Num. 57 Antonio Piazza Moralische Wochenschriften Ingrid Scherk Editor Kirsten Dickhaut Editor Alexandra Fuchs Editor Angelika Hallegger Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 23.09.2015 o:mws.4056 Piazza, Antonio: Gazzetta veneta urbana. Venezia: Zerletti 1789, 449-456 Gazzetta urbana veneta 3 057 1789 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Menschenbild Immagine dell'Umanità Idea of Man Imagen de los Hombres Image de l’humanité Vernunft Ragione Reason Razón Raison Männerbild Immagine di Uomini Image of Men Imagen de Hombres Image de l'homme Italy 12.83333,42.83333

Num. 57.

Sabbato 18 Luglio 1789.

Avendo il gran Condè perduto in una battaglia una quantità strabocchevole di soldati disse: ch’una notte di Parigi riparato avrebbe quel male. Si citò questo passo in aria di scherzo ad una brillante conversazione da uno strepitoso novelliere, ch’è disperato quando in pace è l’Europa, ogni cui discorso sente la polvere del cannone. A non parlargli di guerra, è lo stesso che chiudergli la bocca: se il numero de’morti non arriva a’migliaja, i fatti per lui sono ridicoli. Come se la natura provveduto non avesse al bisogno di tutti i viventi, chiama necessaria l’arte distruttiva del genere umano senza cui, ad udirlo, si mangieremmo l’un l’altro. Su questi principj potrebb’egli tessere un panegirico anche alla peste, e fare per sentimento quelle che i Poeti fecero per capriccio lodando co’loro versi le cose non solo più sozze, ma sino le più orride e detestabili.

Una spiritosa Signorina, ch’era della partita, le parole della quale son tutte spiranti pace ed amore, dalla fecondità del cui talamo ebbe la nostra popolazione quel maggior aumento, che può darle una Moglie in pochi anni di matrimonio, fece considerare al romoreggiante dilettante di guerre, sull’allegata espressione del Principe di Condè, che in dieci nati ve n’hà uno appena che giunga all’età di trent’anni. Quanto ci vuole, ella soggiunse, prima che una Nazione ricuperi la forza perduta in momenti nella sconfitta de’suoi eserciti! Poco a poco si discese nel dialogo a’danni che soffre l’agricoltura per tante braccia tolte a’suoi lavori ed armate alla distruzione della spezie umana. Si ricordò d’aver letto un proverbio Chinese: che uno stajo di perle non vale uno stajo di riso, e inorridì allo sterile ingombro delle palme militari cresciute nel sangue ne’terreni destinati a’nutritivi doni di Cerere. All’evidenza delle di lei ragioni da lui si opposero de’sillogismi ingegnosi: ci furono de’mediatori della contesa ed ebbe fine coll’accordo d’una cena all’osteria. Tutta la compagnia assentì alla proposizione, e stavasi sulle mosse quando dalla suddetta fu interrogato il suo avversario come mai avendo un genio sì forte per la Guerra potess’egli non abbracciare lo stato militare. Risposele: attendo la morte d’un mio Zio la cui eredità merita il sacrifizio attuale della mia volontà, e poi cambio Paese subito, e vado a prender servizio in Germania, o in Moscovia. Io non son nato per morire sul letto della poltroneria: non vedo l’ora di cangiar questi panni con una divisa, e di metter in pratica quel coraggio di cui mi dotò la Natura.

La Signora aveva seco il suo Cavaliere servente ma nell’avviarsi all’Osteria permissione gli chiese d’attenersi al braccio dell’Uffiziale in aspettativa, dicendo: in qualunque evento più sicura mi stimo con lui, che con ogni altro di questi Signori.

Per tal espressione si sospettò dappoi, che quanto successe fosse ordito tra lei e qualch’altro onde dare una prova al vantato coraggio.

Erano alla metà del cammino su’primi gradini d’un ponte allorchè si trovarono tra due sconosciute persone volgari, che o fingendo, o facendo daddovero vennero alle mani. Il tuono d’una guanciata, la vista d’un’arma colmò di tanto spavento il Generale in fieri che scioltosi dalla Signora corse saltando, volò ad un Caffè vicino ove bebbe due gran bicchieri d’acqua tremando. Colà lo raggiunse la Compagnia alla quale si riunì. Tutti ridevano ed egli ancora agitato volea far credere di non aver avuto paura. Non si pose a tavola se prima non ebbe parola ch’ognuno avrebbe taciuto quell’accidente la cui promulgazione poteva, a suo dire, pregiudicarlo. Tutti giurarono il bramato silenzio a condizione, ch’egli pure lo serbasse rigorosamente sul proposito di guerre, e trà loro non ne parlasse mai più. S’impegnò di tanto, ma nella sera del dì seguente appena fu in quell’adunanza che raccontò un fatto d’armi tra i Svedesi ed i Russi, onde tutti si riputarono sciolti dal giuramento, e uno d’essi instruì in iscritto la Gazzetta, perchè pubblichi il caso anonimamente a confusione di questo coniglio, che vuol parere un leone.

Ricerche

Se vi sia nella nostra Lingua un Libro intitolato Mezzi proprj a preservare gli uomini dal suicidio.

Risposta.

Non altro sappiamo di certo sennon che otto o dieci anni sono uscì in Francia un’operetta d’un volume in 12 col titolo Moyens propres à garantir les hommes du suicide. Che poi questa sia stata tradotta, o nò in lingua italiana, dir nol possiamo mancandocene la cognizione: e se c’è chi l’abbia potrà soddisfare col mezzo nostro chi brama d’averla.

Noi aggiungeremo soltanto che nell’accennato Libro dopo aver proccurato di scoprire le cagioni dell’uccisione volontaria di sè medesimo, procurasi altresì di mostrar i mezzi di garantirsene; e che il Trattato è preceduto da un Discorso sopra l’origine, e i progressi del suicidio in Inghilterra ed in Francia.

Se veramente gli antichi Romani fossero sempre tanto terribili nel domare i superbi quanto magnanimi nel perdonare a’vinti.

Il seguente passo tratto dalla Storia Universale composta da una Società di Letterati Inglesi terrà luogo di risposta.

“Il giorno in cui Paolo Emilio trionfò di Perseo l’ultimo de’Monarchi Macedoni, videsi strascinato in trionfo per le strade di Roma questo successore del grand’Alessandro preceduto da molti uomini che portavano l’armi, i tesori, e il vasellame d’oro rapitigli. Venivano in seguito i suoi due figli Alessandro e Filippo, e la sua Figlia in minor età accompagnati da’loro Governatori e da tutti gli Uffiziali di lor famiglia non già per loro rendere qualche servizio, ma per aumentare la pompa della cerimonia. Innalzavano gli occhi bagnati di lagrime verso il popolo, ed insegnavano a’giovani Principi a stendere ad esso le loro mani. Seguivali il Re di Macedonia solo e coperto d’un abito a lutto, e dietro a lui un gran numero de’suoi amici, che si struggevano in pianto, e che tenendo i guardi sempre rivolti ad esso lui, conoscer facevano d’essere meno penetrati dalle proprie sventure, che da quelle del loro Re. Perseo ricondotto alla sua prigione restò confuso co’più vili colpevoli, senza che si avesse cura di somministrargli il menomo nutrimento. Passò egli quattro giorni in uno stato sì deplorabile; il quinto, spossato d’inedia, supplicò alcuni de’miserabili, che lo circondavano, a dargli una porzione de’loro viveri, il che gli accordarono sul momento.”

