La Gazzetta Veneta: N. 72
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Nível 1
N.° 72.
Sabbato addì 11. Ottobre 1760.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Nível 2
Metatextualidade
In una Lettera capitatami dalla Badia si legge il seguente caso.
Nível 3
Carta/Carta ao editor
Narração geral
L’ultimo dello scaduto Mese morì quì alla Badìa di Polesine un fanciullo d’anni 17. d’un Canapajo o sia venditor di corde di canape. Fu portato alla Parrocchiale, e deposto il Cadavere si levò tra le femminelle e il minuto Popolo astante un bisbiglio dicente, che il morto suda. Intanto che gli si cantavano le Preci crebbe la voce del preteso sudore; chi entra, chi esce della Chiesa nella vicina Piazza, dissemina il rumore. Un Letterato uomo assai dabbene entra in Duomo cogli occhiali sul naso, e gli sembra veder il fenomeno, o qualche cosa di somigliante, quindi corre dal Podestà e chiede facoltà perchè sia differita la sepoltura. Si porta perciò il corpo in Sagrestia, gli si assetta un buon letticello con guanciali, coperte, e scaldaletti e spiriti odoriferi, tutto si pone in opera per suscitar nuovo moto alla sopita spoglia, e di più si chiama il Chirurgo, che indarno punge la vena, e indarno gli si danno varj colpi di fuoco; quando mancato già da molto tempo il sudore deterso, ed essendosi riscaldate con molta violenza le membra o sia il fracido Cadavere, incominciossi a fiutare un mal odore che fe’dileguare gli spettatori, ch’erano già per la maggior parte buone persone facitori di meraviglie, e stupori: e così stanchi di aspettar altro che il fanciullo tornasse in vita lasciarono al Becchino far l’uffizio suo.
Metatextualidade
Scrivo questa faccenda per lo peso che diede alla credenza del minuto Popolo il Letterato dagli occhiali.
Nível 3
Carta/Carta ao editor
Voi siete così innamorato de’Teatri, ch’anche in questo breve tempo di villeggiatura, non potendo esservi presente, volete almeno sentirne a parlare. Non vi basta d’aver portato con voi alla Campagna un Baule pieno di Commedie Italiane, Francesi, e Inglesi, le quali sono da vol iette (sic.) sempre con avidità; che movete nuovi dubbii intorno a’Teatri, e volete sapere qualche cosa. Che diavol fate voi costà? Se tale è il vostro diletto nel ritrovarvi a’Teatri, che non dimorate voi in Venezia; ma ve n’andate fuori, per sollecitare poi gli altri a star colla penna in mano, e a rendervi conto di quello, che quì si rappresenta? è perchè vi pare, che manchi la materia, e ch’io v’abbia detto poco nell’altre due lettere mi stuzzicate a dirvi la mia oppinione (sic.), cioè se sieno più da apprezzare le Commedie pensate, e scritte dall’Autore, e imparate a mente da’Commedianti, o quelle, che i Commedianti sopra una ristretta orditura fanno da sè all’improvviso. Intorno a ciò brevemente io vi rispondo, che tanto è da tener conto dell’uno, quanto dell’altro genere di tali Commedie, e che grave è lo sbaglio di coloro, i quali giudicano dell’una e dell’altra qualità come se fossero una cosa sola. Benchè il nome dell’una e dell’altra sia Commedia, le sono però come Madre, e Figlia tuttadue di un casato, ma non hanno le stesse fattezze, nè la stessa corporatura, e alla somiglianza sola si conosce, che l’una dall’altra è discesa. È vero ancora che un’arte medesima le compone; ma con differenti avvertenze; le quali e nell’una, e nell’altra sono molte, e sarebbero lunghe a noverarle tutte; ma io ne dirò solo le principali, toccandone i capi. Per la Commedia improvvisa si debbono lasciare indietro i caratteri, e massimamente quelli, ch’abbiano in sè qualche squisitezza, perchè i Commedianti, per quanto sieno ingegnosi, e pronti di spirito, non possono repentinamente entrare in tutte le parti di quel costume, che rappresentano. Laddove all’incontro uno Scrittore pensando e meditando al suo tavolino può a suo agio ripescare, e razzolare in tutte le fibre del cuore umano, e dipingere le infinite facce di quello in ogni argomento da lui preso a lavorare. Nella prima tutta la mira dee essere rivolta alle maschere, le quali non sono altro, che caricature d’Uomini, ch’ogni cosa