Gazzetta urbana veneta: Num. 86
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Livello 1
Num. 86
Furono dette molte cose diverse per
istabilire la differenza che passa tra un Epigramma ed un Madrigale, in una Spezieria da Medicine
ove a piacevole conversazione radunansi de’Sacerdoti che non sempre parlano de’Santi Padri,
de’Medici che non annojano co racconti delle loro cure, o colle oscure dottrine della lor Arte,
de’Letterati che non escludono il linguaggio delle Muse da’saporiti lor dialoghi. Se alcun di loro
avesse letti questi quattro versi, e se li fosse ricordati per recitarli a proposito si sarebbe
fatt’onore decidendo con essi una questione rimasta sospesa dopo una quantità di
parole. L’esprit, assaissonant la louange ou le blàme, Quoique diversement, leur donne un prix ègal;
Il devient sel dans l’Epigramme, Et sucre dans le Madrigal. Li compose una Fanciulla d’anni
diciotto. Ad alcuni de’nostri Caffè dove si vive più la notte che il giorno, gli ascoltatori
tranquilli trovan sovente maggior piacere ad udire i giudizj, e le contese sulle Rappresentazioni
teatrali di quello che provano ad intervenirvi. Uno di questi s’è goduto poche sere sono un dialogo
romoreggiante intorno al Matrimonio di Figaro Commedia recitata a S. Gio: Grisostomo, nel quale
cozzava la lode col biasimo, perchè veniva deffinita da un tale come un capo d’opera del comico
ingegno, e dal suo avversario come un parto mostruoso di fantasia sregolata. Sosteneva l’uno non
essere corsi che quattro o cinque anni dacchè fu posta in iscena a Parigi: che se ne fecero più di
trenta repliche, e che il Beaumarchais Autore della medesima fu dagli applausi della Nazione, e
dagli elogj poetici sollevato alle stelle. Opponeva l’altro, che la prima recita contava più d’anni
dieci, che poche volte fu replicata, che soggiacque a delle critiche mordacissime, e che i Francesi
assennati, e dotti, l’hanno detestata concordemente. Dal mutolo testimonio di quella scena di
strepito a noi si chiede chi avesse ragione. Risponderemo coll’evidenza de’fatti da cui dovrebbe
restar persuaso chi con tanta franchezza s’è apposto al vero. La Folle Journèe o il Matrimonio di
Figaro fu posta in iscena a Parigi a’ 27 Aprile 1784, e nel corso di otto mesi; cioè sino alle fine
Decembre, ebbe 67 rappresentazioni interpolatamente. Il concorso alla prima fu numerosissimo quale
aver doveva il seguito del Barbier di Siviglia. Il Giornalista di Parigi ha detto: che delle
circostanze particolari dovevano accrescere l’interesse da quest’Opera naturalmente eccitato, e dare
un nuovo alimento alla pubblica curiosità. Ma al piacere, soggiunse, che sentir deve un Autore
facendo correre al Teatro una sì gran folla di spettatori si unisce il pericolo d’essere ascoltato
tumultuosamente; così quantunque questa Commedia abbia avuta la migliore riuscita, essa eccitò di
tempo in tempo del romore e de’bisbigli. Molte ragioni hanno dovuto contribuirvi. Nelle
rappresentazioni di tanto concorso un Autore non produce mai delle impressioni che siano deboli: nè
in bene nè in male nulla v’ha che sia indifferente; ciò che dispiace irrita, e l’approvazione và
all’entusiasmo. Oltre ciò la nuova Commedia ha dovuto alla prima rappresentazione soffrire
de’momenti procellosi, perchè l’Autore tendendo sempre all’originalità, avvicinando in conseguenza
la bizzarria, azzardò dell’espressioni ch’hanno almeno bisogno d’esser intese molte volte per
ottener l’approvazione. Il Barbiere soggiacque a maggiori contraddizioni, e se quella prima Commedia
ebbe da poi un successo sì felice ed universale, il Sig. Becumarchais deve fondare su questa delle
maggiori speranze, perchè la disapprovazione fu passeggiera, e gli applausi sono stati vivamente
replicati ed inoltrati sino a’trasporti. È certo che la critica troverà da esercitarsi in tutte e
due; ma le persone dotte e imparziali converranno che queste due produzioni veramente originali non
devon essere giudicate colle regole alle quali le Opere volgari si sottopongono. Ecco il sentimento
degli eruditi Giornalisti di Parigi comparso dopo la prima recita del Figaro.
