Gazzetta urbana veneta: Num. 93
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Num. 93
Dal solito luogo poche miglia distante dalla Patria di Tito Livio. La candida verità, che
ordinariamente ha per limiti le soglie de’Grandi, e non si sveste della sua timidezza che ne’poveri
Alberghi e nelle Adunanze ove non balena il fasto, e non romoreggia l’orgoglio, potrebbe alzar
coraggiosa ovunque fosse la schietta sua fronte se ritrovasse per tutto degli uomini d’un carattere
eguale a quello, che ha dimostrato verso di noi l’Autore di questa Lettera. Egli ci ha scritto col
più libero sentimento sopra i delirj dell’ammalato immaginario scoprendo il letterario furto di chi
ce li ha diretti, e la nostra risposta provocato avrebbe il suo sdegno se in lui avesse trovato uno
di que’tanti e tanti uomini, ch’ostinatamente amanti della propria opinione credono disonore
l’arrendersi alle altrui rimostranze. Son pur rari quelli che sanno compensare un’ingenua franchezza
con qualche sacrifizio dell’amor proprio! Questo gentile Incognito ha fatto ne’suoi scritti
conoscere coltura d’ingegno, erudizione, discernimento, buon gusto, e ci ha presentato allo stesso
tempo il suo morale ritratto, che vagheggiamo colla maggior compiacenza. Le amarezze della nostra
situazione temprate vengono non di rado dal favore, dall’amicizia di chi neppur conosciamo. Se
un’anonima corrispondenza espone a de’disgusti, a de’torti accorda ancora de’vantaggi, e trà questi
molto contiamo quello d’avere co’nostri Fogli onorevole accesso ad una Società di oneste e dotte
persone, che ha cominciato a decorarli delle sue produzioni, e dalla quale possiamo prometterci
delle cose degne del pubblico aggradimento. In Senato
Savio in
Settimana
s. Pietro Zen. Trà gli orrori della più fiera burrasca il
mare rigurgitò nelle nostre lagune una piena sì strabocchevole nella notte del p. p. Giovedì, che
questa Piazza si rese navigabile per poch’ore. Furono allagate le vie più basse quando appunto la
gente veniva da’Teatri onde si può immaginare lo scompiglio, e il disordine. È avvisato il
Possessore del Vocabolario della Crusca ediz. di Napoli del 1646 che c’è Persona che vorrebbe
saperne il prezzo per determinarsi all’acquisto. Cambj.
Sabbato 21 Novembre 1789.
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Brief/Leserbrief
Sig. Gazzettiere. La questione sui caratteri del vero e del falso
Medico, è veramente delle più importanti; ed è perciò, che quantunque ne abbia veduta più d’una
esposta nel vostro Foglio, nulla ostante vi voglio dire io pure il mio libero sentimento. La prima
risoluzione di codesto problema parvemi piuttosto una lezione scritta per chi è iniziato nell’arte
Ippocratica, che un utile avvertimento per chi non è Medico, e che più degli altri ha bisogno di
conoscere l’impostore da chi non lo è. La seconda poi non dice che poco o nulla su questo
importantissimo argomento. La maggior parte degli uomini per mancanza di cognizioni non possono
erigersi in giudici d’un Medico qualunque, rapporto alle scienze ch’egli dovrebbe avere studiate.
