Référence bibliographique: Luca Magnanima (Éd.): "Saggio XVIII.", dans: Osservatore Toscano, Vol.1\18 (1779), pp. 167-174, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3550 [consulté le: ].


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Saggio XVIII.

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Anedotti originali riguardanti Federigo IV. Re di Danimarca, e di Norvegia

Récit général► L’anno 1692 venne in Toscana il Principe reale di Danimarca Federigo. Vago di apprendere, si fermò in Firenze, ove i forestieri an sempre trovato di che pascere il loro desidero sulle arti belle, sull’antichità, e sulla filosofia de’nostri. I vec-[168]chi Principi gli fecero grande onore, ed insieme con essi le famiglie più chiare. Visitò tutte le memorie del valor toscano sì nelle arti della pace, che della guerra, nè mancò di venire anche a Livorno, città mercantile, e che dee se stessa a’pensieri della Casa de’Medici. Soddisfatta così la sua curiosità volle passare a Lucca, città aristocratica. Quì fu accolto con grandi onori e sincerità, e quì fu che trovò Federigo di che rammentarsi per sempre della Toscana, e di Lucca.

Tralle feste, che foglion darsi a Principi generalmente, quelle del ballo sono le più in uso. In queste il gentil sesso dispiega tutto quel che può d’arte, di bello, e di ricchezza. In un festino adunque comparve la nobiltà lucchese nel punto di vista il più elegante, e più ricco. Le Dame misero a prova tutto l’incanto della bellezza, e degli ornamenti. Fra queste rilussero sulle altre due fanciulle della casa Trenta, e queste furon quelle, che mossero gli sguardi del real Forestiere. Si mise a parlare con una di esse, la quale avea i rari pregi di esser bella, vivace, e di una grazia che andava al cuore. Ognun sente che ella riuniva in se que’pregi, che sono stati in ogni tempo l’eloquenza la più dolce, e la più vittoriosa. Onde non è da stupire che questo Principe la distinguesse sulle altre; giacchè l’avea distinta sì bene la Natura.

Se io dovessi spiegare onde ha origine questa vittoria, io direi che l’anima resta presa in un tratto da molte idee, che formano un tutto, che dice-[169]si bello; che quel diletto, che ella prova a vista sì bella, nasce dal trovare in un subito idee corrispondenti o a quelle, che ha, o a quelle a cui ella è disposta; che infine la durata di questa dolcezza viene dall’essere nella rara necessità di scuoprirle ad una ad una, di fermarsi sopra di esse, trovare alcuna cosa, alcun legame fra quelle a lui sconosciuto, e terminare con ricomporre, o restituire all’ordine stesso le parti, che componevano quel bello. E che sia vero tutto ciò riflettasi che l’anima quando le ha conosciute separate le une dalle altre, e che non trova più che rinnovare a se stessa in quella varietà di componenti, allora ella è men curiosa; e se dura il suo desiderio, allora ciò addiviene perchè non è più semplicemente curiosa, ma solo appassionata. Questa passione poi cessa a poco a poco appena ella è soddisfatta, e finisce appunto come la curiosità, quando non ha più nulla da scomporre, nè da apprendere.

