Num. 58 Antonio Piazza Moralische Wochenschriften Ingrid Scherk Editor Kirsten Dickhaut Editor Alexandra Fuchs Editor Angelika Hallegger Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 23.09.2015 o:mws.4057 Piazza, Antonio: Gazzetta veneta urbana. Venezia: Zerletti 1789, 457-464 Gazzetta urbana veneta 3 058 1789 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Vernunft Ragione Reason Razón Raison Liebe Amore Love Amor Amour Italy 12.83333,42.83333

Num. 58.

Mercordì 22 Luglio 1789.

Delitto per cui furono banditi da questo Eccelso Consiglio di X. Sabbato della scorsa settimana Paolo Vescellari detto Zinganetto Padovano, ed Antonio Ferrari detto Tirolin Piemontese, erano Spadaccini de’Pubblici Dazj in questa Città.

Nella notte del 27 Luglio 1784 fu aggredita la casa del villico Giov. Albanese detto Vitale, situata sotto la Podestaria delle Gambarare, da cinque uomini allora sconosciuti, d’abiti mentiti, e colla faccia tinta di nero, armati d’archibugj, pistole, e coltelli. Tentarono prima d’introdursi furtivamente per una finestra, poi si fecero aprire la porta coll’asserzione ingannevole d’essere Ministri della Corte di Padova colà inviati dalla Giustizia per ritrovare un immaginato contrabbando. Due di essi arrestarono, e spaventarono sulla strada il predetto Albanese e un suo Figlio volontariamente accorsi per aprire alla ricercata visita la loro abitazione: e il Padre rimase anche offeso di confusione dal calcio d’uno schioppo; e altri due salendo intanto le scale misero in terrore e desolazione quella numerosa Famiglia composta, oltre de’due accennati , d’un Ragazzo, e di quattro Femmine una delle quali incinta. Effettuarono l’iniquo violento furto di 500 Duc. V. C. 50 zecchini, 2 scudi, 40 lire di moneta, una spadetta, un curaorecchi d’argento, un pajo di manìglie, venti fili di cordon, due paja d’orecchini, due anelli, ed un gruppo, tutto d’oro. Il quinto loro compagno stette in guardia sulla strada dall’altra parte.

Denunziato però alla Giustizial’enorme delitto, e giunti nelle sue forze due di quegli scellerati vennero scoperti gli altri tre ne’ due nominati banditi, e in un reo d’omicidio condannato posteriormente dal Reggimento di Padova alla galera, il quale morì su questa pubblica Fusta nel 1780, e da cui fu immaginato lo svaligio narrato, e ne’concertati modi eseguito cogli altri 4 suoi iniqui compagni. Egli fu, che unito al Vascellari da cui fu maltrattato e percosso il vecchio Albanese, arrestò questo povero capo di Famiglia mentre il Ferrari eseguiva violentemente con uno delli due rei alla Giustizia soggetti, il furto delle sue migliori sostanze. Seguito l’infame rubamento, que’malfattori si diedero alla fuga dividendo nel viaggio di ritorno a questa Capitale i frutti delle loro rapine, avendo il Vascellari fatte le ripartizioni, il quale unito al suo compagno Ferrari passò poi frettolosamente in estero Stato.

Absenti questi empj, ma legittimamente citati, sono banditi da questa Città di Venezia, e tutto il suo Stato definitivamente, ed in perpetuo.

Rompendo il confine, e venendo presi saranno condotti in questa Capitale ed impiccati per le canne della gola. La Taglia a’captori, è di ducati mille, sì per l’un che per l’altro, de’suoi Beni, se ne avrà, e in difetto della metà pagabile dalla Signoria, de’denari deputati alle Taglie. Li Merighi, Degani, Massari, e simili Deputati delle Ville, Contadi, e Luoghi di questo Serenissimo Dominio, ove capitassero, son obbligati a suonar campana a martello, ed usar ogni diligenza per prenderli, destinata in tal caso a loro benefizio la Taglia suddetta; e mancando a questo dovere, avutane notizia, saranno condannati al remo per anni dieci, e in caso d’inabilità per altrettanto tempo in una prigione all’oscuro; o quello, che non fosse retento, sarà bandito in perpetuo dallo Stato Veneto, o punito d’altre pene a norma della trasgressione.

La sera del p. p. Sabbato vigilia del SS. Redentore, dopo varie precedenti minaccie, effetto d’un’arsura che ci cuoceva, si sfogò il tempo con una dirottissima pioggia avidamente bevuta da’nostri pozzi presso che vuoti, e da una spessa grandine ora mescolata coll’acqua, ora alternativamente separata da essa, la quale vibrata a discrezione degl’impetuosi venti in contrasto, ruppe un’immensa quantità di vetri alle finestre, che dalle imposte riparate non furono. Ebbimo per un’ora continova dallo strisciare de’ vivi lampi, che d’ogn’intorno prendevano lo spazio del nostr’orizzonte, dal fragore de’tuoni, dal fischiare del vento, e dal precipizio della tempesta, una qualch’idea di quegli spaventosi oragani, che devastano sì spesso le Antille, de’quali il celebre Raynal ne presentò la trista pittura con que’colori, che son proprj della sua penna, nella di lui Storia Filosofica ec. Trà gli orrori della burrasca sembrava che gli elementi confusi si fossero nel caos primitivo: e se una Città, le abitazioni, le botteghe non sembravano ad alcuni sicuro asilo contro il suo impeto, a qual eccesso non dovè giungere la paura di quelli, che si trovavano in viaggio sulle circostanti lagune?

Molti vi si sono trovati, e salvaronsi prodigiosamente col gettito de’selzi delle gondole, e col darsi a discrezione in preda del vento: ma per quanto sentesi ne perirono alcuni, benchè non se n’abbia una ferma sicurezza.

Ruppesi in più parti il gran ponte di Legno, che formasi ogni anno per tal solenne domenica al transito delle processioni, e d’un numerosissimo popolo, che portasi alla Giudecca, e si ruppe sì fattamente, che non si potè riattaccarlo nella mattina seguente, come seguì altre volte per minori disordini. Così al passaggio necessario furono le barche: e se i barcajuoli colsero de’vantaggj per tal accidente, i fritellaj, i fruttajuoli, e i tavernaj della Giudecca n’ebbero gravissimo danno, perché potè dirsi perduta la più belle Sagra di questo Paese, che suol metter in moto la Città tutta. Per dire sopra questa solennissima funzione a cui interviene la Maestà Pubblica qualche cosa in aggiunta al già detto negli due anni scorsi, ripetendo soltanto che l’orrida peste del 1576. da cui fu assalita questa Città fece nascere il voto onde si eresse questo superbo Tempio del Redentore opera dell’immortale Palladio, ricorderemo, che la prima sua pietra fu gettata dal Doge Luigi Mocenigo unitamene al Patriarca Giov. Trevisano il dì 3 Maggio 1577 su cui erano scolpite queste parole.

