Gazzetta urbana veneta: Num. 86

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Num. 86

Mercordì 28 Ottobre 1789.

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Metatextualität

Uno che non scriverebbe mai per natura, che teme di scrivere per riflessione, che con gran difficoltà s’induce a scrivere per dovere, e che non scrive mai per complimento, è stato tentato di rispondere al seguente Quesito stampato in uno de’prossimi precedenti nostri Fogli. Sono sue queste parole colle quali in cortese Lettera accompagna la sua erudita, e convincente risposta. Essendo la Società piena di Medici parte dotti, e veramente grandi, parte sciocchi, e ignoranti Impostori si domanda con quai Caratteri si possi distinguere fra questi il Medico sapiente dall’Impostore.

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Quantunque la premessa asserzione alla soprascritta inchiesta lasci un dubbio a chi scrive che chi la fece non cerchi veracemente, nè abbia bisogno d’esser instrutto sul quesito, sembrandoci che chi asserisce francamente che in Società vi sono e medici dotti e veramente grandi, e sciocchi e ignoranti impostori, debba anche quanto a lui conoscerli; pure sul supposto che, o Egli contro sua voglia siasi mal espreso, o supponendo che alcuno pur siavi che desideri di sapere quali siano li segni che distinguono il Medico, che sa l’Arte sua, da quello che non ne ha che il nome, ecco la mia risposta. Quello saprà l’Arte sua, il quale avrà avuto, e si sarà approfittato dei mezzi necessarj per impararla. Nissuno (bisogna persuaderselo) ha mai saputo nissuna Scienza, nissuna Arte, senza aver avuto li necessarj Capitali, e senza avere usato di que’mezzi che si richiedono per impararle. Ma quali sono poi que’requisiti, e que’mezzi che si rendono necessarj per apprendere la Medicina? Più assai di quelli che comunemente si crede. Laconicamente ma decisivamente tutti li accenna il divino Greco nel Cap. de lege. Natura, dice egli, Doctrina, loco studiis apto, Institutione a puero, Industria, & tempore. Chi non ha sortito un’inclinazione, e un genio per quest’Arte; chi non ha dalla natura avuto in dono, pensatore e a tutte prove perspicace ingegno, accompagnato da obbediente memoria, facilità di combinare moltiplici oggetti, acutezza per distinguerne le più minute differenze, prontezza ed aggiustatezza nel giudicarne, mancherà sempre dei necessarj fondamenti per imparar la Medicina. Chi non sarà erudito, e fondatamente saprà la Fisica, la Meccanica, l’Anatomia, la Scienza dell’uomo sano, e ammalato, li segni delle differenze tra quello, e questo; chi non conoscerà tutto ciò che sotto nome di rimedio somministrano li tre vasti regni della natura, e le artificiose preparazioni, che de’medesimi si fanno o dal Chimico, o dal Galenico; chi non saprà distinguere esattamente l’occasione suggiasca, il tempo opportuno, la forza delle moltiplici dosi, la moltiforme maniera d’usarne, non saprà mai fare il Medico. Per questo dice Ippocrate, che con viene incominciare li studj nell’età più tenera, in luogo, che sia il più adattato per questi studj. Nè però questo basta ancora per giungere a meritare il vero nome di Medico. Bisogna dopo questi studj portarsi ad ascoltare li più istrutti, e consumati nell’Arte, bisogna scorrere diversi Climi, e notarne le differenze, bisogna osservare la diversità delle Stagioni, dei temperamenti, dell’aria, de’luoghi, de’tempi, delle dominanti malattie, e infine bisogna incanutire nella pratica, e nello studio. Così, e non altrimenti, meritò Ippocrate il nome di vero Medico, e con questi caratteri e non altri, si distinguono li Medici sapienti dagl’impostori, e quanti più degli accennati requisiti possederanno più degni si renderanno della nostra estimazione e fiducia. Quindi con Ippocrate escluderemo da questo novero tutti quelli, che mancanti d’ingegno, di memoria, e di giudizio, sembrano dalla natura piuttosto destinati al lavoro della terra; tutti quei vecchioni, che o per fatal sorte de’tempi, in cui nacquero, o per mala loro volontà mai non fecero uno studio metodico, e i parrucconi, e i paroloni sono li loro soli principj dell’Arte, pueri centum annorum, e tutti que’giovani, che in onta delle sacre instituite leggi, che obbligano a metodici studj non attesero ad erudirsi, ma dissipati quando dovevano imparare l’Arte s’appigliano al partito d’accordar tutto all’ammalato quando l’esercitano; tutti quelli che o clandestinamente, o in età già avanzata lasciando altre professioni, o apparentemente abbandonando il dissipamento, s’introdussero in quest’arte; tutti quelli che la biasimano, e la esercitano; tutti quelli che sono distratti da’negozj, o da’divertimenti; tutti finalmente quelli che appena avuto il Biretum sulla testa e l’anulum nel dito s’arrogano d’esercitare quest’arte, che non possono assolutamente sapere; Tutti questi, dice Ippocrate meritano il nome d’Impostori, e sarà poco se la Società non si servirà giammai di essi, perchè meritarebbero anzi di essere dalla medesima banditi. Dopo tutto ciò conchiuderò con Ippocrate vero modello del medico loco citato: Medici fama quidem, & nomine multi, re autem & opere valde pauci. Il Medico Sapiente, e veramente dotto nell’Arte sua, sarà quello, che in moltissimi casi, anche delli considerati i più difficili, minorerà gl’incomodi a’suoi Ammalati, e saprà più presto degli altri restituirli in salute; parlerà poco, si farà intender da tutti, deffinirà le Malattie, farà il suo prognostico veritiero, nè parlerà, come suol farsi dagl’Impostori furbi, da Oracolo. Eccovi la risposta al Veronese quesito.
