Gazzetta urbana veneta: Num. 88
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Num. 88 Mercordì 4 Novembre 1789.
Eccola servita, pregiatissimo Signor Anonimo. Su questo argomento si potrebbe dire molto di
più: ma per quanto se ne dica l’onore suonerà sempre su’labbri anche di quelli, che lo hanno bandito
capitalmente dal loro cuore, e si dovrà computare per essi un nome senza soggetto, un modo di dire
da lasciar correre senza inquietarsi. Giovedì della scorsa settimana alle ore tre della notte dalle
carceri di Verona sono fuggiti quaranta prigionieri (o cinquanta come altri scrive) ch’erano chiusi
in quelle. Variano le circostanze nelle diverse relazioni di questo scampo: molte però s’accordano
nell’avviso ch’uno delli custodi fu obbligato da una pistola rivolta al suo capo a dar segno
all’altro d’aver compiuta la visita, onde aperta una porta furono tutti e due sopraffatti da’capi
dell’ardita impresa, e serrati in una prigione ove si strascinò pure la moglie d’uno di essi con un
fazzoletto alla bocca, ed anche i suoi Figli, secondo una Lettera. Si sono coloro impossessati di
tutte le chiavi, de’denari in summa di Lire cinquecento, e dell’armi ritrovate nel
luogo della di Lei Abitazione, hanno aperte tutte le prigioni, ed alla testa de’loro liberati
compagni son usciti armati avviandosi al sito disegnato per calare dalle mura, e fuggire.
S’incontrarono colla Pattuglia, che ha dovuto cedere al numero ed alla forza di tante anime
disperate, e ridursi alla Guardia a prendere de’rinforzi. Il suono di campana a martello destò, e
spaventò la Città tutta. I rei fuggitivi per impedirne l’effetto sparsero intorno la falsa voce d’un
incendio, e si sottrassero alle osservazioni d’un Popolo agitato, ed a’pericoli d’esser arrestati:
onde hanno eseguita la loro fuga col mezzo delle corde, a riserva di sei che non hanno potuto
seguirli, e vennero presi. Uno di questi s’era cacciato nella stalla della Posta, e fu riconosciuto
per un capo di masnadieri, e dato nelle mani de’birri.
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Metatextualité
Col disegno del fondo acquistato per l’erezione del nuovo Teatro,
inciso in rame, ed impresso in gran Foglio, reso chiaro ed intelligibile dalle molte note chiamate
alfabeticamente, è comparso il Manifesto seguente, che separato ancora dal disegno medesimo ha delle
parti da soddisfare la pubblica curiosità per cui bastare non possono le poche copie, che se ne sono
stampate, benchè più che sufficiente all’oggetto d’offerire un campo all’invenzione degli
Architetti.
Venezia primo Novembre 1789.
La Nobile Società del nuovo Teatro da erigersi in Venezia sopra il fondo acquistato nelle Contrade di S. Angelo, e di S. Maria Zobenigo ha incaricati i suoi Presidenti ed Aggiunti di procurarsi disegni e modelli; perciò li detti Nobili e Sigg. Presidenti ed Aggiunti col presente manifesto e disegno del fondo, invitano a concorrenza tanto gli Architetti Nazionali che Forestieri a proporre la forma di un Teatro, che oltre alla primaria qualità di essere il più soddisfacente all’occhio ed all’orecchio degli Spettatori, si adatti ancora alle condizioni quì sotto espresse. I. Lo spazio di tinta più carica è il fondo acquistato fuori del quale non si può estendersi in ampiezza come lo si potrà in altezza, perchè confinante con fabbriche di altrui privata proprietà, e con pubbliche strade; avvertendo che non si possono fare fori di sorte alcuna nei lati congiunti alle suddette contigue altrui abitazioni, quando non vi si discostasse il nuovo fabbricato almeno per cinque piedi voluti dalla Legge Veneta. II. Per facilitare l’accesso per acqua importantissimo al comodo concorso delle Gondole, singolarmente nell’invernale stagione, si è ottenuto di poter aprire dentro il fondo della Società un nuovo Canale di comunicazione fra il Rio