Ex pio, solemnique voto Reip. ad arcenda fulgura dire pestis Redempt. Deo Sancte D. Gregor. XIII. Pont. Max. Venet. Duce Aloysio Mocenico, Ioan. Trivis. Patriar. MDLXXVI.

Fu dal Doge suddetto fatta la prima visita, per la grazia ottenuta nella liberazione da un sì enorme flagello in rimembranza del qual benefizio instituì per sè ed i suoi successori la gita pubblica nella terza Domenica di Luglio.

In M. C.

20 Luglio 1789.

Pod. e Cap. a Feltre dura m. 16 Reg. c. pl. ? Ottavian Martinengo qu. Lelio. Elez. del M. C.

Finisce s. Ang. Barbaro dis. Agostino.

Prov. alle Biade.

s. Gian Francesco Labia fu Patron all’Arsenale.

Fin. s. Ang. Maria Labia.

Prov. al Cottimo di Londra.

s. Lor. Contarini q. Benetto.

Fin. s. Niccola Longo.

Avvocato per gli Uffizj di Rialto.

s. Franc. Paruta qu. Lorenzo.

5 della Quarantia C. N.

alla loro riconferma.

s. Vincenzo Dona qu. Pietro.

s. Filippo Acquisti qu. Ang.

s. Crist. M. Poli qu. Giac.

s. Alv. Diedo qu. Gasp.

s. Vinc. Scroffa qu. Giulio.

Non sarà per tutti superfluo l’avvisare una volta, che l’elezioni a’Magistrati Sopr’Atti, o Biade, aprono le porte del Senato a que’benemeriti Patrizj, che o per i Reggimenti d’Udine, di Verona, di Bergamo, di Capodistria, dell’Arsenale, o per il corso di certe interne Magistrature hanno voce alle medesime, e vengono con esse compensati delle loro spese in servizio pubblico, e del buon governo delle Provincie alla loro cura affidate.

Sig. Gazzettiere Stimatiss.

Vicenza li 17 Luglio 1789.

“Ingiurie a monte. So che a chi m’onora dirmi, che habeo scientiam in dorso, si potrebbe adequatametne rispondere Clodius accusat mechos, Catilina Cethegos stando alla dottrina delle sue decisioni, ed all’eleganza delle sue frasi sì in linea di grammatica, che di civiltà. Ma io tollero; non ricambio ingiurie, sebben nato, ed allevato nella facitura della cioccolata.

Se il mio fervore eccitato dalla giustizia, e dalla verità mi fece parer troppo critica, ed oltraggiosa la prima Lettera del Sig. Anonimo; ciò non fù tanto rispetto a ciò, ch’egli dice, che rispetto a ciò, che maliziosamente egli tace. E la risposta mia ha più per oggetto di supplire alle sue affet-tate ommissioni, che di confutare qualche sua troppo mal misurata decisione.

Di tal genere è quella, che la Musica del primo Atto senta del buffo. Dai Macinatoj untuosi del Caccao oserò alzarmi contro codesto sapiente, ed insegnargli: che il motivo musicale indipendentemente dalle parole non è di per sè nè serio, nè buffo; essendo i suoni armonici non uniti alle parole ciò, che appunto son le parole slegate, e disgiunte dai sentimenti connessi del discorso. La voce monarca p. e. isolata tanto può esser seria, che burlesca; sta ai sensi annessi il determinarla piutosto alla serietà, che alla burla, e viceversa.

E se io dirò ad uno sguajato, ch’egli è il monarca dei Somari, il sentimento sarà ridicolo; se gli dirò ch’egli è il monarca dei dotti, e pellegrini ingegni, il sentimento sarà sostenuto, e grave.

Dir dunque che una qualunque armonia congiunta a parole gravi sia buffa, è sollecismo musicale maggior forse del sollecismo grammaticale, che dicesse asinus non judicant. Il brio, e la vivacità poi siccome son comuni alle azioni serie, e sostenute, perché anche in queste regna a vicenda col patetico e grave l’allegrezza, e la giocondità, tanto meno rendono il sentimento musicale serio, o buffo.

Ciò sia detto per semplice istruzione di chi guardandoci con sprezzo dall’alto crede incompatibili colla facitura della cioccolata il buon senso, la lettura, e lo studio; nè teme dar assoluto giudizio di cose, le quali vogliono ben altro, che temerità, e precipizio in chi ne giudica. L’unica cosa che io lodo nel Sig. Anonimo è il non essersi palesato; e lo consiglio a non farlo mai più; alcuni augelli, che fanno schiamazzo, e rombo nelle tenebre, desterebbero lo schifo, e l’orror de’viventi se si facessero vedere in pieno giorno. Scusate, o cortese Sig. Gazzettiere, la seconda replica; essa sarà l’ultima questa volta; amatemi, e credetemi.

Tutto vostro Servitore Antonio Scopino sul Corso.

Altra di Vicenza in data de’ 20.

“La Domenica scorsa ebbimo una magnifica corsa di cavalli col Fantino; il vago Anfiteatro, ed il numeroso concorso di spettatori formavano uno spettacolo degno d’esser veduto. Ma ciò, che più sorprese li miei Patrioti furono le forze d’Ercole, e la Moresca; non credevamo, che l’ingegno dell’uomo, e le forze limitate della natura a tal segno arrivassero; io sono per dire, che un siffatto spettacolo solo a noi fu concesso di vederlo, e che è maggiore di qualunque altro la mente dell’uomo possi immaginare.

Questi spettacoli ci risvegliarono la memoria degli antichi combattimenti, e parve di vedere la lotta degli Eroi guerreggianti per le conquista della Sposa. Sono ec.

La seguente Lettera ci pervenne la mattina dello scorso Sabbato, nè s’è potuto publicarla prima d’ora.