Furono dette molte cose diverse per istabilire la differenza che passa tra un Epigramma ed un Madrigale, in una Spezieria da Medicine ove a piacevole conversazione radunansi de’Sacerdoti che non sempre parlano de’Santi Padri, de’Medici che non annojano co racconti delle loro cure, o colle oscure dottrine della lor Arte, de’Letterati che non escludono il linguaggio delle Muse da’saporiti lor dialoghi. Se alcun di loro avesse letti questi quattro versi, e se li fosse ricordati per recitarli a proposito si sarebbe fatt’onore decidendo con essi una questione rimasta sospesa dopo una quantità di parole. L’esprit, assaissonant la louange ou le blàme, Quoique diversement, leur donne un prix ègal; Il devient sel dans l’Epigramme, Et sucre dans le Madrigal. Li compose una Fanciulla d’anni diciotto. Ad alcuni de’nostri Caffè dove si vive più la notte che il giorno, gli ascoltatori tranquilli trovan sovente maggior piacere ad udire i giudizj, e le contese sulle Rappresentazioni teatrali di quello che provano ad intervenirvi. Uno di questi s’è goduto poche sere sono un dialogo romoreggiante intorno al Matrimonio di Figaro Commedia recitata a S. Gio: Grisostomo, nel quale cozzava la lode col biasimo, perchè veniva deffinita da un tale come un capo d’opera del comico ingegno, e dal suo avversario come un parto mostruoso di fantasia sregolata. Sosteneva l’uno non essere corsi che quattro o cinque anni dacchè fu posta in iscena a Parigi: che se ne fecero più di trenta repliche, e che il Beaumarchais Autore della medesima fu dagli applausi della Nazione, e dagli elogj poetici sollevato alle stelle. Opponeva l’altro, che la prima recita contava più d’anni dieci, che poche volte fu replicata, che soggiacque a delle critiche mordacissime, e che i Francesi assennati, e dotti, l’hanno detestata concordemente. Dal mutolo testimonio di quella scena di strepito a noi si chiede chi avesse ragione. Risponderemo coll’evidenza de’fatti da cui dovrebbe restar persuaso chi con tanta franchezza s’è apposto al vero. La Folle Journèe o il Matrimonio di Figaro fu posta in iscena a Parigi a’ 27 Aprile 1784, e nel corso di otto mesi; cioè sino alle fine Decembre, ebbe 67 rappresentazioni interpolatamente. Il concorso alla prima fu numerosissimo quale aver doveva il seguito del Barbier di Siviglia. Il Giornalista di Parigi ha detto: che delle circostanze particolari dovevano accrescere l’interesse da quest’Opera naturalmente eccitato, e dare un nuovo alimento alla pubblica curiosità. Ma al piacere, soggiunse, che sentir deve un Autore facendo correre al Teatro una sì gran folla di spettatori si unisce il pericolo d’essere ascoltato tumultuosamente; così quantunque questa Commedia abbia avuta la migliore riuscita, essa eccitò di tempo in tempo del romore e de’bisbigli. Molte ragioni hanno dovuto contribuirvi. Nelle rappresentazioni di tanto concorso un Autore non produce mai delle impressioni che siano deboli: nè in bene nè in male nulla v’ha che sia indifferente; ciò che dispiace irrita, e l’approvazione và all’entusiasmo. Oltre ciò la nuova Commedia ha dovuto alla prima rappresentazione soffrire de’momenti procellosi, perchè l’Autore tendendo sempre all’originalità, avvicinando in conseguenza la bizzarria, azzardò dell’espressioni ch’hanno almeno bisogno d’esser intese molte volte per ottener l’approvazione. Il Barbiere soggiacque a maggiori contraddizioni, e se quella prima Commedia ebbe da poi un successo sì felice ed universale, il Sig. Becumarchais deve fondare su questa delle maggiori speranze, perchè la disapprovazione fu passeggiera, e gli applausi sono stati vivamente replicati ed inoltrati sino a’trasporti. È certo che la critica troverà da esercitarsi in tutte e due; ma le persone dotte e imparziali converranno che queste due produzioni veramente originali non devon essere giudicate colle regole alle quali le Opere volgari si sottopongono. Ecco il sentimento degli eruditi Giornalisti di Parigi comparso dopo la prima recita del Figaro. Verificato il loro presagio da un numero sì considerabile di repliche, egli è un parlare a caso dicendo che n’ebbe poche, e che alg’intendenti non piacque. Avrà forse a caso egualmente asserito lo sprezzatore di questa Commedia, che severamente fu criticata, ma l’indovinò. Alla settima rappresentazione dal centro del Teatro gettate furono cinquecento copie del seguente fulminante Epigramma:

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Sur le Mariage de Figaro. Je vis hier, du fond d’une Coulisse, L’extravagante Nouveautè, Qui, triomphant de la Police, Prophane, des François, le Spectacle èbontè. Dans ce Drame effrontè, chaque Acteur est un vice. Bartholo nous peint l’Avarice; Almaviva le suborneur; Sa tendre Moitiè l’Adultère, Et Double-main, un plat voleur. Marceline est une Mégère; Bazile, un Calomniateur; Fanchette l’Innocente est bien apprivoisèe: Et la Suzon, plus che rusèe, A bien l’air de gouter du Page favori, . . . . de Madame, & Mignon du Mari Quel bon ton! quelle maeurs cette intrigue rassemble! Pour l’esprit de l’Ovrage, il est chez Bride-Oison; Mais Figaro . . . . le drole à son Patron Si scandaleusement ressemble; Il est si frappant qu’il fait peur. Et pour voir à la fin tous les vices ensemble, Des Badauts achetès ont demandè l’Auteur.
Potevasi dire di più in questi pungenti versi, contro d’una Commedia, che all’ombra de’pubblici favorevoli auspizj tanta gloria accresceva al nome del suo celebre Autore? Chiamarla trionfatrice del Magistrato, che veglia sul buon costume; profanatrice della Scena Francese; dire ch’ogni Attore è un vizio, e che per veder tutti i vizj raccolti in un solo Personaggio, de’balordi comperati hanno fatto uscir l’Autore a ricever gli applausi, questo è bene altro che censurare un’azione drammatica, egli è uno spargere i più amari sali satirici sull’opere, e su’costumi di chi la scrisse, che mai non devon esser confusi colle produzioni dell’ingegno, com’esser non lo devono colla ragione, o col torto de’Clienti nelle aringhe forensi. Il Sig. De Beaumarchais soffrì quest’ingiuria con una filosofica intrepidezza, e scrisse una Lettera degna del suo spirito a’Signori Giornalisti in cui ringraziandoli della loro onestà nell’esame del suo Figaro li ha artifiziosamente rimproverati d’imperdonabile negligenza per aver taciuto l’avvenimento, e lor mandò i versi trascritti sotto il titolo di capo d’opera destinato all’istruzione del Pubblico, mostrando cognizione del servitor compiacente ch’eseguì la commissione, e del Padrone giocondo che diedela, riserbandosi a nominarli, e a ringraziarli nella Prefazione della sua Opera. “Non si può negare (diss’egli) che questo Epigramma il più ingegnoso di tutti quelli che prodigalizzati furono alla mia Commedia, non dia un’analisi infinitamente giusta dell’Opera e di me stesso. Sarebbe stato solamente da desiderare, che l’Autore men premuroso degli applausi del Pubblico avesse un pò più badato alla lingua, ed alla poesia. Effettivamente non dicesi ch’un Attore è un vizio, perchè un Attore è un uomo, ed un vizio non è che un’abitudine colpevole. Non v’è maggior esattezza nominando un vizio l’adulterio. Se l’impudicità merita questo nome, l’adulterio, che non n’è che un semplice atto, una modificazione, è solamente un peccato. Noi diciamo: egli ha commesso il peccato d’adulterio, e non il vizio d’adulterio. Nel censurare la mia Commedia si poteva mostrar più gusto risparmiando a’Leggitori francesi le parole un pò azzardate di goùter du Page favori &c. &c. Ma son questi piccoli difetti in un’Opera tanto piena di spirito e di giustezza; ed io non fò queste lievi riflessioni che in favore de’Giovani che in questo stimabile genere molto si esercitano. Del resto de l’Epigramma fu ricevuto a fischiate, l’Autore non deve per ciò minorare la buona opinione della sua Opera, e della sua persona. Le novità, le più piccanti eziandio, trovano delle difficoltà all’introdursi, ed io non dubito che finalmente un giorno non giungasi a far adottare questa maniera ingegnosa d’impadronirsi dell’opinione pubblica, e di dirigerla all’Opere drammatiche.” Il tuono ironico di questa Lettera avrà meglio vendicato l’offesa appresso una Nazione colta e sensibile, che una seria rimostranza, o una corrispondente invettiva. Si stupirà forse, che la traduzione del Figaro sulle nostre scene non abbia avuta una fortuna che approssimi quella che incontrò in Francia. Si dirà, a chi opponesse la differenza che passa da un originale alla versione, che l’Eugenia dell’Autore medesimo, ebbe anche tra noi un esito felicissimo. Ma non è questo il caso da far confronti. Se la Commedia di cui parliamo ebbe d’uopo a Parigi d’essere ascoltata più volte per essere ben capita, attese le licenze di stile, e lo spirito nascosto delle frasi, quanto non deve riuscire difficile la sua traduzione! E risultando le sue maggiori bellezze dal senso, e dall’artifizio del dialogo, come potevamo mai gustarle, se son perdute per noi, come perduti sarebbero in Francia i vezzi del nostro vernacolo se colà si rappresentasse tradotta una delle più belle Veneziane Commedie dell’immortale nostro Goldoni? Ha molto contribuito all’ottima riuscita del Figaro la somma abilità degli Attori, che seppe mettere l’insieme il più armonico in una macchina di sì vasto disegno. Il famoso Prèville nella piccola Parte di Giudice spiegò la grandezza de’suoi talenti, che per tanto tempo formarono le delizie di quella Capitale. Il Sig. Molè in quella di Conte meritò i soliti elogj dovuti alla sua bravura. Madamigella Sainval sostenendo il carattere della Contessa impiegò quelle fine gradazioni che distinguono le debolezze d’un cuor umano, e Madamigella Contat rappresentò Susanna colle grazie le più amene ond’ebbe dalla penna di Mons. Vigèe l’onore di questi versi:

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Ainsi, lorsque du sentiment Tu peignois si bien le langage, Contat, meme en t’applaudissant, Tout Paris ne rendoit hommage Qu’a la moitiè de ton talent. Quoi! c’est Melise, c’est Alcmene, Qui de Suzanne ont prit les traits! Thalie avec tous ses attraits Paroit doc enfin sur la scène. Oui; c’est elle donte l’enjoument, Et nous sèduit & nous captive; C’est son minois fin e piquant, C’est sa gaitè franche e naive. Qui de nous en pourroit douter? Deja se grouppant autour d’elle, Les Graces viennent l’ecouter, Et l’Amour prètend l’escorter Tout fier de la trouver si belle. Mais non; la Muse a disparu: Contat, ce n’est plus un mystere; Si son talent est reconnu, C’est sous ton nom qu’elle veut plaire.
Il Paggetto fu rappresentato con molta intelligenza da Madamig. Olivier, ed il servo contadino da Mons. Larive. Il Sig. d’Azincourt riuscì felicemente nel più difficile impegno a cui potesse esser esso colla Parte del Protagonista, una delle più estese ch’aver possa un Attore. Il più gran talento, in simili imprese, ha sempre bisogno per l’esecuzione delle forze fisiche. Queste in lui s’unirono alle finezze dell’ingegno, e all’intelligenza modificatrice de’tuoni, e de’gesti; così nel principale animò il gran Quadro, che tante sere rivide in azione la Capitale della Francia. Sappiano grado di queste cognizioni all’osservator taciturno li due avversarj in opinione, che lo hanno divertito colle loro contese; e si prendi l’uno quelle che gli mancavano, l’altro correggasi e non azzardi più di parlare a caso su ciò che ignora assolutamente. Ci perdonino i Comici Italiani l’elogio de’Forastieri, e se ne vogliono anch’essi di degni imparino ad imitarli. L’apertura di questo Nob. Teatro a S. Benedetto seguirà, come corre voce, alla metà del mese venturo. Dicesi che avremo per compagno della celebre Signora Banti, il Sig. Violani, che presentemente canta a Treviso. Compositore de’Balli è il Sig. Traffieri, Prima Ballerina la Sig. Dondi, e suo compagno in coppia, o in terzo il Sig. Gioja. Il pennello del rinomato Sig. Cav. Fontanesi si esercita nelle nuove Scene che decoreranno questo Teatro, e ben a ragione lusingasi il Pubblico di dover tributare anche in questa occasione l’ammirazione, e le lodi sue al di lui valore a tante prove riconosciuto. S’aprirà pochi giorni dappoi l’altro Nob. Teatro a S. Samuele d’Opera Seria. Si accerta che non resterà chiuso nemmeno quello a S. Cassiano; che una Comica Compagnia venuta dalla Sardegna, e diretta dal Sig. Cuccina servirà a due Impresarj, che vengono nominati, la quale darà degl’Intermezzi di gusto Napoletano, ossia dell’Arie frapposte alle recite. V’è chi asserisce che l’entrata non costerà che soldi cinque ed altrettanti la sedia; e che i palchetti accordati all’Impresa in buon numero avranno un prezzo fisso di 30 soldi. Se ciò è vero ci sarà ogni possibile comodità nelle gradazioni degli Spettacoli, e con nuovo esempio si potrà scegliere abbassandosi dalle L. 4 sino al trairo. Riconfermasi la notizia, che frà pochi giorni sarà posta in iscena a S. Moisè l’Opera Giocosa Il Burbero di buon cuore del Sig. Ab. Da Ponte colla Musica del Sig. M. Martini. Sarà questa un di più ad aggravio dell’Impresa, che tenta tutti i mezzi di soddisfare il Pubblico. Intanto compone la Musica sul nuovo Dramma, che si reciterà dopo la Villeggiatura, il Sig. M. Robuschi. Nella suddetta Opera del Burbero vi sarà una nuova Virtuosa accordata a rinforzo della Compagnia. Avviso. Perchè gli Amatori delle gran novità correnti non siino privi di qualunque cosa, che possa interessare il loro genio e Speculazioni, li Veneti Stampatori Antonio Zatta, e Figli si sono dati il pensiero d’incidere in Rame il famoso Assedio della Città, e Fortezza di Belgrado fatto dalle Imperiali Truppe Austriache. Si vedono in questa Carta delineata colla possibile precisione le Trinciere, le Palizzate, le circonvallazioni, le Linee, i Ponti sulli Fiumi Sava e Danubio, e difesa de’medesimi, le Batterie, la distribuzione dell’accampamento, le marcie e quant’altro può bramarsi per aver sott’occhio l’assedio suddetto. Vi è inoltre rappresentata in alzato la Città e Fortezza suddetta in due aspetti unitamente alla Pianta, ed il corso degli anzidetti Fiumi Sava, e Danubio colle Saiche Turche ed Imperiali alla difesa de’respettivi Posti. Questa interessante Carta stampata in Foglio imperiale vendesi al prezzo di L. 2. Venete, ossiano Paoli 2 Romani, e si potrà avere tanto dalli suddetti Zatta, quanto da’migliori Libraj d’Italia. Nella Resa di Belgrado all’invittissimo Feld Maresciallo Barone Laudon Comandante Generalissimo dell’Armi Austriache.

