Gli Osservatori veneti: Numero IV
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Nivel 1
N° IV.
A dì 13 febbraio 1762.
Nivel 2
Nivel 3
Relato general
storia vera scritta dal Velluto.
Metatextualidad
Io uscirò alquanto della materia morale, perchè i nostri fogli abbiano qualche varietà, e racconterò di uno il quale poco mancò che non si stimasse morto, quantunque fosse sano e gagliardo quanto potea essere;
Nivel 4
Retrato ajeno
ma perchè egli avea in cuore di essere ammalato, stava sempre in orecchi, quasi le campane gli suonassero il suo passaggio da questa all’altra vita; e tutti quelli che vedea, gli parea che fossero medici i quali gli dessero la finale sentenza. Sa ognuno che quando è qualche influenza di malattia in un paese, ci sogliono essere di quelli a’quali pare che il tirare il fiato, l’aprire gli occhi, e fare ogni altro più semplice atto, la tiri loro nelle vene; e di tempo in tempo sotto il mantello si mettono la mano al polso per sentire se batte più spesso, o si provano se respirano liberamente, o guardansi le ugne se imbiancano, allividiscono, e per ogni menomo calore o freddo delle carni arguiscono di essere agonizzanti, e cominciano a parlare con una vocina che indica la fine di loro vita.
ragionamento del Mancino
accademico granellesco.
Cita/Lema
Nivel 3
Cita/Lema
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Coloni
Versibus incomptis ludunt, risuque soluto;
Oraque corticibus sumunt horrenda cavatis.
Versibus incomptis ludunt, risuque soluto;
Oraque corticibus sumunt horrenda cavatis.
Virg., Georg.
I coloni si sollazzano co’versi scorretti, e ri
dono sgangheratamente, e copronsi con
orride maschere di cavate cortecce.
Nivel 3
novella.
Filantropo lascia l’Oriente, veleggia alla volta di Venezia. Vi giunge al tempo del carnovale. È condotto alla Piazza. I vari pensieri che ne forma, e quello che ne avvenne.
Relato general
Era Filantropo un giovane di ricchissimi genitori figliuolo, d’indole assai rara ed ingenua; innamorato d’ogni onesto studio e de’piacevoli intrattenimenti. Sua principale industria fin da’più teneri anni fu sempre d’investigare sè stesso, e collocare il suo affetto ne’suoi somiglianti; e siccome, quasi a dispetto di natura, veggiamo certuni di sì salvatici modi nel trattare, e tanto della rozzezza e della solitudine amici, che vengono a noia ad ogni uomo, questi all’incontro era del conversare con gli uomini invaghito di modo, che non potea patire di ritrovarsi lontano da loro. Nacque nelle contrade d’Oriente, cielo purissimo, clima sottile, patria di sagaci intelletti, celebre pe’suoi celebratissimi figliuoli. Annoiatosi di non vedere che genti della sua stessa favella, di un medesimo vestito e di uguali costumi, rivolse il suo amore a voler l’uomo considerare in altri aspetti; e, per fama, delle cortesi maniere de’gentilissimi Veneziani preso nel cuor suo, dispose del tutto di voler a Venezia venire. Glielo consentono i genitori, sale sopra un legno, ha cielo e mare favorevoli, e in pochi giorni a Venezia perviene. Avviasi ad uno degli amici che teneano corrispondenza co’suoi, ed a cui era per ospite indirizzato. “In buon punto giungesti (dopo il benvenuto e i consueti abbracciamenti),” gli dicono gli amici. “Il tempo presente è appellato carnovale, che viene a dire di sollazzo e di giuoco. Tu goderai di scorgere uomini e donne cambiati di aspetto, e forse ti farai sperto di cosa cui non ti avvisasti mai di vedere.” Era l’ora del desinare; troncano i ragionamenti, a tavola si pongono. Il giovane, più che degli squisiti cibi, desideroso de’nuovi aspetti che gli vennero significati, non mangiò che bene stesse; tanto lo crucciava la tardanza che facevano. Che più occorre ch’io vi dica? Si levano, vien destinato a sua guida uno degli amici, è condotto alla Piazza. Il giovane co’suoi filosofici rigiri avea immaginato nella fantasia compagnie di uomini travestiti i quali lottassero, portassero intorno rami, soldatesca che fingesse battaglia, carra trionfali con finte deità che scendessero dal cielo, popolo a torme, chi qua e chi là, sì e sì, e tutto a suo modo. Rimase sorpreso che, al porre il piede fuori dell’uscio, vide certi vestiti con un mantel nero di seta, con veli finissimi e a fine trapunto lavorati, con un cappellino calcato in capo, e con una faccia finta che riluceva per nitore e bianchezza. E veggendo quel naso lungo e schiacciato, non avendo più veduto maschere, pieno di ammirazione esclamò: “Oimè! hanno gli uomini così fatti visi in questo paese!” Gli fu detto che quella era una tela incerata e una corteccia sotto alla quale si nascondevano uomini a lui somiglianti, e che così andavano tramutati per uno scherzo. Filantropo, attonito per sì impensata veduta, incominciò tuttavia a considerare fra sè in qual modo potesse anche sotto a quell’intonaco ravvisare l’uomo di cui era oltremisura amante e studioso. In tal guisa fatto il suo proponimento, osserva questo, osserva quello, spalanca gli occhi, aguzza gli orecchi, sta in sull’avviso di ogni cosa; e comprende benissimo a certi avvenimenti.