Cita bibliográfica: Francesco Grassi (Ed.): "Num. 22", en: Spettatore piemontese, Vol.1\22 (1786), pp. 175-192, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3624 [consultado el: ].


Nivel 1►

N.o 22.

Cita/Lema► Irritat, mulcet, vanis Terroribus implet.
Ut Magus . . . . .
◀Cita/Lema

16. Ottobre 1786.

Nivel 2► Penso di poter affermare con certezza, che delle dolci Attrattive di Poesia nascano tutti gli Uomini (qual più, qual meno) sensibili naturalmente. Se ciò non fosse come tutte le più insigni Poetiche Opere d’ogni Lingua avrebbonsi potuto fissare così universalmente tanta Parzialità nel Mondo, che altre di Esse dopo parecchie Migliaia d’anni verde tuttora preservino la Gloria loro; altre sottentrate a mezza età accrescansi sempre più (col maturarsi) d’Estimazione: senzachè le più recenti (trattane l’insignificante Ritrosia dell’Invidia) vengano defraudate del meritato Favore appo i riconoscenti Coetanei? – Dell’Arte allettatrice delle Muse o noi siamo dichiarati Partigiani; o (sebbenanche in Apparenza indifferenti Spettatori, o talvolta ancora professamente Detrattori schifi) l’Effetto stesso non di rado, il dimostrativo Effetto ci scopre palesi (così come gli altri) Dilettanti. Taluno trova [176] stucchevole la Lirica, che beve con avid’Orecchio i mordaci Sali della Satira. Chi sostener non potrebbe il Tedio di leggere un Poema Epico, fuggevolissimi accusa i Momenti d’una Drammatica Rappresentazione. E colui che abborrisce le Impressioni profonde dell’insanguinata Tragedia, ride via (Spettatore trasportato) ogni sua Cura, nelle ingegnose Stravaganze della giocoliera Commedia; o viceversa. – Diciamo adunque che la Poesia, quasi Maga potente, anche i più ritrosi alletta colla Dolcezza di sua Illusione. – Ora a me sembra, che il considerare in che realmente consista questo sì maraviglioso Fascino nelle eccellenti Poetiche Composizioni potrebbe addestrar l’Arte nel farne di somiglianti; ed il Criterio nel giudicar delle fatte. – Grand’Uomini (Castelvetro, Quadrio, Gravina, Bossu, e molti altri) trattarono somigliante Quistione in grandi Volumi profondamente, e dottamente; la mia Ambizione ristringerebbesi a poterla spiegare sensibilmente in un breve Foglio! – Ponendo quì io primieramente per Fatto stabilito dall’Esperienza, che alcune Poetiche Composizioni affettino l’Uomo pateticamente, convien provare ad Evidenza come? e per quai Mezzi possono affettarlo? Nel che, se non interpongasi Operazione di [177] reale Magia, tutto l’apparente Prestigio in altro non consiste che nell’Effetto delle metriche Parole sulla Mente, ed Immaginazione. Ogni Parola, che o letta, o ascoltata offre allo Spirito l’Idea d’un Oggetto, fa in certo modo le Veci d’Immagin, o Pittura: la quale, come più chiaramente distinguerebbesi da più perspicace Pupilla, se vera Immagine fosse o colorita, o scolpita; così la Specie adombrata nel Vocabolo più viva eccita l’Espressione dell’Oggetto in Apprensione più discernente. – Ora per render ragione di tutta la prestigiatrice Energia Poetica (ed anche Oratoria) di qual altro Principio ho io d’uopo, che di questo, semplice, innegabile, ed a’tutti noto? Il quale però (comunque piano in Teoria apparir possa) Arcano mena seco nella Pratica, degno della presente Disquisizione. Ogni Poetico Componimento, Parto di Mente Maestra, è una Tela, dove queste (non dirò più Parole secondo il Principio sovraesposto) ma Immagini si succedono ordinatamente a formare l’Unità d’un maraviglioso Quadro. Servono al Disegno dell’Immaginario nostro Dipintore gli Oggetti tutti, che dispiegò Natura, od Arte all’Occhio, ed alla Mente sul gran Teatro dell’Universo: e, quando prestabilito abbia quale Impressione convenga [178] di stampare nell’altrui Animo o di Piacere, o d’Orrore, o d’Ammirazione, o d’Odio, o di Pietà, o di qualunque altro Affetto, lavora egli sulla Fantasia colla succedanea Apparizione artificialmente somministrata delle anzidette Immagini dalla general Massa scelte per l’inteso suo Scopo. Quindi è, (per Esempio) che l’annoiata Vedova, rattenuta solinga nel suo Gabinetto dai freddi nuvolosi Soffi di Borea Invernale, rischiara a poco a poco il suo cruccioso Sembiante sul Poetico Prestigiatore, che da quella languente Stagione, e noiosa Cella rapiscela nel mezzo delle più ridenti Vaghezze dell’amoroso Maggio. E l’Arte del Maestro della soave Illusione è tale, che con que’finti, verdeggianti Viali, ombrosi Boschetti, vaghi Compartimenti di fiorite olezzanti Ale, folti Stradoni, Pergolati, Statue, Fontane, Piramidi, Labirinti, Prospettive: con quella finta Armonia d’Acque, d’Augelli, e d’odorosi Zeffiretti; con quella (fatta germogliare a piacere) vario-colorita Famiglia della