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S’erga pur l’alta Rocca ardua dal Piano, Rupi, Torri, Trincee mostri al mio ciglio, Cadrà (dicea volto al valor Germano) Il canuto di Marte invitto Figlio. D’intorno ei la cerchiò: Più con la mano Non sai, s’egli guerreggi, o col Consiglio; Implora il Trace il suo Profeta invano; L’Aquila scende a insanguinar l’artiglio; Danno, spavento, inevitabil Morte Tronca ogni speme al non più fier Nemico, Belgrado al Vincitor schiude le porte; Tutta Europa n’esulta al grido amico; Plaude l’ombra d’Eugenio al saggio al forte Che or gli fà rinverdir l’alloro antico.
Questo Sonetto è parto della felicissima fantasia del Sig. Conte Francesco Pimbiolo Nob. Padovano del cui valor nella Poesia Lirica un saggio bastevole offeriscono a’conoscitori i riportati versi. Per il ritorno in Patria dal glorioso suo Reggimento di Bergamo, questa Comica Compagnia del Teatro a S. Gio: Grisostomo, in attestato dell’ossequiosa sua gratitudine per i benefizj da lui ricevuti, ha dedicato a S. E. il Sig. Conte Giovanni Widmann un Sonetto in dialetto Veneziano colla coa nel quale son espressi i sentimenti della profonda sua stima, e della riverente sua riconoscenza per un Soggetto di sì alto merito dalla cui amabil grandezza, e nobilmente pieghevole, tanto son animati quelli che per favori ad esso ricorrono. Questo Sonetto fu esposto l’altr’jeri ne’contorni della Piazza ed altri siti i più frequentati, ed in esso son nominati trà i versi i principali Attori della Comica Compagnia. Aneddoti Curiosi.