L’Anatomia, la Fisica, la Botanica ec. sono arti ignote al comune della gente, e (pur troppo!) si sa
quanto facilmente s’ingannino le persone con un po di gergo inintelligibile accozzando assieme
alcune parole il cui senso s’ignora. Conveniva dunque assegnare de’caratteri esteriori, e di comune
intelligenza se si voleva utilmente additare la differenza tra il vero Medico e l’impostore. Io,
come sapete, non sono Medico, ma non mancai d’osservare ad ogni occasione tutto ciò che i buoni ed i
cattivi Medici sanno fare. Eccovi il risultato delle mie osservazioni: Colui è vero Medico il quale
assiste con carità e premura tutti i suoi malati indistintamente, nulla curando il vile guadagno, nè
restringendo o aumentando il numero delle sue visite in proporzione della mercede ch’egli ne
aspetta. Colui è vero Medico, che all’aspetto d’una grave malattia si sente talmente interessato da
non trovarsi bene, per così dire, se in grazia di attenta osservazione, di sano criterio e
direzione, non vede la natura un po sollevata, e tendente verso il buon fine. Tuttociò suppone quel
che si dice vero genio e cuore ben fatto, senza le quali prerogative io non credo che si possa
giustamente entrare nel tempio d’Esculapio. Vero Medico è colui, il quale all’entrar nella stanza
non veste un’aria sopraccigliosa e grave, e che non ischicchera senza bisogno mille frasi non
intese, e con un parlare enfatico e metaforico non cerca di far istare a bocca aperta
i domestici attoniti pretendendo di spiegare le intrigate funzioni della Natura. Quanti non ne ho io
veduti prendere con gravità il polso del palpitante malato, e colle ciglia inarcate guardando le
travi, e stringendo le labbra pronunciar poi certe paroluccie tratte dal Greco di polso dicroto, di
polso miuro, e mille altre da fare ispiritare i cani! Quanti non ne ho io veduti nel caso di una
semplice effimera leggera rivoltare ed esaminare con aria d’oracolo un vetro di orina, o un vaso di
naturalissime escrementa? e quanti pronostici all’impazzata non ho io sentiti, il successo de’quali
fu sempre, e sovente (heu nimis!) contrario all’aspettazione! Quanti poi non ve ne sono che ad ogni
visita scarabocchian giù ricettaccie immense piene di confezioni, di elisiri, e di altri preziosi
veleni, che Dio volesse, il loro effetto fosse quello soltanto di arricchire chi li prepara
piuttosto che di popolare il sepolcri! E quanti altri non ve n’ha, mio dolce amico, che per meglio
smerciare il loro capitale mettono in mostra ad ogni tratto tutta la loro scienza, o sciorinando
erudizione a tutta possa a chi non ne vuol sapere, o facendo pompa di sua persona oziando tutto dì
ad una bottega di spezieria! E quanti ancora (horrendum dictu!) che tenendo la divina arte
d’Ippocrate per un mestiere de’più profani, per un sozzo interesse, e per acquistar fama e potere
non badano d’abbassarsi alle più vili funzioni che farebbono disonore al facchino, alla zambracca!
Questi questi sappia il mondo, amico mio, che sono i veri impostori, que’veri flagelli disseminati
tra la Società dalla giusta ira di Dio per punizione de’nostri delitti. Ma, e che dirò io dei
milantatori di specifici, e di segreti, e di que’tanti che col solo pretesto d’aver traversate le
alpi danno ad intendere d’avere il privilegio di curare quella o tal altra incurabile malattia! Io
sarei bene intrigato, se tutte ad una ad una volessi scoprire le frodi, colle quali vengono
ingannati gli uomini in fatto di loro salute. Credei però bastante per guardarsene alla meglio, che
ognuno dietro queste traccie generali premettesse un po di esame, con cui più facilmente scoprire il
carattere del Medico prima di lasciarselo avvicinare al suo letto. Ma ohimè! parmi ora sentirvi
dire, che se tutti facessero come tu dici, pochi assai resterebbono i Medici, a’quali affidare la
propria salute. Ebbene, tanto meglio. Ecchè perciò? Sapete già con quanto buon successo fossero una
volta scacciati da Roma tutti i Medici (notate però ch’eran tutti impostori) e sapete la bella
ragione che fu resa al celebre Inglese Guglielmo Temple, il quale si sforzava di cercare il motivo
per cui non si vedessero più quelle enormi erruzioni di gente, che sortiva una volta dal Seminario,
come diceva egli, del Nord.
Vedete però che questo è un portare le cose agli estremi; nè io, nè voi vogliamo ora diventare
i Rousseau della Medicina. Non parliamo neppure dei mezzi da opporsi all’ascendente dell’impostura
sopra la vera Scienza; contentiamoci per quanto si può di smascherarla e di disonorarla, che così lo
potessimo fare, come io vorrei. L’accennato Problema fu più volte nella nostra compagnia l’argomento
di serie discussioni, e cento altre cose che non vi scrivo furono dette a pro dell’afflitta umanità.
Notate che abbiamo nella nostra società anche un Medico, ch’è vero Medico, e
moderatamente erudito. Egli se ne vive oscuro e contento della sua oscurità in una Villa quì vicina.
