Citazione bibliografica: Luca Magnanima (Ed.): "Saggio IX.", in: Osservatore Toscano, Vol.1\09 (1783), pp. 112-120, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3701 [consultato il: ].


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Saggio IX.

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Della Sobrietà ne‘nostri tempi.

A me pare che la Sobrietà non sia più fatta per la nostra specie. A misura che gli uomini si sono arricchiti sulle spoglie degli altri, che si sono scoperte nuove terre, e nuovi mari, che se ne sono straziati gli abitanti, ed i re, si è perduto affatto ogn’idea di moderazione, di semplicità anche nell’uso degli alimenti. Noi superbi europei consumiamo tutto quel che producono le altre parti della terra. Intendo ora di quel che passa sotto nome di alimento. Non importa che ci sia straniero; ci siamo per modo abituati a’prodotti delle più lontane contrade, de’climi più remoti, che sembra ormai non più coltivarsi i loro piani, ed i loro colli che per noi. Testimoni ne sieno il caffè, il caccao, la cannella, lo zucchero, la noce moscata, i garofani, il thè, di cui fanno tanto commercio tutte le nazioni, e massime gl’industriosi Olandesi. Quante sorte di thè non vi è egli mai, ed a qual prezzo? Ma abbiamo noi la-[113]sciati almeno in pace gli abitatori de’loro mari? Questa sarebbe stata una grazia che non potea sperarsi nè dalla nostra avarizia, nè dalla nostra pulitezza eccessiva. Non solo si è fatta una guerra ostinata a’piccoli pesci, ma ai vasti e smisurati. Nemici nati di tutte le creature viventi che potean saziare la nostra ingordigia, siamo andati ad aspettarli fra le nebbie, e fra’ ghiacci per alzarne delle cataste, e trasportarle fra noi. E perchè si sarebbero putrefatti naturalmente, si pensò subito al modo di conservarli per lungo tempo, anche a traverso delle lunghe, e faticose navigazioni. In somma ci sembrerebbe ora di essere affatto impoveriti, di non avere più mai il necessario alimento, se ci venissero a mancare i prodotti, de’quali non si ha memoria nell’antico mondo romano.

Tale è ora il nostro stato, riguardo alla sobrietà. Consumiamo quel che producano le nostre terre, i nostri mari, i nostri fiumi vicini, i colli, i monti che abitiamo, e tutto quel più che ci vien portato dall’Asia, dall’Affrica, dall’America. Non pensiamo che ogni anno, anzi tutto l’anno periscono tralle onde migliaia d’infelici che vanno sotto climi i più gelati, e i più ardenti per trasportare ne’nostri le merci già dette. Questo è un orrendo sacrificio che si fa al lusso della nostra gola insaziabile. Ma non importa gran fatto; perchè sembra ormai stabilito che una parte della nostra povera specie debba perire sul fiore della età, perchè quella che resta stia be-[114]ne, e perisca più tardi fra i disordini del ventre.

Osservino qui un poco i Filosofi, ed io l’invito, che cosa è quest’essere che si chiama uomo. Si parla con orrore de’leoni, delle tigri, de’serpenti, come di bestie le più feroci, di bestie che divorano ad un bisogno i lor parti. E l’uomo non è il più feroce? Non è il maggior distruttore, ed il maggior consumatore che abbia la terra? Il leone, la tigre, la pantera s’infuriano, e si avventano ancora, quando sono attaccati. L’uomo corre tutte le contrade, ne cerca tutti i nascondigli i più remoti, per fare atroce guerra a tutti gli animali, ed a quelli più degli altri che più presto può trovare. Non ne rispetta pur uno. O gl’incatena, o gli uccide. Dopo una vita così terribile, e perciò tanto poco ordinata, io stimo che la Natura intera sarebbe poco alla sua voracità, se la Natura stessa non avesse vietato che alcuni esseri non dovessero servire per cibo o per lusso dell’uomo.

