Gazzetta urbana veneta: Num. 37
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Num. 37. Sabbato 9. maggio 1789.
Continuazione
Notizia Funesta. Un Letterato d’estero Stato, che da alcuni anni dimorava in questa Capitale, e si esercitò incessantemente ne’più penosi lavori delle traduzioni, e delle
correzioni, non meno che in certe compilazioni faticosissime, senza mai uscire da’languori della
miseria: solito destino della maggior parte di quelli che si stemprano il cervello per i ibraj e
stampatori del nostro Paese, iscrisse al Caffè di M. . . . . . la sera delsa p. p. Domenica un
Foglio diretto Pad un suo Compatriotta, che gli fu recato nella seguente mattina. Questi intese
all’aprirlo, che lo scrivente aveva determinato a sangue freddo il suo suicidio per sottrarsi
filosoficamente a’mali d’una travagliata esistenza. Accusò in esso principalmente la crudeltà della
sua albergatrice, che per un credito di l. 54 lo cacciò di Casa, e gli trattenne alcuni originali, e
stampe, che l’hanno molto pregiudicato. Non si fa più nulla di lui, e secondo la sua relazione,
fermamente si crede chi siasi affogato in queste Lagune. Dio volesse ch’egli non avesse data
esecuzione ad un sì tremendo pensiero, e che in vece del suo cadavere rigurgitato dal mare,
rivivesse tra noi a chi lo stima uno sventurato uomo di merito per la cui salvezza ora si vantano,
che dati avrebbero anche cinquantaquattro zecchini alcuni, che forse nelle strette de’suoi bisogni
gli hanno negato 54 soldi. Non è questo il tempo da palesare il suo nome. Stimiamo soltanto dovere
d’avvisare che la sua patria è Reggio di Calabria affine di sottrarre da orridi dubbj le famiglie
d’altri esteri Paesi, che qui avessero de’Letterati parenti meschini. Si consolino intanto tanti
oziosi maldicenti e buffoni a’quali nulla mai manca sebben nulla fanno, o fanno soltanto del male.
Essi non saranno mai in pericolo di queste dannate risoluzioni dalle quali Iddio tenga lontano ogni
uomo. Questa notizia era destinata al Foglio di Mercordì, ma se ne sospese la stampa per una falsa
voce della sua salvezza prodotta da un artifizio tendente ad iscoprire se l’infelice, avendo finito,
si tenesse nascosto. Svanirono la notte del Martedì tutte le speranze concepute da’suoi veri amici.
I dilettanti di Cause si lagnano vedendone privi questi fogli da qualche tempo. Oda le loro querele
il nostro parziale Forense, e temer non ci faccia col suo lungo silenzio la perdita d’un favore, che
ci riesce di tanto sollievo ed utile. La seguente ci è venuta d’altra mano, e soltanto Venerdì della
passata settimana, benchè di non freschissima data. Il qu. Andrea Conter Nobile di Brescia dispose
con suo Testamento una Eredità grandiosa nell’anno 1647. li 10. Agosto, e dopo la disposizione di
alcuni Legati alli Signori Conter, lascia di tutti li altri suoi beni Erede sua figlia Emilia
maritata in Marc’Antonio Scalvino. Prevede il caso che la stessa passasse ad altro matrimonio, o
morisse e ciò verificandosi vuole eredi instituiti e sostituiti li figli maschi nati, e che
nasceranno di essa, dal det- suo Marito, o figli de’figli maschi, per stirpe e non per capi, volendo
mostrar questo affetto alla famiglia de’Signori Scalvini, con condizione ancora che morendo alcuno
d’essi figli senza figli maschi legittimi succedano gli altri o i loro Figli maschi come di sopra
con reciproca instituzione, e sostituzione volgare e fideicomissaria tra detti figli della Signora
Emilia e tra li figli d’essi figli maschi ut supra caso ch’uno o più morissero senza prole
mascolina. Proibisce a’detti di non poter mai far alienazioni, volendo et espressamente
comandando che tutti essi beni restino sempre ed in tutti i momenti appresso detta figlia e suoi
figli, e figli de’figli come di sopra. L’ultimo paragrafo poi è il seguente, a parola per parola.
