Sugestão de citação: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero III", em: Gli Osservatori veneti, Vol.1\03 (1761-02-10), S. NaN-447, etidado em: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Os "Spectators" no contexto internacional. Edição Digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3564 [consultado em: ].


Nível 1►

No III

A dì 10 febbraio 1762.

Nível 2► Nível 3► Carta/Carta ao editor► All’Osservatore.

Scrivo con l’animo pieno di disgusto e di bile. Lessi iersera nella dedicatoria d’un libro molte millanterie d’uno scrittore ignorante e dappoco, che veramente m’hanno fatto noia allo stomaco. D’ora innanzi ho risoluto di non andare più a stampa, chè non voglio arrossirmi d’aver per compagna la pazzia di simili scioperoni. Che diavolo! Egli si loda sfacciatamente, è largo promettitore di sè, vitupera gli altri, e infine Demostene, Tullio ed Aristotile non avrebbono la centesima parte dell’albagia di costui. Ma quel che mi sembra oltre ogni credere strano, si è ch’egli immortala da sè stesso l’opere sue, e fa suoi conti, che come che sieno da sei mesi passati ch’egli le diede al pubblico, esse viveranno per tutti i secoli, esalta però l’amico a cui indirizza il volume, e l’incorona del pari. Così talvolta ho veduti fanciulli che quando hanno paura del buio, cercano chi con loro s’accoppii. Se voi passeggiando per via, fate le osservazioni vostre soltanto, non vi rimarrà campo da scoprire il ridicolo di cui abbondano molti libri moderni, e sarete manco utile, correggendo meno. Siete troppo circospetto e troppo modesto. Vorrei un mezzo tra questi arditacci e voi. Non sono un di voi quattro Osservatori, nè ho diritto (che voi vel siete arrogato) d’esaminar chi passa; ma concedetemi almeno d’esaminar [446] voi, che non siete compresi nel resto. Oh ch’io non esca di materia, perchè ho una favoletta di quattordici versi, di cui voi, come poeta, farete un sonetto, e sei leggerà l’autore di quella lettera, o altri che partecipasse di quell’orgoglio e di quella pretensione.

A una mula restía qualcuno ha dato

E molta biada e fien quant’ella volle;

Ingrassonne e dicea superba e folle:

Mio genitor nobil cavallo è stato:

Io son veloce al corso e ho lena e fiato.

E in mille modi sè medesma [sic] estolle.

Ecco ell’esce di stalla, e pigra, e colle

Sue some appena regge al passo usato.

Allor piange e in sè torna e dice: S’io

Credetti esser progenie di destriero,

Fu errore. Un asinel fu il padre mio.

Questa favola a te palesa il vero,

Stolto, che l’esser tuo poni in obblio,

E indarno a cose grandi ergi il pensiero.

L’Incognito. ◀Carta/Carta ao editor ◀Nível 3

Risposta del Velluto alla lettera dell’Incognito.

Metatextualidade► L’Osservatore è monco, non scrive più. Io sono erede delle sue dita, del calamaio e della penna. Egli ha affidate a me tutte le sue intenzioni, onde la Signoria Vostra, chiunque ella sia che scrive, si prenderà in pace la risposta mia in cambio di quella di lui. Io vi sono in primo luogo dunque obbligato, che con le vostre lettere diate a’quattro confratelli cagione d’impinguare i loro fogli, e questo vi sia detto a nome di tutti. Abbiamo tenuto insieme consiglio intorno a quello che vi si dovea rispondere, e la risoluzione universale fu, che si dovesse riflettere qualche cosa intorno alle lodi che alcuno si dà da sè medesimo, e dire pro e contra questa usanza. L’Increspato disse che il lodare sè stesso è di necessità. L’Atticciato negò; vennero a questione. Si pose tra loro il Rabbuiato e disse: “Scriva ognuno di voi il suo parere”. Il giorno dietro mi mandò ognuno la sua polizza. Io la do alla luce. Lascio il giudizio delle loro ragioni a voi e al pubblico. ◀Metatextualidade

