Gli Osservatori veneti: Numero XXIX

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Niveau 1

No XXIX.

A dì 26 maggio 1762.

Citation/Devise

Frangas enim citius quam corrigas, quae in
pravum induruerunt. Quint.

Quello che ne’difetti è indurato, prima lo
romperai, che tu lo possa correggere.

Niveau 2

Io non so veramente a qual modo noi siam fatti di dentro. A vedere come è fabbricato il cuore, egli è molle; e se tu lo tocchi, senti un pezzo di carne che cede alle dita. Il cervello com’è fatto, ognuno lo sa; che se v’ha in noi cosa morbida, gli è quello. Con tutto ciò nell’uno e nell’altro nasce l’ostinazione, della quale non v’ha osso nè acciaio più duro al mondo; e s’ella si potesse vedere, io credo che il corpo suo sarebbe di porfido, o d’altra materia da non poterne levar via una scaglia nè con le martella, nè con gli scarpelli, nè con picconi, o con altro qual si voglia strumento più vigoroso e di polso. Quando un uomo s’è ostinato a dire: “La non ha ad essere altrimenti, io intendo che la cosa vada così o così”: va’, picchialo, spingilo, dàgli di urto, e tu cozzi con una torre, hai a fare con un greppo, e non ti riesce altro se non che tu medesimo t’induri, e a poco a poco senza avvedertene, come chi è tocco dalla pestilenza che dall’uno s’appicca all’altro, tanto sei tu ostinato e duro nella tua opinione, quanto egli è nella sua; e non ci è più verso che nè l’uno nè l’altro si creda di avere il torto. Più volte m’è venuto in mente un pensiero, a vedere come noi siam fatti, ch’io non so veramente come ciò avvenga, ch’essendo gli uomini cotanto tenaci della propria opinione, non entrino in tanta collera l’uno contro all’altro quando nascono fra loro disputazioni, che stieno sempre con le pugna chiuse e alzate, e si mordano l’un l’altro come i cani. “Dond’è,” diceva io, “che pensando essi così diversamente, ed essendo intrinsecamente nemici, e di vario parere con tale ostinazione, non vengono essi fra loro alle mani, e trattansi l’un l’altro come se fossero fratelli, sicchè anche quando è saldo in loro l’ostinato pensiero, chi gli stesse ad udire mentre che favellano, appena se n’avvedrebbe, anzi ragionano per lo più con tanta grazia e dolcezza, che si direbbe che sono d’accordo? Dond’è ciò?” ripeteva io, tuffato in questa riflessione. Dàlle dàlle, mi venne, secondo l’usanza mia, in aiuto il sonno, e in compagnia con esso quelle mie consuete apparizioni che hanno, non so come, che far sempre con quello che io medito vegliando, e vidi quello ch’io dirò.