“Il mio costante attacamento per la verità, m’eccita a rappresentarle nella miglior precisione l’accaduto di Martedì 7. Lug. esposto nella sua Gazetta n. 55. con lett. di Brescia 9. Lug. sud. Il descritto villico dalla Terra di Guffago (li di cui abitanti distinguonsi dagli altri con le loro sfrenatezze nel tener in continuo moto questo Malef.) ave-va attaccata la sua Bestia ad una Colonna corrispondente alla Osteria dell’indicato Giovane servitore; e siccome un tal abuso oltre ch’espone a pericolo di qualche calciata la moltitudine de’passeggieri, rende altresì indecente il passaggio stesso vedendovisi spesse volte lo sterco sin sù la porta della predetta Osteria, così una sorella del suaccennato Giovine pregò il vilico, che staccarla volesse conducendola altrove, come prescrivon le leggi provvisionali in un tal proposito. Ricusò Egli con termini incivili aderire alla giusta sua ricerca, aggiungendo all’insistenza qualche villania. Accorso il Fratello al contrasto, li disse, che dovesse staccarla, o che altrimenti avrebbegli in altro incontro tagliata la Cavezza, ma ei li rispose, che attaccata gliela avrebbe al collo replicando eziandio le ingiurie contro l’una e l’altro, fingendo metter a mano qualch’arma. Sdegnato il Giovine per l’insulto, passò in Cucina, e preso un Coltello, s’avventò contro l’insistente insultatore, e gli menò due colpi, non però di conseguenza, anzi denunziati dall’Anziano, e Chirurgo senza pericolo, per il che riscontrasi in ora già, vicino a sortire dall’Ospitale perfetamente rimesso.

Non sò qual piacer possano risentire taluni nel contraffare, e ingigantire li fatti, che van accadendo, rendendoli pubblici a carico della nostra Nazione, pur troppo oltraggiata da una mala prevenzione.

Mi sarà di contento veder inserita la presente nella sua Gazzetta a smentimento della citata qui sopra, e con la più sincera stima passo a segnarmi.

P. S. Domenica di notte nel Borgo Pille, pochi passi distante dalla Città fu ucciso da un suo Compagno uno Spadacino della squadra detta dei Castellani. Il motivo si fù per un tratto indecente che l’omicida pratico all’infelice mentre cenava con sua Moglie il quale risentitosi volle farne qualche doglianza, e l’indegno interfettore senza replicar parola, passò al suo quartiere, e munitosi del suo Archibugio, ritornò colà, e glielo scaricò nel petto, pel che dovette sul fatto spirare. Brescia 16. Lugl. 1789.

Questa trista notizia ci è ratificata in altra Lettera della medesima data, e s’aggiunge in essa, che la sera de’ 15 una povera donna incinta ebbe due ferite in certa casa da, sinora occulta, persona.

Passando poi dal pianto al riso scrive l’autore di essa, che le scene dell’Opera e de’Balli per quella prossima Fiera saranno delli celebri Signor Mauri pittori Veneziani colà giunti espressamente per farle.

Nè in questa sola confermasi il narrato delitto ma in altre due scritte nel giorno medesimo, e da noi ricevute colla prima accennata. È detto in una.

“L’impunità dell’armi in questa sorta di gente (parlasi de’birri) in quel Borgo annicchiata a gravissimo pregiudizio di quegli abitanti, che restano esposti alle capricciose prepotenze di chi non ha nè Legge, nè Religione, nè Disciplina, ella è tutta l’origine di sì perniciosi sconcerti e del gravissimo scandalo, che in conseguenza ne nasce, per cui resta in certo modo tradita la volontà, e le saggie cure dell’Eccellentissimo Retore, da quegli stessi, ai quali fu da lui commessa la più scrupolossa vigilanza per l’esecuzion delle leggi.”

L’ultima comincia

“Li Borghi che servono di ornamento delizioso a questa Città, e che di giornaliero passeggio servivano a questi Cittadini, sono oramai divenuti l’asilo obbrobrioso del mal vivere in conseguenza delle indisciplinate truppe de’Birri, e Spadacini, ivi ricoverati. Le provvide Leggi dello Stato inculcate dal zelo instancabile del nostro luminosissimo Rappresentante per la più esatta osservanza, per costoro, non servono che di pretesto ond’esercitare con maggior libertà ogni sorta d’eccesso. Non passa giorno che non siino molestati que’poveri abitanti dalle loro prepotenze, nè notte che non vengano dal riposo sturbati dal strepitoso canto di mille oscene canzoni, e da risse. Le osterie non son più un asilo sicuro pel forastiere, mentre sono divenute l’attuale ricettacolo di costoro, ove non regnano che risse, e morti.” E termina

“Nella scorsa settimana parecchie ne seguirono tra di loro con spavento universale di tutti gli abitanti. Domenica scorsa 12. del corrente seguì un barbaro omicidio.”

“L’autore di questa lettera protesta, al Sig. Gazzettiere, di esser veridico in tutto il suo rapporto, e di essere officiato di far questo atto di carità, in cui avrà il primo merito la gentilezza sua, se con renderla pubblica si potrà ottener sollievo a que’onorati Borghigiani.”

Scemerebbe di molto il peso del nostro lavoro se compensato fosse dalla consolazione di poter con esso essere di giovamento all’onesta gente. Non abbiamo potuto dispensarci dal riportare gli squarci di queste Lettere, benchè la nostra intima persuasione tenga che il male sia esagerato, o se non lo è abbia ad avere (se pur non l’ha avuto sinora) un pronto riparo dal vigilante zelo del sì giustamente lodato attuale Pubblico Rappresentante a’lumi del quale non può certamente fuggire quanto dirigesi alla luce di questo Foglio.

Da Salò li 13 Luglio.

“Barbaro Amore! E che ne sia la verità sentite l’atroce caso seguito jeri verso le ore dieci nove sul monte Gargnano nella terra di Navazzo. Trovavasi colà una giovane dell’età di sedici anni, dotata di spirito, e di non mediocri bellezze, alle quali una bionda capigliatura aggiungeva un certo non so qual brio, che rendevala più amabile. Invaghitosi di questa un giovane del medesimo suo paese, e suo stretto cugino tentò più volte, ma in vano, di ottenerla in isposa. L’ostacolo grande della troppo stretta parentela, che tra loro passava; il contrario genio, che li Genitori e li Fratelli del Giovane mostravano per questo matrimonio; han fatto, che la Fanciulla non volle mai por mente alle richieste del Giovane amante, nè darle mai una menoma speranza di ottener la sua mano. Per questo non cessò egli di amarla, e forse quanto più ella resisteva al di lui amore, egli maggiormente l’amava. La libertà, che li Genitori della Fanciulla concedevano all’amante di trattarla, ha fatto, che il suo amore giungesse all’eccesso. Egli la importunava continuamente, ed ella costante gli resisteva. Più d’una volta ebbe il temerario ardire di schiaffeggiarla, allorchè gli dava una negativa. Finalmente stanco si risolvette di vederne una fine.

