Gazzetta urbana veneta: Num. 73
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Num. 73.
Nota di quelli, che hanno ottenuto il premio ne’prossimi Esami generali nelle Pubbliche
Scuole di Venezia. Nella prima Classe. Signori Gio: Battista Pezzoli. Francesco Farina. Benedetto
Rizzardini. Carlo Recurti. Giovanni Cimarosto. Alvise Migliorini. Carlo Galli. Giulio
Tornieri. Gioachino Bagaroto. Paolo Urbani. Antonio Moschini. Alvise Mensurati. Giovanni Deluca.
Nella seconda Classe. Signori Giovanni Frezzeto. Cristoforo Soratroi. Pietro Cuniali. Peitro
Coronelli. Niccolò Chenighsaven. Carlo Colesei. Federigo Boerio. Francesco Cordich. Francesco
Spadaroto. Bonaventura Quellacasa. Giuseppe Lanari. Leonardo Coledeni. Nella terza Classe. Signori
Giuseppe Cuniali. Aurelio Dall’acqua. Spiridion Calucci. Tommaso Tastini. Giacomo Savoldello.
Domenico Urbani. Nella quarta Classe. Signori Giovanni Lena. Antonio Moschini. Giuseppe Bonajuti.
Morando Mondini. Nella quinta Classe. Signori Antonio Scalfaroto. Lorenzo Castaldis. Giacomo
Manfren. Sebastiano Pagiaro. Nella Scuola di Filosofia. Sig. Giovanni Dolfin. Nella Scuola di
Matematica. Signori Pietro Alessandri. Giustino Vidoni. Giovanni Dolfin. Nella Scuola di Jus
Canonico, e di Storia Ecclesiastica. Signori Giovanni Toffoluti. Domenico Pigozzo. Gio: Battista
Zucchi. Nella Scuola di Eloquenza, e di Jus Civile. Signori Domenico Carrara. Marco Corniani. Pietro
Gaspari. Alberto Stella. Nella Scuola del disegno. Sig. Onorato Dehez. Dig. Antonio Barbon. I nome
de’Chierici premiati in queste scuole, saranno registrati nelle stampiglie delle scuole de’Sestieri.
Un melanconico leggitore di questi Fogli con un Biglietto spirante orrore, di nera carta, e di rosso
carattere, protesta di palpitare ogni volta, che trova in essi descritto qualche suicidio, e
d’essersi abbandonato alla più profonda tristezza dacchè seppe i recenti di Verona, e di Brescia.
Senza spiegarsi chiaramente egli ci lascia capire, che ha una spezie di tentazione d’imitare questi
detestabili esempj, e dimanda se vi sia alcun Libro che insegni a superarla teoricamente. Possiamo
dirgli, che nove anni sono s’è stampata a Parigi un’Operetta in 12. di 160. pagine la quale porta
per titolo. Mezzi proprj a garantire gli uomini dal suicidio, opera nella quale dopo aver proccurato
di scoprire le cause dell’uccisione volontaria di sè medesimo, si proccura altresì di mostrare li
mezzi di garantirsene; preceduta da un Discorso sopra l’origine, e i progressi del suicidio in
Inghilterra, ed in Francia, del Signor L. P. L. D. Se poi questo Libro sia stato tradotto in
Italiano, o se nell’originale si trovi in vendita in questa Città, non lo sappiamo. In mancanza d’un
tal soccorso, caso che averlo ei non possa, ha da bastare la nostra Religione co’lumi suoi, il
naturale amore della nostra esistenza, e il lodevole orgoglio di non cedere a’mali vilmente col
privarsi della vita per non sentirli, ma di superarli con fortezza Filosofica, per
vincere la sua abbominevole tentazione. Non si conosce soltanto dal senso intimo di questo luttuoso
Biglietto, che il suo Autore sia spaventato dall’idea di soggiacere un giorno a una sì tragica
morte, ma si scopre, quasi suo malgrado, ch’egli proccura di rendersela famigliare spogliandola di
tutto il suo orrore colle massime della pretesa Filosofia degli Spiriti Forti. Si appoggia alla
sentenza del Metastasio come se queste fossero parole
dell’Autore, e non dell’Attore, e un’anima sì pura penetrata dalle grandi verità della Religione,
quale egli si dimostra evidentemente ne’suoi Sacri Componimenti, avesse voluto animare i travagliati
al suicidio. Collo stesso fondamento accusarlo potrebbesi della più falsa dottrina se si volesse suo
il sentimento messo in bocca di Jarba Accresce l’accennato Scrittore questi
sospetti col deplorare (apparentemente) il tristo destino di tanti uomini illustri, che privati si
sono di vita, e per trovar sul trono un luminoso esempio, che blandisca il tetro suo genio ritrocede
fino al
Ce la dichiara il celebre Inglese Williams nel seguente passo della sua Istoria de’Governi
del Nord.
