Citazione bibliografica: Antonio Piazza (Ed.): "Num. 2", in: Gazzetta urbana veneta, Vol.4\002 (1790), pp. 9-16, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Dickhaut, Kirsten / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.2565 [consultato il: ].


Livello 1►

Num. II

Mercordì 6 Gennajo 1790.

Livello 2► Metatestualità► Ecco una nuova Lettera de’29 Decembre, che ci viene dal benemerito nostro solito Corrispondente. ◀Metatestualità

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Questa volta sì, che sono nel bell’imbroglio! Per quanto si può arguire dalle poche righe, che avete premessa a quella lettera a me diretta, chi la scrisse è un qualche Signore del Foro. E voi potete supporre, ch’io mi sappia difendere dagli attacchi d’un juresconsulto, d’un Legulejo? La verità, amico mio, tutte le volte non basta, che sia per noi in tali occasioni; ci vuol’altro prima di vederla trionfare in mezzo ai tanti raggiri, ne’quali una tal sorta di gente sa avvilupparla. Questo assioma, che a mie spese pur troppo! imparai farebbe ch’io nulla rispondessi a quella gentilissima tantafera; ma siccome il lasciar correre certe inconvenienze può servire di mal esempio a tanti altri Pantilj, che ad ogni modo cercan di disturbare l’altrui tranquillità, così esporrò per mezzo vostro anche a codesto Signore il mio sentimento.

