N. 19 Gasparo Gozzi Moralische Wochenschriften Klaus-Dieter Ertler Herausgeber Angela Fabris Mitarbeiter Alexandra Fuchs Mitarbeiter Alexandra Kolb Mitarbeiter Julia Marx Mitarbeiter Ingrid Scherk Mitarbeiter Angelika Hallegger Mitarbeiter Teresa Petrovitz Mitarbeiter Sarah Lang Gerlinde Schneider Martina Scholger Johannes Stigler Gunter Vasold Datenmodellierung Applikationsentwicklung Institut für Romanistik, Universität Graz Zentrum für Informationsmodellierung, Universität Graz Graz 22.07.2019 o:mws.3475 Gozzi, Gaspare: La Gazzetta veneta. Venezia, 1760 La Gazzetta Veneta 1 019 1760-04-09 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Erziehung und Bildung Educazione e Formazione Education and Formation Educación y Formación Éducation et formation Educação e Instrução Vernunft Ragione Reason Razón Raison Razão Natur Natura Nature Naturaleza Nature Natureza Italy 12.83333,42.83333 Italy Bologna Bologna 11.33875,44.49381 Italy Murano Murano 12.35683,45.45857 Italy Mestre Mestre 12.24538,45.49167 Syria Al Mālīyah Al Mālīyah 35.98045,35.77151 Rialto Bridge 12.3359,45.43804

N.° 19.

Mercoledì addi 9. Aprile 1760.

Che contiene

Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.