Si portò un giorno in aria di disperato amante dalla madre della Donzel-la risoluto di volerla ad ogni costo; dicendo, che suo sarebbe l’impegno di averne la dispensa, e che egli dovea contentarsi, non li Genitori, non li Fratelli. Alle parole d’un disperato ammutolì la madre, non seppe, che rispondere; egli se ne partì. È costume in quel paese, che il popolo si porta processionalmente alla Chiesa (la quale è dal paese discosta) sull’ora della dottrina. La Fanciulla, per non so qual’affare, non avea potuto partire con la processione, ma poco dopo, che era la processione partita. Affrettavasi ella per arivarla, e non avea a dare che otto, o dieci passi al più, quando da una siepe, in cui era nascosto, se n’esce furibondo il disperanto amante, l’afferra in un braccio, e le dice, queste precise parole: Ebbene siete ancora del medesimo sentimento? Io sì gli rispose la giovine. Egli senza null’altro soggiungere le diede cinque pugnalate, e lasciolla presso che esangue. Fù tosto portata a casa, e dopo qualche ora di vita rese l’anima a Dio.

Dicesi, che è cosa orribile a vedere in un candido seno una pugnalata della larghezza di quattro dita, che la trapassa da parte a parte, due nel fianco destro dalle quali ne usciva quasi da due mantici il fiato; una nel ventre da cui sortivangli le budella, e l’altra in una spalla. E non ho io forse ragione di gridare: Barbaro Amore!”

Benchè in data degli 11 cor. l’infrascritta Lettera di Brescia non ci è giunta che jeri. Trovando spazio opportuno in questo Foglio sia soddisfatto chi scrissela.

“Il Rondò cantato nell’Accademia fatta in lode dell’Eccellentiss. Procurator Mocenigo il pr. Maggio passato, che si vuol spacciare per un pezzo di Musica tutto nuovo, sono in necessità di dirle con sicurezza, che questo è stato sentito anni fa nel nostro Teatro; e che assolutamente non si potrà mai provare che sia nuovo, mentre abbiamo ancor nelle orecchie il suo principio che comincia Che farò nel mio dolore se non trovo in te pietà?

Nella nostra Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni tutte le Domeniche abbiamo la consolazione di sentire il nostro amabilissimo nuovo Parroco colla spiegazion del Vangelo, con un concorso assai grande di gente di tutte le Classi.

Il nostro Eccellentiss. Albrizzi Cap. V. Pod. continua sempre più a mantenere il rigorismo delle Armi; e tra la proibizione di queste, e tra la moltitudine di Ladri messi in queste Carceri, noi in adesso godiamo una perfetta quiete. Adunque lode a Dio ed a chi ci governa così saggiamente. Sono a’ di lei comandi ec.

Avvenne lo stesso della seguente di Padova in data de’ 13. Siamo paghi di pubblicarla, perché alcuni accusavanci di volontarie omissioni sul punto che in essa trattasi.

“Lo spettacolo del Palio notturno dato in Padova la sera degli undici non potea meglio riuscire per ordine, per maestà, per piacere. Non si è forse veduta mai più tanta gente raccolta nel nostro Prato. Non mancarono però in tanto numero anche di quelli, che non ne rimasero appieno soddisfatti. ne adducono in ragione il lume tetro, il fumo, l’odore, il calore ec. ec. ma da tutto ciò come sottrarsi senza un’enormissima spesa? Facile inventis addere. Forse nell’anno venturo lo spettacolo stesso, dopo l’esperimento fatto, po-trebbe ridursi all’ultima sua perfezione. Vero è intanto, che l’invenzione, e l’esecuzione di uno spettacolo sì grande in tale vastità di luogo fù dal maggior numero applaudita, che che ne dicano li malcontenti. Sono . . .

Crudeltà figliale.

Un Sarto padovano stabilito nella sua professione in questa Città, che passa per un pazzo capriccioso ma è qualche cosa di peggio, abbandonò la di lui Madre, che seco viveva in una medesima casa, in preda di gravissima malattia senza prestarle verun ajuto, nè chiamar alcuno alla sua cura e assistenza. Morì questa infelice rosa da’ vermi. Denunciato il suo delitto all’Eccellentissimo Magistrato alla Sanità fu ordinato di prenderlo, e serrarlo in prigione ove ritrovasi a disposizione della Giustizia.

Il Pieggio, che ha nominato S. E. s. Fran. Labia alla Magistratura delle Biade fu il N. H. s Zuanne Minio di 40 Cr. Così chiamansi que’Gentiluomini, ch’estratta a sorte palla d’oro hanno la facoltà nominativa di proporre alla ballottazione del Serenissimo M. C. l’uno o l’altro de’Candidati. Si fanno in tal caso sempre un gran merito verso de’nominati, particolarmente poi quando la loro proposta ottiene l’effetto d’una pluralità di voti decisiva dell’elezione.

Partenze Marittime.

Abbiamo avvisato in uno di questi prossimi precedenti Fogli essere vicinissimo alla partenza per Genova e Lisbona il Bergantino nominato il Principe del Brasile comandato dal Cap. Gio. Domenico Calvi con cannoni 14 e marin. 16. Ora aggiungiamo, che questo Legno d’americano modello fabbricato a Chiozza, è d’ una delle più belle costruzioni, e serve al trasporto delle Conterie e manifatture a lume di nuova invenzione, commercio importantissimo stabilito nelle suddette Piazze ne’ viaggj fatti in quelle parti dal benemerito Sig. Giorgio Barbaria Parcenevole del Bergantino prenominato.

Cose perdute

Venendo da Padova al Dolo in sedia da Posta un Gentiluomo Veneziano, il cavallo balancino cadde tre volte, e con esso il servitore, ch’era sulle assi posteriori del Legno, e questo in una delle cadute ha perduto un Libretto Manosc. sul carrone anteriore del quale è scritto Indice spese, cibarie, ed estraordinarie 1788-1789.

Chi lo avesse ritrovato lo porti, o lo mandi dal Librajo Colombani a San Bartolommeo, che otterrà in mancia un ducato d’argento.

Essendo questo un capo che non val niente per chi lo ha ritrovato, si può sperarne la presentazione.

D’affittare

Casa in due appartamenti con tutte le sue comodità, con pozzo, terrazzi, e finestre ristaurate di fresco, e Bottega d’affittare, posta in Contrada di S. Barnaba nella Calle delle Botteghe. Le chiavi sono dal venditore di tabacco in detta Calle.

Casa in due Appartamenti con tutte le sue comodità posta in Campo a S. Barnaba. Le chiavi sono appresso il Biavariol in detto Campo.

Due Stanze ad uso di mezzadi d’Avvocato, o Casino, appresso il Ponte de’Barcajuoli a S. Fantino. Ricapito dal Sarto rimpetto alla Locanda la Regina d’Inghilterra.