dell’Albero, ed il Rio Menuo. Nel disegno però e modello si dovrà tracciare la linea e l’ampiezza di questo nuovo Canale da escavarsi secondo il pensiere e l’idea dell’Architetto, purchè non sia in parte nessuna men largo di 20. piedi, e nei siti di obbliqua direzione conceda facilmente e comodamente il rivogliersi e cambiarsi delle Gondole che sono lunghe sino piedi 32. III. La Callesella che esiste attualmente dinanzi al Palazzo delli N. N. H. H. Marini diverrà una fondamenta bordeggiante il nuovo Canale, e si ridurrà a 7. piedi di larghezza, construendovi una Riva che smonti a detto Palazzo, e questa fondamenta andrà ad unirsi come in presente all’altra del Palazzo delli N. N. H. H. Gritti, non che alla calle che conduce in Campo a S. Maria Zobenigo. IV. Sopra tutta l’estensione dei due Rii, cioè del nuovo Canale e Rio Menuo che circonderanno il Teatro, sarà libero all’Architetto il piantarvi sulla linea che resterà del nostro fondo molte e comode Rive che smontino ad un Atrio ad uso dei concorrenti colle Gondole, e dei loro Gondolieri, che per costume vi si trattengono al pronto servigio dei loro Patroni. V. E perchè coll’escavazione del nuovo Canale dovrà profondarsi parte della fondamenta, ch’è l’unica uscita e comunicazione delle Case segnate A e B per la fondamenta di Casa Marini alla calle che conduce alla Parrocchia di S. Maria Zobenigo; sarà necessario che all’angolo C di detta fondamenta Marini si faccia un Ponte di comunicazione attraverso al nuovo Canale, che in quel sito si unirà coi due rami del Rio dell’Albero. VI. L’ingresso principale per Terra sarà sul Campiello di S. Fantino che potrà allargarsi ritirando la linea del nostro fondo ivi prominente. Vi sarà un primo Atrio di comune ingresso, ed un secondo alla porta del quale si pagherà il biglietto; avvertendo che siccome è uso di Venezia, che una sola porta dia l’ingresso all’interno del Teatro tanto nel tempo che precede, quanto durante lo spettacolo, così sarà necessaria una comoda e decente comunicazione tra il secondo Atrio e l’altro sul nuovo Canale nominato nell’Articolo IV. VII. Il Teatro avrà cinque ordini di Palchetti, che si denominano Pepiano, Primo, Secondo, Terzo, e Quarto Ordine, o sia Soffitta. Ogni Ordine non avrà meno di 35. Palchetti senza distinzione veruna fra di loro, eccettuati sei di essi in ogni Ordine, cioè tre per parte che diconsi Proscenj, perchè immediatamente sono prossimi alla Scena, e s’internano nella medesima cominciando da dove la Platea confina con l’Orchestra, e saranno 3. oncie più larghi degli altri, e lo stesso si farà del Palchetto di mezzo di ciascun Ordine. VIII. Nel piano del primo Ordine vi sarà un’ampia Sala per Ballo con contigue Stanze per Conversazione, e dove caderà opportuno si faranno corrispondenti luoghi da servigio. IX. La configurazione del fondo portando che ne restino alcuni ritagli non necessarj agli usi e comodi del Teatro, si avrà riguardo di lasciarli in sito il più utile per convertirli in Case e Botteghe. X. I frequenti incendj dei Teatri esigono dagli Architetti un particolar studio, e sarà distinto merito nella costruzione, che quantunque l’interno sia di materia accendibile come il legno, si renda il meno possibile esposto alla distruzione del fuoco, ed abbia pronti e facili ripari al medesimo. In tutto il resto l’abile inventore del disegno e modello penserà a tutte quelle adiacenze delle quali sono provveduti i più celebri Teatri d’Italia, cercando di migliorarle ed accrescerle singolarmente negli usi e comodi della Scena, degli Attori di ogni classe, e degli Operaj che molto contribuiscono al buon Ordine dello Spettacolo, e parimenti provvederà all’agio, alla tranquillità degli Spettatori, moltiplicando le Scale, rendendo pronte e numerose le uscite, ed assegnando luoghi addattati al Caffè, ed alla vendita