Riflessioni dell’Increspato

In un secolo in cui può tanto la invidia, in cui le lodi sono cotanto magre ed escon così a stento di bocca alle persone, perchè non potrà uno, lasciata da canto la nociva modestia, mettersi con l’esaltazioni in cielo da sè medesimo? Che altro è ogni uomo nel mondo, fuorchè un venditore di balsami, uno che vuol fare spaccio di segreti, un cavadenti, un salimbanco? Quanti ci stanno dintorno, gareggiano con esso noi e fanno un medesimo mestiere. Ognuno che vive, ha a spacciare la sua mercanzia per bella e buona. Quando ci sono a’fianchi tanti concorrenti, da chi attenderemo noi di essere lodati? E se lodati non siamo, chi ci presterà fede? Immaginate che questo mondo sia la piazza mag-[447]giore della città. Venite meco. Eccoci in quella parte di essa ove sono i giuocolatori, coloro che mostrano le maraviglie. Rassomigliate questo luogo al mondo. Nível 3► Exemplum► Udite di qua questo venditore di ampolle. Vedete quel fascio di privilegi ch’egli spiega agli occhi del popolo. Sono quindici, sedici e più. Chi avrebbe saputo che tante città l’hanno privilegiato? tanti popoli accarezzato, tante nazioni esaltato, s’egli da sè medesimo non si fosse risoluto a dirlo pubblicamente? E vedete voi come subito dopo le lodi ch’egli ha date a sè medesimo, gli fioccano in sul palchetto i fazzoletti? Quante ampolle vende? Che se così fatto non avesse, gli sarebbero rimase a dormire nella cassettina. Uditelo. C’è alcuno più caritativo di lui? Egli ha minorato il prezzo del segreto suo; non si cura di guadagno; dà la salute per limosina a chi la vuole; ha guariti infiniti poveri, ne guarirà altri infiniti quando vorranno. È la bontà, la carità, la liberalità in carne e in ossa. Chi ve lo dice? Egli medesimo. Se nol dicesse, chi glielo direbbe? ◀Exemplum ◀Nível 3 Quell’altro colà, che ha a vendere anch’egli, che spaccia anch’egli ampolle, dice di sè altrettanto. Date di qua una occhiata a queste case di legno, nelle quali si fanno i salti perigliosi e mortali, si mostrano nani, fiere, fantocci di legno che fanno commedie. Udite in qual forma all’uscio di ciascuna di esse o dall’alto si va vociferando? Qua, qua è la maraviglia vera. Quelle trombe, que’tamburi che intronano gli orecchi, non sono altro che lodi profferite ad onore della propria mercatanzia per abbattere l’altrui. Ognuno si sfiata e disanima per avere la concorrenza maggiore. Il lione non può parlare, nè commendarsi da sè medesimo. Stampasi un cartello che parla per lui. Ha salvato il padrone dai naufragi, acquistate collane e medaglie d’oro. In somma ognuno s’esalta, ognuno s’innalza; e di qua nasce questa concorrenza e frequenza di genti che qui vedete; perciò si veggono tanti capi volti allo insù, tante bocche aperte e ammirative, quante qui si veggono. Da un altro canto rivolgetevi a rimirare i bottegai di ogni qualità. Essi non possono, è vero, commendare sè medesimi ad alta voce; ma lo fanno anch’essi tacitamente. Parlano colle insegne appiccate fuori delle botteghe loro, e invitano i comperatori. In ogni luogo camminando si vede la Benedizione, la Magnanimità, le Virtù morali, l’Amor fraterno, la Carità del prossimo, e altre somiglianti insegne che chiamano chi passa ad aprir le borse. Questo, carissimi confratelli, questo è il modo di farsi ammirare e ben volere da tutti in un tempo, in cui di rado altri si move da sè a dare le debite lodi; e quanto è a me, giudico certamente che il lodarsi da sè medesimo non sia quel male che pare a chi scrisse la lettera ed il sonetto.

Polizza dell’Atticciato#U
contra la soprallegata opinione
.