Chi mai può leggere simili tratti, senza concepire la più viva indignazione contro gli abitatori dell’antica Roma superba, che fu in appresso per flagello della celeste vendetta trattata essa pure sì crudelmente, e tante volte devastata da’Barbari?

Queste due ricerche ci vennero nello scorso mese. Ritardammo a rispondere per farlo con qualche fondamento ma sulla prima non s’è potuto sapere di più.

Quando mancano notizie urbane, o dello Stato, devon soffrire quei che vedere non li vorrebbero simili squarcj d’antica erudizione. Ci prestiamo talvolta senza renitenza alla loro pubblicazione colla certezza di non essere a tutti in crescevoli, perchè trà i tanti leggitori di questi Fogli (così fossero tutti assocciati!) moltissimi non son dotti, e in essi trovano con piacere certi storici tratti di cui al fatto non sono amando di render utile il loro trattenimento, coll’imparare ciò che non sanno.

Lettera d’una Veneziana al suo Marito in campagna.Questa lettera nell’originale, è in dialetto Veneziano. S’è tradotta per renderla comune a tuti i leggitori di questo Foglio.

“Tutti i vostri fogli, che regolarmente mi giungono due volte alla settimana, spirano la giocondità ed il contento, e non fanno che accrescere la tristezza della mia situazione. Voi sembrate ingegnoso nella pittura dei vostri divertimenti, più per affliggere una moglie fedele e sensibile, che per prolungare il piacere de’vostri divertimenti colla loro narrativa. Mentre dissipate le nostre sostanze in cavalli, in giuochi, in festini, in lieti pranzi, in laute cene, ed in quanto v’offre occasione di spendere, io sono assediata da una turba di creditori, che non mi lasciano respirar un momento, e m’agitano crudelmente colle loro minaccie. Il fattore di Cà . . . . ha protestato di voler praticare gli atti di Giustizia a’primi del prossimo venturo Agosto per farci sloggiare di Casa, se prima non ha il saldo di quelle quattro rate d’affitto, che gli si devono. Sapete che il suo Padrone ha un cuore di marzapane ma costui lo aggira a suo senno, e scordandosi la miseria da cui è uscito testè vibra colpi da barbaro su’poveri, che dovrebbe proteggere in rimembranza d’essere stato per tanti anni del loro consorzio. La Vedova di cui siete livellario, verso della quale mancate da tanto tempo a’vostri doveri, avrebbe posto giuridicamente a sequestro il formento raccolto nella mia possessione dotale, se non avessi fatto un pegno per contarle cinquanta ducati, e acchetarla. M’avrò facilmente a pentire d’avervi risparmiato questo affronto, perchè voi lo venderete, o l’avrete venduto, per saziare la vostra vanità, e dar da mangiare a chi non ha fame, quantunque mi assicuriate che non volete esitarlo se non giunge il prezzo a l. 40. allo stajo come sperate. Gli artigiani a’quali avete dato il falso appuntamento nel giorno successo a quello di vostra partenza, mi turbano con le loro frequenti visite, e quando tento di tranquillarli colle promesse mi san dire: che ne avete per iscialacquare in Villa, ma che non trovate un ducato per i vostri debiti, come tanti altri Signori, che sospirare li fanno.

Rammentatevi i negozj, che fatti avete al Banco Nero fuori di Ghetto, e che i pagamenti devon esser vicini. Trattasi di Cambiali, e non potrete sperar qualche proroga senza un’usura diabolica Chi ebbe cuore di prendervi all’amo con una piccola summa di Monete nella cui valuta tanto perdeste, e con una grande di roba della quale non avete in vendita ricavato nemmeno il quinto, avrà ancora cuore di rovinarvi se non avrete giudizio, come accadde a tant’altri, che perirono in quelle mani.

Abbiate pietà di voi, di me, di due figli in tenera età, e dell’altro ch’è prossimo alla luce. Considerate il mio stato, e se nel vostro seno non s’estinsero affatto i sentimenti d’umanità, di giustizia, di amor conjugale, di paterno dovere, lasciate fare a’grandi da grandi, e non vi mescolate con loro, che ridono delle vostre scimiotterie. Quelli ch’ora divertonsi a vostre spese, si sfamano alla vostra tavola, e vi piacciono, perchè v’adulano, saranno i primi a porvi in canzone, se vi ridurrete in miseria, come pur troppo averrà (e Dio nol voglia) se chiuderete a’miei consigli l’orecchio.

Se fossi una di quelle Mogli sfrenate, che nate sono per dannazione de’loro Mariti, e quanto più vengono ben trattate tanto più si rinforzano nella dissolutezza, e nel mal costume, de le quali sciaguratamente abbonda la nostra Patria, avrei migliore fortuna. Io non cerco amanti sotto il titolo d’amici da raccomandare i miei dritti. Li lascio a quelle che amano le discordie domestiche, e ch’aspirano allo scioglimento de’Matrimonj. Il mio nodo sarà indissolubile, non cesserò mai di consigliarvi, di pregarvi, di scongiurarvi al bene, e se le mie suppliche, e i miei sospiri saranno sparsi al vento; se non raccoglierò alcun frutto dalle mie lagrime, morirò disperata, ma non separata da voi, e sarà il più grave de’mali miei il timore de’vostri rimorsi, e il lasciarvi con de’figli tra gli stenti della miseria. Allontanate, sin che siete a tempo, gli orrori dell’indigenza, credete a chi v’ama, ed abborrite i parasiti, e i buffoni peste del-la Società, che sempre più guadagna terreno appresso de’ricchi, ed usurpa quelle beneficenze, ch’esser il premio dovrebbero della virtù sconsolata, e dell’abbandonata innocenza.

Treviso 14 Giugno.

“Che ne’vostri Fogli non abbia mai luoco una penna Donnesca? Eh! Troppo è disfreggio al più che erudito bel sesso. Si scossero le animose Francesi al vedersi escluse da congregati Communi; fremo io pure in rimirando in noi giacente la più amabil parte di Mondo. Vogl’io esser però una vostra soccia fedele. Novelloccie da me n’avrete a bizeffe, e tutte vere, purchè nel trascriverle siate voi pur verace. Questa è la sola mercede che esigo da voi. Avertite, che io non sono nè una visionaria pichiapetto, nè un’ardita Filosofessa, nè una Lugrezia, nè una Messalina. Son Donna, e non ne hò li pregiudizj. M’alletta la letteratura brillante, e non affetto brio. Vivo a me stessa, alla mia Famiglia, eppure non mi sfuggono le più minute cosuccie. L’Amica, la Commadre, la Vicina, la Suocera, la Cognata tutto che niente abbiano del Civettismo me ne gorgheggian le cento al giorno. Vi stò filosofando sopra un pocco, e ne traggo le gran volte legitime conseguenze vantaggiose assai al mio sesso, veggendo vuomini creduti sapientoni Licurghi, o Aristarchi arcigni perduti dietro alle nostre bazzecole, e Donne caratterizzate per vanarelle, e leggiere più forti, e assenate assai delle antiche Amazoni. Osservatelo in questo primo de’miei anneddotti.