di altri generi anche commestibili. XI. Nelle misure dovrà usarsi il piede Veneto una di cui metà si è delineata nella pianta del fondo. La Scala dei disegni per più facile intelligenza sarà dupla di quella usata nella suddetta Pianta, e la scala dei modelli sarà almeno di quattro piedi per ogni oncia Veneta. XII. Ogni disegno e modello sarà accompagnato da una esatta dichiarazione in iscritto, e da un conto d’avviso del valore di ogni parte di detta fabbrica, onde averne una cognizione possibilmente approssimante. XIII. Quattro mesi dopo la pubblicazione del presente invito, gli Architetti concorrenti, che dimorano in Venezia e nello Stato, daranno il loro nome in nota al Cancello del Sig. Gio: Battista Capellis Notajo Veneto, e della Società, esibendosi pronti a presentare il loro disegno e modello al momento che sarà destinato all’esame di tutti, e gli altri Architetti Forestieri non dimoranti in Venezia dentro lo stesso periodo di tempo si rivoglieranno al Notajo medesimo. Che se alcuni di questi ultimi con anticipato avviso chiedessero un discreto prolungamento pel trasporto in Venezia dei loro disegni e modelli, si presteranno li Nobili e Sigg. Presidenti ed Aggiunti ad un’equa concessione. XIV. Prescelto ed approvato che sia dalla Società, nel modo che da essa si crederà il migliore, uno dei proposti progetti, avrà l’Autore in premio un medaglione d’oro del peso di trecento Zecchini. Occorrendo poi la di lui sopraintendenza alla materiale erezione della Fabbrica, sarà in seguito convenuta con esso la giusta mercede. Non dubitano i Nobili e Sigg. Presidenti ed Aggiunti, che tale invito non ecciti l’ingegno d’ogni valente Architetto Italiano al desiderio di celebrarsi con la produzione di un decoroso Teatro, che finalmente corrisponda ad una Capitale ove Palladio, Sansovino, Sammichieli, Scamozzi ed altri Valentuomini del Bel Secolo hanno lasciati così insigni monumenti in un’Arte cotanto dilettevole, utile, e necessaria a tutte le più colte Società. Tenore d’una Lettera di Brescia de’29 prossimo passato Ottobre.Niveau 3
Lettre/Lettre au directeur
Alle 23 del dì 26 da alcuni, che lo invidiano per esser illuminato ed
attivo, s’inventò, e si sparse voce, che un Forense fosse stato in quel punto ucciso con una
trombonata da un villano nel proprio mezzà. Tal nuova fece correre il Popolo per curiosità alla di
lui casa, e trovata falsa consolati si sono gli Amici suoi, e seco loro tutti i buoni, che fanno
conto di chi esercita con onore una professione, sempre pericolosa in questa Città, come delle
funest’esperienze lo fecer conoscere. Da due giorni quì torna a piovere dirottamene, onde risorgono
timori di nuovi mali, che Iddio tenga lontani. L’antica maestosa Fontana appiedi della gran Torre
della Palata viene attualmente ristaurata da questa Magnifica Città, e vengono rifatte le Statue,
che l’adornano, guaste dal tempo. Possiamo vantar, senz’esagerazione, che per la sontuosità delle
fabbriche, per l’universale selciato delle sue strade, ch’oggidì pure continuasi, per la copiosa
illuminazione notturna de’portici, ed altri diversi luoghi, questa nostra Città è divenuta di
soddisfazione, e di grato soggiorno alli Forastieri.
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Lettre/Lettre au directeur
Signor Gazzettiere (scrive arrabbiatamente un tale che non conosciamo)
io sono in collera contro una quantità di bricconi, che impunemente abusano del sacro nome
dell’onore, e lo profanano ne’falsi lor giuramenti. Sò che ogni Paese ha i suoi buoni, e i suoi
cattivi, nè sono un cinico indiavolato, che latri al vizio, e pretenda una Società
purgata da’malvagj, ma vorrei che costoro avessero qualche riguardo d’introdursi in certe riduzioni
di gente dabbene, o almeno se sono tollerati non osassero mai di vantar quell’onore contro cui sono