“Proibendo inoltre a detta Signora Emilia suoi figli maschi, e figli de’figli, come di sopra, il far
distrazione alcuna di legittima, di Tribellianica o quinta statutaria; e ciò durante la vita di
detta Signora, figli, e figli di figli come di sopra affine, che tutti essi beni restino nelle
persone loro drittamente con l’ordine detto di sopra, ma in caso che per l’estinzione di tutte le
predette linee, si purificasse il caso del fideicomisso a favore delli Signori Conter, vuole, che
l’ultimo gravato de’Signori Scalvini, ovvero i suoi Eredi, possano fare le dettrazioni che de jure
le competessero. La stessa proibizione d’alienazione, in tutto come di sopra, il detto Signor
Testator fà, et ingionge anco a tutti li Signori Conter per i beni lasciati ad essi per ragion di
legato, ed anco per li beni, che potessero in loro capitare in virtù delle sostituzioni sopradette
come se di parola in parola fosse anco, quanto alle loro persone distesa, sin alle dettrazioni per
l’ultimo inclusive. Li casi verificati sono li seguenti da’quali è derivata la importante causa.
Emilia ebbe il solo maschio Calimerio figlio capace, quale per il testamento era gravato. Morì
Calimerio e si verificò il caso per il fideicomisso a favor delli Conter, e passò la facoltà in
Francesco figlio di Agostino per metà, ed in Gio: Battista figlio di Gio: per l’altra metà. Morì
Francesco quale avendo li quattro figli era gravato, e tra questi seguirono le divisioni. Morì il
Reverendo Don Andrea l’anno 1782. ch’è uno delli 4. fratelli dividenti, e con suo Testamento dispose
delli Beni avuti in divisione e di tutto il suo a favor di Francesco Conter figlio di Agostin suo
nipote instituendolo Erede proprietario, assieme con Lionardo Conter suo fratello in figura di
usufruttuario, ed alli figli di Clemente lascia 100. oncie d’argento. Questi figli di Clemente
sostenendo che fosse esso Testator suo Zio gravato delli beni che possedeva dipendenti dal Testator
1647 e che dovessero essere fideicomissi perpetui sentenziarono a Legge il Testamento 1647. nel Foro
di Brescia, ed opposta dalli Nobili Signori Leonardo e Francesco Eredi di questo ultimo Testatore
seguirono reciproche contestazioni, negando questi ultimi vocazion e caso agl’altri, e li primi
sostenendo che fosse il Testator ultimo 1782. gravato alli Conter e di conseguir in conseguenza la
loro porzione. Seguì spedizione absente a Brescia a favor delli figli di Clemente, che fù appellata
dalli Signori Leonardo e Francesco Conter. Fù fatto il pender dalli figli di Clemente e li 17.
Aprile scaduto seguirono le seguenti dispute. L’Avvocato Orlandi al Taglio ha sostenuto che il
fideicommisso fosse instituito e sostituito in tre soli gradi e non più nella Famiglia Scalvini, e
lo provava con Emilia primo Grado, con li figli di questa secondo, e figli de’figli terzo; e
sosteneva che non sostituendo il Testator altri fosse in conseguenza in tre gradi e non più.
Soggiungeva poi che così doveva esser in tre soli Gradi nelli Conter sostiuiti, e cominciando esso
il grado dal primo Conter beneficato con beni di Legato, ch’era Agostino figlio di Francesco,
cominciava da questo il primo grado, poi il secondo in Francesco, ed il terzo nelli
figli di questo, ch’erano li 4 Fratelli dividenti; e perciò sempre sosteneva libera la porzione di
cadauno. Stefani al Laudo ha risposto e propose essere il Fideicomisso perpetuo e lineare, e non in
3 gradi, e lo provò come segue. Sostenne egli che il Testatore volendo con un sempre condizionati li
Beni, e con un mai disponibili, avesse in conseguenza ciò forza di perpetuità. Soggiunse che
contemplava maschj e prole, e che poi chiudeva, che mancando le predette linee voleva il fideicom.
passato nelli Conter con che propose: che la mancanza delle linee non dovesse esser delli 3 gradi;
che la linea non sia il grado; e che chiamando il Testator l’estinzion delle linee esser dovessero
queste quelle che da figli e figli de’figli d’Emilia venissero formate, quali arrivando sino
all’ultimo de’maschj ch’estingue le linee dovessero in conseguenza essere fideicomissi li beni in
tutti li discendenti maschj. Soggiunse poi che il Testator anche instituendo un benefizio di
Cappellania perpetua con obbligo a’suoi eredi di eleggere il Cappellano, anche tal cosa provasse la
volontà del Testatore; che passando dunque il fideicom. nelli Conter colle stesse Leggi come se
fosse parola per parola, in conseguenza il Testator 1782 non potesse disporre ma i beni siano
fidecom. in tutti li maschi. Quando poi alli gradi, se vero fosse il sostenuto, provò che il primo
dovrebbe cominciar nelli Conter solo al primo del caso: cioè alla morte di Calimerio in Francesco
Conter primo grado, e secondo grado essendo li 4 Fratelli figli di questo sempre sotto gravami al –
terzo grada, che sono li figli di questi. Rispose Santonini in terza Disputa, con forza e con
argomenti volendo far conoscere che le perdette linee sono le predette persone, cioè li gradi
nominati; ma rispose il Cromer in quarta disputa che le predette linee devon essere quelle formate
dalle predette persone; e che in conseguenza le linee non essendo gradi nè punti continuano sino
all’ultima. Chiuse col dimostrarlo un perpetuo fideicom. in tutti li maschj Scalvino, e così in
tutti li maschj Conter; perchè il Testator li sostituisce come se fosse di parola in parola quanto
alle loro persone esteso sin alle dettrazioni per l’ultimo inclusive; terminò poi con altri
importanti riflessi ed argomenti sicchè nacque il seguente Giudizio che decise di 2 mila duc.