Jeri di notte prese fuoco il Bastione o sia Magazzin da vino al Porte lungo sulle Zattere in Contrada di S. Trovaso, il quale restò incenerito. Udivasi ancora a giorno cominciato il lugubre suono di campana a martello dell’alta Torre de’Frari. Non ci mancava che questa per dare maggior pienezza alla tristezza del Foglio presente.

Num. 58. Mercordì 22 Luglio 1789. Delitto per cui furono banditi da questo Eccelso Consiglio di X. Sabbato della scorsa settimana Paolo Vescellari detto Zinganetto Padovano, ed Antonio Ferrari detto Tirolin Piemontese, erano Spadaccini de’Pubblici Dazj in questa Città. Nella notte del 27 Luglio 1784 fu aggredita la casa del villico Giov. Albanese detto Vitale, situata sotto la Podestaria delle Gambarare, da cinque uomini allora sconosciuti, d’abiti mentiti, e colla faccia tinta di nero, armati d’archibugj, pistole, e coltelli. Tentarono prima d’introdursi furtivamente per una finestra, poi si fecero aprire la porta coll’asserzione ingannevole d’essere Ministri della Corte di Padova colà inviati dalla Giustizia per ritrovare un immaginato contrabbando. Due di essi arrestarono, e spaventarono sulla strada il predetto Albanese e un suo Figlio volontariamente accorsi per aprire alla ricercata visita la loro abitazione: e il Padre rimase anche offeso di confusione dal calcio d’uno schioppo; e altri due salendo intanto le scale misero in terrore e desolazione quella numerosa Famiglia composta, oltre de’due accennati , d’un Ragazzo, e di quattro Femmine una delle quali incinta. Effettuarono l’iniquo violento furto di 500 Duc. V. C. 50 zecchini, 2 scudi, 40 lire di moneta, una spadetta, un curaorecchi d’argento, un pajo di manìglie, venti fili di cordon, due paja d’orecchini, due anelli, ed un gruppo, tutto d’oro. Il quinto loro compagno stette in guardia sulla strada dall’altra parte. Denunziato però alla Giustizial’enorme delitto, e giunti nelle sue forze due di quegli scellerati vennero scoperti gli altri tre ne’ due nominati banditi, e in un reo d’omicidio condannato posteriormente dal Reggimento di Padova alla galera, il quale morì su questa pubblica Fusta nel 1780, e da cui fu immaginato lo svaligio narrato, e ne’concertati modi eseguito cogli altri 4 suoi iniqui compagni. Egli fu, che unito al Vascellari da cui fu maltrattato e percosso il vecchio Albanese, arrestò questo povero capo di Famiglia mentre il Ferrari eseguiva violentemente con uno delli due rei alla Giustizia soggetti, il furto delle sue migliori sostanze. Seguito l’infame rubamento, que’malfattori si diedero alla fuga dividendo nel viaggio di ritorno a questa Capitale i frutti delle loro rapine, avendo il Vascellari fatte le ripartizioni, il quale unito al suo compagno Ferrari passò poi frettolosamente in estero Stato. Absenti questi empj, ma legittimamente citati, sono banditi da questa Città di Venezia, e tutto il suo Stato definitivamente, ed in perpetuo. Rompendo il confine, e venendo presi saranno condotti in questa Capitale ed impiccati per le canne della gola. La Taglia a’captori, è di ducati mille, sì per l’un che per l’altro, de’suoi Beni, se ne avrà, e in difetto della metà pagabile dalla Signoria, de’denari deputati alle Taglie. Li Merighi, Degani, Massari, e simili Deputati delle Ville, Contadi, e Luoghi di questo Serenissimo Dominio, ove capitassero, son obbligati a suonar campana a martello, ed usar ogni diligenza per prenderli, destinata in tal caso a loro benefizio la Taglia suddetta; e mancando a questo dovere, avutane notizia, saranno condannati al remo per anni dieci, e in caso d’inabilità per altrettanto tempo in una prigione all’oscuro; o quello, che non fosse retento, sarà bandito in perpetuo dallo Stato Veneto, o punito d’altre pene a norma della trasgressione. La sera del p. p. Sabbato vigilia del SS. Redentore, dopo varie precedenti minaccie, effetto d’un’arsura che ci cuoceva, si sfogò il tempo con una dirottissima pioggia avidamente bevuta da’nostri pozzi presso che vuoti, e da una spessa grandine ora mescolata coll’acqua, ora alternativamente separata da essa, la quale vibrata a discrezione degl’impetuosi venti in contrasto, ruppe un’immensa quantità di vetri alle finestre, che dalle imposte riparate non furono. Ebbimo per un’ora continova dallo strisciare de’ vivi lampi, che d’ogn’intorno prendevano lo spazio del nostr’orizzonte, dal fragore de’tuoni, dal fischiare del vento, e dal precipizio della tempesta, una qualch’idea di quegli spaventosi oragani, che devastano sì spesso le Antille, de’quali il celebre Raynal ne presentò la trista pittura con que’colori, che son proprj della sua penna, nella di lui Storia Filosofica ec. Trà gli orrori della burrasca sembrava che gli elementi confusi si fossero nel caos primitivo: e se una Città, le abitazioni, le botteghe non sembravano ad alcuni sicuro asilo contro il suo impeto, a qual eccesso non dovè giungere la paura di quelli, che si trovavano in viaggio sulle circostanti lagune? Molti vi si sono trovati, e salvaronsi prodigiosamente col gettito de’selzi delle gondole, e col darsi a discrezione in preda del vento: ma per quanto sentesi ne perirono alcuni, benchè non se n’abbia una ferma sicurezza. Ruppesi in più parti il gran ponte di Legno, che formasi ogni anno per tal solenne domenica al transito delle processioni, e d’un numerosissimo popolo, che portasi alla Giudecca, e si ruppe sì fattamente, che non si potè riattaccarlo nella mattina seguente, come seguì altre volte per minori disordini. Così al passaggio necessario furono le barche: e se i barcajuoli colsero de’vantaggj per tal accidente, i fritellaj, i fruttajuoli, e i tavernaj della Giudecca n’ebbero gravissimo danno, perché potè dirsi perduta la più belle Sagra di questo Paese, che suol metter in moto la Città tutta. Per dire sopra questa solennissima funzione a cui interviene la Maestà Pubblica qualche cosa in aggiunta al già detto negli due anni scorsi, ripetendo soltanto che l’orrida peste del 1576. da cui fu assalita questa Città fece nascere il voto onde si eresse questo superbo Tempio del Redentore opera dell’immortale