in guerra perpetua. Non sò più a qual Caffè praticare ove non ritrovar alcuno di questi temerarj,
che per aver un buon abito, e la borsa sempre ripiena, si caccian per tutto, si fanno largo, e ad
ogni quattro parole escono col da uomo d’onore. Chi è debitore alla sua abilità nel maneggio d’un
mazzo di carte, della fortuna che gode; chi lo è alla bellezza, o all’arte d’una Moglie che seco lui
perfettamente agisce d’accordo; chi non fa all’amore, che con delle Vecchie mettendo a traffico la
sua giovinezza; chi è mercante in Piazza da negozj dannati, e sull’altrui rovine arricchisce: i men
colpevoli son i messaggieri d’illeciti amori, i parasiti insaziabili, gli arditi buffoni. E tutti
costoro, uditeli in qualche circolo ad uno ad uno, declamano sulla corruzione del secolo, censurano
gli altrui costumi, e colle travi negli occhi se la prendono contro le altrui paglie. Ma quel ch’è
peggio, e ch’io tollerare non posso, è che giurano a piena bocca sull’onor mio. Queste son gravi
bestemmie, e per punirli meritamente converrebbe all’udirle, che tutti a tossir si mettessero, come
fanno gli spettatori plebei a’Teatri Comici, quando certi Attori o Attrici di trista riputazione
servendo alla loro parte giurano sull’altar dell’onore. Poche sere sono ebbi a minacciare del rigore
della Giustizia una Femmina di partito, che col mezzo d’una sua confidente tentava d’invescare nella
sua pania un Figlio di Famiglia a me vivamente raccomandato dal Padre suo. Nel darmi la sua parola,
che a lui non avrebbe pensato più, giurò da donna onorata, e mi fece dare in escandescenza onde la
costrinsi a cangiare, e protestarmi da quel che sono. Così avessi potuto ridurre a tanto certa
Civetta da merlotti di buona razza, che ha sempre l’onor sulla lingua, perchè non si rende
accessibile che a caro prezzo, e pretende collo splendore dell’argento, e dell’oro di coprire
l’infamia. Tanto è sicario chi ammazza un uomo per guadagnar cento zecchini quanto quello che lo
ammazza per uno solo. Accogliete, Sig. Gazzettiere, di buon grado le mie premure, ed avvertite donne
ed uomini, che se godono delle franchigie in certe adunanze dalle quali aver dovrebbero una perpetua
esclusione, si contentino almeno di chiuder per sempre la bocca al nome dell’onore, e giurino da
quello, o da quella ch’io sono.
Metatextualité
Il fatto è
verissimo, e se quanto alle circostanze, che l’hanno accompagnato, e seguito, avremo certe ulteriori
notizie, le daremo in fine di questo Foglio.
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Chi sà ben parlare ha de’gran vantaggj!
Exemple
In un Pielego partito da questa Città per Trieste quindici o venti giorni sono, si ritrovarono uniti
in viaggio un Uffiziale di fresca età, una Vedova di civil condizione, con sua Figlia egualmente
bella che modesta, un Monaco di età avanzata, ed un Mercante Tedesco. La Vedova per legare la
conversazione dimandò al Militare delle nuove di guerra. Signora, ei risposegli, con aria vivace, vi
prego a non parlarmi di queste miserie; io rinunzierei di buon grado a questo stato duro e penoso,
per mettermi al vostro servizio, o a quello dell’amabile vostra Figlia. Io son buon soldato: la
franchezza è il mio carattere. Voi mi vedete giovine, sano, robusto; prendetemi per voi, bella
Vedova, o datemi a vostra Figlia. Voi potete disporre di me come vi piacerà; io son un soldato di
fortuna. Ah! ah! ah! Coraggio, Signore, determinatevi; celebreremo le nozze a Trieste. Sveglieremo
questo sonnacchioso, che mi servirà di Padre. In ciò dire scosse il povero tedesco, che
saporitamente dormiva, e lo spaventò, perchè trà la veglia e il sonno credeva, che il mare volesse
inghiottir il Legno. Pose poi una mano sulla spalla del Monaco, e disse: questo Volpone, che la sà
più lunga di quello che la sappiamo noi, ci unirà in matrimonio, e servirà di Padre alla Sposa.