d’entrata. al T. 13. al L. 18. ( N. 5. 1. Av. al Taglio Orlandi e Santonini. Interrut. Facini
Interv. Fedrigo. Al Laudo Stefani e Cromer Interv. Tabacchi. Belle Lettere. Da’torchj del Cagnani di
Ceneda è uscito l’Elogio del N. U. Marc’Antonio Giustiniani per la compiuta Logotenenza della Patria
del Friuli, dedicato alli magnifici Signori Deputati della Città d’Udine dall’Illustrissimo Signor
Girolamo Perucchini, che fu impiegato nel Ministero di quel Reggimento, com’è accennato nel
giustissimo veritiero suo Elogio in cui per far onore a’vivi incomodate non si sono l’ombre
de’morti, nè l’adulazione prestò i suoi mendaci colori per far un bello ma non fedele Ritratto. Le
lodi risultano da’fatti, nè si avanza proposizione ad onore di S. E. che sostenuta non sia da uno
storico fondamento. S’è impressa su questi Fogli l’Inscrizione scolpita in marmo sul
pubblico Palazzo di Tolmezzo; ed ora raccogliamo in questo gli altri monumenti della sua gloria
eretti dalla gratitudine all’ottimo suo governo, tratti dal predetto Elogio. Per la liberazione del
Friuli dalla Truppa di Masnadieri che l’infestava diretta dal famoso Pagnuti, quella Patria fece
coniare in bronzo una medaglia col busto alla militare di S. E. nel cui contorno leggesi. M. Ant.
Justiniano. P. F. I. Præt. e sotto il busto Patrie. VI. Viri & Ruralium. Sindici. MDCCLXXXIX.
Nel rovescio v’è un fascio d’armi: da fuoco e da punta sotto cui Arma. Domitis. Latronibus. Extorta
Nel Contorno Ob. iter. Viatorum. totum. et. securit. Pub. Restitutam. Fra Venzone e Tolmezzo fece
erigere S. E. de’ponti di romana arditezza ove si scolpì dalla riconoscenza di quegl’industri
alpigiani. Via & Pontes Ausu Romano AEre & arte Nationis Marco Antonio Justiniano Fori Julii
optimo Proesidi Consilio & praesentia juvanti arni et Tulmetienses in gratia recepti P. P. A. D.
MDCCLXXXIX. Alle seguente Inscrizione è d’uopo far precedere questo paragrafo dell’Elogio. “Per far
conoscere alle presenti non meno che alle future generazioni, che il gradimento di questo suddito
Corpo era stato da voi accolto qual segno di esuberanza non di meritata riconoscenza, faceste a
vostre spese rialzare il pubblico stendardo; locchè non fù che un partito onde apporvi un’aurea
iscrizione (*) che servisse qual rendimento di grazie all’affetto di questa divota Città, e
qualificasse gli onori resi alle vostre virtù di spontanee obbliganti dimostrazioni.” (*) Marcus
Antonius Justinianus Patriae Fori Julii Praeses ut meritam studiosissimae civitati gratiam In evum
persolveret Vexillum Hoc Temporis iniuria collapsum Restituit. A. D. MDCCLXXXIX. Bastimenti arrivati
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Continuazione
Delle Avventure di un Comico ambulante.
Exemplum
Ricomparvi in iscena nel carattere di Bajazeth. Pareva che la Natura
m’avesse formato espressamente per la rappresentazione d’un tal Personaggio. Son grande, ho la voce
rauca, e con un gran turbante calcato sugli occhi aveva l’aria del più fiero munsulmano, ch’abbia
veduto mai l’Oriente. Nel dare i primi passi sul palco scossi sì bene le mie catene, che il Teatro
ebbe a rovinar dagli applausi. Addolcendo i miei guardi con un sorriso grazioso, e profondamente
inchinandomi verso gli Spettatori, ravvivai ed accrebbi il plaudente romore. Siccome la parte di
Bajazeth è appassionata estremamente, ebbi la precauzione di rinforzare i miei spiriti con tre
bicchieri di buon vino nostrale. È inconcepibile il calore ch’io misi nella mia declamazione.