L’esempio di questo illustre Fanatico, che prevenne di pochi momenti la morte, dovrà forse
fatalmente influire sullo spirito del suicidio in chi professa una Religione di verità, ed è in
piena robustezza di corpo? Finga, o dica davvero chi stese sul nero Foglio le sanguigne parole, noi
non abbiamo per esso migliore risposta. Ci siamo dispensati dal riportarle, perchè in gran parte
condannate vanno all’obblio, e non avremmo potuto che trascrivere de’periodi tronchi, e sconnessi.
Causa. 7. Sett. 1789. Alla C. V. Post. “Nel 1665. 19. Novembre il Rever. P. Don
Gio: Battista Stazio volendo professare nel Monastero di S. Giorgio Maggiore di questa Città cesse,
e rinunziò a suo Fratello Bernardin tutti li di lui Beni che in qualunque modo spettar gli
potessero. Del 1691. 22. Marzo Bernardin Stazio Fratello del suddetto P. con Pubblico Instromento
dichiarò che, sebbene nella suddetta Rinunzia vi fosse la clausola di aver rinunziato anco tutto
quello, che per Testamenti, Codicilli, ec. gli potesse pervenire, pure non voleva che tal Rinunzia
in detta parte avesse effetto alcuno. Passata l’Eredità di detto Bernardin in Francesca sua sorella
mediante Testamento dello stesso; questa dispose di ciò che possedeva con sua Cedula 1709. 1. Aprile
a favore del suddetto P. Gio: Battista con condizione che dovesse eseguir ciò che ordinava in una
Cedula inserita nella presente. Con detta Cedula, doppo varj Legati, ordinava, che celebrato a suo
favore fosse un Anniversario nella chiesa di S. Giorgio Maggiore: del rimanente di sua facoltà
dovesse il suo Erede disporre, come in vita gli aveva ordinato. Alla mancanza poi del sudetto suo
Erede instituì Erede il Monastero suddetto con l’obbligo delli Legati da essa formati, Anniversario,
e Mansoneria quotidiana da essa ordinata. E finalmente chiuse le sue disposizioni con un nuovo
Codicillo 1721. 8. Febbraro con cui revocò la sostituzione fatta del Monastero, lasciando Erede
libero suo Fratello P. Gio: Battista con questo che li Capitali obbligati alla Mansoneria ed
Anniversario dovessero esser sempre a ciò soggetti. Al caso poi il suo Fratello premorisse ad essa
allora instituisce Erede il Monastero. Godette pacificamente il Monastero tal Eredità, quando li 17.
maggio 1788. insorsero certe Femmine di Famiglia Stazio, quali pretendendo ad esse Jure Sanguinis
dovuto tal Patrimonio impugnarono alli Sopra Monasteri il Codicillo suddetto nella parte
dell’instituzione dell’Erede, sostenendo al Taglio che li Monaci per Legge non potessero ereditare.