Un barbuto Diogene passegiava tronfio, e pettoruto la Contrada N. N. Gli si affacciò una viva bellezza; Agl’occhi parlanti, all’atteggiamento bizzarro, al luogo aperto non sembrava in più selvatica, la più inacessibile. Per vari andirivieni vassene, e ritorna il pensante Filosofo; vibra qualche occhiata, ma ben presto la rattiene, simulando astrazione; tragge un affumicato libriciotolo, (sarà forse la Morale di Seneca) ma vicino all’ogetto che già idolatra ritrova sempre il periodo interessante, onde far pausa . . . . Ah Figlia, (è anche Sposa) lui finalmente sfugge un giorno, le gran massime che trovo quì . . . . per carità non mi parlate in massima con dolce soriso risponde la bella . . . . come vi parlerò adunque?  . . . . Comunque volete, in massima no . . . . E bene, traendo un alto sospiro, sogiunse, vi dirò che v’amo . . . . obligatissima . . . . che solo per voi quì frequente passeggio . . . . troppe grazie . . . . che oramai la passione è giunta all’eccesso . . . . moderatela . . . . .ah! non posso, non voglio . . . . Ei, son queste le massime del vostro Seneca? . . . . Prendete cara questo Anello, quanto starebbe bene nel vostro bel dito, proviamolo . . . . aspettate, voglio pria leggervi io pure un sol periodo d’un mio li bricciolo. Udite

Filosofante, e vecchio rimbambito

Muove a noja, non eccita prurito.

Che ne dite? S’alza di fretta, chiude il chiavistello, e vassene, come io pure termino col prottestarmi ec.

P. S. Vorrei sapere dall’Anonimo di Udine; se ne Spetacoli Olimpici giuocassero al Pallone, per porre ogni mio studio genealogico in rintracciare, da quali di que’primi Atleti discendano per linea retta, o transversale gli Eroi Campioni da lui magnificati in una sua lettera in data 5. corr. da voi inserita nella vostra Gazzetta al nu. 54.”

In segno della nostra compiacenza in far cosa grata a persona del gentil sesso, abbiamo inserita questa Lettera nel presente foglio rispettando sino l’ortografia in esso adoprata, giacchè non ebbimo stimolo al menomo cangiamento.

Supplemento all’artic. Bastim. arrivati del Foglio 55, nelle date mancanti.

27 Giugno.

Brac. P. Nic. Spagna da Trieste con 5 bar. arg. vivo 7. bot. cera gialla 4 bot. tabacco 3 bot. zucc. 1 cas. gripola 4 col. tamisi 1 cas. terlisi 12 col. tele 9 bar. Trementina 1 bar. ami e trincetti 6 col. chiodi 28 cas. acciaj 5 fascj ferro 3 bar. fil di ferro 10 bar. sortiti 2 cas. merci 1 baul Biancheria ed abiti usati 4500 lib. pietra manganese 1 cas. acqua di Cilla.

Brac. P. Cristof. Spolar da Trieste con 7 bot. tabacco 4 cas. arancie 1 cas. limoni 9 bot. e 3 fag. cera gialla 1 balletta pelli di gatto 12 bar. arg. vivo 1 pacco libri 1 cas. oglio di vitriol 3 col. tele 7 bar. bud. salati 4 bar. ottoni 1 bar. lime 11 col. chiodi 1 cas. postazelle 9 fascj ferro 1 bar. merci.

Piel. P. Marco Cesaro da Capodistria con 11 bal. e 5 rot. griso 1 scat. cera vecchia 1 fag. pelli di lepre.

Brac. P. And. Spolar da Trieste con 12 bar. pece ricotta 2 pacchi libri 8 bar. chiodi 171 pezzi legno camp. 70 cas. limoni 1 bar. ferramenta.

Piel. P. giov. Rovere da Trieste con 3 cas. acqua di Cilla 1 bar. antimonio 1 bot. scatolami 1 scat. cola di pesce 6. bar. acciughe 4 bal. panni salonicchi 9 col. griso 2 col. tele 18 col. chiodi 2 bar. e 2 bazze fil di ferro 11 cas. acciaj 2 bot. falci 10 arn. oglio.

Piel. P. Alv. Ingiostro da Spalato, Traù, Sebenico, e Zara con 30 mazzi e 60 fascj ferro grezzo 20 carat. e 6 cai catrame 4 fag. cera gialla 1 fag. otton v. 2 fag. rame v. 100 rotoli rassa e bedena 1 fag. fil di lana 580 pelli boldroni 2 campane rotte 3700 ocche lana Morlacca 105 quarte mandole in iscorzo 1 barilotto miele 16 pelli di cigno 2 cas. rosolio di transito.

Batelio P. Dom. Zenaro da Trieste con 109 cas. limoni per Chiozza.

Piel. P. Giov. Fiorentin da Trieste con 51 cas. limoni.

Piel. P. Gius. Bottolo da Spalato con 34 fag. cera gialla 64 bal. cordovani e montoni pelli 12706. 396 schiavinotti da cavallo 170 pelli di manzo 2 bal. pelli di lepre 23 bal. lana calcina 1 rot. rassa 1 pezza panno di ritorno.

Polacca Capit. And. Savarese Napolit. da Trieste 2 giorni colla sola provigione.

Trabacolo P. Giov. Supisich da Zara con 450 pezze form. moriotto.

28 Detto.

Brac. P. Gir. di Niccolò da Trieste con 16 bot. oglio 1 cas. tele 1 bal. lana 3 bar. ottoni 2 bot. scatolami 1 bar. lime 2 bot. e 10 bar. fil di ferro 1 bar. padelle.

Piel. P. Nic. Vianello da Pago con 160 mog. di sale.

Piel. P. Stef. Benussi da Ragusi con 30 bal. gotton 12 bal. filati rossi 12 dette di bianchi 7 di pelli di lepre 1 di pelli di tassi 1 fag. pelli di volpe 1 pel. di gatti 1 di pel. di lodre 1 di pel. di lupo 2 bal. boldroni 4 col. cera gialla 178 mazzi cordovani gialli 210 mazzi montoni 1 bal. corni di cervo 1 fag. rame v.

29 Detto.

Brac. P. Ant. Spolar da Trieste con 10 m. valonia 3 bar. arg. vivo 1 fag. panno 7 bar. cinabro minerale 8 bot. e 1 cassetta tabacco 1 bot. legnami 2 bot. vetro rotto.

Tartanon P. Romualdo Mazzuccato da Pesaro con 4 bal. pelli finimenti 1 bal. libri.

30 detto.

Trab. P. Ant. Vivesich da Lese e Comisa con 5 bot. polv. di gripola 1 carat. vetro rotto.

Piel. P. Giov. Ghezzo da Trieste con 24. fag. mandole 50 cas. limoni 3 fag. tela per Chiozza.

Primo Luglio. Peota P. Dom. Tiozzo da Goto con 10 Bal. Lana.

2 Detto.

Trab. P. Ant. Rasol da Zara con 5 cai oglio una cassetta cand. di sevo.

Piel. P. Giov. Busetto da Pago con 275 mog. di sale.

Piel. P. Ant. Molinari da Pago con 200 mog. di sale.

Trab. P. Simon Petito da Zara con 1 cassetta merci 148 pezze form. morlacco 24 cannoni di bronzo, una balla schiavinotti militari.

Piel. P. Mich. Vianello da Pago con 205 mog. di sale.

Piel. P. Ang. Mandocolo da Sebenico e Zara con 3 cassette cand. di sevo 10 migl. ferro v. e vetro r. 26 m. strazze 5. sacchi spongie 2. bar. budella salate 84 rotoli Rassa e Bedena 1 fag. rame v. 1 fag. pelli di squaena 12 sac. mand. in iscorzo.