Palladio, ricorderemo, che la prima sua pietra fu gettata dal Doge Luigi Mocenigo unitamene al Patriarca Giov. Trevisano il dì 3 Maggio 1577 su cui erano scolpite queste parole. Ex pio, solemnique voto Reip. ad arcenda fulgura dire pestis Redempt. Deo Sancte D. Gregor. XIII. Pont. Max. Venet. Duce Aloysio Mocenico, Ioan. Trivis. Patriar. MDLXXVI. Fu dal Doge suddetto fatta la prima visita, per la grazia ottenuta nella liberazione da un sì enorme flagello in rimembranza del qual benefizio instituì per sè ed i suoi successori la gita pubblica nella terza Domenica di Luglio. In M. C. 20 Luglio 1789. Pod. e Cap. a Feltre dura m. 16 Reg. c. pl. ? Ottavian Martinengo qu. Lelio. Elez. del M. C. Finisce s. Ang. Barbaro dis. Agostino. Prov. alle Biade. s. Gian Francesco Labia fu Patron all’Arsenale. Fin. s. Ang. Maria Labia. Prov. al Cottimo di Londra. s. Lor. Contarini q. Benetto. Fin. s. Niccola Longo. Avvocato per gli Uffizj di Rialto. s. Franc. Paruta qu. Lorenzo. 5 della Quarantia C. N. alla loro riconferma. s. Vincenzo Dona qu. Pietro. s. Filippo Acquisti qu. Ang. s. Crist. M. Poli qu. Giac. s. Alv. Diedo qu. Gasp. s. Vinc. Scroffa qu. Giulio. Non sarà per tutti superfluo l’avvisare una volta, che l’elezioni a’Magistrati Sopr’Atti, o Biade, aprono le porte del Senato a que’benemeriti Patrizj, che o per i Reggimenti d’Udine, di Verona, di Bergamo, di Capodistria, dell’Arsenale, o per il corso di certe interne Magistrature hanno voce alle medesime, e vengono con esse compensati delle loro spese in servizio pubblico, e del buon governo delle Provincie alla loro cura affidate. Sig. Gazzettiere Stimatiss. Vicenza li 17 Luglio 1789. “Ingiurie a monte. So che a chi m’onora dirmi, che habeo scientiam in dorso, si potrebbe adequatametne rispondere Clodius accusat mechos, Catilina Cethegos stando alla dottrina delle sue decisioni, ed all’eleganza delle sue frasi sì in linea di grammatica, che di civiltà. Ma io tollero; non ricambio ingiurie, sebben nato, ed allevato nella facitura della cioccolata. Se il mio fervore eccitato dalla giustizia, e dalla verità mi fece parer troppo critica, ed oltraggiosa la prima Lettera del Sig. Anonimo; ciò non fù tanto rispetto a ciò, ch’egli dice, che rispetto a ciò, che maliziosamente egli tace. E la risposta mia ha più per oggetto di supplire alle sue affet-tate ommissioni, che di confutare qualche sua troppo mal misurata decisione. Di tal genere è quella, che la Musica del primo Atto senta del buffo. Dai Macinatoj untuosi del Caccao oserò alzarmi contro codesto sapiente, ed insegnargli: che il motivo musicale indipendentemente dalle parole non è di per sè nè serio, nè buffo; essendo i suoni armonici non uniti alle parole ciò, che appunto son le parole slegate, e disgiunte dai sentimenti connessi del discorso. La voce monarca p. e. isolata tanto può esser seria, che burlesca; sta ai sensi annessi il determinarla piutosto alla serietà, che alla burla, e viceversa. E se io dirò ad uno sguajato, ch’egli è il monarca dei Somari, il sentimento sarà ridicolo; se gli dirò ch’egli è il monarca dei dotti, e pellegrini ingegni, il sentimento sarà sostenuto, e grave. Dir dunque che una qualunque armonia congiunta a parole gravi sia buffa, è sollecismo musicale maggior forse del sollecismo grammaticale, che dicesse asinus non judicant. Il brio, e la vivacità poi siccome son comuni alle azioni serie, e sostenute, perché anche in queste regna a vicenda col patetico e grave l’allegrezza, e la giocondità, tanto meno rendono il sentimento musicale serio, o buffo. Ciò sia detto per semplice istruzione di chi guardandoci con sprezzo dall’alto crede incompatibili colla facitura della cioccolata il buon senso, la lettura, e lo studio; nè teme dar assoluto giudizio di cose, le quali vogliono ben altro, che temerità, e precipizio in chi ne giudica. L’unica cosa che io lodo nel Sig. Anonimo è il non essersi palesato; e lo consiglio a non farlo mai più; alcuni augelli, che fanno schiamazzo, e rombo nelle tenebre, desterebbero lo schifo, e l’orror de’viventi se si facessero vedere in pieno giorno. Scusate, o cortese Sig. Gazzettiere, la seconda replica; essa sarà l’ultima questa volta; amatemi, e credetemi. Tutto vostro Servitore Antonio Scopino sul Corso. Altra di Vicenza in data de’ 20. “La Domenica scorsa ebbimo una magnifica corsa di cavalli col Fantino; il vago Anfiteatro, ed il numeroso concorso di spettatori formavano uno spettacolo degno d’esser veduto. Ma ciò, che più sorprese li miei Patrioti furono le forze d’Ercole, e la Moresca; non credevamo, che l’ingegno dell’uomo, e le forze limitate della natura a tal segno arrivassero; io sono per dire, che un siffatto spettacolo solo a noi fu concesso di vederlo, e che è maggiore di qualunque altro la mente dell’uomo possi immaginare. Questi spettacoli ci risvegliarono la memoria degli antichi combattimenti, e parve di vedere la lotta degli Eroi guerreggianti per le conquista della Sposa. Sono ec. La seguente Lettera ci pervenne la mattina dello scorso Sabbato, nè s’è potuto publicarla prima d’ora. “Il mio costante attacamento per la verità, m’eccita a rappresentarle nella miglior precisione l’accaduto di Martedì 7. Lug. esposto nella sua Gazetta n. 55. con lett. di Brescia 9. Lug. sud. Il descritto villico dalla Terra di Guffago (li di cui abitanti distinguonsi dagli altri con le loro sfrenatezze nel tener in continuo moto questo Malef.) ave-va attaccata la sua Bestia ad una Colonna corrispondente alla Osteria dell’indicato Giovane servitore; e siccome un tal abuso oltre ch’espone a pericolo di qualche calciata la moltitudine de’passeggieri, rende altresì indecente il passaggio stesso vedendovisi spesse volte lo sterco sin sù la porta della predetta Osteria, così una sorella del suaccennato Giovine pregò il vilico, che staccarla volesse conducendola altrove, come prescrivon le leggi provvisionali in un tal proposito. Ricusò Egli con termini incivili aderire alla giusta sua ricerca, aggiungendo all’insistenza qualche villania. Accorso il Fratello al contrasto, li disse, che dovesse