Niveau 3

Rêve

Sogno Azzuffavansi in un’aperta campagna da tutte le parti certe zotiche genti con bastoni e con sassi, con un romore che n’andava sino alle stelle. Di qua si vedeano spezzati capi, di là braccia rotte e penzolanti, o altre membra per terra sparse, nè però cedeva l’ira ne’feriti e quasi fracassati uomini; chè anzi sempre più infervorandosi ed infiammandosi il doppio, menavano colpi senza mai arrestarsi, e parea che crescesse loro la forza, quanto più s’affaticavano a percuotere, per modo ch’io giudicava fra me che tra poco non fosse per rimanerne più vivo un solo. Comecchè io fossi in luogo dov’essi non poteano nè vedermi nè giungere a me con la furia di quelle loro armi, pure io mi rammaricava grandemente e non senza lagrime di compassione, a vedere quella turba di uomini cotanto accanita, e desiderava con tutto il cuore che nascesse cosa la quale mettesse la pace negli animi loro. Quando, e non so io donde venuta, s’accostò al mio lato una vecchierella tutta canuta, la quale non avea però il viso come l’altre donne; ma due occhi avea nella fronte, e altri due nella collottola, sicchè vedea benissimo quello che dinanzi e quel che dietro alle spalle le appariva. Se io mi facessi maraviglia a vedere faccia cotanto strana e così da tutte l’altre diversa, pensi chi legge; e molto più mi maravigliai quando mi accorsi che ella, ragionando, due cose sempre confrontava insieme, cioè quella che con gli occhi dinanzi scopriva, e quella che vedea dietro; e di quelle traeva una conseguenza, che una cosa dovesse in tale o in tal modo avvenire. “Tu vedi,” diceva ella, “che qui innanzi a noi sono queste genti azzuffate, o si zombano con que’loro bastoni; ma tu non vedi, come io con la collottola, que’venerandi vecchioni con quelle loro profonde e prolisse barbe, i quali insegnarono già a costoro che sono di ragione dotati, che in questo mondo debbono essere come fratelli e aiutarsi l’un l’altro. Hanno que’buoni uomini già aperta la prima via a questi zoticoni di conoscere il vero; ma la loro naturaccia villana e salvatica non può ancora domare quella lor furia naturale, quella bestialità che stimola loro le mani a conciarsi come tu vedi. Egli è il vero che sanno quello che debbono fare e non fare, ma più ancora può in loro la prima bestiale rozzezza, che i nuovi insegnamenti. Con tutto ciò, credimi, a questo modo la non può durare a lungo. È già aperto il sentiero; poco starà a venire alcuno il quale con l’opera sua compierà questa faccenda, farà posare le armi a questi bestioni, e se non vincerà quella loro superba e ostinata natura, almeno la renderà più cortese e tale, che non s’offenderanno l’un l’altro come fanno al presente.” Avea appena chiuso il suo favellare la vecchierella, ch’io vidi rasserenarsi l’aria d’intorno, anzi pur diventare di vari colori, non altrimenti che se la fosse stata di minutissimi spicciolati fiori tutta ripiena; e veramente io credo che fiori fossero, dappoichè ei non si fiutava altro che un odore di rose, di garofani, di gelsomini, e una certa fragranza indistinta e incognita, ch’egli parea di rinascere al fiuto. Egli mi parea propriamente d’essere a sedere in un teatro, quando egli si vede a discendere dal cielo l’innamorata Venere a ritrovare il suo bello Adone, o la vezzosa Diana in traccia d’Endimione. Imperciocchè poco di poi vidi congregarsi da più lati una leggiera e candida nebbia, che insieme accozzandosi formò una nuvoletta, la quale lenta lenta cominciò a discendere, e intorno a quella s’udiva una dolce armonia di strumenti e una voce che cantava con tanta grazia, ch’egli mi parea non d’essere in terra, ma nell’altissima sommità de’cieli traportato. Ben la dovette essere dolce e veramente soave, dappoichè il suono suo, oltre alla maraviglia del nuovo spettacolo, tanto potè negli animi di quegli arrabbiati combattenti, che si rimasero parte coi bastoni alzati, ad alcuni caddero fuori delle mani, e tutti attoniti e quasi balordi, non sapendo quel che si fosse, ascoltavano a bocca aperta il tuono della novella canzone. Io non potrei ridire qual fosse il cominciamento di quella, dappoichè nel principio s’udivano bensì le note, ma per la lontananza non si poteano le parole scolpire. Ma poichè la si fu alquanto avvicinata, sicchè la potei udir meglio, ricordomi molto bene ch’essa diceva così: Germi del cielo, ad abitare insieme Venuti in terra dall’eccelse ruote, Qual ira contro a voi stessi v’accende? Posate l’arme. Io qui vengo tra voi, Novella aïta, a ripulir costumi, E spogliar di durezza i petti vostri. E se prestate volentieri orecchio Alle parole mie, pacato il mondo Tosto vedrete, ed un soave laccio Infinite legare anime insieme. Si levarono al suo cantare mille voci, e tutte esclamarono: Sì, vieni, tu sei oggimai nostra signora e reina. Vieni, vieni fra noi, e fa’di noi ogni tuo volere. “E chi è costei,” diceva io alla mia vecchia, “chi è costei nella cui voce è tanta forza ed autorità, ch’ella può così in un subito tramutare la mala volontà di tante genti?” Al che ella rispose: “Figliuol mio, non credere che costei tramuti questo popolo e lo faccia essere in effetto un altro da quello ch’egli è, chè anzi lo