Un modo assai nuovo d’allevare figliuoli m’è avvenuto d’intendere per caso Sabbato di sera; mentre, che soletto scendeva pianpiano il Ponte di Rialto. Camminavami innanzi un uomo d’età mezzana, riccamente vestito, con un figliuolino di bello aspetto, e gentile portamento di vita; ma che sopra tutto, a quello, che n’udii, avea in corpo una continua curiosità, che lo facea balzare repentinamente d’una domanda in un’altra; qualità stimata da’Maestri squisito argomento d’un ingegno attissimo a fornirsi di conoscenze. Udii dunque, che il fanciullo, levando gli occhi al Cielo domandava al Padre suo, che cosa facessero le Stelle? Quegli rispondea: Figliuol mio le Stelle sono Stelle, e cose, che risplendono, come tu vedi. Le saranno dunque, ripigliava il ragazzo, candele. Fa tuo conto, diceva il Padre, le sono appunto candele. Di sevo, o di cera? Disse il putto. Oh! di sevo in Cielo! no. Di cera, di cera, disse il Padre per isbrigarsi, trovandosi impacciato a rispondere. Ma guarda basso, seguì, che tu non inciampi; tanto hai da guardare quì in terra, che non sò qual voglia ti prenda di guardare all’insù a quest’ora. E quelle, che cosa sono? disse allora il giovanetto, voltatosi ad una Bottega di grascia a lato; e accennando non sò quali anguille. Quelle sono anguille affumicate, rispose la paterna Filosofia; nè mai potresti credere a mezzo, come le son buone a mangiarle. Le si fanno prima con diligenza scuojare, dando loro un taglio intorno intorno al collo, e appresso traendole fuori della pelle, come fa tua madre rovesciando un guanto lungo per trarne fuori il braccio: poi (impara bene, perchè tu hai un giorno a reggere le mie poche facoltà, e a comandare a’servitori, che sono un branco d’animali, se i padroni non sanno il fatto loro) poi dico, le si mettono ad immollare in acqua tiepida per certe poche ore, indi si lessano, e mettivi su olio, pepe, e sugo spremuto di limone, ch’io ti sò dire avrai fatto un intingolo da leccarti le dita. Io diceva fra me, udita qnesta (sic.) lezione. Vedi informazioni, che acquista il cervellino di questo giovanetto. Quanto all’anguilla, eccolo fatto dottore, oltre alla lodevole, e decorosa comparazione del braccio della madre tratto fuori del guanto, coll’anguilla scuojata; e forse in vita sua, da questa prima impressione crederà, che le Stelle sieno candele di cera. Andiam’oltre. E il putto domanda: Tanti carnaggi, e robe, che quì si veggono da mangiare, si mangeranno tutte? Sì tutte, rispondeva il Maestro Padre. Domani è Pasqua, giornata notabile a tutti gli uomini dabbene; nella quale per ricordanza della nostra felicità, ognuno procura di fornire abbondantemente la sua mensa, e di mangiare allegramente, e bere con la sua famiglia. Domani voglio mangiare finchè mi crepa la pelle, rispose il Putto. Il Padre rise, e voltatosi a me, vedendo, ch’io gli seguiva a passo a passo, fecemi l’occhiolino, quasi volesse dirmi: Che vi pare dello spirito di questo mio figliuolino? Giunti alla merceria, domanda il giovane: E quà, che si vende? e accenna la bottega d’un Librajo. Figliuol mio, quì si vendono libri. Io ne voglio uno, disse il Putto. Al primo giorno da lavoro, rimettiamola, disse il Padre, e ti comprerò l’Abaco. Che cosa è abaco, disse il fanciullo? È il solo libro del mondo, che vaglia qualche cosa; perchè t’insegnerà a far conti del tuo avere, di quanto riscuoti, o spendi. Quando avrai bene imparato quello, potrai dire, che sai tutto; è (sic.) ad un galantuomo non occorre altro. E quella roba, che è, dice il giovanetto? e segna col dito una bottega da frange d’oro, e d’argento. Quelle son frange dice il Padre. E che se ne fa? ripiglia il giovane. Non vedi tu? le sono di queste medesime, ch’io, e tu abbiamo sopra i nostri vestiti. E impara bene, e tieni a mente, che per essere stimato uomo dabbene, e degno di rispetto, bastano tali fornimenti; e che senza questi non sarai ben veduto, nè accolto in verun luogo. Sicchè pensaci, figliuolo mio, e tieni a mente le parole di chi ti vuol bene. Intanto s’arresta il giovanetto dinanzi ad una bottega da fiorellini, e cuffie, e guarda: e l’altro dice: Vedi tu? quando tu sarai giunto all’età d’avere una bella innamorata, e le farai qualche presente di queste chiappolerie, ella ti vorrà bene. Io vorrei, grida il putto in fretta, un fiorellino da donarlo alla Lucia. Io non sò chi diavol si fosse cotesta Lucia: ma il Padre smascellando delle risa, non mette tempo in mezzo, come avea fatto dell’Abaco, ma compera il fiorellino, e dice: Prendi, e gl’insegna una garbata cerimonia da dire alla Lucia. Io m’era già fatto amico, e compagno del viaggio, e arrestatomi a tutte queste faccende; sicchè a poco a poco lodando l’acume del fanciullo, domandai al Padre s’egli andava alla Scuola. Allora egli rivoltosi a me, che parea Catone, o Plutarco, incominciò a parlare molto in sul grave, e fra l’altre a dirmi tali parole: Il mandare i figliuoli alla scuola è un trovato di que’Padri, i quali si vogliono sbrigare dell’obbligo loro. Fino a tanto, che questi occhi saranno aperti voglio essere io medesimo il maestro di mio figliuolo. Gran legame, e gran peso è l’obbligo dell’educazione, e troppo oggidì dagli uomini maritati trascurato; e troppo è cosa malagevole l’indirizzare questi animi tenerelli al loro dovere. Le prime pieghe non si perdono più. Io m’affatico sempre d’insegnargli i doveri d’un buon Cristiano, d’un uomo onesto, e del galantuomo . . . . . In questo il putto vede un cagnuolino da Bologna smarrito per la via, e tira il Padre pel mantello, che vuole il cagnuolo. Il Padre mi saluta in fretta, e va a caccia del canino per appagare il putto, lasciando lo squarcio di morale incominciato, e me, che mezzo balordo pensava quanto è cosa facile di parlare con senno, e difficile il mettere ad esecuzione, quello che così bello in parole riesce.

Molti hanno studiato per ritrovare rimedii contro a’morsi velenosi delle vipere, e de’cani arrabbiati; e massime contro alle prime un Inglese villano, cercatore di vipere ritrovò, che untandosi con olio ad un buon fuoco, e fregandosi con un canovaccio caldo lungamente, s’ha un ottimo rimedio contro al veleno di quelle. S’è però veduto più volte, che il morso dell’uomo produce funesti effetti quanto quello de’più disperati animali, quando mosso dalla collora ficchi i denti nelle carni ad alcuno; il che è noto per molte antiche sperienze; e s’è rinnovato pochi giorni sono in Murano. Quivi appiccarono quistione due uomini, i quali non avendo altre arme da offendersi, si furono addosso con le pugna, co’gombiti, e co’calci. Ma non potendo sfogare la collera venuti più alle strette, uno di loro appiccò i denti nella mano all’altro, e glieli conficcò nelle carni, spiccandone quanto ne prese. Il pover uomo ferito, che era Padre d’un Cerusico, venne con tutta la diligenza dall’amoroso Figliuolo ajutato, con quanti rimedii gli somministrò l’amore di Figliuolo, e l’arte sua; ma senza prò, perchè l’infelice Padre fra dolori acutissimi uscì di vita a’giorni passati.