Da quando in quà mi sono io cacciato in capo di render celebre e conta la nostra società? Non crederei che l’amor proprio potesse suggerire il peggio [...] mezzo di rendersi celebre di quello che il Sig. Dottore vuol dare ad intendere. Lo starsene in una villa ad attendere a’suoi interessi, ed a passarvi la vita alla meglio che si può, non è certamente la maniera di rendersi nè celebri, nè conti. Con sua buona venia Rochefoucault non sarebbe al certo della sua opinione. Povero Rochefoucault! Io ho scritto a voi quelle mie lettere con tutt’altro fine, che di acquistarci fama e celebrità. Ma tiriamo innanzi. Il Sig. Forense ha de’gran malanni a rimproverarmi: io ho venduto lucciole per lanterne, io ho dette cose tanto nocive alla società, che l’onesto uomo ch’egli è, si è innalzato a prendere le difese del pubblico, per farmi imparare, dic’egli, ch’esso non ha la cispa agli occhi per rimanere estatico alle milantate meraviglie. Notate bene la maniera del dire, ch’egli chiamerebbe locuzione; per vederci bene so ancor’io, che non bisogna avere la cispa agli occhi ma per non maravigliarsi, per non rimanere estatico, non lo sapeva. (Obbligatismo.) Quando mai ho io spacciate meraviglie, millanterie? Ohimè siamo ben falliti a modestia! Ma non ci perdiamo in frascherie. Veniamo a ferri, alle accuse, restrin- [10] giamoci al massiccio. Povero Sig. Forense! povero Sig. Dottore! La figura rettorica ve l’ha accoccata. La Preterizione v’ha empiuto il foglio e non v’ha lasciato badare al massiccio. Oh dottorino mio conviene studiar un po meglio Aristotile, Quintiliano, Orazio, Boileau, Batteux, e tanti altri buoni maestri, non che esaminar bene ed impadronirsi del bello di Demostene, e di Cicerone, se volete imparare ad usar a dovere i Tropi e le figure. Eppure, ch’il crederebbe? Egli la trincia da pedante a tutta possa, e gli nausea infinitamente quella Metafora, o Allegoria, per cui chiamai Farfalle le gentili Madame del bel mondo. Egli lo chiama secentismo. Ditemi di grazia, mio dolce amico, temereste voi che vi s’imputasse dai critici ad errore, se chiamaste Lupi rapaci alcuni uomini di una certa professione? Il Co. Gasparo Gozzi, sostegno del cadente buon gusto nel nostro secolo, non ebbe riguardo di dire l’eterna rete de’Litigj. Se non si scorgesse l’aperta contraddizione del Sig. Forense co’suoi principj, bisognerebbe che qualche gaglioffo si desse a credere, che dovess’essere bandita tutta sorta di figure nello scrivere. Ma per buona sorte non fa alcun senso a codesto Signore il dire: scuotere il monotono giogo de’trattenimenti. Il nostro Maestro di Musica non ha più inteso che si dian gioghi monotoni, nè il Sig. Olivo si può dar pace che s’abbia a chiamar giogo il trattenimento, che quando è tale non può mai essere un peso, un giogo. Dopo ciò vorrebbe egli lusingarsi che i suoi orecchi fossero di quelli umani e moderni, di quelli da porre in mostra per modello? Ma il Sig. Jureconsulto si riderà intanto di me vedendomi errare quà e là frà le sue non massiccie e false imputazioni. Strida egli pure a piacere. Io non potei seguir mai quel certo ordine pedantesco di cui egli me ne porge un sì bel saggio, spezialmente alloraquando si tratta di puerilità e di bazzecole. Io credo, che lo spirito abbia a seguire quel tale, che gli va più a grado senza essere obbligato a limitarsi a certe regole, purchè egli conservi chiarezza a precisione nell’esprimere le proprie idee. Quelle certe distinzioni da Logico sputato, quelle deffinizioni secche secche, que’corrolarj insulsi, oh quanto stuccano, seccano, fanno fastidio! Io dissi, per esempio, doppio delitto. Eccoti quì; dunque ve n’ha di due spezie, v’è a buon conto il delitto semplice, a cui dovrà corrispondere il composto. Che dirò io poi di quella pappolata sui contratti a proposito di ravanelli? Da ciò solamente era facile il comprendere che chi scrisse quella lettera, non poteva essere che un jureconsulto, e quasi direi un Dottorino pur ora sgusicato di Collegio. Dite intanto a codesto Signore che se non gli piacquero le mie espressioni non me ne importa un fico, che a me basta di avervi mandate cose da non recar danno a chicchessia. Ditegli, che il Sig. Olivo dopo aversi sentito rimproverare anch’esso sulle Riverenze, si fece votare un Bicchiere di buon Marzemino, e fece un brindisi a tutti li pedanti della terra, giurando per Bacco, ch’egli parlerà sempre a suo modo, e che vuol chiamare le riverenze delle donne sconciature di corpo alla Chinese, benchè abbia letto anch’egli il bel libro del Caffè. Ditegli, che la nostra padrona ha la bontà di non rigurdarci come servi, ma come suoi eguali, e che quindi anche quella sua obbiezione ha del ridicolo. Ditegli ancora, che se avesse avuta pazienza, avrebbe inteso quanto degnamente può occupare il suo posto fra di noi una fanciullina di due anni. L’osservare lo sviluppo giornaliero dell’anima in un fanciullo non è cosa indifferente per chi trova piacere di tener dietro a que’fenomeni morali, [11] che sono i più importanti pegli uomini. Essi hanno per iscopo niente altro che l’educazione. Il Sig. Forense non si maraviglierebbe più se potesse conoscere questa amabile fanciullina. Essa gli darebbe a conoscere quanto in sì tenera età si possa acquistare col mezzo d’una ragionevole e rara educazione, allorchè una tenera e colta madre, qual è la nostra Padrona, vi si presti. Che dico io? Il Sig. Dottore arrossirebbe al ragionare (noti bene) al ragionare della nostra cara e bella vecchia, che così si chiama questa graziosa bambina. Ditegli per ultimo (perchè la faccenda finirebbe troppo tardi volendo rispondere a tutto) ditegli che noi non siamo una società di gente nè saputa, nè erudita, ma di galantuomini che lasciano gli altri in pace, e che non abbiamo la boria di volersi prestare altrui per modello; ma che però se il Sig. Dottore non trovasse in noi di che imitarci, tanto peggio per lui.

Fin qui io ho sempre detto. Il Sig. Avvocato del pubblico disse tacendo, lasciando, tralasciando, e passando. Qual figura rettorica sarà la mia? . . . Aspettiamo intanto il suo majiora canamus. S’egli n’avesse intenzione, potrebbe a diritto cominciare così:

Livello 4► Citazione/Motto► Fortunam Priami cantabo & nobile bellum. Or. Art. poet. ◀Citazione/Motto ◀Livello 4

Ma gracchi egli in seguito quanto vuole, e con esso tutti i suoi pari, noi staremo in pace ad ascoltarli ed in silenzio. L’uomo integer vitae scelerisque purus non ha a curarsi di tutte le freccie spuntate, che gli vengon vibrate di continuo dalla gente maliziosa e dagli spiriti meschini. (ohime! secentismo) Egli ha a riposare sulla propria coscienza. Chi si prende troppo fastidio di tutto il male che vien detto di lui, passa inquieto i suoi dì, e mostra uno spirito debole.