staccarla, o che altrimenti avrebbegli in altro incontro tagliata la Cavezza, ma ei li rispose, che attaccata gliela avrebbe al collo replicando eziandio le ingiurie contro l’una e l’altro, fingendo metter a mano qualch’arma. Sdegnato il Giovine per l’insulto, passò in Cucina, e preso un Coltello, s’avventò contro l’insistente insultatore, e gli menò due colpi, non però di conseguenza, anzi denunziati dall’Anziano, e Chirurgo senza pericolo, per il che riscontrasi in ora già, vicino a sortire dall’Ospitale perfetamente rimesso. Non sò qual piacer possano risentire taluni nel contraffare, e ingigantire li fatti, che van accadendo, rendendoli pubblici a carico della nostra Nazione, pur troppo oltraggiata da una mala prevenzione. Mi sarà di contento veder inserita la presente nella sua Gazzetta a smentimento della citata qui sopra, e con la più sincera stima passo a segnarmi. P. S. Domenica di notte nel Borgo Pille, pochi passi distante dalla Città fu ucciso da un suo Compagno uno Spadacino della squadra detta dei Castellani. Il motivo si fù per un tratto indecente che l’omicida pratico all’infelice mentre cenava con sua Moglie il quale risentitosi volle farne qualche doglianza, e l’indegno interfettore senza replicar parola, passò al suo quartiere, e munitosi del suo Archibugio, ritornò colà, e glielo scaricò nel petto, pel che dovette sul fatto spirare. Brescia 16. Lugl. 1789. Questa trista notizia ci è ratificata in altra Lettera della medesima data, e s’aggiunge in essa, che la sera de’ 15 una povera donna incinta ebbe due ferite in certa casa da, sinora occulta, persona. Passando poi dal pianto al riso scrive l’autore di essa, che le scene dell’Opera e de’Balli per quella prossima Fiera saranno delli celebri Signor Mauri pittori Veneziani colà giunti espressamente per farle. Nè in questa sola confermasi il narrato delitto ma in altre due scritte nel giorno medesimo, e da noi ricevute colla prima accennata. È detto in una. “L’impunità dell’armi in questa sorta di gente (parlasi de’birri) in quel Borgo annicchiata a gravissimo pregiudizio di quegli abitanti, che restano esposti alle capricciose prepotenze di chi non ha nè Legge, nè Religione, nè Disciplina, ella è tutta l’origine di sì perniciosi sconcerti e del gravissimo scandalo, che in conseguenza ne nasce, per cui resta in certo modo tradita la volontà, e le saggie cure dell’Eccellentissimo Retore, da quegli stessi, ai quali fu da lui commessa la più scrupolossa vigilanza per l’esecuzion delle leggi.” L’ultima comincia “Li Borghi che servono di ornamento delizioso a questa Città, e che di giornaliero passeggio servivano a questi Cittadini, sono oramai divenuti l’asilo obbrobrioso del mal vivere in conseguenza delle indisciplinate truppe de’Birri, e Spadacini, ivi ricoverati. Le provvide Leggi dello Stato inculcate dal zelo instancabile del nostro luminosissimo Rappresentante per la più esatta osservanza, per costoro, non servono che di pretesto ond’esercitare con maggior libertà ogni sorta d’eccesso. Non passa giorno che non siino molestati que’poveri abitanti dalle loro prepotenze, nè notte che non vengano dal riposo sturbati dal strepitoso canto di mille oscene canzoni, e da risse. Le osterie non son più un asilo sicuro pel forastiere, mentre sono divenute l’attuale ricettacolo di costoro, ove non regnano che risse, e morti.” E termina “Nella scorsa settimana parecchie ne seguirono tra di loro con spavento universale di tutti gli abitanti. Domenica scorsa 12. del corrente seguì un barbaro omicidio.” “L’autore di questa lettera protesta, al Sig. Gazzettiere, di esser veridico in tutto il suo rapporto, e di essere officiato di far questo atto di carità, in cui avrà il primo merito la gentilezza sua, se con renderla pubblica si potrà ottener sollievo a que’onorati Borghigiani.” Scemerebbe di molto il peso del nostro lavoro se compensato fosse dalla consolazione di poter con esso essere di giovamento all’onesta gente. Non abbiamo potuto dispensarci dal riportare gli squarci di queste Lettere, benchè la nostra intima persuasione tenga che il male sia esagerato, o se non lo è abbia ad avere (se pur non l’ha avuto sinora) un pronto riparo dal vigilante zelo del sì giustamente lodato attuale Pubblico Rappresentante a’lumi del quale non può certamente fuggire quanto dirigesi alla luce di questo Foglio. Da Salò li 13 Luglio. “Barbaro Amore! E che ne sia la verità sentite l’atroce caso seguito jeri verso le ore dieci nove sul monte Gargnano nella terra di Navazzo. Trovavasi colà una giovane dell’età di sedici anni, dotata di spirito, e di non mediocri bellezze, alle quali una bionda capigliatura aggiungeva un certo non so qual brio, che rendevala più amabile. Invaghitosi di questa un giovane del medesimo suo paese, e suo stretto cugino tentò più volte, ma in vano, di ottenerla in isposa. L’ostacolo grande della troppo stretta parentela, che tra loro passava; il contrario genio, che li Genitori e li Fratelli del Giovane mostravano per questo matrimonio; han fatto, che la Fanciulla non volle mai por mente alle richieste del Giovane amante, nè darle mai una menoma speranza di ottener la sua mano. Per questo non cessò egli di amarla, e forse quanto più ella resisteva al di lui amore, egli maggiormente l’amava. La libertà, che li Genitori della Fanciulla concedevano all’amante di trattarla, ha fatto, che il suo amore giungesse all’eccesso. Egli la importunava continuamente, ed ella costante gli resisteva. Più d’una volta ebbe il temerario ardire di schiaffeggiarla, allorchè gli dava una negativa. Finalmente stanco si risolvette di vederne una fine. Si portò un giorno in aria di disperato amante dalla madre della Donzel-la risoluto di volerla ad ogni costo; dicendo, che suo sarebbe l’impegno di averne la dispensa, e che egli dovea contentarsi, non li Genitori, non li Fratelli. Alle parole d’un disperato ammutolì la madre, non seppe, che rispondere; egli se ne partì. È costume in quel paese, che il popolo si porta processionalmente alla Chiesa (la quale è dal paese discosta) sull’ora della dottrina. La