La Gazzetta Veneta: N. 19
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N.° 19.
Mercoledì addi 9. Aprile 1760. Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Level 2
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General account
Un modo assai nuovo d’allevare figliuoli m’è avvenuto d’intendere per caso Sabbato di sera; mentre, che soletto scendeva pianpiano il Ponte di Rialto. Camminavami innanzi un uomo d’età mezzana, riccamente vestito, con un figliuolino di bello aspetto, e gentile portamento di vita; ma che sopra tutto, a quello, che n’udii, avea in corpo una continua curiosità, che lo facea balzare repentinamente d’una domanda in un’altra; qualità stimata da’Maestri squisito argomento d’un ingegno attissimo a fornirsi di conoscenze. Udii dunque, che il fanciullo, levando gli occhi al Cielo domandava al Padre suo, che cosa facessero le Stelle? Quegli rispondea: Figliuol mio le Stelle sono Stelle, e cose, che risplendono, come tu vedi. Le saranno dunque, ripigliava il ragazzo, candele. Fa tuo conto, diceva il Padre, le sono appunto candele. Di sevo, o di cera? Disse il putto. Oh! di sevo in Cielo! no. Di cera, di cera, disse il Padre per isbrigarsi, trovandosi impacciato a rispondere. Ma guarda basso, seguì, che tu non inciampi; tanto hai da guardare quì in terra, che non sò qual voglia ti prenda di guardare all’insù a quest’ora. E quelle, che cosa sono? disse allora il giovanetto, voltatosi ad una Bottega di grascia a lato; e accennando non sò quali anguille. Quelle sono anguille affumicate, rispose la paterna Filosofia; nè mai potresti credere a mezzo, come le son buone a mangiarle. Le si fanno prima con diligenza scuojare, dando loro un taglio intorno intorno al collo, e appresso traendole fuori della pelle, come fa tua madre rovesciando un guanto lungo per trarne fuori il braccio: poi (impara bene, perchè tu hai un giorno a reggere le mie poche facoltà, e a comandare a’servitori, che sono un branco d’animali, se i padroni non sanno il fatto loro) poi dico, le si mettono ad immollare in acqua tiepida per certe poche ore, indi si lessano, e mettivi su olio, pepe, e sugo spremuto di limone, ch’io ti sò dire avrai fatto un intingolo da leccarti le dita. E il putto domanda: Tanti carnaggi, e robe, che quì si veggono da mangiare, si mangeranno tutte? Sì tutte, rispondeva il Maestro Padre. Domani è Pasqua, giornata notabile a tutti gli uomini dabbene; nella quale per ricordanza della nostra felicità, ognuno procura di fornire abbondantemente la sua mensa, e di mangiare allegramente, e bere con la sua famiglia. Domani voglio mangiare finchè mi crepa la pelle, rispose il Putto. Il Padre rise, e voltatosi a me, vedendo, ch’io gli seguiva a passo a passo, fecemi l’occhiolino, quasi volesse dirmi: Che vi pare dello spirito di questo mio figliuolino? Giunti alla merceria, domanda il giovane: E quà, che si vende? e accenna la bottega d’un Librajo. Figliuol mio, quì si vendono libri. Io ne voglio uno, disse il Putto. Al primo giorno da lavoro, rimettiamola, disse il Padre, e ti comprerò l’Abaco. Che cosa è abaco, disse il fanciullo? È il solo libro del mondo, che vaglia qualche cosa; perchè t’insegnerà a far conti del tuo avere, di quanto riscuoti, o spendi. Quando avrai bene imparato quello, potrai dire, che sai tutto; è (sic.) ad un galantuomo non occorre altro. E quella roba, che è, dice il giovanetto? e segna col dito una bottega da frange d’oro, e d’argento. Quelle son frange dice il Padre. E che se ne fa? ripiglia il giovane. Non vedi tu? le sono di queste medesime, ch’io, e tu abbiamo sopra i nostri vestiti. E impara bene, e tieni a mente, che per essere stimato uomo dabbene, e degno di rispetto, bastano tali fornimenti; e che senza questi non sarai ben veduto, nè accolto in verun luogo. Sicchè pensaci, figliuolo mio, e tieni a mente le parole di