Apostrofe. Si tu veux cher Docteur

Avoir encore l’audace

De critiquer tous mes ecvits,

Fais moi paroitre en quelle place

Tu dis mieux que ce que je dis.

Il vostro Lonvaglia. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

Se non c’inganna il carattere, quello del vostro contradditore, stimatissimo Signor Lonvaglia, è della mano medesima del Forense anonimo a cui siamo grati per le molte ben descritte Cause venuteci dalla sua penna. Egli tale essendo, o fingendosi, lontano dal fare l’apologia della sua professione, o dal vantarne il decoro, e i vantaggi, in una ben conceputa Lettera indirittaci nell’anno passato, ne mise in vista i suoi più dannati abusi, e creder si fece nello sfogo del suo rammarico uno di quelli, che onestamente la esercitano, o non esercitandola ne conosce i maliziosi raffinamenti, e i raggiri, detestandoli com’esige il dovere d’ogni persona dabbene. Siccome però in qualunque corpo vi sono degl’individui, che meritano delle eccezioni, e da noi se ne conoscono in questo alcuni che accoppiano alla sublimità del talento la bontà e la rettitudine del cuore, così per sentimento di giustizia accettando allora le sue invettive abbiamo dichiarito che non dovevano appropriarsi i giusti ciò che tocca a’malvagi, nè offendersi d’una declamazione riprensiva i costumi di questi: dichiarazione ch’ora siamo in necessità di ripetere al pubblicare, dilettissimo Signore, quanto in generale scrivete nel principio della vostra Lettera contro un’arte sì screditata per la doppiezza, e seduzione de’più che la esercitano.

In Senato

Sabbato 2 corrente.

Aggiunto a’Prov. sopra Monasterj dura mesi 24.

s. Paolo Bembo.

[12] Deput. alla regolaz. delle Tariffe dura mesi 36.

s. Zuanne Querini K. di s. And.

Avviso venutoci da Verona.

Meritavan ben eglino i moti della Francia, che una qualche penna erudita indi prendesse soggetto di sue riflessioni. Di fatti il disordine, e lo sconvolgimento d’un popolo sì celebre dovean eccitar i pensieri, o di alcun Poeta, o Filosofo moderno. Questo appunto si è avverato. L’ornatissimo Cavalier Gio: Battista Conte da Lisca, che in sè unisce la singolar dote di Filosofo, e di Poeta ecellente, su tal soggetto ha formato un elegante Poemetto iscritto Preludio di Pace alla Gallia. Il dir colto e sublime l’energia delle espressioni, e la maestà de’concetti richieggono, che tal poemetto venga accolto con meravilgia, ed encomio da ogni letterata persona.

Alle ore sei della notte dello scorso prossimo Sabbato vennero a rissa per una donna (possiamo indovinare di qual condizione) un beccajo di fresca età, che vendea castrati a Castello, ed era provveduto di beni di fortuna, e un certo calzolajo solito ad andar vestito alla militare per essere, come dicesi, aggregato all’Urbana milizia. Fu per ciò creduto uno di que’soldati, che girano per reclutare, e tra noi si chiamano fà pelle.

S’accese la contesa ad un’Osteria ove probabilmente i fumi del vino avran fatto girare le loro teste riscaldate all’ira, e da’sozzi amori. Usciti di là continuarono l’offensiva altercazione, o come altri dice, separati si sono, e poi ritrovatisi ad un certo sito della Parrocchia di San Giuliano vennero alle mani. Il calzolajo sguainata la corta e ricurva sua spada vibrò un sendente sul capo all’inimico suo, e glielo replicò fieramente. Questo fingendosi ammazzato al primo colpo gli si accostò ingannevolmente parlandogli senza sdegno, e gl’immerse uno stilo nel cuore che sul momento l’uccise. Non sopravvisse egli però che poche ore alla di lui morte.

In Lettera di Brescia dell’ultimo Decembre è scritto tutto il male di quell’Opera Buffa posta in iscena la sera del giorno di S. Stefano.

Si avvisa esser questo l’ultimo spettacolo sotto l’impresa del Signor Rossi il quale dedicatosi all’Agricoltura prese alcune campagne in affitto.

