicino a stordire, e tuttavia il termine mi riuscì, per caso, da ridere, e giocoso. È questi un certo valentuomo, che passa oltre a’quarant’anni, e afferma che n’ha trentadue a pena, e perchè non sò qual calamità passatagli ha fatti uscire qua, e colà delle gengìe da forse sei denti, n’ha comperi altrettanti da un artefice, e tiengli in bocca per suoi fino al tempo dell’andare a letto, e allora gli ripone sull’armario in uno scatolino nella bambagia. Tiensi pel miglior dicitore di questo Secolo, e principalmente per Cacciatore come Ateone, e sempre va con l’archibuso in ispalla, e quando ritorna a casa, racconta i più mirabili accidenti che fossero mai d’un certo suo cane, d’una quaglia, o d’una Beccaccia, e quando egli entra a dire del suo archibuso, la lingua non può più arrestarsi in sua bocca. La fortuna, che mi strazia per ogni verso, mi fe trovare costui in un Cortile, mentre ch’egli ritornava a casa, col suo archibuso in ispalla, e col cane alle calcagna; onde vedutomi, come quegli, che mi conosceva da lungo tempo, incominciò a cianciare; e a raccontare il fatto mirabile d’una Lepre, che s’era fuggita, con non sò quai pallini nel groppone, e dalle dalle dalle tanto sì scaldò, che percosso colla lingua un dente, lo sbalestrò in terra di quì colà, come se l’avesse sputato. Beccavano all’intorno di noi alcuni polli, e come fanno, che quando veggono a cadere qualche cosa, allargano l’ale, allungano il collo, e corrono a quella in furia pigolando per beccare, se ne mosse uno stuolo, e un fra essi prese il dente in becco, e giù nel gozzo. Il galantuomo, che s’era già chinato per ricoglierlo, e vedevasi la preda uscita di mano, montò in tanta furia, contro al Pollo, che avea beccato il dente suo, che il tirar giù l’archibuso della spalla, lo scaricare, l’ucciderlo, fu un battere di palpebre. Indi preso un coltello lo sparò, e trattogli il gozzo, prese da me commiato, e senza altro dirmi, vergognandosi del caso, andò a’fatti suoi, con esso gozzo in mano, come s’egli avesse avuto un tesoro; e io liberato, da una Villanella, che si querelava pel pollo suo, lo comperai due cotanti di quel, che valea, per gratitudine del ricevuto benefizio.
Adì 19. verso l’ore 10. s’appiccò il fuoco in un casamento a Santo Eustachio, e vi fece una notabile distruzione. Le particolarità del caso, si raccontano, com’è usanza, in varie forme, sicchè il vero si può ritrarre da’pubblici ragionamenti col tempo piuttosto, che in altra forma.

Metatextuality

Vorrei che non fosse vera la sostanza di tale calamità, come non sono vere in gran parte le circostanze, che ne vengono raccontate.
Cose perdute. Un’Anello d’un Cameo di due, colori legati in oro. La Testa d’una Donna di color bianco, col velo in capo, ed il fondo scuro. Chi l’avesse trovato lo porti alla Bottega del Sig. Paolo Colombani Librajo in Merceria della Pace che sarà compensato con due Zecchini Veneti. Chi avesse trovato una Cagna Levriera tutta bianca, piuttosto magra, perduta adi 15. del corrente, la porti la sera, tra l’una o due ore della notte alla Bottega d’acque a San Moisè alle Rive, dove dal Padrone di essa riceverà la cortesia. Case da Fittare fuori di Venezia. Casa d’affittar vicino al Borgo del Portello in Contrà degl’Ogni Santi nella Città di Padova, con tre Appartamenti, Stala con due Poste, Rimessa, Tezza, Orto, ricinto di Muro, ed ogni altra sua commodità, chi applicasse parli col Sig. Zuanne Pasini stà di Casa a S. Bortolamio di Padova, ed in Venezia col Sig. Paolo Colombani, paga Duc. 80. Case da Fittare. Casa d’affittar a S. Felice su la Fondamenta attacco a Kà Antelmi, con Pozzo e due Rive, paga all’anno Ducat. 85. Chi la vuole parli con quel dalle Casse vicino.