Senza punto alterarsi il saggio Monaco gli rispose. “Amico mio, io prendo in buona parte l’onor che
mi fate di darmi l’autorità di Padre su quest’avvenente ed onesta Figlia, e posso ben assicurarvi,
che s’ella è a mia disposizione, voi non l’avrete giammai. I vostri scherzi sentono un pò troppo la
follia; e il tamburo del vostro Reggimento, che risuona per esser vuoto, ce ne presenta un emblema
calzante. Sinceramente, i discorsi che sinora ci avete tenuti non dan segno di colto spirito. Amico,
amico, siamo insieme in questa barca, che ci deve condurre a Trieste, e non potremmo prima d’esser
colà separarci da Voi. Se volete persistere a dire delle insolenze, converrà che questa saggia Madre
le ascolti, come noi tutti, perchè non è in nostro poter l’impedirlo; ma se aveste del buon senso,
non cogliereste il vantaggio della vostr’aria guerresca per render timidi noi che siamo figlj di
pace. Voi siete un soldato, a ciò che dite: date dunque quartiere a della gente, che in istato non è
di difendersi. Perchè avete svegliato questo povero tedesco, che riposava sì bene? Per
fargli approvare la vostra disposizione? Bel gusto! Guardatelo, ch’ora in grazia vostra s’agita, si
contorce, e non ritrova più quiete. Se vi lasciate uscire di bocca delle parole indecenti alla
presenza di questa modesta Fanciulla, voi fate un oltraggio a persona che non potrebb’evitarlo; e se
ci sforzate ad ascoltarle, perchè siamo chiusi nella medesima barca, è questa una spezie di violenza
commessa sulla pubblica strada.” Quest’apostrofe così sensata temperò un poco l’umor vivace del
Militare che gli rispose così. “Amico mio, io vi ringrazio di buon cuore. Mi sarei innolcrato di più
senza la vostra riprensione. M’accorgo che siete una persona stimabile, e che per colpa di certuni,
che portano l’abito vostro, e rispettar non si fanno, cade un ingiusto disprezzo anche sopra
de’vostri pari. Sarò discreto per tutto il resto del nostro viaggio, e queste Signore di me non
avranno a dolersi.” Di fatti l’Uffiziale fu di parola, e brillò in appresso senza offendere, nè
disgustare alcuno. Al punto di separarsi la compagnia, allorchè prese terra, il Monaco indirizzò al
Militare le parole seguenti. “Ora ci dividiamo, e non avremo forse mai più l’occasione di rivederci.
Valetevi dell’avviso d’un uomo franco, e sincero. Non crediate mai che un abito militare renda un
uomo terribile, nè uno di semplice lo renda spregevole. Quando a caso s’incontrano due persone tali
quali noi siamo, colla benevolenza scambievole, ch’aver dobbiamo l’uno verso dell’altro, voi dovete
godere del mio umore dolce e pacifico, ed io consolarmi della vostra forza, e della vostra bravura,
che in istato vi mettono di difendermi.”
Metatextualité
Una Lettera Francese contiene questo recente aneddoto. Senza sapere
chi ce l’abbia diretta parveci bene il tradurla ad instruzione di certi spiriti arditi, che per
distinguersi nelle compagnie abusano della superiorità de’ranghi, o delle apparenze, e si fanno un
giuoco de’timidi, che raccomandati non sono da un bell’abito, e sovente diventano oggetto di risa
alle brigate. Bisognerebbe ch’ognuno di questi trovasse, al caso di far pompa di scioltezza
d’ingegno, qualche uomo del coraggio, e della saviezza del Monaco, ond’emendarsi sul fatto, o almeno
restare svergognato e confuso.
Metatextualité
Una nobile Fanciulla uscita poco tempo fa da un insigne Monistero,
ove stette cinque anni in educazione, senza mai sentirsi disposta a chiudersi in esso per sempre,
godendo ora per la prima volta de’beni della campagna in ameno sito, ad onta della piovosa stagione,
trova nella carrozza una delizia delle maggiori ch’aver possa un vivente, ed ha composto un Sonetto
in cui chiede chi ne fosse l’inventor benemerito, e in qual secolo l’abbia introdotta con tanta
comodità, e solletico di chi può godersela. Questo Sonetto ci fu diretto da persona, che dicesi di
sua Famiglia, coll’arbitrio di pubblicarlo qualora lo trovassimo degno. Prevalendoci di questa
libertà negativa, al caso che tale non fosse, ci ristringiamo a comunicare al Pubblico la sua
dimanda, ond’altri abbia il merito di soddisfarla quanto al nome del celebre inventore della
carrozza, che tanto le piace. Dal canto nostro la serviremo intanto comunicandole la sua antichità
tratta da un Articolo contenente le principali scoperte fatte in Europa. Eccone la traduzione.
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“L’origine delle carrozze non rimonta oltre il Regno di
Carlo VII. Re di Francia. La prima che si vide a Parigi, fu quel carro sospeso, che Ladislao Re
d’Ongaria e di Boemia, inviò alla Regina. La prima carrozza che comparve a Vienna fu nell’anno 1515
ed a Londra nel 1580.”