È colà morto quasi improvvisamente l’Interveniente Sig. Bart. Sizzi onde resta un posto vacante nel Corpo de’sessanta dalla Sovrana Legge prescritto.

Libri nuovi.

“È pubblicato il terzo tomo dell’Opere del d’Aguesseau Cancelliere di Francia tradotte per la prima volta in italiano. Esso contiene le aringhe fatte dal N. A. in qualità d’Avvocato generale. Queste interessano non pure gli Avvocati, ma anche i Giudici; mentre il d’Aguesseau oltre il riferire esattamente la storia del fatto concernente quella quistione che ha tralle mani, oltre il riassumere le ragioni e gli appoggi delle Parti con imparzialità, entra egli in causa e perora a favore del pubblico vantaggio. Esamina gli argomenti proposti da ammendue le Parti, e gli esamina con occhio di rigido, ma giusto censore. Cerca le leggi e le Ordinanze ne’loro principj, e le sviluppa ne’loro più rimoti rapporti. Ne esaurisce lo spirito e facendone una giusta applicazione alla causa, esibisce la vera e la più sicura norma onde pronunziare un giudizio, che sia il risultato dell’esatto confronto del- [13] la legge del caso particolare. E convien dire che il d’Aguesseau fosse poco men che infallibile nelle sue decisioni, mentre si avrà occasione di vedere, che il parere ch’ei pronunzia in fine di ciascuna delle sue aringhe su quasi costantemente seguito dalle decisioni della Corte. Ed ecco che i Giudici ritroveranno in queste aringhe la vera strada, onde camminare sicuri allorchè devono profferire un giudizio irrevocabile o sulla vita o sulle sostanze degli uomini; perciocchè sebbene le leggi positive variano quasi in ogni paese, i principj su cui s’aggirano son però sempre gli stessi, e non v’ha jurisconsulto che fuori della nojosa aridità delle scuole, sappia meglio svilupparli del N. A.; anzi si può dire ch’ei gl’insinui nell’animo del lettore, senza che questi se n’accorga; tanta è la facilità, tale la chiarezza con cui egli tratta le più spinose materie legali.

Il traduttore avverte il Pubblico che non creda già di trovare in questo primo tomo d’Aringhe que’ sublimi pezzi di eloquenza, per cui il N. A. cotanto si distinse tra gli oratori della Francia; perciocchè non sono materie che la richiedano. Il lettore però avrà un grandissimo compenso nello scoprirvi il gran jurisconsulto, il solido e robusto ragionatore. Non ostante le materie secche si vedrà non pertanto ch’ei sa vestire le cose di quei colori, di cui sono esse suscettibili. Riflettasi che il d’Aguesseau quando entrò nella carriera d’Avvocato generale non aveva che ventitre anni. E perciò ebbe ben ragione di dire quel gravissimo Maestrato della Francia Dionisio Talon, dopo aver udito la prima volta il d’Aguesseau Io vorrei finire come questo giovine ha cominciato.

Ne tomi che si pubblicheranno in seguito, siccome vi si troveranno soggetti ampj e ricchi, così vedrassi come il N. A. sappia dar a divedere quanto estesi fossero i confini della sua maschia e robusta eloquenza.

L’editore protesta i più vivi sentimenti di riconoscenza verso il buon numero d’associati ch’è concorso a favorirlo.

Avverte innoltre che quest’associazione resterà aperta fino al compimento delle cinquecento copie, che tante e non più ne furono stampate. Chi vorrà assocciarsi si dirigerà alla stamperia Curti qui in Venezia, o al Sig. Gio: Antonio Curti Librajo in merceria, e nelle altre Città a’primarj Libraj. Ogni tomo costerà pic. lire 4 venete. Sebbene la pubblicazione dei tre primi tomi siasi alquanto ritardata, in seguito però si pubblicherà un tomo al mese come fu promesso nel manifesto.”

È uscito in luce un secondo Tometto di Sali arguti, motti satirici, ec. del Signor Atanagio Zannoni celebre commediante, in seguito del primogià da due anni pubblicato. Si vende questo ancora al prezzo di soldi cinquanta legato, al solito ricapito del Sig. Luigi Fabri Profumiere a S. Geminiano in capo alla Piazza di S. Marco.

Altra Lettera di Verona su quell’Opera.