3 Detto.

Brac. P. Giac. di Giac. Viezzoli da Trieste con 20 sac. e 2 bar. cera gialla 4 col. tele 3. col. pellizzarie 1 cas. Acqua di Cilla 1 Scat. Manna 1 bar. gomma 1 Pacco Biadetto 2. bar. ottoni 5. bar. arg. vivo 1 cas. Libri 3 pezzi rame 4 bar. chiodi 17 colli strazze 1 bar. fil di ferro 6 colli ferro v. 3 sac. vetro r. 2 staja e mezzo orzo.

4 Detto.

Brac. P. And. Bonifacio da Trieste con 1 bar. fil di ferro 287 cuoj salati 3. bot. tabacco 1. bar. crena 1 bot. Ottoni 10 bar. chiodi 1. cassetta Libri di ritorno.

Piel. P. Franc. Chiereghin da Sebenico con 15. cai oglio 2. m. lana sucida 130 quarte mandole in iscorzo 1500 lib. ferro grezzo 1 bal. boldroni 1 fagottino spongie 100 lib. ferro v. e vetro r. 1 bal. Rassa e Bedena.

Piel. P. Pietro lazzari da Cattaro con 251 Bal. scodano 1234 Pezze form. morlacco.

Piel. P. Ang. Tosi da Spalato con 69 Bal.Lana 6. Bal. e 2 fag. seta 13 zenie 2. Bal. Bombace 45 Bal. Montoni 7 Bal. pelli di Lepre 135 pezzi di ferro 1 rot. rassa.

5 Detto.

Battelo P. Rocco Vianello da Trieste con 130 cas. limoni per Chiozza.

6 Detto

Piel. P. Giov. Mali da Piran con 212 mog. di sale.

7 Detto.

Pinco Cap. Lor. Conforti Genov. manca da Livorno 38 giorni rac. al Sig. Em. Jacur con una bot. gomma 110 bar. aringhe bianche 1 botticella pietra romana 1 bar. pietre da sarti 5 cas. Oglio di Lucca 10 fusti oglio di pesce 1 cas. vino 1 vaso di rame 6 fardi zaffroni 7. cas. marmi 1 partita terra bianca 1 car. polv. di cocciniglia 10 carat. acciughe 1. botte caccao 1 cassetta specchi usati di ritorno.

Piel. P. Giov. Brazzetti da Sebenico e Zara con 6. bar. sevo colato 20 carat. e 7 cai catrame 40 mazzi ferro grezzo 4 Bal. pelli Tosoni, Caprine, e Agnelline 3 carat. miel 1 sac. cera gialla 1400 lib. Lana lavata 203 Rot. rassa e bedena 1 sac. ritagli di pelli 6450 ocche Lana Morlacca.

Piel. P. Gius. Scarpa da Pago con 200 Mog. di sale.

8 Detto.

Nave l’Aquila d’oro Cap. Ant. Macchiavelli manca da Trieste li 3 cor. colla sola prov.

9 Detto.

Tartanon P. Ant. Venanzio da Ancona e Pesaro con 125 sac. polv. di Gripola 1 cassetta detta 6 sac. mandole 4 Bal. Libri 1 Bal. pelli finimenti 3 cas. acqua di Nocera.

Brac. P. And. Spolar da Trieste con 10 bar. arg. vivo 60 mastelle pece ricotta 10. bar. catrame 2 cas. limoni 1 bar. chiodi 1 bar. fil di ferro.

Addì 15. Luglio 1789.In Consiglio di Dieci.

Fu un sempre somma cura della Pubblica Autorità l’invigilare sopra la disciplina, e moderazione di tutti li Spettacoli, Feste, e di tutte quelle altre occasioni, che chiamano unione, e movimento di Popolo in questa Città, onde in tali casi non sia turbata la comune tranquillità, ed allontanate restino quelle moleste conseguenze, che facilmente ne possono derivare.

Quindi oltre aver proibito in diversi tempi, e con moltiplici Leggi sotto le più severe pene le Sfide, le Battagliole, o sia Moresche, e la Guerra de Pugni, l’Autorità del Consiglio di Dieci, ha pure prescritto che in questa Dominante senza Pubblico permesso non sia lecito a verificarsi verun Spettacolo o Festa di qualunque genere, che ponga il Popolo in estraordinario movimento, e concorso.

Osservabile però rendendosi in questi recenti tempi l’arbitraria indisciplinata, e frequente rinovazione de’Giuochi così detti delle Forze d’Ercole esercitati separatamente dalli due Partiti de’Nicolotti, e Castellani; essi si vedono progredire con tal riscaldo, che gareggiando fra essi la loro desterità, e bravura, spalleggiati da loro fautori in osservabile numero muniti d’armi per sostenerla, promuovono tra i Partiti con universale scandalo, frequenti risse, e successive violenze, con evidente pericolo di maggiori eccessi, nonostante le sin’ora istantanee disposte provvidenze; giunti per fine a prendere concitamento alla vista de’Quadri rappresentanti le Forze stesse, che in qualche incontro vengono esposti alla Pubblica osservazione.

Non dovendosi però tollerare la continuazione di sì fatti disordini, l’Autorità dello stesso Consiglio di Dieci risolutamente, ordina, e prescrive, che in qualunque luogo di questa Città sì pubblico, che privato, tanto in Terra, che sopra l’Acqua da chiunque né in poco, nè in molto numero di Persone non si debbano esercitare li sopradetti Giuochi, o prove de’medesimi, nè si possi esponere alcun Quadro, che li rappresenti, nè farsi Unioni, o Partiti per sostenerli, sotto pena a contravventori della Prigion, Galera, e corda a misura dei casi, e del grado delle delinquenze; come da Capi sarà riconosciuto di Giustizia; e sotto le stesse pene restano pure vietate le Sfide delle Regate in Barche, o Battelli in poco, o maggior numero, dalle quali egualmente possono derivare consimili sconcerti.

Resta per altro permesso al Tribunale de’Capi di accordare di volta in volta in quei casi, e tempi, che lo credessero la Licenza per li suddetti Spettacoli, ed Esercizj, tanto di Forze d’Ercole, che delle Regate a misura delle circostanze, con quelle precauzioni, ed avvertenze però, che assicurino dalli inconvenienti.

E come in tali incontri si è potuto rimarcare l’uso impudente, e comune che vien fatto delle Armi, e massime de’Coltelli, così riconfermandosi le Leggi proibitive nel proposito, e massime quella recente 26. Aprile 1785., sarà merito de’Capi surriferiti far eseguire le pene infisse contro li Delatori, e contro qualunque uso facesse delle Armi medesime, rinovando gli ordini, che credessero a Ministri per l’estirpazione di così intollerabile abuso.

Resta pure commesso a’Capi medesimi l’invigilare per la più perfetta osservanza della presente Deliberazione, quale dovrà dalli stessi esser fatta stampare, e pubblicare in quei Luoghi, ed in quel modo che crederanno il più opportuno, onde assicurate l’effetto della medesima.

Excel. Consil. Decem SecretariusJoseph Imberti.

Cambi. 17 Luglio.

Lione 57 e un 3zo. Parigi 57 e un 4to. Roma 63 e un 4to. Napoli 116. Livorno 100 e 3 8vi. Milano 155. Genova 91 e 3 4ti. Amsterdam 92 e un 4to. Londra 48 e mezzo. Augusta 102 e mezzo. Vienna 197 e mezzo.