vezzosa Flora, ed altre somiglianti vaghe Specie, viene trasportata la nostra infastidita tanto lontana dalla sua Malinconia, che (per quanta versi Neve quel giorno il rattristato Acquario) assai sicura ella è fatta contro ogni vaporoso Assalto. – Ma tutto il contrario di [179] questo accade talvolta ad una tenera Donzella, che la brillante Gioia d’un qualche solenne cerchi (incauta!) di protrarre sedendo nel Palchetto Spettatrice di notturna Scena. Tosto il Tragico Mago impossessandosi della cerea Fantasia di lei coi commoventi Spettri d’infelice Amore, di piagnente Amistà, o Parentaggio, d’accesa Vendetta, o smaniante Gelosia, di notturna cospirante Trama, d’appiattato Misfatto, o Tradimento, di Periglio appressante nel buio, d’impugnate balenanti Spade, di vibrati Pugnali, d’avvelenati Nappi, d’altri fieri Stromenti di Morte: e finalmente d’insanguinati Cadaveri, d’Urne, e Tombe ferali, di lugubri Cipressi, ed altri fieri Apparati, stampa così profonde vestigia d’Orrore nel nuovo animo dell’inesperta Giovinetta, che lo Spasmo palpitante di quella Sera funesta riproducesi negli ambascianti Sogni di più d’un’infausta Notte. – Il Secreto adunque del Poetico Incanto è questo: quindi solo l’Immaginazione irresistibilmente accendesi: e quindi per essa dalla Finzione medesima suscitansi le reali Passioni. Classifica il Poeta nella sua Mente l’anzidette moltiformi Immagini: e sicuro dell’Effetto dell’Arte sua attigne dai distinti Fonti ora il Nobile, ora il Grazioso, ora il Tenero, ora il Tra- [180] gico, ora il Burlesco. Onde gli eccellenti suoi Quadri (siano Epici Poemi, Tragedie, Commedie, Odi, Elegie, Satire, od altro) ciascuno nel proprio suo Carattere disegnati, distinti nondimeno dal loro Chiaroscuro, producono immancabilmente l’Effetto loro non solo col Collettivo Aspetto del Totale: ma ancora colla Parzial Succedanea Inspezione. Qualunque scelto Passaggio d’Autore insigne potrebbe quì nel medesimo tempo e abbellire, e confermare questa mia Teoria. Metatextualidad► Ma lasciando al mio Lettore il facile Incarico d’aprire per ora qualunque ei voglia Classico Poeta, proseguirò ancora per poco quanto rimane d’opportuno nell’Ampliazione della prestabilita Massima. ◀Metatextualidad – L’Oratore, l’Istorico, il Romanziere, il Novellista, e tutti generalmente coloro, che vaglionsi de’Linguaggi (Arte tra le Simboliche la più estesa) a versare negli Animi insinuevole Corrente d’irresistibile Persuasione, ignorare non debbono (i Migliori non l’ignorano in fatti) questa riposta Sorgente. Ma il Canale, per cui sgorga copiosamente con maggiore Effetto, egli è evidente, esser la Poesia, cui Tropi, Figure, Metafore, Allusioni, Similitudini tengono costantemente in mano il Pennello, stemperando il Metro soavemente le Tinte. E [181] siccome la Natura svelata dalla Luce all’Occhio ne’suoi vari Punti di Prospettiva or lo eleva, or l’alletta, or l’intenerisce, or lo sgomenta, or l’infiamma, or lo raccapriccia, or lo lusinga, or l’abbatte; così la Poesia, che vivamente improntato in se stessa scopre all’Immaginazione l’Universo, o parte alcuna d’esso, per l’istessa Legge di necessaria Impressione che fan gli Oggetti nell’animo, mesce nell’uman Cuore Piaceri, Amori, Speranze, Odj, Timori, Gelosie, Affanni, Ammirazioni, Abborrimenti, ed ogni altro Affetto ch’abbia dentro di noi Radice. Onde (Regina dell’Alme) la Dea delle Muse adombrar si potrebbe assisa con potente Scettro sopra lucido Trono, cui serva di Base il Mondiale Globo, che vi si riflette. – Esce l’aurea Catena dall’allettatrice Bocca: e mentre le ammanzate Tigri, Orsi, Lioni, ed Aspidi n’attestano da un lato la Potenza; dall’altro il Piacere addormentato tra le Rose in grembo di Mollezza n’indica la Lascivia. – Affollansi alla socchiusa Portiera per uscire a suo cenno le Passioni con impresso ciascuna in fonte il proprio Carattere. – Ed il nobile Corteggio delle Virtù, che gli Occhi della Dea unicamente attrarre in se vorrebbero, di qualche furtivo di Lei sguardo [182] dalla lusinghevol Ciurma degli allettanti Vizi sono talvolta defraudate. – Natura i suoi Elementi; Fortuna i suoi Eventi offrele per Tema – Ed il Tempo spennacchiato, e vinto ai suoi piedi sta pur in atto di mostrarle scoperto il suo Seno. – Finirò questo Sbozzo con apporle ( in leggier Tinta quasi sognati Oggetti) svolazzanti intorno al Capo Onori, Ricchezze, Dignità! – Ma nel Fine dell’Immaginario Quadro pur troppo vera apparir dee la scarna, squallida, e cenciosa Miseria! – Or quivi (per esemplificare quanto sta asserito nel Foglio) spero, non isdegnerà il Lettore di rileggere meco la Favola d’Aristeo, eccellente Capodopera d’un nostro antico Paesano (Vedi Virg. Lib. IV. Geor.)