Si difese il Monastero con Scrittura di risposta 28 Maggio 1788. sostenendo il Laudo dell’impugnato
Codicillo. Si regolarono, in vista di ciò, le Femmine Stazio e con Scrittura 31. detto in due Capi,
impugnarono le due disposizioni di detta Francesca, adducendo che per Legge non poteva un Monaco
succedere ad una Eredità. Implorata l’assoluzione dal Monastero anco da detti due Capi, seguì li 22.
Decembre passato spedizione absente a favor di dette Femmine che appellata dal
Monastero fù il soggetto del suddetto 3zo Consiglio, nel quale a difesa dello Spoglio intentato
sostenè il Monastero, ch’essendo una disposizione anteriore alla Legge 1767. potesse benissimo il
Monastero succedere in detta Eredità, e così fù deciso con il seguente Spazzo. Al Taglio 22. Al
Laudo 6. Avvocati al Taglio. Eccellenti Gallino, e Stefani. Interruttore Facini. Interveniente
Niccolò Albinoni. Al Laudo. Eccellenti Orlandi, e Michiel Caffi Interveniente Andrea Adami. Come si
avvisò è giunto Mercordì pros. pas. in questa Città S. E. il Sig. Conte Potocki Starosta di Szcyzec,
Ministro Plenipotenziario ed Inviato estraordinario alla sublime Porta degli Serenissimi Stati di
Polonia. Le persone del suo seguito son in numero di 108 ed altre 40 se ne attendono per l’accennata
via di Trieste. Il suo viaggio marittimo sarà sino a Corinto, e di là per terra passerà in 40 giorni
a Costantinopoli. Oltre 32 Legni da tiro che ha seco, ci vorranno 40 carri per i trasporti, e 200
cavalli. De gente di mare sbarcata dalla Polonia Bombarda Pubblica venuta al disarmo, sentesi
confermata la notizia già sparsa in altro Foglio politico, ma con diverse circostanze, che il nostro
Capit. Panà sia stato attaccato nell’acque di Cao-Ducato da uno Sciabecco Tunisino contro il quale
fece quella maggiore resistenza che far poteva un Bastimento mercantile con pochi marinaj.
Felicemente fu scoperto il suo impegno da una delle veloci Galeotte di nuova invenzione, ch’ora
questa Repubblica tiene in corsi, e volando alla sua difesa prese in mezzo il piratico Legno, che
trà due fochi fulminato rimase coll’eccidio totale di que’barbari. Tanto della gente suddetta s’è
riferito come inteso alla sua partenza dal Levante da un Bastimento colà giunto dall’acque del
marino conflitto. Ogni buon suddito sentirà con soddisfazione simili notizie, e bramerà al par di
noi, che restino verificate. Alle ore 20 del giorno 9 da Brusselles per la via del Tirolo arrivò
improvvisamente a Verona il Reale Conte d’Artois con 20 persone di seguito cioè 5 nobili Soggetti, e
il resto Uffiziali di Casa, e Domestici. Alloggiò a quel sontuoso Albergo delle due Torri, ove
benchè precorso non fosse il menomo avviso, servito fu da suoi pari, e diede segni del suo
umanissimo gradimento a quell’abile Locandiere Sig. Gio: Bernardi. La seguente mattina alle 10
d’Italia è partito per Mantova onde di là passar a pernottare a Cremona, ed essere la sera degli 11
a Milano, e quella de’12 a Torino. Così detto fu da lui stesso. Voleva passar nel suo viaggio per
Brescia e Bergamo ma fu consigliato di schivare quelle strade sassose per non interrompere la
rapidità delle sue corse. Tanto abbiamo da una Lettere de’10 corrente.
Sabbato 12 Settembre 1789.
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Lettera di un Veronese ad un suo Amico.
Carta/Carta ao editor
Pregiatissimo Amico.
Amico C.