Prezzi delle Biade.

Formento l. 32.10. Sorgo Turco l. 19. Segale l. 20. Miglio l. 18.

Oggi furono banditi dall’Eccelso Cons. di X. Paolo Vascellari detto Zinganetto Padovano, ed Antonio Ferrari detto Tirolin Piemontese, soliti servire nelle Squadre de’Spadaccini alla custodia de’Pubblici Dazj in questa Città.

Num. 57. Sabbato 18 Luglio 1789. Avendo il gran Condè perduto in una battaglia una quantità strabocchevole di soldati disse: ch’una notte di Parigi riparato avrebbe quel male. Si citò questo passo in aria di scherzo ad una brillante conversazione da uno strepitoso novelliere, ch’è disperato quando in pace è l’Europa, ogni cui discorso sente la polvere del cannone. A non parlargli di guerra, è lo stesso che chiudergli la bocca: se il numero de’morti non arriva a’migliaja, i fatti per lui sono ridicoli. Come se la natura provveduto non avesse al bisogno di tutti i viventi, chiama necessaria l’arte distruttiva del genere umano senza cui, ad udirlo, si mangieremmo l’un l’altro. Su questi principj potrebb’egli tessere un panegirico anche alla peste, e fare per sentimento quelle che i Poeti fecero per capriccio lodando co’loro versi le cose non solo più sozze, ma sino le più orride e detestabili. Una spiritosa Signorina, ch’era della partita, le parole della quale son tutte spiranti pace ed amore, dalla fecondità del cui talamo ebbe la nostra popolazione quel maggior aumento, che può darle una Moglie in pochi anni di matrimonio, fece considerare al romoreggiante dilettante di guerre, sull’allegata espressione del Principe di Condè, che in dieci nati ve n’hà uno appena che giunga all’età di trent’anni. Quanto ci vuole, ella soggiunse, prima che una Nazione ricuperi la forza perduta in momenti nella sconfitta de’suoi eserciti! Poco a poco si discese nel dialogo a’danni che soffre l’agricoltura per tante braccia tolte a’suoi lavori ed armate alla distruzione della spezie umana. Si ricordò d’aver letto un proverbio Chinese: che uno stajo di perle non vale uno stajo di riso, e inorridì allo sterile ingombro delle palme militari cresciute nel sangue ne’terreni destinati a’nutritivi doni di Cerere. All’evidenza delle di lei ragioni da lui si opposero de’sillogismi ingegnosi: ci furono de’mediatori della contesa ed ebbe fine coll’accordo d’una cena all’osteria. Tutta la compagnia assentì alla proposizione, e stavasi sulle mosse quando dalla suddetta fu interrogato il suo avversario come mai avendo un genio sì forte per la Guerra potess’egli non abbracciare lo stato militare. Risposele: attendo la morte d’un mio Zio la cui eredità merita il sacrifizio attuale della mia volontà, e poi cambio Paese subito, e vado a prender servizio in Germania, o in Moscovia. Io non son nato per morire sul letto della poltroneria: non vedo l’ora di cangiar questi panni con una divisa, e di metter in pratica quel coraggio di cui mi dotò la Natura. La Signora aveva seco il suo Cavaliere servente ma nell’avviarsi all’Osteria permissione gli chiese d’attenersi al braccio dell’Uffiziale in aspettativa, dicendo: in qualunque evento più sicura mi stimo con lui, che con ogni altro di questi Signori. Per tal espressione si sospettò dappoi, che quanto successe fosse ordito tra lei e qualch’altro onde dare una prova al vantato coraggio. Erano alla metà del cammino su’primi gradini d’un ponte allorchè si trovarono tra due sconosciute persone volgari, che o fingendo, o facendo daddovero vennero alle mani. Il tuono d’una guanciata, la vista d’un’arma colmò di tanto spavento il Generale in fieri che scioltosi dalla Signora corse saltando, volò ad un Caffè vicino ove bebbe due gran bicchieri d’acqua tremando. Colà lo raggiunse la Compagnia alla quale si riunì. Tutti ridevano ed egli ancora agitato volea far credere di non aver avuto paura. Non si pose a tavola se prima non ebbe parola ch’ognuno avrebbe taciuto quell’accidente la cui promulgazione poteva, a suo dire, pregiudicarlo. Tutti giurarono il bramato silenzio a condizione, ch’egli pure lo serbasse rigorosamente sul proposito di guerre, e trà loro non ne parlasse mai più. S’impegnò di tanto, ma nella sera del dì seguente appena fu in quell’adunanza che raccontò un fatto d’armi tra i Svedesi ed i Russi, onde tutti si riputarono sciolti dal giuramento, e uno d’essi instruì in iscritto la Gazzetta, perchè pubblichi il caso anonimamente a confusione di questo coniglio, che vuol parere un leone. Ricerche Se vi sia nella nostra Lingua un Libro intitolato Mezzi proprj a preservare gli uomini dal suicidio. Risposta. Non altro sappiamo di certo sennon che otto o dieci anni sono uscì in Francia un’operetta d’un volume in 12 col titolo Moyens propres à garantir les hommes du suicide. Che poi questa sia stata tradotta, o nò in lingua italiana, dir nol possiamo mancandocene la cognizione: e se c’è chi l’abbia potrà soddisfare col mezzo nostro chi brama d’averla. Noi aggiungeremo soltanto che nell’accennato Libro dopo aver proccurato di scoprire le cagioni dell’uccisione volontaria di sè medesimo, procurasi altresì di mostrar i mezzi di garantirsene; e che il Trattato è preceduto da un Discorso sopra l’origine, e i progressi del suicidio in Inghilterra ed in Francia. Se veramente gli antichi Romani fossero sempre tanto terribili nel domare i superbi quanto magnanimi nel perdonare a’vinti. Il seguente passo tratto dalla Storia Universale composta da una Società di Letterati Inglesi terrà luogo di risposta. “Il giorno in cui Paolo Emilio trionfò di Perseo l’ultimo de’Monarchi Macedoni, videsi strascinato in trionfo per le strade di Roma questo successore del grand’Alessandro preceduto da molti uomini che portavano l’armi, i tesori, e il vasellame d’oro rapitigli. Venivano in seguito i suoi due figli Alessandro e Filippo, e la sua Figlia in minor età accompagnati da’loro Governatori e da tutti gli Uffiziali di lor famiglia non già per loro rendere qualche servizio, ma per aumentare la pompa della cerimonia. Innalzavano gli occhi bagnati di lagrime verso il popolo, ed insegnavano a’giovani Principi a stendere ad esso le loro mani. Seguivali il Re di Macedonia solo e coperto d’un abito a lutto, e dietro a lui un gran numero de’suoi amici, che si struggevano in pianto, e che tenendo i guardi sempre rivolti ad esso lui, conoscer facevano d’essere meno penetrati dalle proprie sventure, che da quelle del loro Re. Perseo ricondotto