Nivel 3► Cita/Lema► Pastore Aristeo, fuggendo Tempe Penea,

Perdute (si dice) l’Api di Fame, o Malore,

Mesto su l’estremo margo del Fonte recossi

Dov’ha’l Fiume Capo – Or ivi seco molto gemendo

In tali alfine proruppe Querele a la Madre. –

Madre Cirene! – Madre che a l’Imo di questo

Fonte Albergo celi, a che di Stirpe celeste

(Se pur, come dici, Padre fummi Appolline Timbreo)

Odioso al Fato generastimi? – Dove l’Amore

Ver me fugissi tuo? – Non tu me sperare l’Olimpo

[183] Anco facesti? – mira or di mortal vita l’Onore,

Ch’indefessa Cura in Biade, in Bestiame traeva

Tutto ritentando, perfino, te Madre, ora perdo! –

Su via che non schianti tu stessa le Selve feraci? –

Getti nemico Foco alle Stalle? – aduggi le Messi? –

Il Seminato ardi? – tra le Viti maneggi la Scure,

Di mia te Gloria se tanto Tedio prese? –

La Madre nel Talamo sotto del Fiume profondo

I Lai n’intese. – Milesia Lana le Ninfe

Filano d’attorno di verde tinta colore:

Fillidoce, e Drimo, e Xanto, e la bella Ligea,

Di monda Chioma giù sparse l’eburneo Collo:

Cimodoce, e Spio, e con Nesea Talia;

Cidippe, e la bionda Licoria: Vergine l’una;

L’altra di Lucina i primi or esperta Dolori:

Con Beroe Sorella Clio, Oceanitidi Ninfe,

D’Oro ambo, ambo vaghe di Pelli versicolori:

Ed Efira, ed Opi, con Asia Deiopea;

E celere Aretusa deposte alfin le Saette:

Tra’ quali Climene narrava l’inutile Cura

di Vulcano: i Doli di Marte; e Cupido furase:

E dal Cao densi de’Numi noverava gli Amori –

Dal Carme allettate (co’Fusi il molle Lavoro

Torcendo) Aristeo feriva l’Udito materno

Di novo co’gemiti – su’cristallini Sedili

[184] Tutte stupiro! – pria dell’altre Aretusa Sorelle

Guardando, il biondo fuoralzò Capo da l’Onde:

Ed, Oh da gemito indarno non mossa cotanto

Suor Cirene! grida – Desso, tua massima Cura,

Flebile Aristeo, di Peneo Padre su l’Onda

Lagnando stassi: e te pur chiama crudele! –

A cui la Madre, da novo agitata timore,

Quà (dice)! – quà subito lo scorgi! – Sale beate

Gli è d’entrare dato! – E comanda al Fiume profondo

Tosto di rittrarsi, Varco al Garzone – repente

Di Monte in guisa curvata ritirasi l’Onda:

E ‘n suo vasto seno raccolselo giuso dedotto! –

Egli ammirando giva l’Albergo materno! –

Que’Regni ondosi! – que’Laghi d’Antri richiusi! –

Que’strepitosi Luci, stupefatto ai gran Moti d’Acque! –

Tutti i gran Fiumi scorrenti ne l’ampia Terra

Da diverse nati Scaturigini muto rimira!

Il Fasi, ed il Lico! – onde pria disciolgasi Enipeo! –

Onde ‘l Padre Tebro, ed onde ‘l Torrente Aniene! –

L’Ipani tra Sassi strepitante! – e ‘l Miso Caico! –

E di gemelle fero Armi Eridano Taurifronte,

Di cui non altro Fiume pe’ fertili Campi

Più violento move nel Pelago l’Onde dorate! –

Poichè, nel Talamo inarcato da pensili Smalti

Giunto, del Figlio conobbe le vane Querele

[185] Cirene: alle mani per ordine versano i Fonti

Le Suore; Ornati di Frange presentano Bissi –

Altre di Vivande le Mense carcano, colme

Supplendo Tazze. – D’Incensi fumano l’Are! –

Alfin la Madre, Prendi (dice) Bacchico Nappo:

Libisi a l’Oceano! – parimente dessa pregava

L’Oceano, Padre delle Cose; e le Ninfe Sorelle,

Ch’in cento Selve, ch’in cento albergano Fiumi! –

Tre veci l’ardente perfuse di Nettare Vesta;

Tre veci supposta al Soffitto la Fiamma rifulse –

Lieta de l’Augurio comincia tale Favella. –

Nel Mare Carpazio Nettunnio trovasi Vate

(Ceruleo Proteo) che ‘l grande Oceano vagando

Su Cocchio scorre da Cavalli tirato marini –

Questi de l’Ematia i Porti, la natìa frequenta

Pallene – questo e Ninfe veneriamo; ed onora

Nereo grandevo: perchè Indovino sa, quanto

Sia stato, od accada, o Futuro covando prepari. –

Sì Nettunno vole, di cui gli Armenti deformi

Pascola ne’Flutti, e governa le terribili Orche –

questo di Nodi pria convienti stringere, o Figlio,

Che la Causa dica del Morbo, o l’Evento secondi. –

Dal non sforzato non isperare Parola –

Nulla Prego il muove – sorpreso tendigli Forza: -

Per tal modo Frode verrà che vana ritorni. –

[186] Io te (quando Febo più sparga i Raggi cocenti,

Languiscan l’Erbe, la Gregia l’ombre ricerchi)

Voglio del Vecchio condurre ne l’Antro riposto,

Del Riposo Azilo - da sonno tu stringilo opresso. –

Ma, quando avvinto terrailo d’aspre Ritorte,

Allor Spettri vani fia che t’illudano, e Mostri! –

Orrido Cinghiale or farassi! – ora Tigre tremenda! –

Torva Lionessa or! – quando squammoso Dragone! –

Or scoppiando (Foco mirabile!) dalle Ritorte

Sbrigasi! – Talora liquefatto in Vena fluente

Vassene disciolto! – Or tu, quanto Egli Figure

Più, mia Prole, muta, più stringi i Nodi tenaci:

Finchè a quel rieda Sembiante pristino, quale

Vedesti, quando chiudeva le Luci Sopore. –

Tanto Ella disse: e d’Ambrosia liquid’Odore

Diffuse, ond’asperso spira suo Figlio tutto:

Lui dolce Aura inala ne’rassettati Capelli;

E ne le Membra vaghe trasfondeli destro Vigore. –

Apresi nel Fianco corroso d’un Monte Spelonca

Vasta, ove da Vento incalzata ingolfasi l’onda,

Ch’in due (poi divisa) rigurgita Seni capaci:

Sicuro Azilo de’tormentati Piloti. –

Proteo, d’un vasto Sasso l’Ostacolo oposto;

Chiudevi se dentro. – Quivi ‘l Garzone la Ninfa

Avverso al Lume in Buio appiattato ricopre:

[187] Di Nube involta dessa in disparte risiede. –

Gl’Indi sitibondi già ardeva Sirio d’alto,

Dimenso avendo mezzo ‘l Sol igneo l’Orbe. –

L’Erbe inaridite languivano – I Fiumi (ridotte

A limo le Foci) tepiditi cocevano i Raggi:

Quando consueto Proteo volgendosi a l’Antro

Givasi – D’intorno la squammea Razza marina

Saltellando irrora d’aspergine amara le Sponde. –

Sdraiansi al Sonno disperse pel Lido l’Orche.