Verificato il loro presagio da un numero sì considerabile di repliche, egli è un parlare a caso
dicendo che n’ebbe poche, e che alg’intendenti non piacque. Avrà forse a caso egualmente asserito lo
sprezzatore di questa Commedia, che severamente fu criticata, ma l’indovinò. Alla settima
rappresentazione dal centro del Teatro gettate furono cinquecento copie del seguente fulminante
Epigramma: Potevasi dire di più in questi pungenti versi, contro d’una Commedia, che all’ombra
de’pubblici favorevoli auspizj tanta gloria accresceva al nome del suo celebre Autore? Chiamarla
trionfatrice del Magistrato, che veglia sul buon costume; profanatrice della Scena Francese; dire
ch’ogni Attore è un vizio, e che per veder tutti i vizj raccolti in un solo Personaggio, de’balordi
comperati hanno fatto uscir l’Autore a ricever gli applausi, questo è bene altro che censurare
un’azione drammatica, egli è uno spargere i più amari sali satirici sull’opere, e su’costumi di chi
la scrisse, che mai non devon esser confusi colle produzioni dell’ingegno, com’esser non lo devono
colla ragione, o col torto de’Clienti nelle aringhe forensi. Il Sig. De Beaumarchais soffrì
quest’ingiuria con una filosofica intrepidezza, e scrisse una Lettera degna del suo spirito
a’Signori Giornalisti in cui ringraziandoli della loro onestà nell’esame del suo Figaro li ha
artifiziosamente rimproverati d’imperdonabile negligenza per aver taciuto l’avvenimento, e lor mandò
i versi trascritti sotto il titolo di capo d’opera destinato all’istruzione del Pubblico, mostrando
cognizione del servitor compiacente ch’eseguì la commissione, e del Padrone giocondo che diedela,
riserbandosi a nominarli, e a ringraziarli nella Prefazione della sua Opera. “Non si può negare
(diss’egli) che questo Epigramma il più ingegnoso di tutti quelli che prodigalizzati furono alla mia
Commedia, non dia un’analisi infinitamente giusta dell’Opera e di me stesso. Sarebbe stato solamente
da desiderare, che l’Autore men premuroso degli applausi del Pubblico avesse un pò più badato alla
lingua, ed alla poesia. Effettivamente non dicesi ch’un Attore è un vizio, perchè un Attore è un
uomo, ed un vizio non è che un’abitudine colpevole. Non v’è maggior esattezza nominando un vizio
l’adulterio. Se l’impudicità merita questo nome, l’adulterio, che non n’è che un
semplice atto, una modificazione, è solamente un peccato. Noi diciamo: egli ha commesso il peccato
d’adulterio, e non il vizio d’adulterio. Nel censurare la mia Commedia si poteva mostrar più gusto
risparmiando a’Leggitori francesi le parole un pò azzardate di goùter du Page favori &c. &c.
Ma son questi piccoli difetti in un’Opera tanto piena di spirito e di giustezza; ed io non fò queste
lievi riflessioni che in favore de’Giovani che in questo stimabile genere molto si esercitano. Del
resto de l’Epigramma fu ricevuto a fischiate, l’Autore non deve per ciò minorare la buona opinione
della sua Opera, e della sua persona. Le novità, le più piccanti eziandio, trovano delle difficoltà
all’introdursi, ed io non dubito che finalmente un giorno non giungasi a far adottare questa maniera
ingegnosa d’impadronirsi dell’opinione pubblica, e di dirigerla all’Opere drammatiche.” Il tuono
ironico di questa Lettera avrà meglio vendicato l’offesa appresso una Nazione colta e sensibile, che
una seria rimostranza, o una corrispondente invettiva. Si stupirà forse, che la traduzione del
Figaro sulle nostre scene non abbia avuta una fortuna che approssimi quella che incontrò in Francia.
