Zitiervorschlag: Luca Magnanima (Hrsg.): "Saggio IV.", in: Osservatore Toscano, Vol.1\04 (1779), S. 16-23, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3536 [aufgerufen am: ].


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Saggio IV.

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Quando l’agricoltura arriverà al suo colmo fra noi toscani.

Ormai così va il mondo. Una disuguaglianza notabile sarà forse sempre nelle fortune, nè vi si potrà mai rimediare. Quindi una classe di mille uomini con tutte le sostanze in mano di un vasto paese, e cinquantamila colle sole braccia nervute. I primi in possesso di tante terre formeranno il destino de’ secondi che non anno alcuna cosa. Saranno per conseguenza questi, che non trovaron niente nascendo, in qualche modo soggetti a quegli altri che trovaron tutto. E sebben questa soggezione non possa dirsi rigida servitù, nondimeno a chi ben vi mira, ella non è gran fatto piacevole. Ma le cose ormai son tali che non è possibile il ridurle altrimenti. Chi nacque senza possanza di fortune bisogne che si lamenti, e si acquieti naturalmente. Chi poi vede gli oggetti in grande, trova nella natura degli uomini più che in quella dell’universo le ragioni di questa disuguaglianza, e perciò non ha che ridir tristamente. Non è però che questa sproporzione sì grande nel possesso delle sostanze non sia un male grandissimo in qualunque stato. Ella lo è senza fallo, ma il minor male si è sempre quando quella sproporzione è minore. Un legislatore che conosca la sorgente delle variazioni umane [17] le più avventurate per il maggior numero, può certo contribuire a disciogliere in parte una funesta disuguaglianza; ma ne’ grandissimi stati può desiderarsi piuttosto che eseguirsi. Ne’ piccoli può riuscire assai più ad un principe illuminato. Quindi è che in Toscana tutte le leggi economiche tendono a render più comuni le sostanze, liberandole da mille e mille legami, che le perpetuava in alcune mani, senza che diventassero migliori.

Se è vero adunque che il maggior numero non abbia proprietà sulle terre; che pochissimi ve l’abbiano grande; che da questi debbono i primi aspettare la sussistenza; se è vero altresì che la sola agricoltura sia la grande origine di tutti i nostri beni, che senza di essa fioritissima tutto è pianto e miseria, bisognerà conchiudere che i ricchi se voglion mantenersi tali, e veder prosperare le loro cose, amino d’intenderla profondamente, d’apprezzarla, di regolarla, e di estenderla co’ loro lumi, colla loro presenza che penetri per tutto, e sappia vedere. Uno de’ grandi ostacoli dunque all’accrescimento dell’agricoltura, sarà l’ignoranza, in cui si trova la maggior parte de’ grandi, e de’possidenti che non son grandi. Parlo di quella ignoranza che riguarda l’economia delle terre, e che è sì svantaggiosa alla patria. Molti e molti ci sono che godono vaste tenute, le quali non solo non anno mai guardate in viso, ma neppur sanno ove sian poste. Non sanno nemmeno che sia questa voce [18] agricoltura. Sanno all’ingrosso che i campi debbon fruttare, riguardano come una specie di servi, o di schiavi coloro che gli coltivano; sanno che si vende il grano, ed il vino; che tutto questo forma la lor ricchezza, nè sanno più oltre, nè vien loro mai in capo di saperne di più. Ognun vede quanto è mai nemica questa sorte d’ignoranza. Essendo dunque così ignoranti i ricchi, non è da chiedere se i contadini saranno i più ignoranti della terra. Fanno essi quel che an veduto fare, nè posson aver tempo, nè voglia di pensare se puossi far meglio. Ma il gran male dell’ignoranza de’ padroni è questo, che i lavoratori delle lor terre si rimangono quasi sempre infingardi, e spesso a segno da trascurare anche il loro interesse. Avviliti, e miseri si assuefanno alla povertà, nè senton più quell’affanno che noi pensiamo, quando si trovano senza pane. Queste miserabili persone an bisogno d’essere scosse, ammaestrate con dolcezza incoraggite, beneficate. Ma come può farsi tutto questo, se i padroni anno la vista si corta, se non ci pensano mai, e quando ci pensassero, non saprebbero come principiare, perchè senza idee di coltivazione, perchè senza di quelle che aumentano i propri vantaggi, e quelli dello stato? Adunque i latifundi di questa gente debbon peggiorare, e debbon rendere assai meno della metà di quel che potrebbero, perchè il tutto senza scienza nè ordine. Non pare dunque che sian degni di que’ lungi tratti di terre che si trovano [19] a possedere, perchè affatto incapaci per esserne al governo. Ma questa incapacità se si fermasse a far loro solamente disgraziati, non sarebbe tanto da compiangersi; il peggio si è che involge nella lor miseria anche molti e molti che sono i più, e che nacquero forse per affaticarsi sempre e servire. Grande adunque, e terribil sorgente di povertà è l’ignoranza de’ gran possidenti.

