Zitiervorschlag: Luca Magnanima (Hrsg.): "Saggio XVIII.", in: Osservatore Toscano, Vol.1\18 (1783), S. 192-198, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3711 [aufgerufen am: ].


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Saggio XVIII.

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Sulle malattie de’climi caldi, e delle lunghe navigazioni.

I nostri Europei corrono da tutte le parti alle due Indie, a fare, come dicon essi, la lor fortuna. Il Gange mena le arene d’oro, i monti, i piani anno l’oro, l’argento, i diamanti nel loro seno. E che altro sono le ricchezze le più stimate se non questi metalli preziosi, e queste pietre? Le Indie sono il porto, ove finisce la povertà, sono le isole beate, ove chi può entrare, sorte un altr’uomo, perchè fatto già ricco.

Quanto son mai sconsigliati costoro! Quanto mai erra chi potendo vivere a casa sua, va a cercare paesi così remoti, che non conosce! Ecco un misero esempio di quel che gli uomini fanno assai volte senza sapere il perchè. Vanno in traccia delle ricchezze, e vi perdono la vita. Bisogna bene essere sconsiderati, e intrepidi nel tempo [193] stesso per correre dietro ad un oggetto che ha un bene in vista con mille precipizi, e mille mali nascosi.

Perisce dunque ogni anno gran numero di quelli che vanno in paesi così lontani. Le malattie son certe, e nascono sì dal calore del clima, che dall’impurità de’luoghi, ove talora son costretti a dimorare. Il calore rende le traspirazioni così abbondati che nulla più. Il sangue perde a poco a poco l’intima sua coesione, i solidi la loro elasticità. Quindi la snervatezza universale, le cattive digestioni, le peggiori nutrizioni, e tutte le malattie che nascono da rigurgiti di bile, e da corpi che sono ormai nell’ultimo languore di appetito, e di forze. Se poi si aggiungano le putride esalazioni che si bevono, per così dire, coll’aria che s’inspira, e che entrano nella massa degli umori, non si penerà gran fatto a prevedere l’indole, e la forte de’mali che uccidono tante vite, che la sete dell’oro vi condusse.

Le febbri che attaccano gli Europei in questi climi sono remittenti, e continue, e tutte consegni di putredine. Ingannano esse i men pratici con una finta pletora. Quindi le cavate di sangue son funeste, anzi subito micidiali. Il primo passo è di nettare lo stomaco, e gl’intestini dalle materie biliose coll’emetico, e con la purga; e passare agli oppiati per ridurre la febbre a intermissione, la quale ottenuta, si fa subito uso della china. L’oppio in questi casi è di un vantaggio [194] mirabile. Mitiga l’accesso della febbre, il dolore di capo, rammorbidisce la cute, promuove sudori abbondanti, e concilia un sonno dolce che fa risorgere l’infermo quasi libero da ogni molestia. Di più l’uso degli oppiati non solo riduce la febbre a intermissione, ma calmandone la violenza e diminuendo il corso, difende la costituzione dell’infermo, perchè la preserva dalle ostruzioni della idropisie, e dalle itterizie. Le crisi favorevoli si fanno per via di sudori, e per diarree biliose; ma la migliori e le più sicure seguono per via di eruzioni alla cute.

La Diffenteria è malattia de’climi caldi. Ella è prodotta dalle stesse cause della febbre, e dalle bevande spiritose. Ella è originaria, e sintomatica. La prima attacca le persone anche le più sane. La seconda, perchè conseguenza di febbre sofferta, e perciò di uno stato di languore, è quasi sempre mortale. Può curarsi l’originaria, purchè sia fatto sul principio. Bisogna però sapere che in diversi modi si manifesta. Ora è uno scioglimento di muco intestinale, e di sangue, ora di bile in materia viscosa, e nericcia, che si prenderebbe per sangue aggrumato, ora è accompagnata da accessi di febbre, preceduta da freddo, ora da sconvolgimento di’intestini, ora si manifesta con pene fisse in qualche parte del basso ventre. Per ultimo in alcuni è accompagnata da punture acutissime sotto le costole spurie; in altri gl’ipocondri sono le parti le più trafitte, [195] certi non senton altra pena che verso la pelvi con vano sforzo di evacuare, che poi si riduce a rendere alcune materie viscose, e sparse di sangue.

La cura n’è semplice; somente al basso ventre, clisteri, purghe gentili, narcotici, e soprattutto piccole dosi d’ipecacuana, ed in più modi amministrata, bevande farinose senza più. Non si dee far uso degli oppiati che con somma cautela, nè prima di aver purgato l’infermo. Neppure le cose astringenti debbono usarsi, per la ragione che non di rado sono l’origine della timpanitide, della cancrena, e dello sfacelo.

La Collera è anche malattia frequente sotto i climi caldi. Ella è terribile, e rara ne’temperati. Per la sua violenza uccide in meno di un giorno. La cura esser dee antiflogistica, e refrigerante, preceduta da leggiero emetico, e da purga gentile. Dopo di ciò si debbon dare in abbondanza le cose dolcificanti, diluenti per lavare il condotto intestinale, le bevande acidette, il fiero, le tisane d’orso, di riso, senza lasciare i tepidi semicupi, gli enemi diversi, ed i calmanti secondo il bisogno.

