Référence bibliographique: Gasparo Gozzi (Éd.): "Numero XVI", dans: Gli Osservatori veneti, Vol.1\16 (1761-03-24), pp. 500-504, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3577 [consulté le: ].


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N° XVI.

A dì 27 marzo 1762.

Niveau 2► Io ho il cervello come la ceralacca riscaldata al lume, la quale riceve in sè l’impronta d’ogni suggello; e però avviene che alle volte leggendo un libro piacevole, riderò tutto un giorno senza saper di che, e all’incontro leggendone uno malinconico, sto in fantasia e pieno di mal umore. Ebbi questo difetto fin da’miei primi anni, e poco mancò che leggendo il Boiardo e l’Ariosto, non facessi come Don Chisciotte, e per tutto il corso della notte non facea altri sogni che di zuffe e battaglie; e talora fu che leggendo altri libri, mi trovai presso ad andarmene a far vita solitaria ne’boschi, e a vivere di radici e d’acqua. Al presente il cervello mio s’è indurato un poco più, ma non tanto che le novità e le cose strane non lascino in esso qualche segno durevole per parecchi dì, sicchè non vi si cancella così tosto. Me ne fece avvedere pochi giorni fa una lunga lettura della Storia vera di Luciano. Quel libro pieno di narrazioni fantastiche, di fiumi di vino, di pesci che a mangiarli innebbriano gli uomini, di viti femmine, di navi che volano, di mostri di mille generazioni che combattono, m’empiè tanto il capo di bestialità e di pensieri estraordinari, che spento il lume, e addormentatomi a grande stento, feci il seguente

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Sogno

Traum► Egli mi parea ch’io fossi giunto ad un paese il quale nel vero non avea, così al primo aspetto, cosa diversa da tutti gli altri; imperocchè gli edifizi d’ogni qualità somigliavano a tutti quelli ch’io veduti avea per lo innanzi; e le facce degli uomini e delle donne aveano due occhi, un naso e tutto il restante, come abbiam noi nel mondo nostro. Anche al ragionare, così al primo, non parea che le genti fossero punto [501] diverse da noi; poichè favellavano con retto giudizio, e ordinatamente dichiaravano quello che aveano nel pensiero con parole come le nostre, e che da me erano benissimo intese. Ma aggiratomi un certo breve tempo per que’luoghi, m’avvidi che ciascheduno avea il corpo pieno di timore, e che ad un menomo zufolare d’aria, e all’apparire d’un nuvoluzzo sopra il capo loro, tremavano come le foglie e non sapeano assicurarsi. Uomini, donne, giovani, vecchi, tutti erano presi dallo stesso spavento, e divenuti pallidi come bossolo, guardavansi in viso l’un l’altro senza far parola, fino a tanto che parea loro che fosse passato il pericolo. S’io mi maravigliai di tal cosa, non è da dirlo, imperocchè nel mondo nostro io avea appena veduto le genti intimorirsi al rovinoso soffiare di tramontano e a quell’altissimo, fragore de’nembi i quali la state portano in grembo l’accendimento de’lampi e lo strepito del tuono. M’invogliai incontanente di domandarne lo imperchè ad alcuno, ma quasi quasi non m’attentava, stimando di doverne essere discacciato, come uomo che volesse deridere i loro costumi. Pure finalmente, veduto fra gli altri un uomo di mezzana età e vigoroso nell’aspetto, e parendomi che meno di tutti gli altri per la sua gagliarda complessione dovesse esser pauroso, me gli accostai e a poco a poco, fattomegli conoscere per forastiero, entrai con esso in ragionamento. Egli era nel favellare giudizioso e, a quanto mi parea, avrei giurato ch’egli avesse consumato un lungo tempo negli