Io l’ho più volte ricercato della sua opinione a questo proposito, ed è affatto d’accordo con tutti
noi. Come erudito mi citò più di venti celebri Autori, ne’quali si tratta de’caratteri del vero
Medico, e de’suoi doveri; ma credo inutile di qui rammemorarveli, perchè pochi sarebbono quelli che
li leggessero. Egli mi mostrò su questo argomento alcuni aforismi del celeberrimo Macoppe, ch’egli
si tiene come un tesoro fra i suoi Manuscritti, e che sono veramente un capo d’Opera. Anche in un
libro di un certo Zimmerman egli mi fece leggere delle cose stupende, e degne d’essere stampate nel
cuore d’ogni uomo come in quello d’ogni Medico. Tutta la nostra società vi saluta; quel caro pazzo
di Biscancile fra gli altri. Vedete se qui regna la noja e l’ippocondria, e se quì si abbia a temere
la Medica impostura! Vi ringrazio della risposta alle mie lagnanze di plagio, che avete inserita
ne’fogli passati. Scusatemene, voi avevate tutte le ragioni del mondo. Siano proprie o d’altrui le
cose buone non sono mai ripetute abbastanza. La nostra società spera di poter attendere alle sue
promesse, purchè non isdegnate d’accettare i primi saggi che si sforza di darvi il suo ed il vostro
Lonvaglia.”
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Zitat/Motto
“Se questo illustre Autore, disse un’altro Inglese (the Spectator V.
I. Disc. XVI.) avesse un pò meglio riflettuto, che a que’tempi non v’era nel Nord alcuno studente di
Medicina, e che ora questa scienza più che altrove vi fiorisce, avrebbe data una migliore soluzione
alla sua difficoltà, che le tante altre da lui allegate.”
18 corrente.
Savio di Terraferma In luogo di s. Marc’Ant. Michiel eletto Cap. a Verona. s. Francesco Pisani qu. Almorò Proc. Prov. Sopra Monasteri dura m. 24. s. Carlo Antonio Donà. Inquisitor sopra gli Ebrei dura m. 24. s. Zuanne Widmann. Prov. sopra le Fortezze dura m. 12. s. Lor. Zustinian qu. Giac. Un amatore del Teatro, e conoscitore delle varie arti, che compongono gli spettacoli, si protesta obbligato alla nostra stima che rese un conveniente tributo al merito del Sig. Cav. Fontanesi. Egli approva con nostra soddisfazione la distinzione fata al Telone della Galleria, e c’incarica di pubblicare l’infrascritto Articolo a lume di que’che n’hanno bisogno. “Non vi è cosa a cui si possa applicar meglio il detto di Orazio Frons prima decipit multos quanto al genere di pittura teatrale. Istantaneo cangiamento, per esempio, di un luogo allegro ad un melanconico, una moltiplice combinazione di oggetti strani, una quantità di colori combinati con arditezza sfrenata fanno una certa impressione di sorpresa all’occhio del non colto spettatore, che lo porta molte volte ad applaudire i generi più falsi e le cose più detestabili. La quantità de’pittori, che esistono in questo genere in Italia capaci di farsi applaudire per questa strada sono moltissimi quanto veramente si sà che i bravi sono assai pochi. La fama di questi è durevole, quella degli altri finisce al calar del Sipario. In fine per dare dei segni caratteristici a distinguere il buono dal mediocre, il mediocre dal pessimo, si può dire, che le cose belle in questo genere sono quelle che uniscono insieme questi caratteri. Primo semplicità di pensiere il di cui contrario è la confusione. Secondo verità di pensiere il di cui contrario è l’impossibilità di realizzarlo in esecuzione geometrica. Terzo stile che non può essere che quello tratto dagli antichi il di cui contrario è un unione, di archi, di pilastri, di colonne, che porgono in fuori, che si ritirano, che si allargano, e che si sormontano a capriccio e a comodo dell’artefice. Quarto armonia di tinte, verità di tinte, il di cui contrario è il crudo, l’inverosimile. In fine bisogn’avvertire, che si può dare una decorazione che abbia molta verità, e poca bellezza, come si può dare un ritratto somigliante di una brutta persona, e di cattivo penello.Cause.