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► “Il Dramma Serio intitolato il Cleomene, che fu posto in iscena in questo Teatro dell’Accademia Filarmonica la sera de’26 Decembre ha riscosso li maggiori applausi, ed ogn’ora più piace a questo Pubblico, tanto riguardo alla Musica, che riguardo all’esecuzione della medesima. La Musica è quasi tutta del celebre Maestro Sarti, di cui credesi inutile di far elogi, stante il di lui noto merito. Il terzo Atto è composizione del Sig. Ferdinando Robuschi, dignissimo allievo dell’inimitabile Paisiello; basterebbe questo Pezzo solo per dargli luogo fra i migliori [14] scrittori di Musica. Il Recitativo, la Cavatina, ed il Duetto che si seguono senza interruzione formano la maraviglia di tutti questi Intendenti e Dilettanti di Musica, e rapiscono l’animo di quanti intervengono a questo Spettacolo. Il Sig. Roncaglia, per l’espressione e finezza dell’esecuzione, sostiene meritamente la fama acquistatasi fra li primi Cantanti, che ora formano la delizia de’Teatri; nel terzo Atto poi supera sè medesimo eseguendolo in una maniera inarrivabile. La Sig. Nava ha una grandissima agilità di voce ed una facilità di esecuzione non ordinaria, e tranne qualche picciol difetto che potrà lasciare col progresso del tempo a forza di studiare, si può dire che gareggierà con le migliori Cantatrici correnti, e se quì non ha tutto l’applauso che meritar potrebbe la sua abilità, il motivo ne sarà l’esservi il Sig. Roncaglia, dal quale potrà per altro acquistar moltissimo cercandolo d’imitare; ed in compagnia del quale fa un’otima figura. Il Signor Franchi Tenore, ha una bellissima voce, canta di buona maniera, ma si vorrebbe in lui più anima e più azione, che lo farebbero risaltare doppia mente. Il Vestiario è bellissimo e tutto nuovo. Il Scenario è anch’esso quasi tutto nuovo, e se non appaga intieramente l’occhio critico de’Spettatori, vi sono però dei Pezzi assai buoni che devono dar buona opinione de’talenti del Dipintore.” ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

Opere di pietà.

La recita a benefizio de’poveri più pregiudicati dal terribile incendio de’28 Novembre, che si fece nel Teatro a Sant’Angiolo, produsse ad essi un’assistenza di ducati cinquantuno d’argento, e sarebbe stata maggiore se una dirotta pioggia caduta non non fosse all’ora appunto in cui la gente suo le avviarsi a’Teatri.

La raccolta poi dell’elemosine fatte a loro suffragio nella prossima scorsa domenica in Chiesa di San Moisè ascese a ducati 571 d’argento.

Teatri.

Allorchè s’è da noi reso conto dell’Opera a San Benedetto sfuggì alla nostra memoria un articolo, che non si può ommettere senza ingiustizia. La bella espressiva musica del primo Ballo, è composizione del Sig. Vittorio Trento, giovine di moltissima abilità della quale diede tante replicate prove ne nostri Teatri. Soddisfasi ad un dovere del nostro uffizio col manifestarlo a chi non lo sà, e col far giungere le ben meritate sue lodi ovunque estendesi questo Foglio.

Jeri non vi fu Opera nè a S. Benedetto, nè a s. Moisè. A S. Samuele fu eseguito quanto contiensi nel seguente Avviso.

La gentile, favorevole e costante persuasione, con cui questo rispettabile Pubblico sino a questo momento volle onorare le fatiche di Elisabetta Mara Schmeling, dà argomento alla stessa per credere di non fargli cosa discara, significandogli, che avendo ella per convenzione della sua Scrittura una Serata a suo benefizio, venne questa fissata per la sera de’5. Gennajo.

Lontana dal supporsi meritevole del ottenuto generoso compatimento, soltanto desiderosa di mostrarsene riconoscente, nella sera stessa reciteràrla Scena Seconda dell’Atto Terzo strumentata con l’Aria annessa, unica parte che rendeva con compita la Musica del Dramma.

La clemenza, la generosità di questo Pubblico stesso, qualità eminenti, e sì conosciute danno forte ragionevole lusinga alla suddetta d’essere onorata, e di riportare maggiori prove di [15] quella pregiata soddisfazione; a cui in ogni incontro cercherà di manifestare la più viva riconoscenza.