Verona 5 Settembre 1789
Ella mi fa l’onore di chiedermi il mio parere sulla Tabella dell’ora di Terza, instituita dall’Eccellentiss. Rappresentante di Chioggia nell’atto di dare esecuzione al Sovrano Decreto che admise la regolazione degli Orologi in quella Città e Territorio nella maniera generalmente usitata in Europa: e mi fa sapere che la stessa Tabella viene criticata da alcuni, i quali avrebbero voluto che l’ora di Terza fosse stabile tutto l’anno alle ore nove, cioè tre ore avanti il mezzogiorno. Soddisferò come meglio posso al suo quesito, esaminando brevemente l’ora di Terza; 1. nella sua origine primitiva; 2. nelle consuetudini e leggi nostre; 3. nelle sue relazioni all Orologio Europeo. I. Appresso i Caldei, gli Egizi, li Greci, e i Romani da Scipione Nasica in poi (ed ancora oggidì tra’Persiani, e Chinesi) fu diviso in dodici ore costantemente il giorno naturale, o sia lo spazio di tempo dal nascere al tramontar del Sole. Ora essendo in que’paesi ineguale la lunghezza de’giorni, come veggiam da per tutto dove la sfera è obbliqua, e maggiormente ineguali quant’è più obbliqua, cioè quanto più ci scostiam dalla Linea; ne nasceva che neppur le ore non erano egualmente lunghe da una stagione all’altra, e rigorosamente parlando nemmeno da un dì all’altro. Nella latitudine di Venezia, per esempio, se si volesse sempre diviso il giorno in dodici ore, ne’dì più lunghi di state l’ora sarebbe di minuti settantotto, e ne’più corti d’inverno di minuti quarantatre. A questo modo tra le Nazioni summentovate la lunghezza dell’ora variava di continuo gradatamente: ed a questa perpetua ineguaglianza, proscritta di poi dagli orivoli a pesi ed a molle, s’eran potuti adattare gli Orologi d’acqua, o sia clepsidre, di que’tempi, che sono da Vitruvio accuratamente descritti; perciocchè la velocità dell’acqua uscente dal foro di un vaso dipendendo dall’altezza onde cade, bastava saperne concertare le altezze con le stagioni, affinchè la medesima quantità stesse più o men di tempo a sortire. Posta pertanto la divisione costante del giorno in dodici ore, ognun vede che l’ora sesta compita, che noi dir potremmo battente, corrispondeva alla metà del giorno, o sia al mezzodì; e che l’ora Terza, che tiene appunto il mezzo tra il principiare dell’ora prima e il compir della sesta, corrispondeva alla quarta parte del giorno, o alla mezza mattina, tagliando in due parti eguali lo spazio dal levar del Sole al mezzodì. Come poi le mattine sono or più brevi, or più lunghe, secondo che il nascer del Sole nelle diverse stagioni è più vicino o più lontano dal mezzodì, così anche l’ora terza per mantenersi nel suo posto di mezzo doveva accostarsi, od allontanarsi nella debita proporzione dal mezzo giorno. Tale è l’origine dell’ora che noi chiamiamo di Terza, ora variabile di sua natura con le stagioni, poichè deve stare nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzodì. Come però la Tabella per Chioggia apparisce fatta con questa norma, per quanto comporta l’inveterata pratica delle variazioni di mezz’ora in mezz’ora, non di minuto in minuto, come a rigore farsi dovrebbe; così egli è forza conchiudere che la Tabella stessa è formata coi veri principj su’quali si fonda l’instituto primitivo dell’ora di Terza, il significato intimo del suo nome, e la successiva tradizione de’secoli. II. Passando ora ad esaminare le nostre consuetudini e leggi, nessuno potrà negare che a Chioggia non si dovesse prender per modulo la Tabella, che per Terminazione della Serenissima Signoria viene osservata in Venezia. Ora quivi si vede, che ne’più corti giorni d’inverno l’ora di Terza è fissata alle 17. d’Italia. Ma allora il Sole si leva a ore 14. minuti 52., e il mezzogiorno è ad ore 19. minuti 11. tra i quali tempi