Si dirà, a chi opponesse la differenza che passa da un originale alla versione, che l’Eugenia
dell’Autore medesimo, ebbe anche tra noi un esito felicissimo. Ma non è questo il caso da far
confronti. Se la Commedia di cui parliamo ebbe d’uopo a Parigi d’essere ascoltata più volte per
essere ben capita, attese le licenze di stile, e lo spirito nascosto delle frasi, quanto non deve
riuscire difficile la sua traduzione! E risultando le sue maggiori bellezze dal senso, e
dall’artifizio del dialogo, come potevamo mai gustarle, se son perdute per noi, come perduti
sarebbero in Francia i vezzi del nostro vernacolo se colà si rappresentasse tradotta una delle più
belle Veneziane Commedie dell’immortale nostro Goldoni? Ha molto contribuito all’ottima riuscita del
Figaro la somma abilità degli Attori, che seppe mettere l’insieme il più armonico in una macchina di
sì vasto disegno. Il famoso Prèville nella piccola Parte di Giudice spiegò la grandezza de’suoi
talenti, che per tanto tempo formarono le delizie di quella Capitale. Il Sig. Molè in quella di
Conte meritò i soliti elogj dovuti alla sua bravura. Madamigella Sainval sostenendo il carattere
della Contessa impiegò quelle fine gradazioni che distinguono le debolezze d’un cuor umano, e
Madamigella Contat rappresentò Susanna colle grazie le più amene ond’ebbe dalla penna di Mons. Vigèe
l’onore di questi versi: Il Paggetto fu
rappresentato con molta intelligenza da Madamig. Olivier, ed il servo contadino da
Mons. Larive. Il Sig. d’Azincourt riuscì felicemente nel più difficile impegno a cui potesse esser
esso colla Parte del Protagonista, una delle più estese ch’aver possa un Attore. Il più gran
talento, in simili imprese, ha sempre bisogno per l’esecuzione delle forze fisiche. Queste in lui
s’unirono alle finezze dell’ingegno, e all’intelligenza modificatrice de’tuoni, e de’gesti; così nel
principale animò il gran Quadro, che tante sere rivide in azione la Capitale della Francia. Sappiano
grado di queste cognizioni all’osservator taciturno li due avversarj in opinione, che lo hanno
divertito colle loro contese; e si prendi l’uno quelle che gli mancavano, l’altro correggasi e non
azzardi più di parlare a caso su ciò che ignora assolutamente. Ci perdonino i Comici Italiani
l’elogio de’Forastieri, e se ne vogliono anch’essi di degni imparino ad imitarli. L’apertura di
questo Nob. Teatro a S. Benedetto seguirà, come corre voce, alla metà del mese venturo. Dicesi che
avremo per compagno della celebre Signora Banti, il Sig. Violani, che presentemente canta a Treviso.
Compositore de’Balli è il Sig. Traffieri, Prima Ballerina la Sig. Dondi, e suo compagno in coppia, o
in terzo il Sig. Gioja. Il pennello del rinomato Sig. Cav. Fontanesi si esercita nelle nuove Scene
che decoreranno questo Teatro, e ben a ragione lusingasi il Pubblico di dover tributare anche in
questa occasione l’ammirazione, e le lodi sue al di lui valore a tante prove riconosciuto. S’aprirà
pochi giorni dappoi l’altro Nob. Teatro a S. Samuele d’Opera Seria. Si accerta che non resterà
chiuso nemmeno quello a S. Cassiano; che una Comica Compagnia venuta dalla Sardegna, e diretta dal
Sig. Cuccina servirà a due Impresarj, che vengono nominati, la quale darà degl’Intermezzi di gusto
Napoletano, ossia dell’Arie frapposte alle recite. V’è chi asserisce che l’entrata non costerà che
soldi cinque ed altrettanti la sedia; e che i palchetti accordati all’Impresa in buon numero avranno
un prezzo fisso di 30 soldi. Se ciò è vero ci sarà ogni possibile comodità nelle gradazioni degli
Spettacoli, e con nuovo esempio si potrà scegliere abbassandosi dalle L. 4 sino al trairo.