Ricordomi a proposito di morsi, che anni fa in Mestre s’azzuffarono due. L’uno avea un lungo spadone, e l’altro si difendeva dalle stoccate col mantello ravviluppato al braccio, e non avea altre arme che il coraggio, e la collora. Lo spadaccino menava, l’altro riparavasi, e inoltrandosi sempre, gli si ficcò sotto con tanta furia, che non si potè più valere dell’arme. Il disarmato, a guisa di cane da Toro spiccò un salto, gli addentò un orecchio, e tirò sì dilicatamente, che tutto l’orecchio intero ne venne via dalla testa. Quegli, a cui fu mozzo si fuggì attonito con lo spadone, e l’altro fu ritenuto, che gli avrebbe roso il capo. L’orecchio caduto in terra venne ricolto, posto in una carta, e portato intorno per Mestre, e mostrato per le botteghe agli spettatori.

Non paja strano a’Lettori, che fra le notizie della presente settimana entri un cane; la cui fedeltà è degna di riflessione. È questo cane della razza di Pomerania, ed era mantenuto da un povero falegname ammogliato, ma senza figliuoli. A dì passati il buon uomo uscì di vita; molto pianto dalla Moglie, ma non meno desiderato dal suo carissimo cane; il quale si rimase intorno al corpo del suo amato padrone, parte mirandolo fiso, parte gemendo, e talora con gli occhi dalle lagrime inumiditi. Fu il corpo portato a sotterrare, e il cane ritenuto. La moglie venne condotta via da’parenti di lei, e sta con essi. Il cane però non ha voluto seguirla; ma da dieci giorni in quà sta nella stanza del suo morto padrone solitario, e malinconico; e quando vuol uscire graffia un pochetto, e gli viene aperto da certe Donnicciuole della strada, ove abita. I vicini, che sanno quanta sia la sua fedeltà, gli buttano dalle fenestre pane, e ossami, e l’hanno provveduto d’acqua in casa. Egli mangia un pochetto di mala voglia una volta al dì, poi rientra, e non si lascia più vedere fino al vegnente giorno; gittando di tempo in tempo acutissimi urli; intanto la moglie è passata per via più volte nè allegra, nè malinconica. Sarà bello l’osservare se cesserà prima il dolore alla Vedova, o al Cane.

La sera di Pascqua verso l’ore due della notte, una certa Giovanna Boldrini, moglie d’un Barcajuolo ritrovò una Bambina morta, di parto perfetto, e ben nudrito, in Campo a’Servi appresso a’gradini della Scuola di Sant’Onofrio.

Ho ricevuto una Polizza da un uomo dabbene, che non so chi sia. La Polizza è di questo tenore.

« Ho licenziato un Servo; ma perchè lo conosco puntuale, e amoroso al Padrone rendo conto delle cagioni, che m’hanno mosso a licenziarlo; pregato da lui di farle pubblicare nel Foglio della Gazzetta, acciocchè non si pensi male della sua fedeltà. Dilettandomi di caccia lo condussi meco. Sbuca una lepre, i cani la inseguono, ed egli dietro a’cani, e alla lepre. Questa s’intana in una buca; egli senza altro pensare ficca il capo dentro; e non lo può più trar fuori. Mi convenne trovar Villani, che con zappe, e vanghe, gittassero via terra, e sassi per cavarnelo fuori mezzo affogato. Volendo un giorno levarmi alle ore dodici gli dissi, che mi svegliasse. Io era stanco e affaticato la sera. Comincio a dormire. Odo un gran bussare alla porta, grido, chi è là? Son io, risponde. È ora, diss’io? Non Signore. Ma vengo ad avvisarla, che può dormire due ore ancora comodamente, perchè appunto sono sonate in questo momento le dieci. Gli dico un dì che mi svegli all’alba. Entra in Camera con la candela accesa. Apre la fenestra, gli domando. Spunta l’alba? Ora me ne accerterò, risponde, e mette fuori del balcone il viso, e guarda; poi dice: ancorà è bujo; piglia la candela e guarda verso Levante, per vedere con più diligenza. Innumerabili sono le volte, che scalzandomi la sera, mentre ch’io andava a letto, s’addormentava trattami la prima calza sola; e infinite quelle, che si presentava alla compagnia per versare il caffè sulla guantiera senza le chicchere. Finalmente giungendo io a casa poche sere fa, e picchiando me lo vidi a comparire innanzi tutto scorticato, e insanguinato la faccia. Domando, che è stato? egli tace, e brontola, e mi vien detto, che picchiando io, abbajando il cane di casa, e chiamandolo gli altri servi, si levò, accese la torcia, e si mosse con tanta furia, che non accortosi d’una porta di lastre serrata, ma parendogli le lastre aria, v’infilzò dentro la testa, e si conciò a quel modo. Per non vedere altri spettacoli gli diedi licenza. Per altro a chiunque lo volesse, fo una pubblica fede, ch’egli è puntuale, che mai non risponde, e che dal risico in fuori di scavezzarsi un dì il collo, o di rovinare in qualche altra forma sè medesimo, non ha altri difetti.