Esso (quasi in Monte Custode di Grege talora,

Dal Pasco ai Tetti l’Armento come Espero chiama,

E ‘l Lupo dal Bosco n’aduzzola gli Agni belanti)

In Scoglio assiso numerata rivede la Turma. –

Sul quale Aristeo (preso opportuno Momento)

composte appena le stanche Membra senili,

Gittasi con strepito; e corcato ancora ricinge

Preveniendo – sue quel contra all’Arti ricorre:

Se subito in tutti trasforma astuto Prodigi! –

Arde Foco! – urla Fera! – liquefatto Fiume si scioglie! –

Poi (come nulla Fuga trova l’Arte) vinto ritorna

Egli in se stesso: ed alfine pur Uomo favella. –

Chi mai! – chi (audace Garzone!) la nostra Dimora

(Dimmi) spiarti face? – O da me che cerchi? – tu stesso

(Gli dice) sai Proteo – Tu ben lo sai! – chi potrebbe

Ingannarti? – cedi! – L’Avviso di Numi seguendo

[188] Quà men venni a’Mali dar consultando Riparol –

Ciò disse – A che ‘l Vate (dopo molta Violenza)

Stravolse gl’Occhi di glauco Lume riarsi:

E digrignando, tale in Oracolo sciolse la Lingua:

Non te di niun Nume provocate infestano l’Ire! –

Tu di Delitto grave paghi ben dispare Fio! –

Orfeo meschino tai Pene (se Fato l’aprovi)

Concita irato; e freme per la Consorte rapita! –

Ella su le Sponde (te pur fuggendo veloce)

Mortifero al piede (ahi lassa!) non vide Colubro

Spirante Tosco d’alt’Erba ascoso tra costi! –

Ma ‘l Coro di Driadi Compagne ‘l Caso funesta

Clamaro ai Monti! – di Rodope piansero l’Arci! –

L’alta Pangea! – e di Reso la Marzia Terra! –

I Geti, e l’Ebro, con l’Azia Oritia! –

Egli te, dolce Sposa, sui Lidi deserti solingo,

Te nascendo Febo, te tramontando plorava? –

Di Tenaro anz’Egli le Strette, e ‘l Golfo d’Averno,

E dall’atra Tema quell’offoscato Recesso

D’entrare osando, giuso penetrò fino a l’Ombre! –

Fin al Rege tremendo! – di non consueti moversi

Petti da umana Prece! – Pur d’Erebo l’ombre rapite

Dal Canto affollarsi veloci da l’Imo profondo:

I tenui Simulacri volavano a stormi, simili

Quando tra le Frasche del Bosco od Espero caccia

[189] Gli Augelli; o Buffera bramale, che scenda da’Monti –

Madri, Mariti, Cadaveri (chiare Figure!)

D’Eroi magnanimi, Faniculli, nubili Putte,

Giovani sul Rogo posti al cospetto de’Padri,

Cui tetro Gorgo involve, e Canneti deformi

Del negro Cocito: cui d’atra Palude riserra

L’Onda limacciosa; e Stige nove volte ricerchia. –

Anzi la stessa stupillo Infernale Magione,

(Tartaro di Morte tetro più) l’Eumenidi dire,

Al crin cerulee fischian cui Serpi ritorte:

Tien sue tre Bocche sospeso Cerbero aperte;

L’Issionea Rota pur al Vento immobile sta! –

Fuori di Periglio già lieto Orfeo ritorna;

Già la resa Euridice risaliva al!’Aura superna

Non mirata seguendo (Proserpina diede la Legge)

Quando per incauta Dimenticanza l’Amante

(Degno di Perdono, se perdonare l’Averno

Sapesse!) ristette: e tra primi Albori di Luce

(Ah smemore, impaziente!) Euridice amata rimira! –

Ogni Fatica quivi tornò irrita! – quivi ogni Patto

Col Tiranno cade! – mughiò d’orrendo Fragore

Per tre volte Stige! – Ella, chi me (lassa!) chi te perde,

Caro Orfeo! (dice) – Onde mai cotanto furore? –

Ecco me di nuovo Destino attragge crudele!