Riconfermasi la notizia, che frà pochi giorni sarà posta in iscena a S. Moisè l’Opera Giocosa Il
Burbero di buon cuore del Sig. Ab. Da Ponte colla Musica del Sig. M. Martini. Sarà questa un di più
ad aggravio dell’Impresa, che tenta tutti i mezzi di soddisfare il Pubblico. Intanto compone la
Musica sul nuovo Dramma, che si reciterà dopo la Villeggiatura, il Sig. M. Robuschi. Nella suddetta
Opera del Burbero vi sarà una nuova Virtuosa accordata a rinforzo della Compagnia. Avviso. Perchè
gli Amatori delle gran novità correnti non siino privi di qualunque cosa, che possa interessare il
loro genio e Speculazioni, li Veneti Stampatori Antonio Zatta, e Figli si sono dati il pensiero
d’incidere in Rame il famoso Assedio della Città, e Fortezza di Belgrado fatto dalle Imperiali
Truppe Austriache. Si vedono in questa Carta delineata colla possibile precisione le Trinciere, le
Palizzate, le circonvallazioni, le Linee, i Ponti sulli Fiumi Sava e Danubio, e difesa de’medesimi,
le Batterie, la distribuzione dell’accampamento, le marcie e quant’altro può bramarsi per aver
sott’occhio l’assedio suddetto. Vi è inoltre rappresentata in alzato la Città e Fortezza suddetta in due aspetti unitamente alla Pianta, ed il corso degli anzidetti Fiumi Sava, e Danubio
colle Saiche Turche ed Imperiali alla difesa de’respettivi Posti. Questa interessante Carta stampata
in Foglio imperiale vendesi al prezzo di L. 2. Venete, ossiano Paoli 2 Romani, e si potrà avere
tanto dalli suddetti Zatta, quanto da’migliori Libraj d’Italia. Nella Resa di Belgrado
all’invittissimo Feld Maresciallo Barone Laudon Comandante Generalissimo dell’Armi Austriache.
Questo Sonetto è parto della felicissima fantasia del Sig. Conte Francesco Pimbiolo Nob. Padovano
del cui valor nella Poesia Lirica un saggio bastevole offeriscono a’conoscitori i riportati versi.
Per il ritorno in Patria dal glorioso suo Reggimento di Bergamo, questa Comica Compagnia del Teatro
a S. Gio: Grisostomo, in attestato dell’ossequiosa sua gratitudine per i benefizj da lui ricevuti,
ha dedicato a S. E. il Sig. Conte Giovanni Widmann un Sonetto in dialetto Veneziano colla coa nel
quale son espressi i sentimenti della profonda sua stima, e della riverente sua riconoscenza per un
Soggetto di sì alto merito dalla cui amabil grandezza, e nobilmente pieghevole, tanto son animati
quelli che per favori ad esso ricorrono. Questo Sonetto fu esposto l’altr’jeri ne’contorni della
Piazza ed altri siti i più frequentati, ed in esso son nominati trà i versi i principali Attori
della Comica Compagnia. Aneddoti Curiosi.
Mercordì 28 Ottobre 1789.
Livello 2
Metatestualità
Uno che non scriverebbe mai per natura, che teme di scrivere per
riflessione, che con gran difficoltà s’induce a scrivere per dovere, e che non scrive mai per
complimento, è stato tentato di rispondere al seguente Quesito stampato in uno de’prossimi
precedenti nostri Fogli. Sono sue queste parole colle quali in cortese Lettera accompagna la sua
erudita, e convincente risposta. Essendo la Società piena di Medici parte dotti, e veramente grandi,
parte sciocchi, e ignoranti Impostori si domanda con quai Caratteri si possi distinguere fra questi
il Medico sapiente dall’Impostore.
Livello 3
Quantunque la premessa asserzione alla soprascritta inchiesta lasci un
dubbio a chi scrive che chi la fece non cerchi veracemente, nè abbia bisogno d’esser instrutto sul
quesito, sembrandoci che chi asserisce francamente che in Società vi sono e medici dotti e veramente
grandi, e sciocchi e ignoranti impostori, debba anche quanto a lui conoscerli; pure sul supposto
che, o Egli contro sua voglia siasi mal espreso, o supponendo che alcuno pur siavi che desideri di
sapere quali siano li segni che distinguono il Medico, che sa l’Arte sua, da quello che non ne ha
che il nome, ecco la mia risposta. Quello saprà l’Arte sua, il quale avrà avuto, e si sarà
approfittato dei mezzi necessarj per impararla. Nissuno (bisogna persuaderselo) ha mai saputo
nissuna Scienza, nissuna Arte, senza aver avuto li necessarj Capitali, e senza avere usato di
que’mezzi che si richiedono per impararle. Ma quali sono poi que’requisiti, e que’mezzi che si
rendono necessarj per apprendere la Medicina? Più assai di quelli che comunemente si crede.