Libri nuovi in Venezia.

Trattato de’doveri generali del suddito verso il Principe. Venezia 1760. in 8. appresso Paolo Colombani.

Questo picciolo libretto, che non oltre passa i sette fogli; è scritto con buon metodo e giudizio. Una Prefazione, e otto capitoli contengono tutto l’argomento.

Nella prefazione provasi che l’ubbidienza, e soggezione alla pubblica podestà è inculcata dalle sagre lettere. Ribatte la sfacciataggine d’alcuni, che nelle loro dottrine spacciarono altre opinioni, valendosi della corruzione e cecità de’tempi. Anima ognuno a far conoscere tal verità negli insegnamenti al gregge Cristiano, e chiude il Proemio con un ingegnosa scusa.

Le contenenze degli otto Capitoli sono queste.

Cap. I. Origine del Principato, e beni, che da esso provengono.

Cap. II. Dell’onore che si deve al Principe.

Cap. III. Della Natura del patto.

Cap. IV. Dell’obbedienza che si deve al Principe.

Cap. V. Doveri del suddito verso il Principe Tiranno.

Cap. VI. Doveri del suddito verso il Principe Eretico.

Cap. VII. Della guerra, e de’tributi.

Cap. VIII. Delle mormorazioni contro il Principe.

In questo brevissimo Libro sono a luogo loro assegnati per prova delle sue verità molti notabili passi delle sagre carte, de’Filosofi morali, antichi e moderni, e de’Poeti. Tutte queste avvertenze formano un’operetta, che in pochi fogli insegna una nobilissima dottrina, e riduce a brevità un argomento molto necessario, e degno delle più mature riflessioni.

Libri nuovi fuori di Venezia.

Colonia. Il Signor Marco Michele Bousquet ha dato alla luce il Libro, che segue: Cornelii Van Binkershoeck Jurisconsulti Famigeratissimi Senatus Supremi Hollandiae, Zelandiae & Frisiae olim Praesidis. Opera omnia, hactenus inedita; in quibus multa ex Romano veteri, nec non ex Gentium & Publico Universali etiamque Hollandiae cum Publico tum Privato Jure capita elegantissime doctissemque tractantur & c. in duobus Tomos distributa cum repertorio generali ad calcem adjecto. Edente & praesante B. Philippo Vicat, Juris in Academ. Lausannensi Antecessore. Tomus primus. 1760. Fol.

Case da Fittare.

Casa d’affittar a S. Catterina, con tutte le sue comodità, cioè Entratta con Magazzen, Portico, Camere Cucina, Soffitta con terazzi fatti da nuovo in Calle delli Colori, paga all’anno Duc. 40.

Le Chiavi sono da quel del Caffè a piedi del Ponte di S. Catterina.

Legni arrivati.

Adi 27. Marzo. Bracera, Patron Domenico Privilei, venuto da Sebenico, con 5. cai Oglio.

28. Detto. Tartanon, Patron Domenico Pagiarin, venuto da Ancona, e Pesaro, con 45. Balle Gotton. 8. Balla Garzi. 3. Fag. Libri. 12. Balle Lana di Spagna. 3. Balle Pelle di Volpe. 3. Sacchi Cacao. 1. cassetta Perle di Albastro. 1. Mier carne Porcina salata.

29. Detto. Palandra nominata Marie Soffie, Capitan Lorence Nicolau Lorencen Danese, manca da Lisbona 6. Settimane, e 2. giorni raccomandata a sè medemo, con 180. casse Zuccaro.

30. Detto. Burchio. Patron Giacomo Popolin, venuto da Livenza, con 2000. Remi.

31. Detto. Nave nominata Santa Chiara, Capitan Simon Ran Olandese, manca da Peterburgo li 8. Novembre, e da Amstardam li 2. Febraro, raccomandata a sè medemo, con 136. colli Bulgari. 1839. Verghe ferro. 300. colli Lin in Balle, e a refuso.

