Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "Numero XXV", in: Gli Osservatori veneti, Vol.1\25 (1761-04-24), S. 537-541, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3586 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

No XXV.

A dì 28 aprile 1762.

Ebene 2► Ebene 3► Ebene 4► Utopie► i nemici, e quale la cagione della discordia. Al che egli rispose: “Voi avete a sapere che Fetonte re degli abitatori del Sole, il quale è abitato non altrimenti che la Luna, è un gran tempo che ha guerra contro di noi. La cagione è questa. Egli fu un tempo ch’io, raccolti insieme tutti i poveri del regno mio, volli mandare una colonia nella stella di Lucifero, oggidì inabitata e deserta. Fetonte n’ebbe invidia, ed affrontandoci a mezza strada coi suoi Ippomirmeci, o cavalcatori di formiche, ci vietò il passo. Per la qual cosa non avendo noi apparecchiato il bisogno, fummo obbligati a ritornare indietro. Al presente io intendo di muovergli nuovamente guerra, e mettere la colonia mia. Per la qual cosa, se voi volete essere compagni miei in tale spedizione, io darò a ciascheduno di voi un avoltoio regio e tutto il restante delle armi, e vi anderemo domani.” – “Poichè così piace a te,” risposi, "così sia fatto.” In tal guisa accettati da lui a convito, quivi restammo. La mattina per tempo diedero le spie avviso che accostavansi i nemici: fu schierato l’esercito, fummo destati. Era l’esercito di centomila, trattone bagaglioni, ingegneri, uomini a piedi e truppe d’aiuto. De’centomila, erano ottantamila gl’Ippogipi; e di quelli che cavalcavano Lacanopteri, ch’è quanto dire penne d’erba, ventimila. Sono i Lacanopteri uccelli grandissimi, che in cambio di penne vestiti son d’erbe, ed hanno ale a lattuca somigliantissime. Appresso a questi venivano in battaglia i Ceneroboli, o vogliam dire lanciatori di miglio, e gli Scorodomachi che combattevano con agli. Venuti erano inoltre dal settentrione trentamila di truppe d’aiuto, chiamati Psillotoxoti, o saettatori di pulci, e cinquemila Anemodromi, o vogliam dire Scorrivento. Sono i primi cavalcatori di pulci da’quali traggono il nome, e sì grande è ogni pulce, quanto sarebbero dodici elefanti. Gli Anemodromi son genti a piede, ma senza ale vengon portati dai venti. Il modo di loro andare è questo. Legansi intorno certe ampie vesti con un artifizio, che dandole a’venti, fanno seno a guisa di vela, e ne gli portano come i navigli. I più vanno armati di scudi e rotelle. Dicevasi inoltre che dalle stelle sovrastanti alla Cappadocia doveano venire settantamila Struzzobalani, e cinquemila cavalcatori di Grughe. Io però non gli vidi, e non vennero: e però non ho ardimento di scrivere la natura e la condizione di quelli; imperciocchè troppo gran cose e maravigliose di costoro si raccontavano. Tali erano le schiere d’Endimione, quasi tutte armate [538] ad una foggia. Elmi di fave aveano; perchè tra loro nascono le fave grandissime e di gran nerbo. Portavano corazzine a squame di lupini; prendendo de’lupini i gusci, e cucendoli insieme ne fan corazze. La pelle de’lupini quivi nasce impenetrabile e dura come corno. Hanno scudi e spade somiglianti a quelle dei Greci.

All’occasione ordinavano l’esercito in tal forma. I cavalcatori degli avoltoi formavano il destro corno, alla testa del quale era il re attorniato dal fiore de’suoi, tra i quali eravamo noi ancora. Formavano il sinistro i Lacanopteri, o Erbapennati; il mezzo della battaglia era formato dalle truppe d’aiuto, e venivano tutti in bellissima ordinanza. Seimila migliaia di fanti v’avea poi, come dirò, collocati. Nascono quivi ragni di così smisurata grandezza, che ognuno d’essi è maggiore di ognuna delle isole Cicladi. A questi comandò il re che tessessero una tela per tutto quello spazio che dalla Luna fino alla stella Lucifero si distende. La quale opera poichè fu compiuta in un batter di ciglio e venne in tal modo apparecchiato il campo, in esso squadronò il re i fanti suoi, capitanati da Nitterione, di Eudianate figliuolo. ◀Utopie ◀Ebene 4

Annotazione del traduttore.