chi ti vuol bene. Intanto s’arresta il giovanetto dinanzi ad una bottega da fiorellini, e cuffie, e guarda: e l’altro dice: Vedi tu? quando tu sarai giunto all’età d’avere una bella innamorata, e le farai qualche presente di queste chiappolerie, ella ti vorrà bene. Io vorrei, grida il putto in fretta, un fiorellino da donarlo alla Lucia. Io non sò chi diavol si fosse cotesta Lucia: ma il Padre smascellando delle risa, non mette tempo in mezzo, come avea fatto dell’Abaco, ma compera il fiorellino, e dice: Prendi, e gl’insegna una garbata cerimonia da dire alla Lucia. Io m’era già fatto amico, e compagno del viaggio, e arrestatomi a tutte queste faccende; sicchè a poco a poco lodando l’acume del fanciullo, domandai al Padre s’egli andava alla Scuola. Allora egli rivoltosi a me, che parea Catone, o Plutarco, incominciò a parlare molto in sul grave, e fra l’altre a dirmi tali parole: Il mandare i figliuoli alla scuola è un trovato di que’Padri, i quali si vogliono sbrigare dell’obbligo loro. Fino a tanto, che questi occhi saranno aperti voglio essere io medesimo il maestro di mio figliuolo. Gran legame, e gran peso è l’obbligo dell’educazione, e troppo oggidì dagli uomini maritati trascurato; e troppo è cosa malagevole l’indirizzare questi animi tenerelli al loro dovere. Le prime pieghe non si perdono più. Io m’affatico sempre d’insegnargli i doveri d’un buon Cristiano, d’un uomo onesto, e del galantuomo . . . . . In questo il putto vede un cagnuolino da Bologna smarrito per la via, e tira il Padre pel mantello, che vuole il cagnuolo. Il Padre mi saluta in fretta, e va a caccia del canino per appagare il putto, lasciando lo squarcio di morale incominciato, e me, che mezzo balordo pensava quanto è cosa facile di parlare con senno, e difficile il mettere ad esecuzione, quello che così bello in parole riesce.
Metatextuality
Io diceva fra me, udita qnesta (sic.) lezione. Vedi informazioni, che acquista il cervellino di questo giovanetto. Quanto all’anguilla, eccolo fatto dottore, oltre alla lodevole, e decorosa comparazione del braccio della madre tratto fuori del guanto, coll’anguilla scuojata; e forse in vita sua, da questa prima impressione crederà, che le Stelle sieno candele di cera. Andiam’oltre.
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General account
Quivi appiccarono quistione due uomini, i quali non avendo altre arme da offendersi, si furono addosso con le pugna, co’gombiti, e co’calci. Ma non potendo sfogare la collera venuti più alle strette, uno di loro appiccò i denti nella mano all’altro, e glieli conficcò nelle carni, spiccandone quanto ne prese. Il pover uomo ferito, che era Padre d’un Cerusico, venne con tutta la diligenza dall’amoroso Figliuolo ajutato, con quanti rimedii gli somministrò l’amore di Figliuolo, e l’arte sua; ma senza prò, perchè l’infelice Padre fra dolori acutissimi uscì di vita a’giorni passati.
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General account
anni fa in Mestre s’azzuffarono due. L’uno avea un lungo spadone, e l’altro si difendeva dalle stoccate col mantello ravviluppato al braccio, e non avea altre arme che il coraggio, e la collora. Lo spadaccino menava, l’altro riparavasi, e inoltrandosi sempre, gli si ficcò sotto con tanta furia, che non si potè più valere dell’arme. Il disarmato, a guisa di cane da Toro spiccò un salto, gli addentò un orecchio, e tirò sì dilicatamente, che tutto l’orecchio intero ne venne via dalla testa. Quegli, a cui fu mozzo si fuggì attonito con lo spadone, e l’altro fu ritenuto, che gli avrebbe roso il capo. L’orecchio caduto in terra venne ricolto, posto in una carta, e portato intorno per Mestre, e mostrato per le botteghe agli spettatori.
Metatextuality
Non paja strano a’Lettori, che fra le notizie della presente settimana entri un cane; la cui fedeltà è degna di riflessione.
