Sabbato 12 Settembre 1789.
Pregiatissimo Amico.
Verona 5 Settembre 1789
Ella mi fa l’onore di chiedermi il mio parere sulla Tabella dell’ora di Terza, instituita dall’Eccellentiss. Rappresentante di Chioggia nell’atto di dare esecuzione al Sovrano Decreto che admise la regolazione degli Orologi in quella Città e Territorio nella maniera generalmente usitata in Europa: e mi fa sapere che la stessa Tabella viene criticata da alcuni, i quali avrebbero voluto che l’ora di Terza fosse stabile tutto l’anno alle ore nove, cioè tre ore avanti il mezzogiorno. Soddisferò come meglio posso al suo quesito, esaminando brevemente l’ora di Terza; 1. nella sua origine primitiva; 2. nelle consuetudini e leggi nostre; 3. nelle sue relazioni all Orologio Europeo.
I. Appresso i Caldei, gli Egizi, li Greci, e i Romani da Scipione Nasica in poi (ed ancora oggidì tra’Persiani, e Chinesi) fu diviso in dodici ore costantemente il giorno naturale, o sia lo spazio di tempo dal nascere al tramontar del Sole. Ora essendo in que’paesi ineguale la lunghezza de’giorni, come veggiam da per tutto dove la sfera è obbliqua, e maggiormente ineguali quant’è più obbliqua, cioè quanto più ci scostiam dalla Linea; ne nasceva che neppur le ore non erano egualmente lunghe da una stagione all’altra, e rigorosamente parlando nemmeno da un dì all’altro. Nella latitudine di Venezia, per esempio, se si volesse sempre diviso il giorno in dodici ore, ne’dì più lunghi di state l’ora sarebbe di minuti settantotto, e ne’più corti d’inverno di minuti quarantatre.
A questo modo tra le Nazioni summentovate la lunghezza dell’ora variava di continuo gradatamente: ed a questa perpetua ineguaglianza, proscritta di poi dagli orivoli a pesi ed a molle, s’eran potuti adattare gli Orologi d’acqua, o sia clepsidre, di que’tempi, che sono da Vitruvio accuratamente descritti; perciocchè la velocità dell’acqua uscente dal foro di un vaso dipendendo dall’altezza onde cade, bastava saperne concertare le altezze con le stagioni, affinchè la medesima quantità stesse più o men di tempo a sortire.
Terza, ora variabile di sua natura con le stagioni, poichè deve stare nel
mezzo tra il nascer del Sole e il mezzodì. Come però la Tabella per Chioggia apparisce fatta con
questa norma, per quanto comporta l’inveterata pratica delle variazioni di mezz’ora in mezz’ora, non
di minuto in minuto, come a rigore farsi dovrebbe; così egli è forza conchiudere che la Tabella
stessa è formata coi veri principj su’quali si fonda l’instituto primitivo dell’ora di Terza, il
significato intimo del suo nome, e la successiva tradizione de’secoli.
II. Passando ora ad esaminare le nostre consuetudini e leggi, nessuno potrà negare che a Chioggia non si dovesse prender per modulo la Tabella, che per Terminazione della Serenissima Signoria viene osservata in Venezia. Ora quivi si vede, che ne’più corti giorni d’inverno l’ora di Terza è fissata alle 17. d’Italia. Ma allora il Sole si leva a ore 14. minuti 52., e il mezzogiorno è ad ore 19. minuti 11. tra i quali tempi il punto di mezzo è nelle ore 17. minuti uno e mezzo. Dunque l’ora di Terza in Venezia nel solstizio d’inverno è statuita nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzodì. Similmente ne’più lunghi giorni di state l’ora di Terza è fissata in Venezia alle 12. ma allora il Sole si leva a ore 7. minuti 52. e il mezzogiorno è ad ore 15. minuti 41. onde il punto di mezzo cade sulle ore 11. min. 46. e mezzo, o in numero rotondo sulle 12. Dunque ance nel solstizio estivo l’ora di Terza in Venezia batte nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzodì. E poichè i punti estremi dei due solstizj sono quelli da cui dipendono le variazioni intermedie, si dee pronunziare generalmente per tutto l’anno, che l’ora di Terza in Venezia è collocata nel mezzo tra il nascer del Sole e il mezzogiorno, come si è già veduto che esige il suo nome e l’origine sua. Per conseguenza la Tabella di Chioggia, che è fatta con quella legge, è convenientemente analoga, non solo agl’instituti primitivi e vetusti, ma ancora a quelli della Dominante ne’presenti tempi; e però incensurabile.