17 Nov. cor.
Al Coll. Eccell. de’XXV. Mane. Sin dall’anno 1781 il N. H. N. . . B. . . . fu emancipato dal di lui Padre N. H. R. . . . null’altro avendo dalla Casa paterna che il puro vitto. Incontrato da esso impegno di matrimonio con la Signora E. . . . . G. . . . . . atta per la sua condizione a dar successione al patriziato in quella Nobil Famiglia, fece chiedere all’Eccellentissimo di lui Padre il permesso di seco condurla, ond’ell’avesse luogo alla mensa comune; ma egli non assentì. Nacque da questa negativa la ricerca fattagli da S. E. N. . . . per il proprio alimento: onde con Estragiudiziale dimandò presentazione dell’Asse della paterna Facoltà. Produsse in conseguenza di tal intimazione S. E. R. . . . . un Bilancio di rendite ragguagliato a prezzi ministeriali. Non contento di ciò il N. H. Figlio presentò una Dimanda al Mag. Illustris. di Petizion nella quale chiamò il Giudice a sentenziare il di lui Genitore alla presentazione di un Asse esatto: indi lo citò al Magistrato medesimo. Comparve per esso il suo Interveniente in Offizio, e nel rispondere di volontà instò per la reggezione. Incoata ed assentita reciprocamente tal Pendenza al Mag. di Petizion il N. H. N. . . citò il Padre allo stesso Mag. per alimenti e Provvisionale. Credettero i suoi difensori, che per le Leggi, che ordinano li Compromessi trà Padre e Figlio, tal Pendenza non potesse correre al Petizion, e per ciò citarono il Figlio al Proprio per estrazione di Giudici Confidenti. A tal citazione non rispose il N. H. N. . . ., ma seguendo il proprio Giudice assentito dal Padre, fece nascere al Petizion un Atto absente, che lo sentenzia in Duc. cor. 250 per Provvisionale in un primo Capo, ed in Duc. 800 all’anno, in un secondo, durante la Pendenza, e ne implorò ancora li Comandamenti esecutivi. A tal Atto rispose S. E. R. . . . con Costituto, che riguardo il Primo Capo egli lo eseguisce, ma col Patto che il Figlio rinunzj la Causa al Petizion, e vadi in Arbitri. A questa condizione si fece dal Figlio un aperto protesto. Vedendo il N. H. R. . . ., che dopo gli assensi prestati, era difficile il disalveare dal Mag. di Petizion tal Pendenza, invocò l’autorità Avvogaresca per una citazione per intromissione di detta Spedizione, Comandamento esecutivo, ed Atti relativi: indi assunto Giudizio unitamente all’Illustrissimo Mag. del Proprio, fu coll’Intromissione dell’Eccellentis. Avvogador portata la materia all’Eccellentis. Coll. de’XXV. ove si disputò se potessero correre gli Atti surriferiti al Mag. di Petizion, o se si dovesse andar in Arbitri al Mag. del Proprio, e fu deciso col seguente Spazzo di Laudo a favor del N. H. N. . . Figlio. Laudo 13. Taglio 4. Avv. al Laudo Eccellenti Cromer e Orlandi. Interv. Gian Ant. Peretti. Al Taglio Ecc. Ant. Costantini, e C. Gius. Alcaini. Interrut. Sig. Pietro Antonini. Interv. Sig. Gir. Gastaldis.Ebene 3
Exemplum
Certo Forense d’una Città di Terraferma abita la casa d’una Donna, che
non gli può mai cavare un soldo d’affitto. Ella gli dimanda denari, ed egli le manda delle carte, e
a forza di Atti sopra Atti, di cavilli, e raggiri si scansa da’pagamenti. Stanca della di lui
resistenza, e di tenergli dietro nel Labirinto del Foro, questa Femmina coraggiosa s’accese d’ira,
andò a sorprenderlo nel suo Scrittojo, l’afferrò al collo, e lo graffiò al volto qual gatta
rabbiosa. Liberatosi a stento dalle sue furie cors’egli colla faccia grondante di sangue a
denunziarla al Malefizio, asserendo d’essere stato ferito da Lei di coltello, onde dare un prezzo
alla sua rinunzia, ossia atto d’un offeso, che si spoglia d’ogni pretesa contro dell’offensore, il
quale supplir potesse a’suoi debiti, e metterlo in credito di rate future. Gli esami della Giustizia
faranno sventar questa mina, ma non gli mancherà ingegno per provar in causa, che le unghie delle
Donne arrabbiate son micidiali quanto le armi da taglio; presenterà un conto di spese in medico,
chirurgo, e rimedj, che ascenderà a molta summa; l’accrescerà notabilmente colla partita del lucro
cessante; calcolerà a suo credito la paura, e il dolore, e la Padrona di Casa starà fresca se non
saprà ben difendersi.
Metatextualität
Non è questa una Favoletta, ma verità di peso di cui si rise, e si
tornerà a ridere nella Cita ove il fatto successe.