tirano al piacevole, e alla ridicolosità; nell’altra la diligenza dello Scrittore dee essere riposta nell’imitare la natura de’caratteri da lui trovati facendoli spiccare dalla parte del ridicolo; ma con nobiltà, e grazia. Nella qual cosa passa la diversità, che sarebbe fra una Pittura del Calotta, e un ritratto, che rappresentasse una giovialità naturale. Nella Commedia improvvisa si richieggono costumi vistosi, evidenti, e gagliardi, di quelli, che si veggono ogni dì, che tosto si conoscono, che sono manifesti agli occhi di tutti, perchè i Comici gl’intendono, vi s’intrinsecano facilmente, e ne fanno ritratti senza applicazione, e con quella libertà, che da vita, e calore al dire improvviso: nell’altra ogni costume può aver luogo, purchè l’ingegnoso Scrittore lo squaderni da ogni lato, lo conosca, lo tragga fuori e lo metta in quell’aspetto, che tocchi; e punga gli Ascoltanti. Questi sono in parte i principali accorgimenti, secondo il mio parere, e se volete sapere quale di queste due qualità di Commedia debba avere la preferenza, dicovi che tuttaddue sono buone, e belle; tuttadue sono un imitazione di natura in loro specie perfetta. Se poi mi chiedeste quali sieno di maggiore utilità a’Teatri, vi risponderei le improvvise, perchè queste sono di maggior durata dell’altre, e non senza ragione. I costumi sono una cosa infinitamente volubile, e che spesso si cambiano, massime quelli che sono dilicati, e fini, i quali per lo più nascono da certe particolari congiunture, o nuove fogge entrate fra gli Uomini in un luogo. La Commedia pensata e scritta gli coglie con diligenza, e tutti gl’imita, onde di là a pochi anni passata la voga di tale, o tal costume, eccovi la Commedia vecchia, e intarlata. All’incontro i costumi Popolari (sic.), e più grossi durano più, ed eccovi la Commedia improvvisa più durevole. E posto ancora, che l’una e l’altra dipingessero costumi stabili, e durevoli, quali sono l’Avaro, il Geloso, il Goloso eccettera, la Commedia scritta non si muta mai, ed è sempre quella medesima, che fu scritta dall’Autor suo, onde il ripeterla viene a noja, perchè a poco a poco gli Ascoltanti l’imparano, per così dire, a mente. Cambiasi bensì l’altra, in cui rimanendo intera la prima orditura, mutasi il Dialogo ogni sera, e rinnovasi ad ogni rappresentazione; e secondo che da questi, o da que’Commedianti viene rappresentata, rifiorisce, ringiovanisce, e quasi sopra un vecchio tronco nuovi rami, e germogli rimette. Se qualche cosa è invecchiata il valente Comico la tronca, e vi sostituisce novità; se qualche favorevole circostanza gli si presenta, la coglie; e con quel fuoco, che viene somministrato dall’obbligazione del parlare improvviso, quasi dall’entusiasmo invasato, a tutto dà vita, e calore; prendendosi, per così dire, in aria, motti, pronte risposte, berte, burle in sul fatto, che fanno più pronto effetto delle meditate, e pensate. Per ora parmi d’avere cianciato a bastanza. Questa è materia da farne un Trattato, non una Lettera: Passeggiate sulle rive della vostra Brenta, e giudicate se ho detto il vero. Addio.
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Carta/Carta ao editor
Signor Gazzettiere.
Voi siete portato al bene, e a difender tutto; onde vi prego a sciogliere certi dubbii, che sono nati l’altra sera in una Nobile Conversazione sopra un Prologo, che fu recitato la prima sera a San Giangrisostomo.
Primo dubbio. Se si possa introdurre il Giorno, e la Notte a parlar insieme, col Sole presente.
Secondo dubbio. Perchè da dieci anni soli in quà Venezia accetti la Poesia? e che cosa significhi il desiderio d’Apollo di scambiar l’Adria come Dafne in un alloro?
Terzo dubbio. Se sia un carattere degno da investirne Venezia il mandarla davanti alla Fortuna a domandare un giorno, e una notte in grazia d’una Compagnia di Comici.
Quarto dubbio. Se sia prudentemente detto un verso, che finisce o vincitrice, o vinta.
Quinto dubbio. Se da un’urna, dalla quale si cava tutto ciecamente, la prima Polizza, che si cava possa essere quella, che appunto si desidera, principalmente avendo scossa l’urna prima di cavare.