studi; e tanto più mi confermai nel mio parere, quand’egli mi disse che la sua professione era di filosofo. Mi rallegrai allora grandemente e dissi fra me: “Costui non sarà quali sono tutti gli altri abitatori di questi luoghi, sicchè io posso senza verun sospetto chiedergli donde nasca questo gran timore universale per sì picciole cagioni”. Ma non sì tosto gli ebbi io domandato, perchè ad un picciolo soffio di vento e al comparire d’un nuvolo fossero tutte le genti state prese da quel tremito, egli mi si voltò con un viso arcigno e mi disse: “Buon per te che tu se’uno straniero, chè altrimenti porteresti la pena del tuo ardimento. In qual parte del mondo nascesti, che tu non sai la somma autorità delle fate e il vigore di quelle invisibili donne sopra tutte le cose della terra e dell’aria?” Metatextualité► Io non saprei dirti, o lettore, com’io mi ritenessi veramente di ridere, che certo n’avea una gran voglia, ad udire che un filosofo desse in quella pania, nella quale a pena darebbero i fanciulli. ◀Metatextualité Con tutto ciò, fatto quel miglior viso che potei, stetti senza ridere, ed egli proseguì il suo ragionamento in questa forma: “Buon uomo, qualunque tu sia, fa tuo conto che se vuoi rimanere in questo paese, egli ti conviene andare alla scuola co’nostri fanciulli, o incontanente andartene fuori di qua, altrimenti saresti legato per pazzo”. Io, preso dalla curiosità di sapere più addentro le usanze: di que’luoghi, gli risposi: “Uomo dabbene e dottissimo filosofo, io ti chieggo scusa, se non sapendo le altissime dottrine che qui s’insegnano, avessi errato nel farti così sciocca domanda, e se tu hai quella compassione degli uomini ignoranti, che conviensi a chi ha studiato la filosofia, io ti prego caldamente che tu m’apra la via a coteste tue scuole, nelle quali s’io non diverrò cima d’uomo, spero almeno che la mia buona volontà mi farà a qualche cosa riuscire”. Il valentuomo m’abbracciò allora affettuosamente, e quasi con le lagrime negli occhi mi disse: [502] “Andiamo. Io ti condurrò ora a quelle prime scuole, alle quali universalmente vengono digrossati dalle avole e dalle balie i teneri ingegnetti de’fanciulli; e di poi ti farò entrare così digrossato negli studi della Grammatica, della Rettorica e finalmente della Filosofia, le quali senza que’primi fondamenti sarebbono come edifizi posti in sull’acqua. Andiamo”. Così detto presemi per mano e mi condusse ad una certa casa, o piuttosto catapecchia, quasi dall’antichità rovinata, dove, entrando, vidi un infinito numero di fanciulli e fanciulle che si stavano a sedere sopra certi sedili di paglia; e fra quelli qua e colà, quasi seminate, certe vecchie, quali col mento lungo un palmo, e quali rivolto all’insù, e quasi congiunto alla punta del naso. “Eccoti la tua scuola,” disse la mia guida, “e queste sono le tue prime maestre: mettiti a sedere.” E raccomandatomi a quelle antiche dottoresse, andò a’fatti suoi, e lasciò me quivi a sedere. Mentre ch’io stava aspettando quello che dovesse accadere, una di quelle aggrinzate maestre, fatto segno di silenzio a’circostanti scolari, con una rantacosa voce incominciò in questa forma: Voi avete udito quello che vi raccontai ne’passati giorni del lupo che, fintosi avola inferma, si mangiò quella povera e poco cauta fanciulla la quale s’intrattenne seco lui a ragionamento nel bosco; e v’ho già narrata la storia della fata che diede la virtù a quella bella giovanetta di gittar fuori ad ogni parola dalla bocca, ora fiori, ora perle; oggi abbiamo a narrare il fatto della