alla sua prigione restò confuso co’più vili colpevoli, senza che si avesse cura di somministrargli il menomo nutrimento. Passò egli quattro giorni in uno stato sì deplorabile; il quinto, spossato d’inedia, supplicò alcuni de’miserabili, che lo circondavano, a dargli una porzione de’loro viveri, il che gli accordarono sul momento.” Chi mai può leggere simili tratti, senza concepire la più viva indignazione contro gli abitatori dell’antica Roma superba, che fu in appresso per flagello della celeste vendetta trattata essa pure sì crudelmente, e tante volte devastata da’Barbari? Queste due ricerche ci vennero nello scorso mese. Ritardammo a rispondere per farlo con qualche fondamento ma sulla prima non s’è potuto sapere di più. Quando mancano notizie urbane, o dello Stato, devon soffrire quei che vedere non li vorrebbero simili squarcj d’antica erudizione. Ci prestiamo talvolta senza renitenza alla loro pubblicazione colla certezza di non essere a tutti in crescevoli, perchè trà i tanti leggitori di questi Fogli (così fossero tutti assocciati!) moltissimi non son dotti, e in essi trovano con piacere certi storici tratti di cui al fatto non sono amando di render utile il loro trattenimento, coll’imparare ciò che non sanno. Lettera d’una Veneziana al suo Marito in campagna.Questa lettera nell’originale, è in dialetto Veneziano. S’è tradotta per renderla comune a tuti i leggitori di questo Foglio. “Tutti i vostri fogli, che regolarmente mi giungono due volte alla settimana, spirano la giocondità ed il contento, e non fanno che accrescere la tristezza della mia situazione. Voi sembrate ingegnoso nella pittura dei vostri divertimenti, più per affliggere una moglie fedele e sensibile, che per prolungare il piacere de’vostri divertimenti colla loro narrativa. Mentre dissipate le nostre sostanze in cavalli, in giuochi, in festini, in lieti pranzi, in laute cene, ed in quanto v’offre occasione di spendere, io sono assediata da una turba di creditori, che non mi lasciano respirar un momento, e m’agitano crudelmente colle loro minaccie. Il fattore di Cà . . . . ha protestato di voler praticare gli atti di Giustizia a’primi del prossimo venturo Agosto per farci sloggiare di Casa, se prima non ha il saldo di quelle quattro rate d’affitto, che gli si devono. Sapete che il suo Padrone ha un cuore di marzapane ma costui lo aggira a suo senno, e scordandosi la miseria da cui è uscito testè vibra colpi da barbaro su’poveri, che dovrebbe proteggere in rimembranza d’essere stato per tanti anni del loro consorzio. La Vedova di cui siete livellario, verso della quale mancate da tanto tempo a’vostri doveri, avrebbe posto giuridicamente a sequestro il formento raccolto nella mia possessione dotale, se non avessi fatto un pegno per contarle cinquanta ducati, e acchetarla. M’avrò facilmente a pentire d’avervi risparmiato questo affronto, perchè voi lo venderete, o l’avrete venduto, per saziare la vostra vanità, e dar da mangiare a chi non ha fame, quantunque mi assicuriate che non volete esitarlo se non giunge il prezzo a l. 40. allo stajo come sperate. Gli artigiani a’quali avete dato il falso appuntamento nel giorno successo a quello di vostra partenza, mi turbano con le loro frequenti visite, e quando tento di tranquillarli colle promesse mi san dire: che ne avete per iscialacquare in Villa, ma che non trovate un ducato per i vostri debiti, come tanti altri Signori, che sospirare li fanno. Rammentatevi i negozj, che fatti avete al Banco Nero fuori di Ghetto, e che i pagamenti devon esser vicini. Trattasi di Cambiali, e non potrete sperar qualche proroga senza un’usura diabolica Chi ebbe cuore di prendervi all’amo con una piccola summa di Monete nella cui valuta tanto perdeste, e con una grande di roba della quale non avete in vendita ricavato nemmeno il quinto, avrà ancora cuore di rovinarvi se non avrete giudizio, come accadde a tant’altri, che perirono in quelle mani. Abbiate pietà di voi, di me, di due figli in tenera età, e dell’altro ch’è prossimo alla luce. Considerate il mio stato, e se nel vostro seno non s’estinsero affatto i sentimenti d’umanità, di giustizia, di amor conjugale, di paterno dovere, lasciate fare a’grandi da grandi, e non vi mescolate con loro, che ridono delle vostre scimiotterie. Quelli ch’ora divertonsi a vostre spese, si sfamano alla vostra tavola, e vi piacciono, perchè v’adulano, saranno i primi a porvi in canzone, se vi ridurrete in miseria, come pur troppo averrà (e Dio nol voglia) se chiuderete a’miei consigli l’orecchio. Se fossi una di quelle Mogli sfrenate, che nate sono per dannazione de’loro Mariti, e quanto più vengono ben trattate tanto più si rinforzano nella dissolutezza, e nel mal costume, de le quali sciaguratamente abbonda la nostra Patria, avrei migliore fortuna. Io non cerco amanti sotto il titolo d’amici da raccomandare i miei dritti. Li lascio a quelle che amano le discordie domestiche, e ch’aspirano allo scioglimento de’Matrimonj. Il mio nodo sarà indissolubile, non cesserò mai di consigliarvi, di pregarvi, di scongiurarvi al bene, e se le mie suppliche, e i miei sospiri saranno sparsi al vento; se non raccoglierò alcun frutto dalle mie lagrime, morirò disperata, ma non separata da voi, e sarà il più grave de’mali miei il timore de’vostri rimorsi, e il lasciarvi con de’figli tra gli stenti della miseria. Allontanate, sin che siete a tempo, gli orrori dell’indigenza, credete a chi v’ama, ed abborrite i parasiti, e i buffoni peste del-la Società, che sempre più guadagna terreno appresso de’ricchi, ed usurpa quelle beneficenze, ch’esser il premio dovrebbero della virtù sconsolata, e dell’abbandonata innocenza. Treviso 14 Giugno. “Che ne’vostri Fogli non abbia mai luoco una penna Donnesca? Eh! Troppo è disfreggio al più che erudito bel sesso. Si scossero le animose Francesi al vedersi escluse da congregati Communi; fremo io pure in rimirando in noi giacente la più amabil parte di Mondo. Vogl’io esser però una vostra soccia fedele. Novelloccie da me n’avrete a bizeffe, e tutte vere, purchè nel trascriverle siate voi pur verace. Questa è la sola mercede che esigo da voi. Avertite, che io non sono nè una visionaria pichiapetto, nè un’ardita Filosofessa, nè una Lugrezia, nè una Messalina. Son Donna, e non ne hò li pregiudizj. M’alletta la letteratura brillante, e non affetto brio. Vivo a me stessa, alla mia