Laconicamente ma decisivamente tutti li accenna il divino Greco nel Cap. de lege. Natura, dice egli,
Doctrina, loco studiis apto, Institutione a puero, Industria, & tempore. Chi non ha sortito
un’inclinazione, e un genio per quest’Arte; chi non ha dalla natura avuto in dono, pensatore e a
tutte prove perspicace ingegno, accompagnato da obbediente memoria, facilità di combinare moltiplici
oggetti, acutezza per distinguerne le più minute differenze, prontezza ed aggiustatezza nel
giudicarne, mancherà sempre dei necessarj fondamenti per imparar la Medicina. Chi non sarà erudito,
e fondatamente saprà la Fisica, la Meccanica, l’Anatomia, la Scienza dell’uomo sano, e
ammalato, li segni delle differenze tra quello, e questo; chi non conoscerà tutto ciò che sotto nome
di rimedio somministrano li tre vasti regni della natura, e le artificiose preparazioni, che
de’medesimi si fanno o dal Chimico, o dal Galenico; chi non saprà distinguere esattamente
l’occasione suggiasca, il tempo opportuno, la forza delle moltiplici dosi, la moltiforme maniera
d’usarne, non saprà mai fare il Medico. Per questo dice Ippocrate, che con viene incominciare li
studj nell’età più tenera, in luogo, che sia il più adattato per questi studj. Nè però questo basta
ancora per giungere a meritare il vero nome di Medico. Bisogna dopo questi studj portarsi ad
ascoltare li più istrutti, e consumati nell’Arte, bisogna scorrere diversi Climi, e notarne le
differenze, bisogna osservare la diversità delle Stagioni, dei temperamenti, dell’aria, de’luoghi,
de’tempi, delle dominanti malattie, e infine bisogna incanutire nella pratica, e nello studio. Così,
e non altrimenti, meritò Ippocrate il nome di vero Medico, e con questi caratteri e non altri, si
distinguono li Medici sapienti dagl’impostori, e quanti più degli accennati requisiti possederanno
più degni si renderanno della nostra estimazione e fiducia. Quindi con Ippocrate escluderemo da
questo novero tutti quelli, che mancanti d’ingegno, di memoria, e di giudizio, sembrano dalla natura
piuttosto destinati al lavoro della terra; tutti quei vecchioni, che o per fatal sorte de’tempi, in
cui nacquero, o per mala loro volontà mai non fecero uno studio metodico, e i parrucconi, e i
paroloni sono li loro soli principj dell’Arte, pueri centum annorum, e tutti que’giovani, che in
onta delle sacre instituite leggi, che obbligano a metodici studj non attesero ad erudirsi, ma
dissipati quando dovevano imparare l’Arte s’appigliano al partito d’accordar tutto all’ammalato
quando l’esercitano; tutti quelli che o clandestinamente, o in età già avanzata lasciando altre
professioni, o apparentemente abbandonando il dissipamento, s’introdussero in quest’arte; tutti
quelli che la biasimano, e la esercitano; tutti quelli che sono distratti da’negozj, o
da’divertimenti; tutti finalmente quelli che appena avuto il Biretum sulla testa e l’anulum nel dito
s’arrogano d’esercitare quest’arte, che non possono assolutamente sapere; Tutti questi, dice
Ippocrate meritano il nome d’Impostori, e sarà poco se la Società non si servirà giammai di essi,
perchè meritarebbero anzi di essere dalla medesima banditi. Dopo tutto ciò conchiuderò con Ippocrate
vero modello del medico loco citato: Medici fama quidem, & nomine multi, re autem & opere
valde pauci. Il Medico Sapiente, e veramente dotto nell’Arte sua, sarà quello, che in moltissimi
casi, anche delli considerati i più difficili, minorerà gl’incomodi a’suoi Ammalati, e saprà più
presto degli altri restituirli in salute; parlerà poco, si farà intender da tutti, deffinirà le
Malattie, farà il suo prognostico veritiero, nè parlerà, come suol farsi dagl’Impostori furbi, da
Oracolo. Eccovi la risposta al Veronese quesito.
Livello 3
Sur le Mariage de Figaro. Je vis hier, du fond d’une
Coulisse, L’extravagante Nouveautè, Qui, triomphant de la Police, Prophane, des François, le
Spectacle èbontè. Dans ce Drame effrontè, chaque Acteur est un vice. Bartholo nous peint l’Avarice;
Almaviva le suborneur; Sa tendre Moitiè l’Adultère, Et Double-main, un plat voleur. Marceline est
une Mégère; Bazile, un Calomniateur; Fanchette l’Innocente est bien apprivoisèe: Et la Suzon, plus
che rusèe, A bien l’air de gouter du Page favori, . . . . de Madame, & Mignon du Mari Quel bon
ton! quelle maeurs cette intrigue rassemble! Pour l’esprit de l’Ovrage, il est chez Bride-Oison;
Mais Figaro . . . . le drole à son Patron Si scandaleusement ressemble; Il est si frappant qu’il
fait peur. Et pour voir à la fin tous les vices ensemble, Des Badauts achetès ont demandè l’Auteur.