Non posso staccarmi dalla Tabella di Venezia, senza parlar di un assurdo, che nasce dall’Orologio
Italiano, ed al qual non ancora fu fatto riflesso, ch’io sappia. Il mezzodì del primo giorno di
Gennajo è ad ore 19. min. 8.; quello dell’ultimo giorno a ore 18. min. 40. ma l’ora di Terza è fissa
per tutto il mese a ore 17. Dunque lo spazio da Terza a mezzodì in principio di Gennajo è di ore 2.
min. 8., ed in fine di ore 1. min. 40. Donde si vede che a misura che le giornate si allungano, lo
spazio destinato agli affari si abbrevia: stravaganza che tutta si deve riputare a difetto
dell’orologio Italiano, non essendo possibile di evitarla, posta la massima di mutare l’ora di Terza
di mezz’ora in mezz’ora solamente. All’incontro con l’Orologio Europeo succederà bensì, che l’in-
III. Resta finalmente da esaminare l’ora di Terza nelle sue relazioni all’Orologio Europeo. Nel solstizio di state di Sole si leva per Venezia e Chioggia a ore 4. min. 12. Ora essendo il mezzodì sempre fisso a ore 12. il punto di mezzo, a cui risponderebbe l’ora di Terza, cade giustamente a ore 8. min. 6.. Nel solstizio d’inverno il levar del Sole è ad ore 7. min. 42.; onde il punto di mezzo per andare alle 12. è ad ore 9. min. 51., al qual corrisponderebbe rigorosamente l’ora di Terza. Dunque se questa si fissasse per tutto l’anno alle ore nove, come molti amerebbero, succederebbe una posticipazione di 54. minuti nel più lungo giorno di state, ed una anticipazione di min. 51. nel più corto d’inverno. Ne’tempi intermedj l’error si fa sempre minore a misura che ci scostiamo dai tempi dei solstizj, e che ci avviciniamo a quelli degli equinozj dove è nullo. Egli è dunque da vedere se il detto errore, che non è sempre eguale, ma spesso è piccolo o nullo, sia veramente di tal conseguenza che possa portar pregiudizj; considerando massime, che quel tempo che si perde nella state si guadagna nel verno, onde in summa l’errore sparisce affatto, e gli affari nulla perderebbero. Io confesso che inclinerei a preferire la stabilità dell’ora di Terza per tutto l’anno, giudicando molto maggiore il comodo e l’utile di non mai alterare la distribuzione del tempo per le azioni della vita, di quel che sia il piccolo incomodo d’intraprenderle nell’inverno mezz’ora, o tre quarti d’ora più presto, che non si farebbe mutando l’ora di Terza. Siccome malgrado tutt’i prodigi dell’umano ingegno sarebbe assunto vano il negare l’imperio dell’abitudine, la qual ci fa forse agire i novanta centesimi della vita macchinalmente, così l’uniformità dell’ora per le nostre azioni influisce necessariamente nella regolarità, nella perseveranza, e nell’intensione delle azioni medesime; e deve partorire vantaggi, che non possono quidditarsi aritmeticamente, ma che il filosofo può concepire e conoscere immensi.
Credo pertanto di poter legittimamente conchiudere, che la Tabella dell’Eccellentissimo Rappresentante di Chioggia per l’ora di Terza è senza dubbio incensurabile anzi lodevole, poichè inerente ai principj della sua istituzione antica e moderna. Ma come con l’Orologio Europeo le variazioni di quell’ora non riescono tante nè tanto grandi come con l’Italiano, così guarderei come un pregio oltre i tanti che il primo Orologio distinguono, il poter che esibisce di abolire ogni variazione senza commetter notabili discrepanze; e crederei che se il suddetto Eccellentissimo Podestà ha fatto benissimo, e forse non dovea cominciare altrimenti, soddisfacendo a ciò che richiedeva la più scrupolosa esattezza, passerebbe dal bene al meglio promovendo in appresso la costante uniformità dell’ora di Terza per tutto l’anno. Ho l’onore di dirmi.