La Dama distinta con maniere così gentili dal real Signore, non dovea esser muta alle attenzioni di esso. E come esserlo quando ella conoscea che una sì fatta attenzione era l’effetto de’suoi pregi, dell’incanto, che spiravano le sue grazie, il suo bello vivace? Può esser che i suoi pensieri l’inalzassero a segno da pensar poi esser il più sublime di essi l’umile semplicità. In fatti questa bella Dama, che avea saputo farsi tanto ammirare, dopo la partenza di Federigo, non fu più sua. Vide quanto bene la Divinità l’avesse distinta sulle altre nella spo-[170]glia esteriore del corpo, sentì che il suo spirito potea perfezionarsi nella virtù, e che questa perfezione potea essere la sua pace, il suo bene migliore, ed il segno sicuramente il più bello della gratitudine umana al Padre de’celesti. Di quì è, che piena di un risoluto ardire volle che fosse velata per sempre al mondo la sua bellezza, ed aperta solo a Dio, con ritirarsi in un chiostro per fare tutta la sua vita nella sommissione, nella obbedienza, e nella povertà. Allora prese un altro aspetto quel viso, che parea un composto di rose, e di altri fiori. Se a poco smontarono que’colori accesi, che mostravano il brio, e il fiore de’primi anni, in vece loro ne spuntarono di quelli, che mostrano i cambiamenti dello spirito non cura nulla quelli del corpo. Così ascosa che si fu agli occhi del mondo, altri diletti non sentì, che quelli di un’anima netta da ogni mal fare, umile, e pura in tanta pace. Così lungi dalle passioni della natura inferma, bisognò che ella per difendersene assai, quasi discendesse nel sepolcro de’morti.

Il Giovine reale non avrebbe mai potuto immaginare un mutamento sì fatto. Cambiato il cristianesimo romano nella Danimarca, spenta quasi ogn’idea di sì fatti ritiri, per tutto ne’suoi stati, ed in molti altri vedea gli uomini non più dedicare i loro anni alla Divinità. Lungi dunque da questa idea, dopo alcun tempo, spedì a Lucca un suo messaggio ad essa con un dono prezioso, ed il suo ritratto contornato di brillanti. Arrivato cercò della [171] Dama Trenta, e rimase in sentire, che ella era religiosa in Santa Maria degli Angioli in Firenze. Corse subito là, e richiesto di essa, non gli fu permesso di parlarle. Che fare in questi casi? Si addirizzò alla Madre priora, la quale, letta la lettera, ed aperto l’invoglio, comprese qual era il donatore, e vide anche qual fosse il dono. Metatextualité► Lo scritto, da cui ho estratte queste notizie, non particolarizza qual fosse un tal dono; ma si può pensare, che avrà corrisposto alla grandezza di chi lo mandava da un emisfero, per così dire all’altro. ◀Metatextualité La Madre priora fatte sue riflessioni, e forse consigliatasi quanto bastasse, risolvette di rimandarlo, con aggiungere appeso al suo ritratto un piccolo Crocifisso dorato. Srisse (sic.) in risposta una lettera con dire al Principe, che ringraziava la meastà sua della buona memoria, che avea avuto di suor Maria Teresa Trenta; che ella non avea accolto il suo dono per essere ormai sepolta agli occhi del mondo, e del suo fasto; e che altro non restava al suo cuore, che pregare Iddio per la salute eterna della maestà sua. Letta il regio Principe questa risposta, custodì la memoria appesa al suo ritratto.