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General account
È questo cane della razza di Pomerania, ed era mantenuto da un povero falegname ammogliato, ma senza figliuoli. A dì passati il buon uomo uscì di vita; molto pianto dalla Moglie, ma non meno desiderato dal suo carissimo cane; il quale si rimase intorno al corpo del suo amato padrone, parte mirandolo fiso, parte gemendo, e talora con gli occhi dalle lagrime inumiditi. Fu il corpo portato a sotterrare, e il cane ritenuto. La moglie venne condotta via da’parenti di lei, e sta con essi. Il cane però non ha voluto seguirla; ma da dieci giorni in quà sta nella stanza del suo morto padrone solitario, e malinconico; e quando vuol uscire graffia un pochetto, e gli viene aperto da certe Donnicciuole della strada, ove abita. I vicini, che sanno quanta sia la sua fedeltà, gli buttano dalle fenestre pane, e ossami, e l’hanno provveduto d’acqua in casa. Egli mangia un pochetto di mala voglia una volta al dì, poi rientra, e non si lascia più vedere fino al vegnente giorno; gittando di tempo in tempo acutissimi urli; intanto la moglie è passata per via più volte nè allegra, nè malinconica. Sarà bello l’osservare se cesserà prima il dolore alla Vedova, o al Cane.
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General account
La sera di Pascqua verso l’ore due della notte, una certa Giovanna Boldrini, moglie d’un Barcajuolo ritrovò una Bambina morta, di parto perfetto, e ben nudrito, in Campo a’Servi appresso a’gradini della Scuola di Sant’Onofrio.
Metatextuality
Ho ricevuto una Polizza da un uomo dabbene, che non so chi sia. La Polizza è di questo tenore.
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Letter/Letter to the editor
General account
« Ho licenziato un Servo; ma perchè lo conosco puntuale, e amoroso al Padrone rendo conto delle cagioni, che m’hanno mosso a licenziarlo; pregato da lui di farle pubblicare nel Foglio della Gazzetta, acciocchè non si pensi male della sua fedeltà. Dilettandomi di caccia lo condussi meco. Sbuca una lepre, i cani la inseguono, ed egli dietro a’cani, e alla lepre. Questa s’intana in una buca; egli senza altro pensare ficca il capo dentro; e non lo può più trar fuori. Mi convenne trovar Villani, che con zappe, e vanghe, gittassero via terra, e sassi per cavarnelo fuori mezzo affogato. Volendo un giorno levarmi alle ore dodici gli dissi, che mi svegliasse. Io era stanco e affaticato la sera. Comincio a dormire. Odo un gran bussare alla porta, grido, chi è là? Son io, risponde. È ora, diss’io? Non Signore. Ma vengo ad avvisarla, che può dormire due ore ancora comodamente, perchè appunto sono sonate in questo momento le dieci. Gli dico un dì che mi svegli all’alba. Entra in Camera con la candela accesa. Apre la fenestra, gli domando. Spunta l’alba? Ora me ne accerterò, risponde, e mette fuori del balcone il viso, e guarda; poi dice: ancorà è bujo; piglia la candela e guarda verso Levante, per vedere con più diligenza. Innumerabili sono le volte, che scalzandomi la sera, mentre ch’io andava a letto, s’addormentava trattami la prima calza sola; e infinite quelle, che si presentava alla compagnia per versare il caffè sulla guantiera senza le chicchere. Finalmente giungendo io a casa poche sere fa, e picchiando me lo vidi a comparire innanzi tutto scorticato, e insanguinato la faccia. Domando, che è stato? egli tace, e brontola, e mi vien detto, che picchiando io, abbajando il cane di casa, e chiamandolo gli altri servi, si levò, accese la torcia, e si mosse con tanta furia, che non accortosi d’una porta di lastre serrata, ma parendogli le lastre aria, v’infilzò dentro la testa, e si conciò a quel modo. Per non vedere altri spettacoli gli diedi licenza. Per altro a chiunque lo volesse, fo una pubblica fede, ch’egli è puntuale, che mai non risponde, e che dal risico in fuori di scavezzarsi un dì il collo, o di rovinare in qualche altra forma sè medesimo, non ha altri difetti.