Famiglia, eppure non mi sfuggono le più minute cosuccie. L’Amica, la Commadre, la Vicina, la Suocera, la Cognata tutto che niente abbiano del Civettismo me ne gorgheggian le cento al giorno. Vi stò filosofando sopra un pocco, e ne traggo le gran volte legitime conseguenze vantaggiose assai al mio sesso, veggendo vuomini creduti sapientoni Licurghi, o Aristarchi arcigni perduti dietro alle nostre bazzecole, e Donne caratterizzate per vanarelle, e leggiere più forti, e assenate assai delle antiche Amazoni. Osservatelo in questo primo de’miei anneddotti. Un barbuto Diogene passegiava tronfio, e pettoruto la Contrada N. N. Gli si affacciò una viva bellezza; Agl’occhi parlanti, all’atteggiamento bizzarro, al luogo aperto non sembrava in più selvatica, la più inacessibile. Per vari andirivieni vassene, e ritorna il pensante Filosofo; vibra qualche occhiata, ma ben presto la rattiene, simulando astrazione; tragge un affumicato libriciotolo, (sarà forse la Morale di Seneca) ma vicino all’ogetto che già idolatra ritrova sempre il periodo interessante, onde far pausa . . . . Ah Figlia, (è anche Sposa) lui finalmente sfugge un giorno, le gran massime che trovo quì . . . . per carità non mi parlate in massima con dolce soriso risponde la bella . . . . come vi parlerò adunque?  . . . . Comunque volete, in massima no . . . . E bene, traendo un alto sospiro, sogiunse, vi dirò che v’amo . . . . obligatissima . . . . che solo per voi quì frequente passeggio . . . . troppe grazie . . . . che oramai la passione è giunta all’eccesso . . . . moderatela . . . . .ah! non posso, non voglio . . . . Ei, son queste le massime del vostro Seneca? . . . . Prendete cara questo Anello, quanto starebbe bene nel vostro bel dito, proviamolo . . . . aspettate, voglio pria leggervi io pure un sol periodo d’un mio li bricciolo. Udite Filosofante, e vecchio rimbambito Muove a noja, non eccita prurito. Che ne dite? S’alza di fretta, chiude il chiavistello, e vassene, come io pure termino col prottestarmi ec. P. S. Vorrei sapere dall’Anonimo di Udine; se ne Spetacoli Olimpici giuocassero al Pallone, per porre ogni mio studio genealogico in rintracciare, da quali di que’primi Atleti discendano per linea retta, o transversale gli Eroi Campioni da lui magnificati in una sua lettera in data 5. corr. da voi inserita nella vostra Gazzetta al nu. 54.” In segno della nostra compiacenza in far cosa grata a persona del gentil sesso, abbiamo inserita questa Lettera nel presente foglio rispettando sino l’ortografia in esso adoprata, giacchè non ebbimo stimolo al menomo cangiamento. Supplemento all’artic. Bastim. arrivati del Foglio 55, nelle date mancanti. 27 Giugno. Brac. P. Nic. Spagna da Trieste con 5 bar. arg. vivo 7. bot. cera gialla 4 bot. tabacco 3 bot. zucc. 1 cas. gripola 4 col. tamisi 1 cas. terlisi 12 col. tele 9 bar. Trementina 1 bar. ami e trincetti 6 col. chiodi 28 cas. acciaj 5 fascj ferro 3 bar. fil di ferro 10 bar. sortiti 2 cas. merci 1 baul Biancheria ed abiti usati 4500 lib. pietra manganese 1 cas. acqua di Cilla. Brac. P. Cristof. Spolar da Trieste con 7 bot. tabacco 4 cas. arancie 1 cas. limoni 9 bot. e 3 fag. cera gialla 1 balletta pelli di gatto 12 bar. arg. vivo 1 pacco libri 1 cas. oglio di vitriol 3 col. tele 7 bar. bud. salati 4 bar. ottoni 1 bar. lime 11 col. chiodi 1 cas. postazelle 9 fascj ferro 1 bar. merci. Piel. P. Marco Cesaro da Capodistria con 11 bal. e 5 rot. griso 1 scat. cera vecchia 1 fag. pelli di lepre. Brac. P. And. Spolar da Trieste con 12 bar. pece ricotta 2 pacchi libri 8 bar. chiodi 171 pezzi legno camp. 70 cas. limoni 1 bar. ferramenta. Piel. P. giov. Rovere da Trieste con 3 cas. acqua di Cilla 1 bar. antimonio 1 bot. scatolami 1 scat. cola di pesce 6. bar. acciughe 4 bal. panni salonicchi 9 col. griso 2 col. tele 18 col. chiodi 2 bar. e 2 bazze fil di ferro 11 cas. acciaj 2 bot. falci 10 arn. oglio. Piel. P. Alv. Ingiostro da Spalato, Traù, Sebenico, e Zara con 30 mazzi e 60 fascj ferro grezzo 20 carat. e 6 cai catrame 4 fag. cera gialla 1 fag. otton v. 2 fag. rame v. 100 rotoli rassa e bedena 1 fag. fil di lana 580 pelli boldroni 2 campane rotte 3700 ocche lana Morlacca 105 quarte mandole in iscorzo 1 barilotto miele 16 pelli di cigno 2 cas. rosolio di transito. Batelio P. Dom. Zenaro da Trieste con 109 cas. limoni per Chiozza. Piel. P. Giov. Fiorentin da Trieste con 51 cas. limoni. Piel. P. Gius. Bottolo da Spalato con 34 fag. cera gialla 64 bal. cordovani e montoni pelli 12706. 396 schiavinotti da cavallo 170 pelli di manzo 2 bal. pelli di lepre 23 bal. lana calcina 1 rot. rassa 1 pezza panno di ritorno. Polacca Capit. And. Savarese Napolit. da Trieste 2 giorni colla sola provigione. Trabacolo P. Giov. Supisich da Zara con 450 pezze form. moriotto. 28 Detto. Brac. P. Gir. di Niccolò da Trieste con 16 bot. oglio 1 cas. tele 1 bal. lana 3 bar. ottoni 2 bot. scatolami 1 bar. lime 2 bot. e 10 bar. fil di ferro 1 bar. padelle. Piel. P. Nic. Vianello da Pago con 160 mog. di sale. Piel. P. Stef. Benussi da Ragusi con 30 bal. gotton 12 bal. filati rossi 12 dette di bianchi 7 di pelli di lepre 1 di pelli di tassi 1 fag. pelli di volpe 1 pel. di gatti 1 di pel. di lodre 1 di pel. di lupo 2 bal. boldroni 4 col. cera gialla 178 mazzi cordovani gialli 210 mazzi montoni 1 bal. corni di cervo 1 fag. rame v. 29 Detto. Brac. P. Ant. Spolar da Trieste con 10 m. valonia 3 bar. arg. vivo 1 fag. panno 7 bar. cinabro minerale 8 bot. e 1 cassetta tabacco 1 bot. legnami 2 bot. vetro rotto. Tartanon P. Romualdo Mazzuccato da Pesaro con 4 bal. pelli finimenti 1 bal. libri. 30 detto. Trab. P. Ant. Vivesich da Lese e Comisa con 5 bot. polv. di gripola 1 carat. vetro rotto. Piel. P. Giov. Ghezzo da Trieste con 24. fag. mandole 50 cas. limoni 3 fag. tela per Chiozza. Primo Luglio. Peota P. Dom. Tiozzo da Goto con 10 Bal. Lana. 2 Detto. Trab. P. Ant. Rasol da Zara con 5 cai oglio una cassetta cand. di sevo. Piel. P. Giov. Busetto da Pago con 275 mog. di sale. Piel. P. Ant. Molinari da Pago con 200 mog. di sale. Trab. P. Simon Petito da Zara con 1 cassetta merci 148 pezze form. morlacco 24 cannoni di bronzo, una balla schiavinotti militari. Piel. P. Mich. Vianello da Pago con 205 mog. di sale. Piel. P. Ang. Mandocolo da Sebenico e Zara con 3 cassette cand. di sevo 10 migl. ferro v. e vetro r. 26 m. strazze 5. sacchi spongie 2. bar. budella salate 84 rotoli Rassa e Bedena 1 fag. rame v. 1 fag. pelli di squaena 12 sac. mand. in iscorzo. 