Suo Divot. Serv. ed Affez. Amico C.
Nota di quelli, che hanno ottenuto il premio ne’prossimi Esami
generali nelle Pubbliche Scuole di Venezia.
Signori Gio: Battista Pezzoli. Francesco Farina. Benedetto Rizzardini.
Signori Giovanni Frezzeto. Cristoforo Soratroi. Pietro Cuniali. Peitro Coronelli. Niccolò Chenighsaven. Carlo Colesei. Federigo Boerio. Francesco Cordich. Francesco Spadaroto. Bonaventura Quellacasa. Giuseppe Lanari. Leonardo Coledeni.
Signori Giuseppe Cuniali. Aurelio Dall’acqua. Spiridion Calucci. Tommaso Tastini. Giacomo Savoldello. Domenico Urbani.
Signori Giovanni Lena. Antonio Moschini. Giuseppe Bonajuti. Morando Mondini.
Signori Antonio Scalfaroto. Lorenzo Castaldis. Giacomo Manfren. Sebastiano Pagiaro.
Sig. Giovanni Dolfin.
Signori Pietro Alessandri. Giustino Vidoni. Giovanni Dolfin.
Signori Giovanni Toffoluti. Domenico Pigozzo. Gio: Battista Zucchi.
Signori Domenico Carrara. Marco Corniani. Pietro Gaspari. Alberto Stella.
Sig. Onorato Dehez. Dig. Antonio Barbon.
I nome de’Chierici premiati in queste scuole, saranno registrati nelle
stampiglie delle scuole de’Sestieri.
Un melanconico leggitore di questi Fogli con un Biglietto spirante orrore, di nera carta, e di rosso carattere, protesta di palpitare ogni volta, che trova in essi descritto qualche suicidio, e d’essersi abbandonato alla più profonda tristezza dacchè seppe i recenti di Verona, e di Brescia. Senza spiegarsi chiaramente egli ci lascia capire, che ha una spezie di tentazione d’imitare questi detestabili esempj, e dimanda se vi sia alcun Libro che insegni a superarla teoricamente.
Possiamo dirgli, che nove anni sono s’è stampata a Parigi un’Operetta in 12. di 160. pagine la quale porta per titolo.
Mezzi proprj a garantire gli uomini dal suicidio, opera nella quale dopo
aver proccurato di scoprire le cause dell’uccisione volontaria di sè medesimo, si proccura altresì
di mostrare li mezzi di garantirsene; preceduta da un Discorso sopra l’origine, e i progressi del
suicidio in Inghilterra, ed in Francia, del Signor L. P. L. D.
Se poi questo Libro sia stato tradotto in Italiano, o se nell’originale si trovi in vendita in questa Città, non lo sappiamo.
In mancanza d’un tal soccorso, caso che averlo ei non possa, ha da bastare la nostra Religione
co’lumi suoi, il naturale amore della nostra esistenza, e il lodevole orgoglio di non cedere a’mali
vilmente col privarsi della vita per non sentirli, ma di superarli con
Non si conosce soltanto dal senso intimo di questo luttuoso Biglietto, che il suo Autore sia
spaventato dall’idea di soggiacere un giorno a una sì tragica morte, ma si scopre, quasi suo
malgrado, ch’egli proccura di rendersela famigliare spogliandola di tutto il suo orrore colle
massime della pretesa Filosofia degli Spiriti Forti. Si appoggia alla
sentenza del Metastasio
Non è ver che sia la morte
Il peggior di tutti i mali:
È un solievo de’mortali,
Che son stanchi di soffrir
come se queste fossero parole dell’Autore, e non dell’Attore, e un’anima sì pura
penetrata dalle grandi verità della Religione, quale egli si dimostra evidentemente ne’suoi Sacri
Componimenti, avesse voluto animare i travagliati al suicidio. Collo stesso fondamento accusarlo
potrebbesi della più falsa dottrina se si volesse suo il sentimento messo in bocca di Jarba
Allo splendor del trono
Belle le colpe sono,
Perde l’orror l’inganno,
Tutto si fa virtù.