Tanto è a me il leggere la descrizione di questo fantastico esercito, quanto le fantastiche descrizioni ch’io odo a farsi di mettere eserciti in ordinanza e far marciare soldati da persone che non hanno veduto mai ordinati cento uomini. Se mai fu andazzo di tali ragionamenti, è a questi nostri tempi, ne’quali molti senza conoscenza veruna nè d’arte di guerra, nè di geografia, nè di costumi di genti, mettono eserciti in piedi, gli squadronano a loro volontà, gli fanno andare e venire secondo che detta loro il capriccio. Luciano in questa sua storia da lui sognata ha’preso a ridere degli storici de’tempi suoi, i quali per fare una bella narrazione di costumi di popoli, dell’usanze di loro armature, de’modi di combattere e d’altre particolarità da loro non vedute nè udite, facevano sfoggio d’eloquenza in cose che non l’avrebbero dette i poeti non che gli storici. A questi giorni la storia di lui si può applicare a molti di quelli che per le botteghe narrano fatti d’arme e ragionano con gran calore, e non senza facondia, di cose delle quali non hanno una cognizione al mondo. Al men che sia Luciano ci parla di fatti accaduti nella luna, e potrebb’essere che i popoli qui sopra nominati da lui non fossero affatto di sua invenzione, chi andasse dietro al senso allegorico. Egli è il vero che viaggiatore alcuno non ha ritrovato ancora il fiume del vino, nè le donzelle che nascono dalle viti; ma forse ognuno in qualche tempo di sua vita sarà stato inebriato dalla dolcezza de’diletti, e se prendi quest’ebbrezza e la vuoi vestire di qualche immagine, vedrai che l’allegoria ritrovata da Luciano vi quadra benissimo. La nave nell’oceano non potrebb’esser forse la vita nostra in gioventù, che si promette di far cose grandi, e vien poi trasportata dalle burrasche e da’venti sin fuori del mondo, con tutto che si paghi il piloto, ch’è quanto dire il maestro che la regga e governi? Gli avoltoi, le pulci, i ragni e l’altre bestie chi sa quello che significano? Io non voglio meditare più su che il dovere. Ma se non è vero che così fatti animali sieno abitatori della Luna, egli è vero però che i più fanno le funzioni loro di notte, massime le pulci e i ragni, i quali alle volte riempiono la notte tutti i cespugli d’una lunga e larga campagna di [539] tele. In queste fantasie che verranno forse da alcuni giudicate puerilità, molto più si contiene di fisica e di morale di quello che altri si crede, e più v’ha di derisione contro alle sette degli antichi filosofi di quel ch’altri pensa. Quelle armature fatte di fave e di lupini mi fanno giudicare che i Pittagorici ne fossero addentati. Metatextualität► Sia come si voglia, a me basta d’avere con queste poche linee avvertito i leggitori, che sotto alla corteccia di tali baie v’è qualche cosa di sostanza. Seguasi a descrivere l’esercito di Fetonte, re de’popoli abitatori del Sole, e nemico d’Endimione. ◀Metatextualität

Ebene 4►

Testo.

Utopie► Formavano il sinistro corno de’nemici gl’Ippomirmeci, tra’quali era Fetonte. Sono questi animali grandissimi, e se ne traggi la grandezza, al tutto somiglianti alle nostre formiche; imperciocchè il maggior d’essi i due giugeri oltrepassava. E non solo combattevano i cavalcatori di quelli, ma essi medesimi animali cozzavano con le corna. Dicevasi ch’erano intorno a cinquemila. Collocati erano nel corno destro gli Aeroconopi, anch’essi circa i cinquemila, tutti saettatori a cavallo sopra sterminate zanzare. Dietro a questi venivano uomini a piè, armati alla leggera, combattitori fortissimi, detti Aerocordaci, i quali da lontano scagliavano smisurati ravanelli, che percuotendo uno, il poveretto non potea più durare un momento ma si moriva fra ‘l sopravvenuto puzzo della sua ferita, e dicesi che ungessero gli strali con veleno di malva. Subito dietro ad essi ne venivano diecimila Caulomiceti o Cavolfunghi, armati di tutte armi, che combattevano dappresso, ed erano così chiamati perchè portavano scudi di fungo, e gambi di sparagi per lance. Stavano vicini a questi cinquemila Cinobalani, mandativi dagli abitanti del Cane Sirio. Avean costoso capi d’uomini e combattevano cavalcando balani di cane con l’ale. E dicevasi che non erano venute certe truppe ausiliarie, tanto de’tiratori di frombole chiamativi dalla Via Lattea, quanto i Nubicentauri. Questi ultimi vennero però dopo il fatto d’arme, chè così non vi fossero venuti mai: i tiratori di frombole non vennero, di che ebbe Fetonte tant’ira, che narrasi ch’egli facesse distruggere quella regione col fuoco. Tale era l’apprestamento con cui veniva alla battaglia Fetonte.