il punto di mezzo è nelle ore 17. minuti uno e mezzo. Dunque l’ora di Terza in Venezia nel solstizio d’inverno è statuita nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzodì. Similmente ne’più lunghi giorni di state l’ora di Terza è fissata in Venezia alle 12. ma allora il Sole si leva a ore 7. minuti 52. e il mezzogiorno è ad ore 15. minuti 41. onde il punto di mezzo cade sulle ore 11. min. 46. e mezzo, o in numero rotondo sulle 12. Dunque ance nel solstizio estivo l’ora di Terza in Venezia batte nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzodì. E poichè i punti estremi dei due solstizj sono quelli da cui dipendono le variazioni intermedie, si dee pronunziare generalmente per tutto l’anno, che l’ora di Terza in Venezia è collocata nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzogiorno, come si è già veduto che esige il suo nome e l’origine sua. Per conseguenza la Tabella di Chioggia, che è fatta con quella legge, è convenientemente analoga, non solo agl’instituti primitivi e vetusti, ma ancora a quelli della Dominante ne’presenti tempi; e però incensurabile. Non posso staccarmi dalla Tabella di Venezia, senza parlar di un assurdo, che nasce dall’Orologio Italiano, ed al qual non ancora fu fatto riflesso, ch’io sappia. Il mezzodì del primo giorno di Gennajo è ad ore 19. min. 8.; quello dell’ultimo giorno a ore 18. min. 40. ma l’ora di Terza è fissa per tutto il mese a ore 17. Dunque lo spazio da Terza a mezzodì in principio di Gennajo è di ore 2. min. 8., ed in fine di ore 1. min. 40. Donde si vede che a misura che le giornate si allungano, lo spazio destinato agli affari si abbrevia: stravaganza che tutta si deve riputare a difetto dell’orologio Italiano, non essendo possibile di evitarla, posta la massima di mutare l’ora di Terza di mezz’ora in mezz’ora solamente. All’incontro con l’Orologio Europeo succederà bensì, che l’intervallo da Terza a mezzodì rimanga lo stesso abbenchè le giornate si allunghino o si accorcino, ma non succederà che diventi minore quando dovrebbe farsi maggiore, che è proprio l’apice del disordine. E quel che ho detto del mese di Gennajo troverà similmente in altri mesi chi voglia fare questa ricerca. III. Resta finalmente da esaminare l’ora di Terza nelle sue relazioni all’Orologio Europeo. Nel solstizio di state di Sole si leva per Venezia e Chioggia a ore 4. min. 12. Ora essendo il mezzodì sempre fisso a ore 12. il punto di mezzo, a cui risponderebbe l’ora di Terza, cade giustamente a ore 8. min. 6.. Nel solstizio d’inverno il levar del Sole è ad ore 7. min. 42.; onde il punto di mezzo per andare alle 12. è ad ore 9. min. 51., al qual corrisponderebbe rigorosamente l’ora di Terza. Dunque se questa si fissasse per tutto l’anno alle ore nove, come molti amerebbero, succederebbe una posticipazione di 54. minuti nel più lungo giorno di state, ed una anticipazione di min. 51. nel più corto d’inverno. Ne’tempi intermedj l’error si fa sempre minore a misura che ci scostiamo dai tempi dei solstizj, e che ci avviciniamo a quelli degli equinozj dove è nullo. Egli è dunque da vedere se il detto errore, che non è sempre eguale, ma spesso è piccolo o nullo, sia veramente di tal conseguenza che possa portar pregiudizj; considerando massime, che quel tempo che si perde nella state si guadagna nel verno, onde in summa l’errore sparisce affatto, e gli affari nulla perderebbero. Io confesso che inclinerei a preferire la stabilità dell’ora di Terza per tutto l’anno, giudicando molto maggiore il comodo e l’utile di non mai alterare la distribuzione del tempo per le azioni della vita, di quel che sia il piccolo incomodo d’intraprenderle nell’inverno mezz’ora, o tre quarti d’ora più presto, che non si farebbe mutando l’ora di Terza. Siccome