Accresce l’accennato Scrittore questi sospetti col deplorare (apparentemente) il tristo
destino di tanti uomini illustri, che privati si sono di vita, e per trovar sul trono un luminoso
esempio, che blandisca il tetro suo genio ritrocede fino al Odino Prete ambizioso, abile
Monarca, che può essere considerato come il fondatore de’Governi del Nord; che impiegò tutte le
seduzioni del genio, per sottomettere delle intere popolazioni, e per incatenarle colla forza, e
coll’opinione; che si servì dell’armi, della persuasione, e della magia per assoggettar la Norvegia,
e seppe spargere sugli spiriti una spezie di prestigio coll’attenzione ch’egli ebbe di non mai
lasciare in lui scoprir l’uomo. Non vi fu mai un conquistatore dotato di maggiori talenti de’suoi:
oratore e poeta perorava a’suoi soldati, e improvvisava de’versi: insegnò a’popoli del Nord l’arte
della Poesia, e per molto tempo fece credere, che predicesse l’avvenire, e risuscitasse i morti.
Tutto vero, ma quale fu la cagione del di lui suicidio? Williams nel seguente passo della sua Istoria de’Governi del Nord.
Odino ritornò in Isvezia, e sentendosi vacillante sugli orli del sepolcro, non volle che la
malattia troncasse il filo de’giorni suoi, dopo avere sì spesso sfidata ne’combattimenti la morte.
Egli convocò tutti gli amici suoi, ed i compagni delle sue imprese, e alla loro presenza colla punta
d’una lancia si diede nove ferite in forma di cerchio dichiarando nel momento di spirare, ch’egli
andava nella Scitia a collocarsi trà i Dei, promettendo d’accogliere un girono onorevolmente nel
Paradiso tutti quelli che si fossero esposti coraggiosamente nelle battaglie, o che morti fossero
coll’armi alla mano.”
L’esempio di questo illustre Fanatico, che prevenne di pochi momenti la morte, dovrà forse fatalmente influire sullo spirito del suicidio in chi professa una Religione di verità, ed è in piena robustezza di corpo?
Finga, o dica davvero chi stese sul nero Foglio le sanguigne parole, noi non abbiamo per esso migliore risposta. Ci siamo dispensati dal riportarle, perchè in gran parte condannate vanno all’obblio, e non avremmo potuto che trascrivere de’periodi tronchi, e sconnessi.
Farinati, e Pistori. Al numero 70 ne abbiamo pubblicata un’altra
venutaci da quella Città di giusta e solenne ritrattazione sull’accennato punto. Con nostra sorpresa
ricevute abbiamo, dopo questo pubblico disingante, delle altre Lettere gli scrittori delle quali si
mostrano affatto ignari dell’accennata ritrattazione, perchè ci stimolano a fare quel ch’è già
fatto. Cotesti Signori abbiano la bontà di leggere la Gazzetta al predetto numero 70 e vedranno se
resta luogo ad ulteriori lamentazioni, e rimproveri.
Gotha dell’anno corr., che
viene a proposito della richiesta.
Che può avere, si dirà, di comune il
giuoco del Bindolo ossia Strumento da dondolarsi, colla tristezza? Questa
interrogazione, a prima giunta, sembra naturale: ma non la farà chi sappia quanto erano famigliari i
mezzi presi dalla Ginnastica nell’impiego dell’antica Medicina.
A considerare in sè medesimo, il giuoco del Bindolo, non vi si vede che un
semplice movimento di oscillazione più o meno rapido, una spezie di ventilazione uniforme sia nella
superficie del corpo, che negli organi della respirazione, e finalmente un aggradevole passatempo.
Tutti questi vantaggi sembra che non abbiano alcun prossimo rapporto alla cura della tisichezza; ma
in questo, come su altri punti, la esperienza supera il ragionamento, ed oltre a ciò bisogna stare a
quello, ch’essa ne dice quando è diretta da un uomo intelligente, e sincero. Nondimeno, nel caso
presente, si può sostener questa pratica con altri fatti analoghi in uso della Medicina antica,
senza parlar de’vantaggj del cavalcare, che sembra non agire alcun poco, che per le scosse leggiere,
che imprime alle viscere.