Tamerlano appetto mio non fu che uno stolido. Tratto tratto egli voleva alzare il suo tuono di voce,
ma io l’abbassava ben presto colla superiorità, e col vigore del mio. I miei gesti eran ammirabili,
variate all’infinito le mie positure, innumerabili le mie esclamazioni. Che frastuono allorch’io
incrocicchiava le mie braccia sul petto! Osservai che a… ciò produceva un effetto meraviglioso. In
due parole mi son coperto di gloria, e fui riguardato come un prodigio. Tutte le Dame di… vennero a
complimentarmi su’miei talenti. Le une lodavano la mia voce, altre la mia figura. Sull’onor mio,
disse una d’esse, egli diverrà ben presto uno de’migliori Attori d’Europa; son io che lo dico, e me
ne intendo abbastanza. Un Commediante è sempre sensibile alle prime lodi, e le riceve come un
favore; ma quando gli vengono prodigalizzate, le prende come un tributo rapito dal suo merito. In
vece di ringraziare quelli che mi ricolmavan d’elogj, io m’applaudiva in me stesso, e
non di rado aveva l’impertinenza d’essere stato trattato come l’insolenza mia meritava, il che ora
vedremo. Abbandonammo quel Paese ove le Dame d’onore giudicano sì bene delle Composizioni Teatrali,
e meglio ancora decidono del merito degli Attori. Entrai colà smoccolator di candele, e mi son
partito un Eroe. Così và il Mondo: oggi lacchè domani gran Signore. Io potrei dir d’avvantaggio fu
questo soggetto, ch’è veramente sublime; ma non si parli della fortuna, e delle sue bizzarrie;
questo incomoderebbe il sollazzo. Da . . . . passammo a . . . . . luogo celebre per l’amenità del
suo sito, e per il genio bizzarro de’suoi abitatori. Nelle prime Recite io brillai al mio solito, e
son persuaso che sarei passato lungo tempo per il più gran Commediante dell’Universo senza il
seguente avvenimento crudele. In una Commedia ossia Pasticcio poetico, composta dalla nostra
Compagnia, nella quale tutti misero qualche cosa, e in conseguenza ebbi anch’io la mia porzione di
merito come autore, intitolata, non so perchè, Lo sconcerto domestico io sostenni un carattere
ridicolo, che divertiva moltissimo. Al solo prender tabacco mi venivano i più lusinghieri segni
d’ammirazione. Quando poi bastonava un curiale le donne erano convulse dal ridere. Venne per mia
disdetta una maledetta Provinciale, che aveva dimorato nov’anni a . . . . Capitale dello Stato
. . . . e pretese per ciò di fare l’Oracolo del gusto, che si doveva adottare colà. Le si parlò
de’miei talenti, ciascuno m’innalzava alle nuvole: e nondimeno ella ostinavasi a non voler giudicare
che per suo sentimento, non potendo persuadersi che un Istrione ambulante (le si perdoni il termine)
potesse esser proprio ad altro, che a far languire di noja. Essa stordiva tutte le Società delle
lodi di . . . . . celebre Commediante, e non parlava che delle Comiche Compagnie della Metropoli ove
aveva soggiornato. Finalmente si persuase di venire allo Spettacolo. Fui secretamente avvertito, che
alla mia prima rappresentazione doveva avere questo terribile giudice. L’avviso non mi sbigottì
punto. Comparvi in iscena d’un’aria libera e disinvolta, con una mano nella cintura de’miei calzoni,
e l’altra cacciata al petto nel mio farsetto, come vidi fare nelle gran Città un Commediante di
grido; ma in vece che badassero a me vidi che tutti gli spettatori rivolgevano il guardo alla
Provinciale tornata dalla Metropoli, per aver segno da lei d’applaudirmi o fischiarmi. Apro la mia
tabacchiera, prendo tabacco; la Provinciale si compone in una serietà che mi agghiaccia, la quale
poco a poco si sparge su tutti i volti. Rompo il mio bastone sulle spalle del Curiale; la
Provinciale alza le sue, e tutti gli ascoltatori fanno lo stesso. Finalmente mi metto a ridere della
migliore grazia del Mondo, ma non sono più fortunato. Confesso che in quel momento mi vidi
totalmente perduto. Le mie risa sforzate non furono più che sconcj sberlessi: e mentre io tentava
rappresentare la giocondità, negli occhi mi si leggeva la più profonda tristezza. In poche parole,
la Provinciale venne alla Commedia colla intenzione ch’io non le piacessi, e le dispiacqui. Così
spirò la mia gloria.