3 Detto. Brac. P. Giac. di Giac. Viezzoli da Trieste con 20 sac. e 2 bar. cera gialla 4 col. tele 3. col. pellizzarie 1 cas. Acqua di Cilla 1 Scat. Manna 1 bar. gomma 1 Pacco Biadetto 2. bar. ottoni 5. bar. arg. vivo 1 cas. Libri 3 pezzi rame 4 bar. chiodi 17 colli strazze 1 bar. fil di ferro 6 colli ferro v. 3 sac. vetro r. 2 staja e mezzo orzo. 4 Detto. Brac. P. And. Bonifacio da Trieste con 1 bar. fil di ferro 287 cuoj salati 3. bot. tabacco 1. bar. crena 1 bot. Ottoni 10 bar. chiodi 1. cassetta Libri di ritorno. Piel. P. Franc. Chiereghin da Sebenico con 15. cai oglio 2. m. lana sucida 130 quarte mandole in iscorzo 1500 lib. ferro grezzo 1 bal. boldroni 1 fagottino spongie 100 lib. ferro v. e vetro r. 1 bal. Rassa e Bedena. Piel. P. Pietro lazzari da Cattaro con 251 Bal. scodano 1234 Pezze form. morlacco. Piel. P. Ang. Tosi da Spalato con 69 Bal.Lana 6. Bal. e 2 fag. seta 13 zenie 2. Bal. Bombace 45 Bal. Montoni 7 Bal. pelli di Lepre 135 pezzi di ferro 1 rot. rassa. 5 Detto. Battelo P. Rocco Vianello da Trieste con 130 cas. limoni per Chiozza. 6 Detto Piel. P. Giov. Mali da Piran con 212 mog. di sale. 7 Detto. Pinco Cap. Lor. Conforti Genov. manca da Livorno 38 giorni rac. al Sig. Em. Jacur con una bot. gomma 110 bar. aringhe bianche 1 botticella pietra romana 1 bar. pietre da sarti 5 cas. Oglio di Lucca 10 fusti oglio di pesce 1 cas. vino 1 vaso di rame 6 fardi zaffroni 7. cas. marmi 1 partita terra bianca 1 car. polv. di cocciniglia 10 carat. acciughe 1. botte caccao 1 cassetta specchi usati di ritorno. Piel. P. Giov. Brazzetti da Sebenico e Zara con 6. bar. sevo colato 20 carat. e 7 cai catrame 40 mazzi ferro grezzo 4 Bal. pelli Tosoni, Caprine, e Agnelline 3 carat. miel 1 sac. cera gialla 1400 lib. Lana lavata 203 Rot. rassa e bedena 1 sac. ritagli di pelli 6450 ocche Lana Morlacca. Piel. P. Gius. Scarpa da Pago con 200 Mog. di sale. 8 Detto. Nave l’Aquila d’oro Cap. Ant. Macchiavelli manca da Trieste li 3 cor. colla sola prov. 9 Detto. Tartanon P. Ant. Venanzio da Ancona e Pesaro con 125 sac. polv. di Gripola 1 cassetta detta 6 sac. mandole 4 Bal. Libri 1 Bal. pelli finimenti 3 cas. acqua di Nocera. Brac. P. And. Spolar da Trieste con 10 bar. arg. vivo 60 mastelle pece ricotta 10. bar. catrame 2 cas. limoni 1 bar. chiodi 1 bar. fil di ferro. Addì 15. Luglio 1789.In Consiglio di Dieci. Fu un sempre somma cura della Pubblica Autorità l’invigilare sopra la disciplina, e moderazione di tutti li Spettacoli, Feste, e di tutte quelle altre occasioni, che chiamano unione, e movimento di Popolo in questa Città, onde in tali casi non sia turbata la comune tranquillità, ed allontanate restino quelle moleste conseguenze, che facilmente ne possono derivare. Quindi oltre aver proibito in diversi tempi, e con moltiplici Leggi sotto le più severe pene le Sfide, le Battagliole, o sia Moresche, e la Guerra de Pugni, l’Autorità del Consiglio di Dieci, ha pure prescritto che in questa Dominante senza Pubblico permesso non sia lecito a verificarsi verun Spettacolo o Festa di qualunque genere, che ponga il Popolo in estraordinario movimento, e concorso. Osservabile però rendendosi in questi recenti tempi l’arbitraria indisciplinata, e frequente rinovazione de’Giuochi così detti delle Forze d’Ercole esercitati separatamente dalli due Partiti de’Nicolotti, e Castellani; essi si vedono progredire con tal riscaldo, che gareggiando fra essi la loro desterità, e bravura, spalleggiati da loro fautori in osservabile numero muniti d’armi per sostenerla, promuovono tra i Partiti con universale scandalo, frequenti risse, e successive violenze, con evidente pericolo di maggiori eccessi, nonostante le sin’ora istantanee disposte provvidenze; giunti per fine a prendere concitamento alla vista de’Quadri rappresentanti le Forze stesse, che in qualche incontro vengono esposti alla Pubblica osservazione. Non dovendosi però tollerare la continuazione di sì fatti disordini, l’Autorità dello stesso Consiglio di Dieci risolutamente, ordina, e prescrive, che in qualunque luogo di questa Città sì pubblico, che privato, tanto in Terra, che sopra l’Acqua da chiunque né in poco, nè in molto numero di Persone non si debbano esercitare li sopradetti Giuochi, o prove de’medesimi, nè si possi esponere alcun Quadro, che li rappresenti, nè farsi Unioni, o Partiti per sostenerli, sotto pena a contravventori della Prigion, Galera, e corda a misura dei casi, e del grado delle delinquenze; come da Capi sarà riconosciuto di Giustizia; e sotto le stesse pene restano pure vietate le Sfide delle Regate in Barche, o Battelli in poco, o maggior numero, dalle quali egualmente possono derivare consimili sconcerti. Resta per altro permesso al Tribunale de’Capi di accordare di volta in volta in quei casi, e tempi, che lo credessero la Licenza per li suddetti Spettacoli, ed Esercizj, tanto di Forze d’Ercole, che delle Regate a misura delle circostanze, con quelle precauzioni, ed avvertenze però, che assicurino dalli inconvenienti. E come in tali incontri si è potuto rimarcare l’uso impudente, e comune che vien fatto delle Armi, e massime de’Coltelli, così riconfermandosi le Leggi proibitive nel proposito, e massime quella recente 26. Aprile 1785., sarà merito de’Capi surriferiti far eseguire le pene infisse contro li Delatori, e contro qualunque uso facesse delle Armi medesime, rinovando gli ordini, che credessero a Ministri per l’estirpazione di così intollerabile abuso. Resta pure commesso a’Capi medesimi l’invigilare per la più perfetta osservanza della presente Deliberazione, quale dovrà dalli stessi esser fatta stampare, e pubblicare in quei Luoghi, ed in quel modo che crederanno il più opportuno, onde assicurate l’effetto della medesima. Excel. Consil. Decem SecretariusJoseph Imberti. Cambi. 17 Luglio. Lione 57 e un 3zo. Parigi 57 e un 4to. Roma 63 e un 4to. Napoli 116. Livorno 100 e 3 8vi. Milano 155. Genova 91 e 3 4ti. Amsterdam 92 e un 4to. Londra 48 e mezzo. Augusta 102 e mezzo. Vienna 197 e mezzo. Prezzi delle Biade. Formento l. 32.10. Sorgo Turco l. 19. Segale l. 20. Miglio l. 18. Oggi furono banditi dall’Eccelso Cons. di X. Paolo Vascellari detto Zinganetto Padovano, ed Antonio Ferrari detto Tirolin Piemontese, soliti servire nelle Squadre de’Spadaccini alla custodia de’Pubblici Dazj in questa Città.