Dato l’ordine dell’azzuffarsi, gli asini, che quivi sono i trombettieri, ne diedero con altissimo ragghiare il segno dall’una parte e dall’altra, e si cominciò a menar le mani. Il corno sinistro degli abitanti del Sole non potendo sostenere la furia degl’Ippogipi, si diede subitamente a fuggire, e noi ad inseguirlo e ad uccidere. Ma nel medesimo tempo il destro corno de’nemici cominciò a far piegare il nostro sinistro, e con tale impeto urtaronci i cavalcatori delle zanzare, che giunsero fino alla nostra fanteria; la quale opponendosi con grandissimo vigore, e arrecando aiuto a tempo, sbaragliò i nemici per modo che si diedero alla [540] fuga, massime per aver essi udito ch’era già rotto il corno loro sinistro. Molti che fuggivano a rotta, furono presi vivi, e tanti uccisi che scorrendo il sangue in grandissima copia alle nuvole, esse ne furono tutte tinte e vermiglie, quali appariscono agli abitatori della terra sul tramontar del sole. Finalmente piovve anche in terra, per modo ch’io conghietturai non dissimile caso essere avvenuto fra gli Dei, quando pensò Omero e scrisse che Giove fece piover sangue per la morte di Sarpedonte suo figliuolo.

Ritornando noi indietro dall’aver inseguiti i nemici, rizzammo due trofei, l’uno nelle tele di ragno per la battaglia delle genti a piede, e l’altro nelle nuvole per quella fatta in aria. A grandissimo agio facevamo quest’opera, quando ci avvisarono le spie che venivano que’Nubicentauri, i quali erano già stati da Fetonte prima del fatto d’arme aspettati. Maraviglioso spettacolo era veramente al loro primo apparire il vedere cavalli alati e uomini tutto una cosa. Grandi erano gli uomini quanto il colosso di Rodi dalla cintura in su, e i cavalli quanto uno de’maggiori barconi da carico. Tanti erano ch’io non ne scrissi il numero, perchè non si potrebbe credere. Capitanavagli il Sagittario dello zodiaco. Udito ch’erano stati vinti i loro confederati e amici, mandarono dicendo a Fetonte che ritornasse alla battaglia; ed eglino, ordinate le squadre, fecero impeto contro gli abitanti della Luna, che attoniti, a bocca aperta, e qua e colà seguendo l’ingordigia della preda, gli ricevettero. Cacciangli in rotta e lo stesso re inseguono fino alla città, facendo macello di molti cavalcatori degli uccelli. Spiccano i già rizzati trofei, trascorrono liberamente per tutto il campo da’ragni tessuto; e me con due de’miei compagni fanno prigione. Eccoti venuto quivi Fetonte, e i nemici alzano altri nuovi trofei. Noi fummo nello stesso giorno guidati innanzi al Sole, e ci legarono le mani dietro le reni con un filo quindi tagliato dalle tele di ragno.

Stabilirono di non voler dare l’assalto alla città, e ritornando indietro, tagliarono tutto quello spazio d’aria che fra essa era e loro con una muraglia doppia di nuvole, per modo che splendor di sole non potesse più pervenire alla Luna, a tale che tutta fu da una perpetua notte coperta. Endimione da tanti malanni aggravato, mandò ambasciatori a pregare che demolita fosse la muraglia e non si ricusassero le preghiere di genti al buio; promettendo di pagare tributi, mandare aiuti, non ribellarsi mai; e per sicurezza di quanto affermava, mandò gli ostaggi. Fetonte ebbe consiglio co’suoi due volte, i quali la prima volta non poterono smaltire lo sdegno; ma la seconda mutaron parere e fu stabilita la pace a questi patti.

Gli abitatori del Sole e soci fecero pace e confederazione con gli abitatori della Luna e soci con questi patti.

Demoliscano gli abitatori del Sole la frapposta muraglia, nè contro alla Luna guidino esercito; restituiscano i prigioni secondo le taglie accordate.

Gli abitatori della Luna all’incontro lascino l’altre stelle in libertà e padrone di sè; nè muovano guerra a que’del Sole; ma piuttosto mandinsi aiuti dall’una parte e dall’altra contro gli assalitori se ve [541] ne fossero. Paghi al re di quei del Sole il re di quei della Luna ogni anno diecimila anfore di rugiada e dia di ciò statichi diecimila. Sia comune la colonia mandata nella stella Lucifero, e chiunque altro il voglia ne sia partecipe. Sieno scolpiti i patti della pace in una colonna d’ambra piantata in aria a’confini.

Si sottoscrissero alla pace con giuramento l’Igneo, l’Estivo, il Fiammeggianteper parte di que’del Sole: e per parte di que’della Luna, il Notturno, il Mensuale, il Molteluci.

A questo modo venne dunque fatta la pace e incontanente fu gittata a terra la fortezza e noi prigioni restituirono. Quando ritornammo alla Luna, ci vennero incontro piangendo a braccia aperte i nostri compagni e lo stesso Endimione, il quale ci pregava caldamente che rimanessimo seco, che ci lasciassimo scrivere alla colonia; ma io non volli a niun modo e lo scongiurai che ci ritornasse a calar nel mare. Per la qual cosa non potendo egli persuadermi, ci tenne seco a convito sette giorni, a capo de’quali ci diede finalmente licenza. ◀Utopie ◀Ebene 4 ◀Ebene 3

Metatextualität► Il costume degli abitatori della Luna sarà descritto nel vegnente foglio. ◀Metatextualität ◀Ebene 2 ◀Ebene 1