lascia intrinsecamente quale egli si ritrova; ma ella avrà bensì possanza di vestirlo di fuori di certi atti modesti e di certe garbature, le quali faranno sì che l’uno non avrà più cagione di querelarsi dell’altro, e non si vedranno più le genti così spesso, come ora si veggono, a battaglia insieme. Il nome suo è Civiltà; e non è già ella sola da quella nuvola vestita, ma tu vedrai seco ad uscire altre compagne le quali l’aiuteranno a quest’opera. Non domandarmi per ora di più. Attendi e vedi.” S’aperse intanto il seno della nuvoletta, e uscì, oh qual faccia di donna! Io non dico ch’ella fosse una di quelle bellezze gravi e maestose che rendono ammirativo e quasi ammaliato chi le vede, non una venustà nobile e grande, ma ell’era bene una certa donzella tutta vivacità, tutta grazia, la quale nello andar suo somigliava a donna che danzi, più presto che a femmina che cammini: facea i più garbati inchini e un chinar di capo così vezzoso, che non si potea fare a meno di non amarla. Mentre che con l’aspetto suo avea già presi all’amo tutt’i circostanti, eccoti uscire della medesima nuvoletta molte altre fanciulle, le quali aveano cinte le chiome con ghirlandelle di fiori, vestite ad un modo che al primo vedere tu avresti detto: le sono ignude; ma in effetto erano tutto il contrario, chè aveano tanti panni indosso e tanti frastagli e dondoli a rimirarle attentamente, ch’erano più d’ogni altra donna vestite e coperte. “Costoro sono le Ceremonie,” disse la mia grinza vecchierella. Cominciarono esse danzando a coro ad andare intorno; e a poco a poco fattesi quasi maestre di danza, a cui facevano fare baciamani, a cui insegnavano a piegar le ginocchia, ammaestravano a fare sberrettate, inchini, e baciarsi l’un l’altro in fronte, e mille altri atti cortesi, de’quali non aveano prima gli uomini avuta cognizione veruna al mondo. Ma quello che più d’altro mi parve strano a vedere, si fu che in poco d’ora insegnarono a tutte quelle genti a scambiare il primo linguaggio, e soprattutto a sbandire la brevità, e principalmente il sì ed il no da’loro ragionamenti, vestendo questi due monosillabi con tante belle formole e con tanta e così varia grazia di parole, che ognuno dicea: Sì, io voglio questo, e non voglio questo, con la stessa ostinazione di prima, è vero; ma con tanta grazia, che non rimaneva più nel suo favellare segno d’ostinazione, e la stessa negativa ti solleticava dolcemente gli orecchi, come se co’peluzzi d’una penna te gli avesse leggiermente tocchi e grattati. Da quel punto in poi cessarono l’ire fra gli uomini, e tutto divenne contentezza e quiete. Furono posate l’armi, baciavansi l’un l’altro come fratelli. Trascorreva la vittoriosa Civiltà fra loro, le Ceremonie si godevano e ricreavansi a vedere tanta pace. “Oh!” diceva io alla mia vecchierella, “io veggo benissimo che dall’un lato non picciola utilità hanno fatto a queste, genti le sopravvenute donzelle; ma dall’altro che vuoi tu che dica? Egli pare a me che costoro abbiano di qua sbandita la schiettezza; e quanto è a me, io non so s’egli sia maggior fatica il guardarsi da’bastoni, o da questa nuova coperta e inzuccherata favella.” “Chi vuoi tu che t’appaghi?” rispos’ella. “Poco fa tu piangevi perchè si battevano, al presente ti rammarichi perchè s’ingannano l’un l’altro. L’una delle due ti dee appagare. S’eglino sono di natura così ostinati, che non si darebbero mai per vinti, essi debbono difendere il parer loro co’legni, o con queste menzogne ed ombre. Quanto è a me, io credo che ogni cosa sia migliore che il venire azzoppati.” – Io avea voglia di proseguire il mio ragionamento, e dolermi tuttavia della novella usanza da me veduta; ma un sogno non può durare quanto vive un uomo.
L’apparizione svanì, la vecchierella andò in fumo; ma io rimasi così invasato dell’altre immagini, che in ogni luogo ancora mi par di vedere e di udire le Ceremonie e gl’insegnamenti dati da loro a quelle genti. Me ne querelo io perciò? No. Quand’io tocco certe corde, la non è già voglia d’offendere altrui, ma una certa usanza di fare osservazioni intorno ai costumi; e chi pensasse bene, non sono disutili. Saranno alcuni i quali diranno: “Non ho mai potuto rimovere il tale dalla sua opinione, e con tutto ciò egli mi ha pure favellato con molta gentilezza; che importa a me? Io avrei voluto piuttosto che mi avesse dato una negativa aperta”. E s’egli l’avesse data, non gli saresti tu forse stato attorno con mille altri stimoli? egli se ne sarebbe adirato, e tu ancora. A questo modo, udendo così belle e buone parole, non hai avuto cuore di andar più oltre, anzi fosti tu medesimo forzato dalla civiltà a fargli altrettante ceremonie; ed ecco un bello effetto, che senza punto essere d’accordo, vi siete partiti l’un dall’altro in pace tuttaddue, e rivedendovi di nuovo l’un l’altro, vi traete di testa vicendevolmente il cappello, vi fate baciamani, e siete quegli amici di prima, se non in sostanza, almeno in pelle; tanto che il mondo ne vive quieto, che altrimenti sarebbe in continua zuffa come fu di quelli del sogno. Sicchè chi dice male delle ceremonie, non sa quello che si dica, nè conosce quanto sia l’obbligo nostro verso di quelle.