Si sà che la navigazione, è stata sempre riguardata come un eccellente rimedio
contro la tisichezza pomonare. Gli antichi Romani attaccati da questa malattia, andavano, secondo
Plinio, in Egitto, e questo naturalista riporta l’esempio di Gallio, ch’essendo divenuto tisico dopo
il suo Conosolato, ricuperò la salute con un tal viaggio. Siano quali si vogliano gli effetti che
Gilchrist attribuisce all’aria del mare ch’egli riguarda come medicinale,
sembra che i principali avvantaggi della Navigazione derivino, o dalla oscillazione che il corpo
riceve da’diversi movimenti del Vascello, o dalle alternative della gioja e della tristezza, del
timore e della speranza.
Un raffinamento di lusso nell’antica Roma fece immaginare de’letti proprjad
essere bilanciati lectulos pensiles. Se ne fece in seguito un uso frequente in molte malattie, e
Celso medesimo consiglia quest’esercizio, allorchè non si può navigare, nè
essere portato in lettiga, o in seggiola. Antillo, Aezio, Celio, Oreliano,
propongono ancora i letti a tentennamento in molte malattie
croniche ed anche nella tisichezza. La lettura, ed una sostenuta e forte declamazione, sono state
vantate dagli antichi Medici come proprie a dar del vigore al petto ed agli strumenti della voce; ed
in effetto per questi esercizj l’aria è alternativamente inspirata e spirata con forza, il calore è
aumentato come la traspirazione toracica, ed il polmone è sgombrato da’suoi umori
superflui.
Ora il giuoco del Bindolo pare che partecipi degli avvantaggi dell’esercizio
della voce, a cagione della corrente d’aria, che viene alternativamente a colpire il polmone con più
o meno rapidità. Non dirò nulla del trattenimento sollazzevole che proccura un simil giuoco
quantunque si debba contarlo per molto in una malattia nella quale la melanconia è sì ordinaria.
7. Sett. 1789. Alla C. V. Post.
“Nel 1665. 19. Novembre il Rever. P. Don Gio: Battista Stazio
volendo professare nel Monastero di S. Giorgio Maggiore di questa Città cesse, e rinunziò a suo
Fratello Bernardin tutti li di lui Beni che in qualunque modo spettar gli potessero.
Del 1691. 22. Marzo Bernardin Stazio Fratello del suddetto P. con Pubblico Instromento dichiarò che, sebbene nella suddetta Rinunzia vi fosse la clausola di aver rinunziato anco tutto quello, che per Testamenti, Codicilli, ec. gli potesse pervenire, pure non voleva che tal Rinunzia in detta parte avesse effetto alcuno.
Passata l’Eredità di detto Bernardin in Francesca sua sorella mediante Testamento dello stesso; questa dispose di ciò che possedeva con sua Cedula 1709. 1. Aprile a favore del suddetto P. Gio: Battista con condizione che dovesse eseguir ciò che ordinava in una Cedula inserita nella presente.
Con detta Cedula, doppo varj Legati, ordinava, che celebrato a suo favore fosse un Anniversario nella chiesa di S. Giorgio Maggiore: del rimanente di sua facoltà dovesse il suo Erede disporre, come in vita gli aveva ordinato.
Alla mancanza poi del sudetto suo Erede instituì Erede il Monastero suddetto con l’obbligo delli Legati da essa formati, Anniversario, e Mansoneria quotidiana da essa ordinata.
E finalmente chiuse le sue disposizioni con un nuovo Codicillo 1721. 8. Febbraro con cui revocò la sostituzione fatta del Monastero, lasciando Erede libero suo Fratello P. Gio: Battista con questo che li Capitali obbligati alla Mansoneria ed Anniversario dovessero esser sempre a ciò soggetti. Al caso poi il suo Fratello premorisse ad essa allora instituisce Erede il Monastero.