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Exemplum

Senza maschera al volto mezzo coperto dalla bauta, andò una sera della passata settimana a contratto d’un palchetto del Teatro a Sant’Angiolo un galantuomo benestante ma di volgar estrazione. Col dar del tu, e con cert’aria di superiorità credeva di comparire quel che non è. Egli scelse il luogo meno a proposito per farlo, e le persone d’una tal accortezza, che sedurre non lasciasi dall’apparenze. Stabilito il prezzo di L. 4:10 prese la chiave, e mise fuori un ducato. Il venditore, che non avea piccola moneta, gliene diede mezzo in resto chiedendogli dieci soldi. La Signora Maschera mancando al patto gli voltò la schiena ripetendo non ti dò altro, e s’allontanò da lui, che correndole dietro e afferrandola al mantello di seta dissele ad alta voce: Se venissi a spendere da Lei, e che le dessi dieci soldi di meno, mi lascierebb’ell’andare? Arse di vergogna al vedersi scoperto, diede i dieci soldi, e se ne andò cheto cheto mentre ridevano a spese sue tutti quelli, ch’ivi s’eran raccolti a godere la comica scena. Ecco un nuovo esempio da illuminare gli sciocchi su’pericoli di chi vuol comparire ciò che non è. Scommetto la testa che Belgrado non prendesi, nè si rende, disse un tale in contesa contro d’uno che sosteneva, il contrario il quale risposegli: ed io scommetto la mia, che o si rende, o verrà preso d’assalto nella presente campagna. Verificato il presagio si presentò al vincitore in opinione quello che aveva perduto, e posando il capo su un tavolino gli disse: tagliate. Io non fò il carnefice, ei gli rispose, tenetevi la vostra testa di cui non saprei cosa farne, e contentatevi ch’io vi tramuti la pena nel carico di due secchie d’acqua che dovete portar subito a casa mia nella cucina ch’è sopra sei scale. Siccome il fatto seguì ad un Caffè lontano dalla Piazza così l’uomo di parola con tutto il suo tabarro di panno scarlatto, e alla presenza di molti testimonj eseguì il comando maledicendo le guerre che ridotto l’avevano a far da facchino, e protestando di non far più veruna scommessa.