Ebbe pienissima Udienza, e nobile e colta in gran parte, la prima rappresentazione dell’Arato seguita la sera dell’altr’jeri a San Giov. Grisostomo. I talenti del suo giovine Autore riscossero frequenti e sonori applausi. Rovinava il Teatro al chiamarlo fuori dopo la recita. Sforzato da chi era seco lui si mostrò al Pubblico dall’alto d’un palchetto proscenio, corrispondendo con atti di riverenza al plaudente romore. Ma perchè tutti veder nol potevano, e molti non s’accorsero del suo ossequio espresso da’cenni, s’insistì strepitosamente a volerlo in iscena, e fu costretto ad iscendere a comparirvi in mantello da maschera, senza bauta. Si rinforzò al vederlo il battere delle mani, e il tuono delle voci. Animar gl’ingegni, che s’azzardano a sì difficili imprese, è opera degna d’un Pubblico umano, e discreto: censurar gli errori a lor correzione, è uffizio di quella sana critica, che utilmente illumina chi nelle bell’arte si esercita: apprezzar le bellezze, è proprio de’conoscitori giusti e imparziali. Nella tessitura, nella condotta, negli episodj, nello stile di questa tragica azione, ne’suoi punti di vista, v’è molto da dire prò e contra: ma dopo aver detto, e ridetto si deve conchiudere, che la compiacenza replicata più volte di piacer dalle scene in un tempo sì critico alle produzioni teatrali, prova nel nostro Autore Cappellajo un merito non comune, che può fare cogli anni i più felici progressi.

Tutto il valore di cui sono capaci fu impiegato da’primi Personaggi, che agiscono in questa Rappresentaz., trà i quali ci entra la Signora Battaglia. Ebbero per ciò nelle situazioni più forti degli universali applausi. Si volle la replica d’una scena per cui un morto ha dovuto risuscitare per forza. Risero i Comici stessi, come tanti altri, che non si movevano per rivederla, all’appagare questa chiamata ridicola. Ma convenne ubbidire. Si può giustificare l’inconvenienza d’un tal desiderio colla loro abilità nell’eseguirla, e col trasporto d’un Popolo ch’esultando del trionfo dell’innocenza non si contenta di veder un tiranno a morire una sola volta, ma ne vuole la replica come d’un’aria d’Opera che piaccia.

Chiudasi questo Articolo con un aneddoto, che gli appartiene.

Giunse in questa Città per passarvi il Carnovale un benestante di Terraferma. Invitato a pranzo da un suo corrispondente vi andò alle ore ventuna; si portò in tavola alle ventiquattro, non per necessità d’affari, ma per secondare il generale costume de’Signori, che nella stagione corrente non pranzano mai al lume del Sole, ma a quello delle candele. L’appetito, che lo stuzzicava all’entrare in quella casa, lo abbandonò per il lungo ritardo, e si sentì la sera ì svogliato, e sfinito, che mangiò poco, e per convenienza: onde fermamente risolse di non accettare a Venezia più inviti di pranzo senza una sicurezza di essere trattato ad un’ora discreta, che molto non si allontani dall’uso del suo Paese.

Dopo il desinare si pensò al Teatro. La nostra Gazzetta ricordò alla Padrona la Tragedia annunziata per quella sera a S. Gio: Grisostomo, e risolse d’intervenirvi chiamata dalla novità, pregando il Forastiero di voler favorirlo della sua compagnia. Attesa la moderna delicatezza è ben da credere, che suo Marito sappia quanto possa fidarsi di Lei quando le lascia l’arbitrio di scegliere a senno suo chi l’accompagni al Teatro senza far prima paro- [16] la con lui. Il di lui corrispondente accettò l’incarico con molta soddisfazione, perchè una donna poco meno che bella, e di colto spirito, alletta sempre colla sua vicinanza. Si credeva egli però di servirla non senza che suo Marito fosse della partita, ma intese ch’egli non andava mai a’Teatri Comici, e che non dava un’aria della Banti per tutte le Tragedie, non solo del Cappellajo, ma di Racine, di Cornelio, di Voltaire.

La loggia della Signora era al proscenio. Entrata si asside alla destra, e il suo Servente crede ch’ell’abbia scelto per civile convenienza il sito peggiore lasciando il migliore ad esso da vedere i Personaggj. Le fa per ciò mille complimenti per ridurla a cangiare, ed ella si mette a ridere, e non si muove. Le violenze della di lui creanza la sforzò a dirgli: siete ben semplice se ignorate che ne’palchetti questo è il sito delle donne; guardate ove stanno le altre.