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Barba Turchina.

Récit général► Egli fu già una volta un uomo il quale avea molte e belle case e grandi in città e in campagna, e gran vasellame d’oro e d’argento, e bei panni ricamati e tappezzerie d’ogni qualità, e altre ricchezze; ma per sua mala ventura avendo la barba turchina, era perciò sì sozzo e brutto a vedersi, che non v’avea nè femmina nè donzella, che da lui non fuggisse come dal fuoco. Ora avvenne che avendo una gentildonna sua vicina due bellissime fanciulle, egli ne domandò una per moglie, concedendole che quella gli desse che più piacesse a lei. Nessuna delle due fanciulle era di così fatto uomo contenta, e l’una diceva all’altra che lo prendesse, non volendo alcuna di loro uomo con la barba turchina. E peggio ancora s’arrecavano a volerlo, quando consideravano ch’egli a forza avea già sposate molte mogli delle quali non si sapea che fosse avvenuto. Barba turchina per entrare in grazia alle fanciulle le invitò seco con alquante loro amiche alla campagna; e le intrattenne sempre in danze, canti, pescagioni e in tanti altri passatempi, che all’una delle fanciulle la barba incominciò a parere non tanto turchina quanto prima era, e dicea tra sè ch’egli era uomo dabbene. Sicchè quando ritornarono alla città, il matrimonio fu conchiuso. Di là ad un mese il marito disse alla sposa ch’egli avea di necessità a fare un viaggio, nel quale avrebbe consumato un mese e mezzo, e pregandola a darsi buon tempo con le amiche sue, mentre ch’egli era fuori di paese, le diede le chiavi di tutti i ricchissimi suoi tesori, insegnandole dove tutti stessero particolarmente. Infine le diede una pic-[503]cioletta chiave e le disse: “Vedi, tu anderai in ogni luogo a tua voglia; ma non ti lasciar mai stimolare alla curiosità, sicchè tu entrassi con questa chiave in quello stanzino colà in capo a questa sala; perchè se tu v’entrerai, pensa ch’io l’avrò a risapere, e meschina a te”. Promise la moglie di così fare, ed egli, abbracciatala, se n’andò a’fatti suoi. Tutte le vicine corsero a ritrovare la sposa, le quali per timore della barba turchina non s’erano mai a quella casa accostate: ed ella che non poteva capire in sè per l’allegrezza, cominciò ad entrare in questa camera e in quella, e ad andare su e giù, e a mostrare all’amiche sue tutte le possedute ricchezze, le quali tuttavia non la ricreavano punto, tanta era la voglia che avea d’entrare nel vietato stanzino. Finalmente non potendo più durare contro allo stimolo della curiosità, trafugatasi via dalle compagne, e rompendosi quasi il collo per la gran fretta, scese una scaletta segreta e giunta allo stanzino, pensando alla proibizione fattale dal marito, stette così un pochetto fra l’aprire e il non aprire: ma non potendo vincere la tentazione, comecchè le tremasse la mano, aperse l’uscio ed entrò. Io vi so dire che le parve un bruttissimo spettacolo a vedere tutto il pavimento macchiato di sangue, e molte femmine morte attaccate alle muraglie, le quali erano state già mogli del marito suo, ch’egli avea sgozzate e poste quivi così l’una dietro all’altra in fila. Poco mancò che la poveretta non morisse di paura, e volendo uscire e rinchiudere, la chiave dello stanzino le cadde di mano; pure fatto animo, la ricolse, chiuse, e quasi fuori di sè, andò soletta nella camera sua; dove entrata e vedendo che la chiave era macchiata di sangue, la cominciò a rinettarla; ma tutto era invano, che non le valsero nè canovacci, nè rena, nè altro, chè la maladetta chiave era fata, e quando le si nettava il sangue da un lato, lo spicciava dall’altro. Il marito ritorna la stessa sera, chè non gli era più abbisognato di viaggiare, e la donna fece buon viso quanto potè, per dimostrargli ch’ella era lieta del suo ritorno. La mattina al restituirgli delle chiavi, non vedendo l’uomo quella dello stanzino, gliele domandò; ella si scusava il meglio che potea, pure finalmente convenne arrecargliele. “Oh,” diss’egli, avendola esaminata, “dond’è ch’essa è tinta di sangue?” – “Io non lo so,” rispose la moglie divenuta pallida come la creta. “Tu non sai, eh?” rispose il marito. “Egli è che tu hai voluto entrare nello stanzino; e però va’, che tu avrai quivi luogo con l’altre femmine che tu hai ieri vedute.” La donna s’inginocchiò dinanzi a lui, e dirottamente piangendo gli chiedeva perdono, e mostrava bene in tutti gli atti suoi quanto fosse pentita di non essere stata ubbidiente a’comandamenti di lui. Ma che? egli avea un cuore di sasso e le disse: “Non altro; qui s’ha a morire”. A pena la poverina potè impetrare mezz’ora di tempo; e quando la fu sola, chiamò la sorella sua, ch’avea nome Anna, e le disse: “Anna, va’in sulla cima della torre e vedi se per avventura venissero i fratelli miei i quali m’aveano oggi promesso di venire, e se tu gli vedi, fa’cenno loro che s’affrettino”. Anna montò in sulla torre, e la meschinetta sposa le domandava di quando in quando:

Anna, sorella mia,

Vedi tu nulla a noi venir per via?

[504] E Anna le rispondeva:

Non veggo altro che il sol che sfolgoreggia

In cielo, e l’erba in terra che verdeggia. ◀Récit général ◀Niveau 4 ◀Traum ◀Niveau 3

Metatextualité► Lettori miei, all’udire questi versi, io non potei far a meno di non ridere sgangheratamente, onde tutte le vecchie mi furono intorno con le fruste e mi percossero con tanta forza che l’immaginato dolore mi fece destare dal sonno; non senza qualche curiosità di sapere qual fosse stata la fine di quella povera giovane. Ma trovai che quella storia si sa molto bene anche al mondo, e mi fu detto che la fu liberata da’fratelli, e che il marito dalla barba turchina venne ucciso. Di che vedendo che anche fra noi si sanno tali novelle, non mi maraviglio io più, se i cervelli de’fanciulletti, inzuppati nel principio della vita loro di fate e di maraviglie le più strane del mondo, ritengono que’primi semi per tutto il corso della vita loro, e conobbi ch’anche svegliati, con nostro gravissimo danno abbiamo per prime maestre le balie e le vecchie. ◀Metatextualité ◀Niveau 2 ◀Niveau 1