Bastim. arriv. 21 cor.

Nave C. Marco Facchineti da Smirne, alli Sig. Men. Vivante Valonia cant. 2750. fighi cassette 150. filati Bal. 22. Gabriel Adorni Bal. 2. Angeloni e Gheno 19. Cristo Zuanne 11. Giorgio Giovanni sac. 8. Spir. Conomo Bal. 17. Scamonea una cassetta, e 2 scat. cera gialla bar. 2. Giov. Lazzaro bot. 1 Filati Bal. 7. Giov. Heinzelmann ballotti 4. Galla bal. 10. e bar. 10. gotton bal. 12. cera gialla bar. 2. Santo Gio. di Lucia Telerie Ballette 1. Fil. rossi un involto. Idris Drutti Lana bal. 70. Marco d’Abr. Malta Droghe cas. 2. Chi presenterà Gotton bal. 10 Port. e Graz. Bordati un ballotto. oglio carat. 3. Boccassini rossi ballotti 1. Coltre imbotide 1. Bergantin Cap. Guglielmo Gutton ven. da Riga. Al Sig. Gius. Treves Lin bal. 416. Ferro lame 483. Al Circosp. Simon Cavalli sem. di fin 3 bar. Nave C. Jeremia Clarke ven. da Stockolm. Al Sig. Gius. Treves Catrame bar. 810. Ferro pacchetti 120. Urca C. Simon Bernetich da Corfù. Alli Sig. Eman. Jacur sem. di lin st. 174. G. Fr. Guizzetti cera gialla e colat. cassette 1. Bart. Rizzotti oglio Bot. 7. Pietro Favro 6. Ang. Papadopoli 8. Stef. Critti 6. Men. Vivante 7. Jacob Mulli 5. C. G. Dom. Rusteghello 4. Anast. Cralimati 4. Pietro Lovisello 12. Sal. Costantini 1. Spir. Colovò 1. Del Cap. 5 e 2 carat. cera colat. una cassetta. Chi presenterà rame v. 2 carat. Portata oglio car. 8. Urca Cap. Dom. Berengo da Smirne con 3992 cant. Valonia al Sig. Em. Jacur. Grazie Cap. e Marin. camminetti da pipa m. 8. 22 Detto. Bergantino C. Enrico Blys ver. da Berghen. Al Sig. Paolo Alghisi baccalari Bal. 500 pesci 80 m. Urca C. Gius. Scarpa da Corfù. A’Signori Attan. Cottovoschi lana sac. 50. Pano Gio: Cristodolo grana bal. 2. Pietro Favro cera gialla carat. 1. Stef. Rensoli cas. 1. Men. Vivante sem. di lino st. 900. oglio bot. 14. Nic. Papadopoli 1. Ben. Scarpa 2. Bart. Rizzotti 10. Jacob Mulli 4. Ang. Papadopoli 4. Ant. Crelimati 4. Pietro Lovisello 7. Stef. Critti 6. Elia Todesco 6. Port. carat. 6. Pinco C. Nic. Anselmo da Genova e Cattanea. Del Cap. cenere cant. 1700. Sugo di Liquerizia cas. 18. polv. d’Amito sac. 2. Port. caccao 2 sac. e un bar. zuccaro e un sacchetto. Fazzoletti un ballotto. Tele un ballotto. Pasta 4 sac. e una cestella. (Il resto Sabbato) Commedie per questa Sera.

A S. Luca.

Tracagnin Maestro di Musica.

A S. Angiolo.

Il Tempo fa Giustizia a tutti. Replica.

A S. Gio: Grisostomo.

Ines de las Cisternas, divisa in cinque Atti originale Italiano, mai più rappresentata. A S. Moisè per domani.