Ella però non è sola. Il lusso altra nera sorgente di sciagure in molti paesi, n’è una conseguenza. Io non deciderò già quando il lusso è utile, o altrimenti. Atro ci vorrebbe che questi fogli, ma io penso che in generale sia sempre un veleno che infetta gli uomini, senza che la vera felicità ne risenta vantaggio. Egli è però una cosa molto naturale. Chi ha superfluo vuole abbellirsi in tutto, vuol che tutti i suoi sensi godano sempre il più delicato, il più bello, la cima delle cose. Si dice godere generalmente senza che alcuno abbia sviluppato le idee che si nascondono sotto quella voce. Quello però che sarà sempre un inconveniente, al quale non potrà ripararsi se non col giudizio privato, si è questo, che gli uomini tutti sentono che la Natura non gli ha distinti; che in conseguenza anno i medesimi amori di se; e dato un popolo culto, tutti o più o meno si risentono di questa cultura, e l’amano, e la ricercano. Per conseguente di ciò non pensano assai che il gran possidente ha molto che gli avanza; che essi non anno alcuna [20] cosa. Faticano, fanno qualche leggero acquisto, veggono, bramano, e consumano tutto; e se talora dalla legge inesorabile della necessità sono stretti, non ne viene forse che sulle scene di altri che anno la medesima figura, non si affliggano, e si contorcano? Accenno quest’inconveniente che è grandissimo in tutti gli stati, e ne’ piccoli più visibile. Quelli che pensano, quanti altri mai non ne vedranno nascere da quest’idra, da questo primo disordine!

Adunque se noi veggiamo il lusso funesto alle nazioni, e massime alle piccole, perchè una specie di contagio, che attacca tutti quelli che non conoscono assai, e sanno colla ragione fortificarsi contra di esso, molto più sarà funesto a que’ paesi, ove tutte le terre non sentono l’aratro. Nella piccola nostra Toscana è certo che l’agricoltura si vai assai dilatando; ma resta molto, ma molto anche da fare. Se in questo che ci resta, e che sarà forse il più importante, non ci volesse danaro, io direi che da’ ricchi si spendesse in lusso; ma eglino anno bisogno d’impiegarlo in grossi lavori campestri che son forte dispendiosi. Come dunque faranno mai, se consumano quel di più che avanza a’ loro bisogni in puro capriccio? L’agricoltura, non v’è dubbio, non dovrà mai risorgere al maggior punto del suo fiore. Oltre di ciò, le stagioni non son mai le stesse. Alcune son fatali alle nostre campagne. Bisogna far de’ ripari; e se non si ha denaro, la rovina diventa maggiore. Ecco dunque le due ma-[21]ligne origini della decadenza delle nostre terre, ignoranza e lusso. Non voglio rammentare altre nere scaturigini di miseria, che vengono da questo mostro. Sarei troppo lungo; troppo dovrei dire. Solo dirò che è il più feroce nemico che possa avere l’agricoltura. Ella ama potenze pronte, svegliate, cognizioni, e vigilanza, coraggio, fronte alle stagioni, e tutte queste belle qualità avvelena, e poi uccide il lusso crudele.

Mi si opporrà la solita ragione, ormai consumata dal tanto ripeterla, cioè come dovrebbero vivere tanti uomini sedentari che non anno altre arti che quelle di lusso? Eh che uno stato il quale non ha tutte le sue campagne fiorite, non può farlo; e se questi artisti son numerosi non potranno non distruggersi dalla sopravvegnente miseria, perchè non coltivare, o male le terre. Or se i gran possidenti s’illumineranno, il lusso pure si diminuirà, e quelli artisti con esso. Impiegheranno tutto il loro superfluo in opere di campagna, si forniranno di buoni strumenti, moltiplicheranno gli animali, oggetto non considerato anche abbastanza fra noi, si faranno nuove abitazioni, nuovi argini, nuove colmate, si scaveranno de’ canali, si ripareranno le vie anche non pubbliche, si tenteranno nuove coltivazioni, in una parola si avranno in mente tutti i rami, di cui è composto questo grand’albero che si chiama coltivazione; e si vedranno gli errori da correggersi, i bonificamenti da farsi, e bisognando [22] per perfezionarla, si disfaranno, si abbruceranno molto infelici coltivazioni già fatte, lasciando que’ terreni, que’ colli, que’ piani agl’influssi delle meteore, alle influenze voglio dire della Natura lasciate a se.

Mi si opporrà anche di più. Non esser dunque vero che la libertà del commercio possa far tanto per l’aumento dell’agricoltura, da cui ha origine la felicità dello stato. Risponderò che la libertà influisce nel vero prezzo delle cose, e nell’esser veramente padroni di quel che si ha, quando si anno raccolte. Queste adunque suppone la libertà. Ma quelle suppongono l’agricoltura perfezionata, la quale non può esser mai tale, se non la sappiamo per via di ragione e di sperienza, se noi non abbiam fatto tesoro de’ nostri avanzi, per ispenderli nelle nostre campagne. È dunque l’agricoltura fatta maggiore della libertà, quando ella è già grande per se stessa. Infatti a che servirebbe ella, quando le nostre terre avessero bisogno di tali riparamenti da non servire molti anni per ridurle al più alto segno di coltura? A poco certo servirebbe. Dico a poco, mentre la libertà agisce in proporzione delle raccolte. Concludiamo che questa libertà è un gran bene per l’agricoltura; ma non è tutto. Un legislatore filosofo può farla nascere ovunque, favorirla, non già può costringere i ricchi ad illuminarsi su i loro interessi, ad esser moderati. Può egli dunque tutto un legislatore, perchè la col-[23]tivazione fiorisca per tutto nel suo stato? Non già. Ed ecco lo scioglimento di un dubbio dolente. Bisogna che i gran possidenti lascino la loro ignoranza, il loro lusso. Se questo non segue, debbon piangere i presenti, ed i futuri in gran numero. Pensi bene chi legge, s’interni pensando in quel che abbiam detto fin quì, e scoprirà molte altre conseguenze che derivano dall’ignoranza e dal lusso de’ ricchi, quando l’agricoltura ha bisogno di sapere e di danaro. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1