Ferreo Sonno preme le vacillanti Pupille! –

[190] Oimè ti lascio! – trasportami notte tremenda! –

E spossata ti tendola (mai! – mai più tua!) Destra! –

Disse: e, quasi Fumo, dagli Occhi dileguasi in aura

Girasene addietro: nè Lui per inutile Sforzo

L’Aure abbracciando, e dir molte cose volendo

Oltre rivide mai: nè d’Averno ‘l duro Piloto

La frapposta sofre d’oltrevarcare Palude! –

Che fare? – ove gire sua Cara di nuovo rapita? –

Con quai Stige Lai? con qual Prece i Numi movesse? –

Quella rivarcava (gelid’Ombra) la Stigia Barca! –

Sette interi Mesi (costante Fama riporta)

Sotto alpestre Rupe, di Strimone a l’onda deserta,

Piansela: e suoi Casi narrò pe’gl’Antri gelati,

Mollendo le Tigri, e co’ Versi traendo le Querce!

Come Ussignolo fra frondi di Pioppo plorando

Lagnasi de’Figli perduti, che duro Bifolco

Involò di Nido, pennuti non anco, spiando! –

Piagne la Notte: e sopra Ramo posto ‘l flebile Carme

Rinnova, empiendo di meste l’Ora querele! –

Lui non nuovo Foco, non nuovo sedusse Imeneo!

Solo gl’Iperborei Ghiacci, la Tana nevosa,

Campi di Riféa mai sempre algenti Pruina

Frequentò, Euridice sempre lagnando rapita,

Sempre d’avaro Dite gl’invan tornati Favori! –

Del qual Disprezzo accese le Ciconi Madri

[191] Tra lor Sacrificii, lor Orgie oscure di Bacco,

Del Giovin sbranato pe’Campi sparsero l’Ossa. –

Teschio anco informe dal candido Busto reciso,

Mentr’Ebro spumoso rotavalo (scherzo de l’Onde)

Euridice l’istessa Voce, la gelida Lingua,

Lo Spirito Euridice fuggendo clamare pareva! –

Euridice, Euridice risonare parevano i Lidi! –

Proteo (ciò detto) lanciossi di salto ne l’Acque:

L’Onda (ove lanciossi) spumosa ritorsesi in imo. –

Presta d’Aristeo calmò l’Affanno Cirene. –

Figlio, dall’animo conviene deporre ogni Cura:

Del Male tutt’indi l’Origine: ed indi le Ninfe,

Con cui solit’era di rintrecciare Carole,

Dell’Api fer strage – Tu l’Oblazione devota

Offri plorando Pace; le placide adora Napee:

Ch’ai Prieghi, deposta l’Ira, perdono daranno. –

Ma pria, di placarle per ordine sentì la Forma. –

Scegliti quattro Tori di corpo vaghissimi (quali

Del verde Licèo la tenera pascono Vetta)

Con altrettante Giovanche intatte da Giogo:

Quattro Altari sacra nel Templo a le Dive con essi:

E sgorgando fumi da le Strozze ‘l Sangne sacrato:

Ma ‘n frondoso Loco lascia tu i Corpi bovini. –

Poi come dall’Onde la nona Aurora risorga

(Esequie ad Orfeo) Letei Papaveri spargi. –

[192] Placata Euridice d’uccisa Vitella s’onori:

Svena negra Pecora; e ‘l Bosco lasciato rivedi. –

Non frappone mora: l’Avviso eseguisce materno:

Girosene al Tempio gl’imposti Altari rialza:

Quattro adduce Tori di corpo vaghissimi; ed anco

Altrettante svena Giovenche intatte da Giogo.

Poi, come la nona dal Mare Aurora rifulge,

D’Orfeo l’Esequie manda; ed il Bosco rivede. –

Or quivi improvviso, e mirabile a dirsi Prodigio

Appare! – De’Buoi fra l’Interiora da tutto

L’Utero ronzano Api, bulicando le fracide Coste. –

Già Nube si aglomera immensa! – già d’Albero a vetta

Si posaro! – i Rami pieghevoli portano i Sciami! ◀Cita/Lema ◀Nivel 3 ◀Nivel 2 ◀Nivel 1