Bella cosa veramente e nobile opinione è quella dello Increspato, da me letta nella sua scrittura, ch’egli voglia paragonare gli uomini tutti ai cerretani, ai ballerini, e il Cielo glielo perdoni, fino alle bestie; e che dimenticatosi affatto quella lode che dee durare immortale, la quale non può derivare da altro che da un effettivo merito, chiuda i pensieri suoi nel breve confine di una vana e passeggiera lode che acquista l’ammirazione vana degli spensierati. Diasi pure questa da sè medesimo qualunque uomo nulla considera i tempi che hanno a venire, e non si cura che con le membra sue abbia fine anche il suo nome; ma la fugga all’incontro chi con la fatica e con le sue degne opere intende di vincere l’ingiuriosa forza del tempo e lasciar di sè una memoria onorata. Io non condurrò già voi, o compagni, coll’immaginativa fra gli strepiti d’una piazza ad udire le voci di cerretani e le trombe che invitano a vedere le maraviglie; ma piuttosto in luoghi solitari, in piccioli stanzini dove sono persone, le quali, dimenticatesi di sè stesse e poco curandosi di romorose esaltazioni, tali divennero, dopo molti secoli, che più non si possono dalle memorie altrui cancellare. In cotesti non conosciuti luoghi dal mondo, in cotesti asili non frequentati dalle genti, io veggo a poco a poco nascere e crescere il merito, e da questo la vera lode. Esce di là una buona opera, la quale è conosciuta prima da cinque o da sei, questi ne favellano, e nota la fanno a dieci o quindici; questi ad altrettanti, e così di bocca in bocca trascorre tra molti. Intanto l’autore della prima, tacendo sempre di sè, un’altra ne aggiunge, e questa seconda accreditata dalla prima è cortesemente ricevuta, e più largamente spargendosi, guernisce di nuova commendazione il nome del suo facitore. Di qua, fratelli miei, di qua nasce le [sic] vera lode. Questa è quella che d’uno in altro trapassando, registrata negli animi, conficcata e ribadita nelle menti de’popoli, segnata nelle carte e scolpita ne’sassi, rende l’uomo immortale. Questa è quella sola a cui gli uomini di senno prestano fede, come a quella che nascendo dagli animi altrui, non ha in sè ombra di sospetto veruna, ed ha posta la sua solida radice in verità ed in giustizia. Lasciamo il commendarsi da sè medesimi a coloro i quali, temendo di sè e delle opere loro, tentano di sostenerle co’puntelli, come gli edifizi vecchi e cadenti. Non sia disgiunta da noi giammai quell’onorata modestia ch’è condimento e grazia di tutte le virtù, e le rende più care e pregiate. Qual baldanza, vi prego, sarebbe la nostra, se volessimo privare le genti della facoltà di dare il proprio giudizio sopra di noi? Perché vorremo noi essere maestri a tutti coloro i quali ci ascoltano e comandare ad ognuno che a nostro modo favelli? E se per avventura l’intendessero altrimenti da quello che andiamo noi vociferando di noi medesimi, che sarebbe allora? Le nostre voci si rimarrebbero affogate nell’immensa furia delle contrarie, e noi verremmo giudicati senza cervello. Quanto è a me, così penso; e tengo per fermo che farà sempre inutile opera colui, il quale, a dispetto di mare e di vento, vorrà essere d’assai con la sola forza delle sue ciance.

Aggiunta del Velluto all’Incognito

Metatextualidade► Questo è quanto fu brevemente scritto da due Accademici nostri, ed io a voi lo mando in istampa. Non crediate però di farci uscir mai del primo proposito di voler favellare delle cose in generale. Se dalle scritture nostre si può trarre qualche utilità di correzione a’costumi o altro, intendiamo che ognuno da’generali tragga in particolare quel frutto ch’egli può; e quando anche non volesse trarne veruno, pazienza. L’Osservatore m’ha detto ch’io vi ringrazii cordialmente di tutte quelle gentilezze che dette gli avete nel foglio vostro, e vi si dichiara obbligato, com’io vostro buon servidore. ◀Metatextualidade

Esortazione dell’Increspato a’compagni

Olà, o voi sfaccendati. Vi state voi a dormire? Non sapete voi le belle e molte promesse che sulla fede vostra furono fatte al pubblico? Io mi credeva che fino a qui fioccassero da tutt’i lati le scritture, che piovessero dialoghi, diluviassero novelle. Che vuol dire? Di giorno in giorno si va prolungando; e non se ne vede ancor frutto. Sarebbe forse mai il carnovale, che con la furia de’suoi diletti vi traportasse a guisa di torrente col comune de’popoli? Se così è, quando dee attendere questo foglio sussidio da voi? Ma no, io voglio credere che mascherati andiate intorno a fare le vostre osservazioni, le quali poi usciranno più compiute e più maschie. O Cognito, per la tua mirabile diligenza glorioso, e per la purità del tuo stile così grato alle Muse; nerboruto Mancino; piacevole Solitario; io vi prego, uscite oggimai, uscite dalla vostra lunga taciturnità, e con le vostre varie e gentili invenzioni rendete questi fogli sempre più cari. Se voi andate mai alla bottega del libraio Colombani, fatevi dare il quaderno in cui si segnano gli associati, e vedrete quanti sulla fede de’nomi vostri sono concorsi per leggere gli Osservatori. È lungo tempo che si domanda di voi: e voi ancora non avete deliberato di mandare cosa veruna? Via su, spacciatevi, aprite la fonte delle ricchezze vostre, e salendo colà dove abitano le Muse cotanto amate da voi, domandate loro grazia per guernire questi fogli. Esse ve la concederanno. Sono state vostre amiche in ogni tempo; e se voi le invocherete di cuore, vi faranno la grazia. ◀Nível 2 ◀Nível 1