Passati sedici anni, ed essendo ormai da molto tempo Re di Danimarca, e di Norvegia, pensò di fare un secondo viaggio in Toscana. Egli vi arrivò il giovedì 28 Marzo dell’anno 1708. Le accoglienze de’nostri Principi furono quali si convenivano ad un re. Fece subito ricerche di suor Maria Teresa, ed istanze per visitarla. Gli ecclesiastici [172] non avrebbero voluto permettere questa visita; ma agli ordini del loro Sovrano bisognò obbedire. Anche suor Maria Teresa non avrebbe voluto esporsi agli occhi di questo Monarca, che avea conosciuto giovine assai; ma ella dovette sagrificare le sue ripugnanze ad una santa obbedienza. Solo le fu permesso di avere, oltre la consueta ascoltatrice, altra maestra claustrale. Venuto il Re, dopo sette giorni dal suo arrivo, rimase in vedere coperto con un velo il suo volto. Gli fu detto essere una tal velatura istituto del monastero, e che senza di essa non parlano le religiose ad alcuno. Fu però nel tempo stesso dispensata da questa osservanza, ed allora dopo lo spazio di sedici anni rivide il Re quella dama che solo respirava un umile contento. Quanto era mutata da quella di un tempo! In tale occasione si dice che il Re le mostrasse il piccolo Crocifisso mandatogli, tenuto sempre al collo in memoria della sua vita novella. Dipoi la pregò a voler ricevere alcune monete d’oro, che egli le presentava colle proprie mani, per supplire, se mai le occorresse a qualche suo piccolo bisogno. Ella piena di mansuetudine disse alla Maestà sua esserle grato il suo dono, ma dover ella ricordarsi i suoi doveri. Fra questi esser uno de’più sublimi quello della povertà, non potere in conseguenza ricevere, nè riserbare cosa alcuna in proprio. Il Re allora consegnò le monete in mano della Madre priora, con dirle, che le impiegasse in qualche bisogno del suo monastero. E quì terminò la visita. Ne volle fare una seconda [173] la Maestà sua, ed allora le fu mostrato il corpo di santa Maria Maddalena, che conservasi nella Chiesa di esse monache. Il Re l’osservò attento, mostrandosi riverente a tutto ciò, che le fu mostrato; costume ben degno, e ben lungi dal tristo di certi altri spiriti, che nel fatto di reliquie de’nostri Santi dispiegano un riso maligno. Perchè turbare l’altrui credenza, ed offendere il rispetto, che altri presta agli avanzi di coloro, o che sparsero il loro sangue, o consumarono la loro vita nella penitenza, e nella religione! Questo buon Re diede in tale occasione non dubbi segni della sua fede, e questo fu anche motivo che si scrivessero alcuni sonetti, che riuscirono di poesia cattiva, e che perciò son morti colla memoria di tutti gli altri onori di balli, di visite, e di altri passatempi, che questo Monarca ricevette in Firenze.

Non lasciò di andare a Lucca questo secondo viaggio. In onore di esso fu fatto un gioco di pallone, e di calcio nella forma più elegante. Fu inoltre aperta la scena di un festino, ov’erano da settanta Dame, tutte ne punto di vista il più distinto. Allora fu che i due fratelli Trenta si presentarono al Re con ringraziarlo dell’onore, che avea fatto alla Monaca lor sorella. Gradì egli di conoscerli, ed in memoria appunto di suor Maria Teresa, gli creò Capitani senza l’obbligo di stare presso il lor reggimento, e colla paga di 30 scudi il mese.

Prima di partire tornò a visitarla, e pregò tanto lei, che le altre di fargli sapere le loro occor-[174]renze, se alcuna cosa mai addivenisse, onde avessero alcun bisogno. Le assicurò che egli con tutto il cuore, e con tutta la prestezza avrebbe dato loro qualunque soccorso. Fatto ciò, e preso congedo anche dalla famiglia de’nostri Granduchi, non lasciò di raccomandare ad essi suor Maria Teresa, ed il suo monastero. ◀Récit général ◀Niveau 3 Morì Federigo IV in Copenaghen l’anno 1730 dopo di aver ben governati i suoi stati, e di avergli renduti anche più rispettabili per una brava marina, dovendosi la vera epoca del suo stabilimento a Cristiano IV. del quale seguitarono l’esempio Federigo III, e Cristiano V. Se Federigo IV non ne fu il grande autore, trovò bene di che aumentarla, e renderla più forte. Queste son notizie sicure, potendosi vedere nel secondo Volume delle lettere sulla Danimarca alla lettera sedicesima. Quelle poi del soggiorno di questo Re in Toscana, io le debbo a un mal acconcio Diario fatto in Firenze nel secondo suo viaggio, ove sono scritti anche i passi, che fece. Chi fusse pur vago di leggerlo interamente, potrà facilmente trovarlo in quella città, ove non è memoria di tutti i tempi, che scritta non sia. Anzi non ci è città, che ne conservi tante negli archivi sì pubblici, che privati, e che ne legga sì poche. Io non ho fatte riflessioni, lasciandole al mio leggitore. Solo dirò che Pietro il grande, il più dispotico de’re, nel caso stesso avrebbe fatto conoscere, che l’occasione, ed un momento sono gli arbitri della fortuna degli uomini. ◀Niveau 2 ◀Niveau 1