malgrado tutt’i prodigi dell’umano ingegno sarebbe assunto vano il negare l’imperio dell’abitudine, la qual ci fa forse agire i novanta centesimi della vita macchinalmente, così l’uniformità dell’ora per le nostre azioni influisce necessariamente nella regolarità, nella perseveranza, e nell’intensione delle azioni medesime; e deve partorire vantaggi, che non possono quidditarsi aritmeticamente, ma che il filosofo può concepire e conoscere immensi. Credo pertanto di poter legittimamente conchiudere, che la Tabella dell’Eccellentissimo Rappresentante di Chioggia per l’ora di Terza è senza dubbio incensurabile anzi lodevole, poichè inerente ai principj della sua istituzione antica e moderna. Ma come con l’Orologio Europeo le variazioni di quell’ora non riescono tante nè tanto grandi come con l’Italiano, così guarderei come un pregio oltre i tanti che il primo Orologio distinguono, il poter che esibisce di abolire ogni variazione senza commetter notabili discrepanze; e crederei che se il suddetto Eccellentissimo Podestà ha fatto benissimo, e forse non dovea cominciare altrimenti, soddisfacendo a ciò che richiedeva la più scrupolosa esattezza, passerebbe dal bene al meglio promovendo in appresso la costante uniformità dell’ora di Terza per tutto l’anno. Ho l’onore di dirmi. Suo Divot. Serv. ed Affez.Amico C.
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Non è ver che sia la morte Il peggior di tutti
i mali: È un solievo de’mortali, Che son stanchi di soffrir
Nível 3
Allo splendor del trono Belle le
colpe sono, Perde l’orror l’inganno, Tutto si fa virtù.
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Exemplo
famoso Odino Prete ambizioso, abile Monarca, che può essere
considerato come il fondatore de’Governi del Nord; che impiegò tutte le seduzioni del genio, per
sottomettere delle intere popolazioni, e per incatenarle colla forza, e coll’opinione; che si servì
dell’armi, della persuasione, e della magia per assoggettar la Norvegia, e seppe spargere sugli
spiriti una spezie di prestigio coll’attenzione ch’egli ebbe di non mai lasciare in lui scoprir
l’uomo. Non vi fu mai un conquistatore dotato di maggiori talenti de’suoi: oratore e poeta perorava
a’suoi soldati, e improvvisava de’versi: insegnò a’popoli del Nord l’arte della Poesia, e per molto
tempo fece credere, che predicesse l’avvenire, e risuscitasse i morti. Tutto vero, ma quale fu la
cagione del di lui suicidio?
Nível 3
Exemplo
“Compute le gloriose sue spedizioni, Odino ritornò in Isvezia, e
sentendosi vacillante sugli orli del sepolcro, non volle che la malattia troncasse il filo de’giorni
suoi, dopo avere sì spesso sfidata ne’combattimenti la morte. Egli convocò tutti gli amici suoi, ed
i compagni delle sue imprese, e alla loro presenza colla punta d’una lancia si diede nove ferite in
forma di cerchio dichiarando nel momento di spirare, ch’egli andava nella Scitia a collocarsi trà i
Dei, promettendo d’accogliere un girono onorevolmente nel Paradiso tutti quelli che si fossero
esposti coraggiosamente nelle battaglie, o che morti fossero coll’armi alla mano.”
Metatextualidade
Al Numero 67 di questo Fogli s’è inserita una breve
Lettera di Verona contenente una falsa notizia della soppressione dell’Arte di que’Farinati, e
Pistori. Al numero 70 ne abbiamo pubblicata un’altra venutaci da quella Città di giusta e solenne
ritrattazione sull’accennato punto. Con nostra sorpresa ricevute abbiamo, dopo questo pubblico
disingante, delle altre Lettere gli scrittori delle quali si mostrano affatto ignari dell’accennata
ritrattazione, perchè ci stimolano a fare quel ch’è già fatto. Cotesti Signori abbiano la bontà di
leggere la Gazzetta al predetto numero 70 e vedranno se resta luogo ad ulteriori lamentazioni, e
rimproveri.