Godette pacificamente il Monastero tal Eredità, quando li 17. maggio 1788. insorsero certe
Femmine di Famiglia Stazio, quali pretendendo ad esse Jure Sanguinis dovuto
tal Patrimonio impugnarono alli Sopra Monasteri il Codicillo suddetto nella parte dell’instituzione
dell’Erede, sostenendo al Taglio che li Monaci per Legge non potessero ereditare.
Si difese il Monastero con Scrittura di risposta 28 Maggio 1788. sostenendo il Laudo dell’impugnato Codicillo.
Si regolarono, in vista di ciò, le Femmine Stazio e con Scrittura 31. detto in due Capi, impugnarono le due disposizioni di detta Francesca, adducendo che per Legge non poteva un Monaco succedere ad una Eredità.
Implorata l’assoluzione dal Monastero anco da detti due Capi, seguì li 22. Decembre passato
spedizione absente a favor di dette Femmine che ap-
Al Taglio 22. Al Laudo 6. Avvocati al Taglio.
Eccellenti Gallino, e Stefani.
Interruttore Facini.
Interveniente Niccolò Albinoni.
Al Laudo.
Eccellenti Orlandi, e Michiel Caffi
Interveniente Andrea Adami.
Come si avvisò è giunto Mercordì pros. pas. in questa Città S. E. il Sig. Conte Potocki Starosta di Szcyzec, Ministro Plenipotenziario ed
Inviato estraordinario alla sublime Porta degli Serenissimi Stati di Polonia.
Le persone del suo seguito son in numero di 108 ed altre 40 se ne attendono per l’accennata via di Trieste. Il suo viaggio marittimo sarà sino a Corinto, e di là per terra passerà in 40 giorni a Costantinopoli. Oltre 32 Legni da tiro che ha seco, ci vorranno 40 carri per i trasporti, e 200 cavalli.
De gente di mare sbarcata dalla Polonia Bombarda Pubblica venuta al
disarmo, sentesi confermata la notizia già sparsa in altro Foglio politico, ma con diverse
circostanze, che il nostro Capit. Panà sia stato attaccato nell’acque di Cao-Ducato da uno Sciabecco Tunisino contro il quale fece quella maggiore
resistenza che far poteva un Bastimento mercantile con pochi marinaj. Felicemente fu scoperto il suo
impegno da una delle veloci Galeotte di nuova invenzione, ch’ora questa Repubblica tiene in corsi, e
volando alla sua difesa prese in mezzo il piratico Legno, che trà due fochi fulminato rimase
coll’eccidio totale di que’barbari.
Tanto della gente suddetta s’è riferito come inteso alla sua partenza dal Levante da un Bastimento colà giunto dall’acque del marino conflitto. Ogni buon suddito sentirà con soddisfazione simili notizie, e bramerà al par di noi, che restino verificate.
Alle ore 20 del giorno 9 da Brusselles per la via del Tirolo arrivò improvvisamente a Verona il
Reale Conte d’Artois con 20 persone di seguito cioè 5 nobili Soggetti, e il
resto Uffiziali di Casa, e Domestici. Alloggiò a quel sontuoso Albergo delle due Torri, ove benchè
precorso non fosse il menomo avviso, servito fu da suoi pari, e diede segni del suo umanissimo
gradimento a quell’abile Locandiere Sig. Gio: Bernardi. La seguente mattina
alle 10 d’Italia è partito per Mantova onde di là passar a pernottare a Cremona, ed essere la sera
degli 11 a Milano, e quella de’12 a Torino. Così detto fu da lui stesso. Voleva passar nel suo
viaggio per Brescia e Bergamo ma fu consigliato di schivare quelle strade sassose per non
interrompere la rapidità delle sue corse.
Tanto abbiamo da una Lettere de’10 corrente.
Per la prossima vegnente.
s. Pietro Zeno.
Venerdì 10 Settembre.
Lione 57 e mezzo. Parigi 57. Roma 63. Napoli 116. Livorno 99 e 3 4ti. Milano 155. Genova 91. e un 4to. Amsterdam 93. Londra 49. Augusta 103 e 3 4ti. Vienna 196 e mezzo.
Formento a L. 31 circa.
Sorgo Turco a L. 15.
Segale a L. 22.
Fagiuoli bianchi a L. 22.
Miglio da L. 17 a 18.
Risi da Duc. 34 a 35.