Livello 3
Ainsi, lorsque du sentiment Tu peignois si
bien le langage, Contat, meme en t’applaudissant, Tout Paris ne rendoit hommage Qu’a la moitiè de
ton talent. Quoi! c’est Melise, c’est Alcmene, Qui de Suzanne ont prit les traits! Thalie avec tous
ses attraits Paroit doc enfin sur la scène. Oui; c’est elle donte l’enjoument, Et nous sèduit &
nous captive; C’est son minois fin e piquant, C’est sa gaitè franche e naive. Qui de nous en
pourroit douter? Deja se grouppant autour d’elle, Les Graces viennent l’ecouter, Et l’Amour prètend
l’escorter Tout fier de la trouver si belle. Mais non; la Muse a disparu: Contat, ce n’est plus un
mystere; Si son talent est reconnu, C’est sous ton nom qu’elle veut plaire.
Livello 3
S’erga pur l’alta Rocca ardua dal Piano, Rupi, Torri, Trincee mostri al mio
ciglio, Cadrà (dicea volto al valor Germano) Il canuto di Marte invitto Figlio. D’intorno ei la
cerchiò: Più con la mano Non sai, s’egli guerreggi, o col Consiglio; Implora il Trace il suo Profeta
invano; L’Aquila scende a insanguinar l’artiglio; Danno, spavento, inevitabil Morte Tronca ogni
speme al non più fier Nemico, Belgrado al Vincitor schiude le porte; Tutta Europa n’esulta al grido
amico; Plaude l’ombra d’Eugenio al saggio al forte Che or gli fà rinverdir l’alloro antico.
Livello 3
Esempio
Senza maschera al volto mezzo coperto dalla bauta, andò una sera della
passata settimana a contratto d’un palchetto del Teatro a Sant’Angiolo un galantuomo benestante ma
di volgar estrazione. Col dar del tu, e con cert’aria di superiorità credeva di comparire quel che
non è. Egli scelse il luogo meno a proposito per farlo, e le persone d’una tal accortezza, che
sedurre non lasciasi dall’apparenze. Stabilito il prezzo di L. 4:10 prese la chiave, e mise fuori un
ducato. Il venditore, che non avea piccola moneta, gliene diede mezzo in resto chiedendogli dieci
soldi. La Signora Maschera mancando al patto gli voltò la schiena ripetendo non ti dò altro, e
s’allontanò da lui, che correndole dietro e afferrandola al mantello di seta dissele ad alta voce:
Se venissi a spendere da Lei, e che le dessi dieci soldi di meno, mi lascierebb’ell’andare? Arse di
vergogna al vedersi scoperto, diede i dieci soldi, e se ne andò cheto cheto mentre ridevano a spese
sue tutti quelli, ch’ivi s’eran raccolti a godere la comica scena. Ecco un nuovo esempio da
illuminare gli sciocchi su’pericoli di chi vuol comparire ciò che non è. Scommetto la testa che
Belgrado non prendesi, nè si rende, disse un tale in contesa contro d’uno che sosteneva, il
contrario il quale risposegli: ed io scommetto la mia, che o si rende, o verrà preso d’assalto nella
presente campagna. Verificato il presagio si presentò al vincitore in opinione quello
che aveva perduto, e posando il capo su un tavolino gli disse: tagliate. Io non fò il carnefice, ei
gli rispose, tenetevi la vostra testa di cui non saprei cosa farne, e contentatevi ch’io vi tramuti
la pena nel carico di due secchie d’acqua che dovete portar subito a casa mia nella cucina ch’è
sopra sei scale. Siccome il fatto seguì ad un Caffè lontano dalla Piazza così l’uomo di parola con
tutto il suo tabarro di panno scarlatto, e alla presenza di molti testimonj eseguì il comando
maledicendo le guerre che ridotto l’avevano a far da facchino, e protestando di non far più veruna
scommessa.