Trastullo Medicinale.
Metatextualidade
Soggiace al male della Polmonea l’incognito Scrittore d’una dolente
Lettera a noi diretta, in cui lagnasi de’suoi Medici, che lo alimentano di sempre belle, e non mai
verificate speranze. Vorrebbe udir col mezzo di questo Foglio qualche opinione, e qualche buon
insegnamento sulla cura della sua malattia. Sarà difficile, che alcuno, per zelo del pubblico bene,
voglia prendersi questo incomodo. Noi intanto sempre attenti dal canto nostro a giovare, o tentar di
giovare, a chi si degna di ricorrere alla nostr’attenzione traduciamo sul fatto il seguente Articolo
dell’Almanacco di Gotha dell’anno corr., che viene a proposito della richiesta.
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Che può avere, si dirà, di comune il giuoco del Bindolo ossia
Strumento da dondolarsi, colla tristezza? Questa interrogazione, a prima giunta, sembra naturale: ma
non la farà chi sappia quanto erano famigliari i mezzi presi dalla Ginnastica nell’impiego
dell’antica Medicina. A considerare in sè medesimo, il giuoco del Bindolo, non vi si vede che un
semplice movimento di oscillazione più o meno rapido, una spezie di ventilazione uniforme sia nella
superficie del corpo, che negli organi della respirazione, e finalmente un aggradevole passatempo.
Tutti questi vantaggi sembra che non abbiano alcun prossimo rapporto alla cura della tisichezza; ma
in questo, come su altri punti, la esperienza supera il ragionamento, ed oltre a ciò bisogna stare a
quello, ch’essa ne dice quando è diretta da un uomo intelligente, e sincero. Nondimeno, nel caso
presente, si può sostener questa pratica con altri fatti analoghi in uso della Medicina antica,
senza parlar de’vantaggj del cavalcare, che sembra non agire alcun poco, che per le scosse leggiere,
che imprime alle viscere. Si sà che la navigazione, è stata sempre riguardata come un eccellente
rimedio contro la tisichezza pomonare. Gli antichi Romani attaccati da questa malattia, andavano,
secondo Plinio, in Egitto, e questo naturalista riporta l’esempio di Gallio, ch’essendo divenuto
tisico dopo il suo Conosolato, ricuperò la salute con un tal viaggio. Siano quali si vogliano gli
effetti che Gilchrist attribuisce all’aria del mare ch’egli riguarda come medicinale, sembra che i
principali avvantaggi della Navigazione derivino, o dalla oscillazione che il corpo riceve
da’diversi movimenti del Vascello, o dalle alternative della gioja e della tristezza, del timore e
della speranza. Un raffinamento di lusso nell’antica Roma fece immaginare de’letti proprjad essere
bilanciati lectulos pensiles. Se ne fece in seguito un uso frequente in molte malattie, e Celso
medesimo consiglia quest’esercizio, allorchè non si può navigare, nè essere portato in lettiga, o in
seggiola. Antillo, Aezio, Celio, Oreliano, propongono ancora i letti a tentennamento in
molte malattie croniche ed anche nella tisichezza. La lettura, ed una sostenuta e forte
declamazione, sono state vantate dagli antichi Medici come proprie a dar del vigore al petto ed agli
strumenti della voce; ed in effetto per questi esercizj l’aria è alternativamente inspirata e
spirata con forza, il calore è aumentato come la traspirazione toracica, ed il polmone è sgombrato
da’suoi umori superflui. Ora il giuoco del Bindolo pare che partecipi degli avvantaggi
dell’esercizio della voce, a cagione della corrente d’aria, che viene alternativamente a colpire il
polmone con più o meno rapidità. Non dirò nulla del trattenimento sollazzevole che proccura un simil
giuoco quantunque si debba contarlo per molto in una malattia nella quale la melanconia è sì
ordinaria.