Ma appena che abbiam cessato di contentarci di alcuni cibi semplici delle nostre terre, ed abbiam lasciato di esser frugali, anno cominciato i disordini nella salute. E non potea non esser così. Siam divenuti più voraci, abbiam voluto la varietà, e l’abbondanza. Non abbiam considerato che in tanto siam sani, in quanto le funzioni della vita animale si fanno senza stento, nè pena. Abbiam voluto sforzare i nostri organi, e fra questi lo [115] stomaco, fede, e principio di quasi tutti i mali, a voler contenere quel cibo che non potea naturalmente; le digestioni si sono mal fatte, i fughi umani imbrattati, sì per essere stati i cibi mal digeriti, sì per la lor varietà, incapace ella pure a non esser convertita in buon fugo; la salute ha cominciato a vacillare, e la morte ha dovuto mietere fuori di tempo molte vite, e molte altre an dovuto farsi per sempre cagionose, o languenti. Dopo tutte queste osservazioni, è egli da meravigliarsi, che la nostra specie sia decaduta dal suo primitivo vigore, e vada sempre più decadendo? Se poi a questi mali terribili della intemperanza se ne aggiungano altri che fanno fremere la natura umana pe’loro effetti, si vedrà chiaro quali orribili conseguenze, per dirlo in passando, porti seco la perdita della semplicità nostra prima, e del nostro primo costume.

Alziamo dunque la voce, ed assicuriamo che la Sobrietà è stata in ogni tempo la più fedele, e la più dolce compagna che abbia avuto la salute dell’uomo. E se mai quest’ultima è stata costretta a languire o per breve o per lungo tempo, data una certa speranza di guarigione, la Sobrietà è stata l’unica, la grande, la divina medicatrice de’mali. In tutti i secoli, in tutti i governi o moderati, o crudeli ne abbiamo degli esempi memorandi; ed i medici sommi, le opere de’quali sono a noi prevenute, anno fatto vedere più degli altri quanto è ella benefattrice, e possente. Galeno, le [116] di cui opere insegnano ancora, Galeno, quel medico sì dotto, sì costumato, ed eloquente dice così di se stesso: Nacqui di complessione debole, ed infermiccia. Nella prima gioventù fui esposto ad alcune malattie, che mi diedero da pensare. Giunto al ventottesimo anno seppi che vi erano regole sicure per conservare la sanità. Le appresi, ed a loro soggettai; e per averle esattamente osservate, ebbi il contento di trovarmi ben presto libero da’miei mali, come sono fino al presente. Non nego di non essere stato attaccato più volte della febbre; ma ella è stata un effetto delle fatiche della mia professione, le quali voglion l’animo ed il corpo soggetto. (a)1

Simile a quello di Galeno è l’esempio del celebre vecchio Luigi Cornaro. Livello 3► Exemplum► Nacque egli pure cogli stami della vita assai deboli; e per essersi gran tempo consigliato colla gola, era soggetto a dolori di stomaco, a dolori colici, a’principj della gotta, e, quel che è peggio, ad una lentissima febbre che avea ogni giorno. Dai trentacinque fino ai quaranta anni fu la vittima di questi mali; ed era quasi disperato il caso di più guarire, quando risolvette di abbandonare medici, e medicine, e darsi alla rigida sobrietà. A poco a poco si dileguarono tutti i suoi incomodi, e mercè di essa egli arrivò a passare i cento anni, sempre sano, sempre eguale di spirito, e sempre con forze per fare certi esercizi che convengono agli anni più freschi. ◀Exemplum ◀Livello 3

[117] Alcuno però qui dirà: Qual è la vera causa della presente brevità della vita? Noi viviamo assai poco in confronto de’ nostri primi tempi. I peccati della gola son grandi, son micidiali; ma son eglino i soli, ed i più forti? Rispondo che nell’uomo libero, nell’uomo che può vivere a suo talento, io non ne veggo altri, che attacchino sì da vicino, e con tanta furia la salute umana. Quando il nostro stomaco manca de’suoi fughi, o sono viziati, quando ha dovuto distendersi molto tempo fuori della sua natural capacità, non è meraviglia che si riduca a tal debolezza da far male le sue funzioni, o da non poterle più fare. Ecco allora un ristagno de’cibi, e delle bevande. Quali conseguenze lacrimevoli! Altri disordini ci sono per indebolire la salute, e sono le forti applicazioni della mente, le passioni, e questa è un’altra sorgente di malattie che avvelena, ed uccide quanto può fare l’intemperanza.