Fanciulla, per non so qual’affare, non avea potuto partire con la processione, ma poco dopo, che era la processione partita. Affrettavasi ella per arivarla, e non avea a dare che otto, o dieci passi al più, quando da una siepe, in cui era nascosto, se n’esce furibondo il disperanto amante, l’afferra in un braccio, e le dice, queste precise parole: Ebbene siete ancora del medesimo sentimento? Io sì gli rispose la giovine. Egli senza null’altro soggiungere le diede cinque pugnalate, e lasciolla presso che esangue. Fù tosto portata a casa, e dopo qualche ora di vita rese l’anima a Dio. Dicesi, che è cosa orribile a vedere in un candido seno una pugnalata della larghezza di quattro dita, che la trapassa da parte a parte, due nel fianco destro dalle quali ne usciva quasi da due mantici il fiato; una nel ventre da cui sortivangli le budella, e l’altra in una spalla. E non ho io forse ragione di gridare: Barbaro Amore!” Benchè in data degli 11 cor. l’infrascritta Lettera di Brescia non ci è giunta che jeri. Trovando spazio opportuno in questo Foglio sia soddisfatto chi scrissela. “Il Rondò cantato nell’Accademia fatta in lode dell’Eccellentiss. Procurator Mocenigo il pr. Maggio passato, che si vuol spacciare per un pezzo di Musica tutto nuovo, sono in necessità di dirle con sicurezza, che questo è stato sentito anni fa nel nostro Teatro; e che assolutamente non si potrà mai provare che sia nuovo, mentre abbiamo ancor nelle orecchie il suo principio che comincia Che farò nel mio dolore se non trovo in te pietà? Nella nostra Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni tutte le Domeniche abbiamo la consolazione di sentire il nostro amabilissimo nuovo Parroco colla spiegazion del Vangelo, con un concorso assai grande di gente di tutte le Classi. Il nostro Eccellentiss. Albrizzi Cap. V. Pod. continua sempre più a mantenere il rigorismo delle Armi; e tra la proibizione di queste, e tra la moltitudine di Ladri messi in queste Carceri, noi in adesso godiamo una perfetta quiete. Adunque lode a Dio ed a chi ci governa così saggiamente. Sono a’ di lei comandi ec. Avvenne lo stesso della seguente di Padova in data de’ 13. Siamo paghi di pubblicarla, perché alcuni accusavanci di volontarie omissioni sul punto che in essa trattasi. “Lo spettacolo del Palio notturno dato in Padova la sera degli undici non potea meglio riuscire per ordine, per maestà, per piacere. Non si è forse veduta mai più tanta gente raccolta nel nostro Prato. Non mancarono però in tanto numero anche di quelli, che non ne rimasero appieno soddisfatti. ne adducono in ragione il lume tetro, il fumo, l’odore, il calore ec. ec. ma da tutto ciò come sottrarsi senza un’enormissima spesa? Facile inventis addere. Forse nell’anno venturo lo spettacolo stesso, dopo l’esperimento fatto, po-trebbe ridursi all’ultima sua perfezione. Vero è intanto, che l’invenzione, e l’esecuzione di uno spettacolo sì grande in tale vastità di luogo fù dal maggior numero applaudita, che che ne dicano li malcontenti. Sono . . . Crudeltà figliale. Un Sarto padovano stabilito nella sua professione in questa Città, che passa per un pazzo capriccioso ma è qualche cosa di peggio, abbandonò la di lui Madre, che seco viveva in una medesima casa, in preda di gravissima malattia senza prestarle verun ajuto, nè chiamar alcuno alla sua cura e assistenza. Morì questa infelice rosa da’ vermi. Denunciato il suo delitto all’Eccellentissimo Magistrato alla Sanità fu ordinato di prenderlo, e serrarlo in prigione ove ritrovasi a disposizione della Giustizia. Il Pieggio, che ha nominato S. E. s. Fran. Labia alla Magistratura delle Biade fu il N. H. s Zuanne Minio di 40 Cr. Così chiamansi que’Gentiluomini, ch’estratta a sorte palla d’oro hanno la facoltà nominativa di proporre alla ballottazione del Serenissimo M. C. l’uno o l’altro de’Candidati. Si fanno in tal caso sempre un gran merito verso de’nominati, particolarmente poi quando la loro proposta ottiene l’effetto d’una pluralità di voti decisiva dell’elezione. Partenze Marittime. Abbiamo avvisato in uno di questi prossimi precedenti Fogli essere vicinissimo alla partenza per Genova e Lisbona il Bergantino nominato il Principe del Brasile comandato dal Cap. Gio. Domenico Calvi con cannoni 14 e marin. 16. Ora aggiungiamo, che questo Legno d’americano modello fabbricato a Chiozza, è d’ una delle più belle costruzioni, e serve al trasporto delle Conterie e manifatture a lume di nuova invenzione, commercio importantissimo stabilito nelle suddette Piazze ne’ viaggj fatti in quelle parti dal benemerito Sig. Giorgio Barbaria Parcenevole del Bergantino prenominato. Cose perdute Venendo da Padova al Dolo in sedia da Posta un Gentiluomo Veneziano, il cavallo balancino cadde tre volte, e con esso il servitore, ch’era sulle assi posteriori del Legno, e questo in una delle cadute ha perduto un Libretto Manosc. sul carrone anteriore del quale è scritto Indice spese, cibarie, ed estraordinarie 1788-1789. Chi lo avesse ritrovato lo porti, o lo mandi dal Librajo Colombani a San Bartolommeo, che otterrà in mancia un ducato d’argento. Essendo questo un capo che non val niente per chi lo ha ritrovato, si può sperarne la presentazione. D’affittare Casa in due appartamenti con tutte le sue comodità, con pozzo, terrazzi, e finestre ristaurate di fresco, e Bottega d’affittare, posta in Contrada di S. Barnaba nella Calle delle Botteghe. Le chiavi sono dal venditore di tabacco in detta Calle. Casa in due Appartamenti con tutte le sue comodità posta in Campo a S. Barnaba. Le chiavi sono appresso il Biavariol in detto Campo. Due Stanze ad uso di mezzadi d’Avvocato, o Casino, appresso il Ponte de’Barcajuoli a S. Fantino. Ricapito dal Sarto rimpetto alla Locanda la Regina d’Inghilterra. Jeri di notte prese fuoco il Bastione o sia Magazzin da vino al Porte lungo sulle Zattere in Contrada di S. Trovaso, il quale restò incenerito. Udivasi ancora a giorno cominciato il lugubre suono di campana a martello dell’alta Torre de’Frari. Non ci mancava che questa per dare maggior pienezza alla tristezza del Foglio presente.