Egli uscì col capo fuori della loggia, scoprì il suo inganno, e le chiese scusa se aveva errato nel credere che le Signore andassero al Teatro per vedere, non per essere vedute.

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Amico Carissimo.

È quì di costume, che ogni Anno la sera dei 29. Decembre, il Nob. Prov. della città, che sorte dall’onorevole suo impiego, recita una orazione nella Sala del Consiglio, a cui assiste in pubblica forma l’Eccel. Rappresentante, ed il fior della Nobiltà con concorso d’innumerabili Persone. Toccò questa volta al Nob. Sig. Co: Rodolfo, che seppe ad un tempo spiegare i pienissimi sensi di una intiera Città, e congiungere ad una erudita eloquenza la brevità, e la precisione. Staccandosi affatto dal solito metodo, in cui più dell’ingenuità dei sentimenti, spiccar sogliono i tratti di fervida inventrice fantasia, esaltò la felicità del Veneto Governo col confronto di quei tempi calamitosi, ne’quali la Città gemeva ora sotto Potenze straniere, ed ora lacerata dall’intestine discordie de’suoi Cittadini; e quindi discendendo con felicità d’ingegno alle presenti circostanze, enumerò ad uno ad uno i mali gravissimi, che afflissero questa Città nel passato Autunno, e rimarcò i rimedj prontissimi, che vi applicò l’amoroso, e vigilantissimo nostro Rettore s. Giulio Antonio Mussatti. Con una potetica, e commovente narrativa descrisse le costanti sue cure per la materia dell’Annona, per la pubblica sicurezza, e decantò l’esimia sua giustizia, in forza di cui con singolarità d’esempio giungono a Lui indistintamente i lagni del Ricco, e del Povero, non impediti, nè trattenuti da alcun ostacolo. Dipinse al vivo i danni apportati dalla recente fatale innondazione dell’Adige, e le paterne applicazioni dell’Eccel. Rappresentante, che si prestò con incomodo personale, e della propria Economia a soccorrere i miserabili di tutto l’occorrente, ed a confortarli nella lugubre combinazione. Senza disalveare dalla verità, e spoglio di lodi adula o ie fece il Nob. Oratore il giusto elogio del nostro Rettore fornito di tutti quei Doni della Natura, che formano l’onesto Cittadino, ed il Rettore provido, e benefico: qualità, che da esso coltivate per natural inclinazione, lo perfezionano, e lo rendono a ragione l’Oggetto del comun rispetto, e del più sincero amore. Talmente commossa rimase la sensibile Udienza dalla verità delle cose esposte, che non potè a meno di prorrompere in applausi; applausi non disposti dalla parzialità, ma usciti da un consenso unanime, e dall’interna persuasione di questa Città, così decorosamente rappresentata dal rispettabile Oratore.

Credei di non defraudarvi anche di questo aneddoto, che palesa sempre più la riconoscenza d’un a città composta d’illustri Soggetti di merito distinto, al zelo, con cui la regge il suo Rettore, che formerà un’Epoca rara, e singolare. Nella sicurezza, che vi sarà grato, ve lo comunico, nell’atto di dichiararmi.

Verona 2. Gennajo 1790.

Un vostro Amico, ed
Associato. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

L’altr’jeri fu eletto al Piovanato di S. Sivestro il Reverendis. Sig. D. Franc. Dot. Milesi con 29 voti di sì, e niuno di nó. Jeri a quello di S. Stin il Rev. D. Ben. Pisno. di sì 21. di no 7.

Si dice per certo che la summa raccolta jeri della recita a benefizio della Sig. Mara sia giutna a 656. duc. effettivi in argento, e a 32 zecchini in oro. Lunedì 11. cor. seguirà quella della Sig. Banti.

Morti.

Il Reverendis. D. Santo Giam. Bonetti Piov. di S.Stin d’anni 60. Ne visse un solo nel Piovanato.

La N. D. Marianna Besler Corner

Per questa sera.

A. S. Gio: Gris. Si replica Arato, e a S. Ang. La privazione genera desiderj, o sia La Moglie libera e il Collotorto Commedia messa jeri per la prima volta in iscena.

A S. Luca Zobeide Favola. ◀Livello 2 ◀Livello 1