Concludiamo. Si potrebbe egli rimediare alla brevità de’nostri anni cagionata dall’essersi fatti così voraci di molte, e piccanti vivande? Io non dubito di affermare di sì. Manchiamo, è vero, di un maggior numero di sperienze; ma quelle che abbiam vedute, essendo felici, debbono farci credere che il numero si accrescerebbe, se i nostri uomini pensassero un poco più al maggior bene della vita. Il monaco Bacone crede che la vita umana si è abbreviata per essersi trascurate in tutti i secoli le regole della sanità. Questa negligenza, [118] egli dice, è stata universale, e tutti i medici se ne sono scordati. Nella gioventù nessuno pensa alla salute; quando ci avanziamo negli anni, uno appena in tre mila vi pensa, ed il pensarvi allora è troppo tardi, perchè non si può fermare la morte, che sta vicino alla porta. Imparisi dunque che bisogna pensare sul fiore degli anni alla sanità, come si pensava da’romani in tempo di pace al tempo della guerra. Dobbiamo far poche fatiche, cioè ricordarsi di esser semplici e frugali nel vitto, rigidi nel frenare gli appetiti; punto capitalissimo nell’esercizio della Sobrietà. Si penti che la Natura fa tutto col poco; che se noi la carichiamo, se sforziamo i nostri organi a fare più di quel che possono naturalmente, tutto è perduto. Il corpo merita tutte le nostre attenzioni, perchè se egli non ista bene, lo spirito è nella dolorsa necessità di languire.

Dobbiamo imparare altresì che la vecchiezza essendo diversa dalla gioventù, ha ella pure le sue regole per condursi. Noi non le osserviamo mai, o punto non le sappiamo. Fatti vecchi facciamo le medesime fatiche de’giovani; anzi si comincia a faticare quando si dovebbe [sic.] finire. Si risponderà che il bisogno inesorabile costringe. Io l’accordo; ma se il giudizio avesse accompagnato la Sobrietà in tempo opportuno, questo pressante bisogno non accompagnerebbe la vecchiezza. Mi spiegherò anche meglio; se non si fosse stati in consumatori costanti di quel che può servire a più [119] persone, e che la Natura rigetta, non si sarebbe in tale stato. Non è un’invenzione degli uomini il Risparmio, è una legge della Natura medesima che con poco tempo, e con poco moto fa opere che fanno meravigliare i nostri poveri ingegni. Diamo alcuno regole per color che anno la costanza di essere sobrii, per giungere ad una prospera ed avanzata età. Più giuste di quelle del gran Bacone da Verulamio, non potrebbero immaginarsi. Adunque daremo quelle che questo grand’Uomo prescrisse nella sua Storia della vita, e della morte

Vuol egli primieramente che i Vecchi rammentino spesso i diletti della gioventù, perchè si fatta memoria rallegrandoli assai, contribuisce a prolungare i lor giorni. Secondariamente egli consiglia a sapersi prevalere del tempo della giovane, e della virile età per modo che possano abbandonarsi a’diletti della compagna, che divertono lo spirito, e rinvigoriscono il corpo. Raccomanda in terzo luogo che si abbia l’occhio allo stomaco, perchè non manchi alle sue funzioni; ciò che noi pure abbiam detto di sopra. In ultimo è suo consiglio che, ogni due anni, quando l’età comincia a pesare, si debbano rinnovare gli umori del corpo, ed estenuarli coll’ultima astinenza nel mangiare, e nel bere per alcuni giorni.

Resterebbe ora da parlare de’vantaggi che vengono allo spirito dalla pratica sempre ferma della Sobrietà; ma non è necessario di farlo, perchè ognuno può aver osservato essere assai lieto lo spi-[120]rito quando lo stomaco ha fatto soavemente le parti sue, o quando il nostro giudizio non l’ha condannato senza delitto a soffrire quel che non può soffrir mai senza offesa del corpo. Sicchè lasceremo l’argomento, e la penna, senza persuadersi che gli uomini saranno più frugali di quel che siano stati in tutti i tempo. Saremo contenti se qualche sconsigliato ne’disordini del ventre, può ridursi sano un’altra volta, con adottare la massima che le più belle cose si fanno sempre col poco. Solo aggiungeremo che se gli uomini vivessero nella Sobrietà, dovrebbero ogni dì faticare assai meno, potrebbero cestare per tempo dalle fatiche, esser sempre più lieti, e non perdere una buona parte del tempo in lamentarsi della Natura, quando non si ha abbondanti materie per saziare la loro vasta ingordigia; e per conseguente sarebbero liberi dalle malattie, che affliggono più le città che le campagne, e liberi da’languori che portan seco per una dura necessità. ◀Livello 2 ◀Livello 1

1De sanit. tuenda lib. 5. cap. 4.