Le malattie del fegato in India sono le ostruzioni, l’infiammazione, l’aumento di mole. L’Epatitide si conosce alla febbre che precede, al dolore, e al calore nell’ipocondrio desto, il qual dolore si estende fino alle scapule, e rende l’omero inetto a’suoi moti. Non manca la difficoltà del respiro; ed è impossibile di giacere sul lato [196] opposto. Infine tutta la superficie del corpo è giallastra.

È da notarsi l’aumento di mole già detto di questo viscere, che si è trovato da tredici in quattordici libbre. Non è rara questa orribile malattia sulle navi inglesi che tornano dall’Indie, e massime quando gli equipaggi an dovuto nutrirsi di pessimi cibi con acque corrotte. I sintomi che l’accompagnano sono i più funesti, come vertiggini, deliquii al minimo moto, affanno grandissimo, i quali crescendo conducono l’infermo a morir soffocato.

La cura la più appropriata in queste malattie del fegato è la mercuriale. Non bisogna stupirne; l’esperienza ha ormai deciso in suo favore; ed è ormai per esse il mercurio uno specifico. Bisogna dunque eccitare la salivazione, che ella è il solo rimedio, per cui i più si sottraggono alla morte. I medici dell’Indie, quelli che dopo una lunga pratica ne anno scritto, come il dottore Jacopo Lind, gli spedali brittanici, ci fanno ampia fede delle guarigioni che se ne ottengono.

Consideriamo ora il Reumatismo che possiamo dire indiano. È assai più comune, e violento lungo la costa del Malabar che altrove. Domina ne’mesi di decembre, di gennaio, di febbraio e di marzo, perchè allora i cambiamenti dell’aria sono sì frequenti, che variano il termometro sino a quindici, e diciottto gradi. In somma nasce dalla traspirazione insensibile soppressa, perchè sof-[197]fiamo venti sì di terra che di mare dopo il mezzodì ogni dodici ore. I secondi assai freschi succedono a’primi; e perchè si credono un dolce refrigerio al sofferto calore del giorno, molti vi stanno esposti la notte, e così restano presi dalle affezioni reumatiche, le quali fanno perder l’uso degli articoli; il dolore n’è grande, e la febbre gagliarda.

I naturali del paese usano questa cura. Mettono l’infermo nella rena fino al collo sul meriggio, ed ivi lo tengono finchè può soffrire il calore; e non di rado tal cura è felice. Spesso però al Nord della costa suddetta, come a Surat, e a Bombay si veggono perfette emiplegie in conseguenza del reumatismo sofferto.

Lo Scorbuto è malattia più di mare, che di terra; e comunque della sia, è la stessa pe tutto, ed ha le medesime cause. Gl’Inglesi la conoscono meglio delle altre nazioni, perchè più navigatori, e più carnivori. Ne son dunque attaccati gli equipaggi pel lungo uso d’impropri alimenti, per mancanza di pulizzìa, per indolenza, e per tristezza di animo. Quando non sia pervenuto all’ultimo grado, l ’opposta dieta è rimedio sicurissimo, e generalmente l’aria di terra, l’erbe, i pomi, e le bevande con fughi vegetabili, sono in male così terribile, e lugubre, il balsamo della vita. Lascio di parlare delle malattie veneree, notissime in tutto il globo più commerciante, e forse penetrate ancora nell’isola beata d’Otaiti, la prediletta del celebre, ed infelice capitan Cook.

[198] Tali sono le infermità de’climi caldi, e delle lunghe navigazioni, descritte da Niccola Fontana nel suo libro, di cui questo è il sunto. Abbiam lasciato le storie particolari, come pure il diario meterologico che vi premette. Egli assicura che sotto certi climi gl’influssi lunari possono molto sulle malattie.Ebene 3► Zitat/Motto► Di questo fatto anno maggior comodo, egli dice, d’esserne convinti tutti gli esperti medici che esercitano nella città, e ne’luoghi lungo le coste dell’Oceano, dove la pressione di quel pianeta sulle sue acque, è più manifesta ed attiva. Nel tempo del nostro soggiorno a Delagoa, mentre eravamo ancorati in quel fiume, dove si osserva una patentissima differenza di otto e nove piedi dalla bassa alla piena marea, potevo con sicurezza pronosticare le nuove remissioni, ed esacerbazioni di febbri, e talora predire la morte degli’infermi più gravi, che in generale avveniva in tempo della bassa marea ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3

In quanto al termometro, esposto sulla Nave, il grado del calore di rado ha sorpassato l’ottantesimo di pichi gradi. In terra sarebbe stato maggiore. Dalle sue osservazioni sul barometro risulta esser soggetto a poca variazione dove spira un moderato vento quasi costante dal medesimo rombo come sono i regolari venti alisei che s’incontrano fra’tropici; osservazione fatta dall’Halles, e confermata da molti altri, che anno studiato le variazioni del barometro. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1