Detto. Tartana nominata Madona del Rosario, e Sant’Antonio di Padova, Capitan Iseppo Camenarovich, manca dalla Valona 2. Mesi, da Durazzo 21. giorno, e Castel Novo 16. giorni, raccomandata a sè medemo, con 35. Miera Pegola. 22. colli Cera. 6. Maurizze Semenze di Lin. 12. Balle cordoani, e Montonine. 100. Balle Tabacco. 417. Balle detto in Fogia. 200. Stera Formento per Transito.

861. Fag., e 2. mezzi Fag. Lana. 4. colli Seda Mazzetti 2388. 4. colletti detta. 5. Fag. Grana. 22. Ballette Damaschini zali Pelle 3444. 35. Ballettine chiussoline Pelle 647. 1. Balla Pelle di Lupi. Pelle Zachali. Pelle di Gatti Salvatichi, e coe di Volpe. 19. Balle Zenie.

Detto. Pieligo, Patron Antonio Sorbola, venuto da Piran, con 10. cai Oglio.

Adi 1. Aprile. Pieligo, Patron Antonio Quarantaotto, venuto da Rovigno, con 12. cai Oglio.

Detto. Pieligo, Patron Vicenzo Friziero, venuto da Primier, con 83. Mazzi canevo.

Detto. Pieligo, Patron Antonio Gregorio, venuto da Primier con 83. Mazzi canevo. 1. Balla Telle canevazze.

Detto. Trabacolo, Patron Michiel Vice, venuto da Sebenico, con 1000. Stera Formento.

Detto. Trabacolo, Patron Tomaso Fachinetti, venuto da Sebenico con 1500. Stera Formento.

Detto. Pieligo, Patron Zorzi Lucovich, venuto da Castel Novo, con 1000. Stera Formento.

Detto. Pieligo, Patron Nadalin Rosada, venuto da Palma Nova, con 210. Stera Formento a refuso. 500. Stera Formento a refuso. 500. Stera Formenton in Sacchi, e a refuso.

Detto. Trabacolo, Patron Vicenzo Scarpa, venuto da Palma nova, con 500. Stera formenton a refuso.

2. Detto. Pieligo, Patron Nicolò Maraspin, venuto da Sebenico, con 4. cai Oglio. 500. Stera Formento.

Detto. Bracera, Patron Piero de Pangher, venuto da Capo d’Istria, con 25. Balle Tabacco.

3. Detto. Bracera, Patron Antonio Privilegio, venuto da Sebenico, con 6. cai Oglio. 6. colli Cera. 5. Fag. Pelle di Lepre. 1. Fagotto Pelle di Tasso. 1. Fagotto Pelle di Gatto Salvatico. 1. Fagotto Rame vecchio.

Si replica il seguenteAvviso

Da quì avanti se alcuno volesse associarsi di nuovo all’acquisto de’presenti Fogli, s’avvisa, che si prendono nuovi Associati a’dì sei d’Aprile, e così di due mesi in due mesi verrà rinnovata l’associazione; sicchè dal giorno in cui alcuno s’affocierà, comincierà la sua associazione di sei mesi o d’un anno dal Foglio dopo i sei d’Aprile. +++

Cambj per le Piazze Estere, corsi addi 5. Aprile 1760.

Lione Ducati- 59 1/8 Banco per Scudi d’Oro Sole N. 100. da Lire 3. l’uno.

Bolzano Soldi- 132 1/3 per un Scudo da Carantani 93.

Roma Scudi Oro Stampe 62 ½ per Ducati 100. Banco.

Napoli Ducati Regno 120 1/4 per Ducati 100. Banco.

Firenze Scudi- 80 Oro da Lir. 7 ½ per Ducati 100. Banco.

Livorno Pezze da 8/r 103 3/4 per Ducati 100. Banco.

Milano Soldi- 155 1/4 per un Scudo di Soldi 117. Imperiali.

Genova Soldi- 94 7/8 per un Scudo da Lir. 4: 12 Fuori Banco.

Anversa grossi- 94 per un Ducato Banco

Amsterdam grossi- 90 ½ per un Ducato Banco.

Amburgo grossi- 91 per un Ducato Banco.

Londra Sterlini- 51 per un Ducato Banco.

Augusta Taleri- 98 ½ per 100. Ducati Banco.

Vienna Fiorini- 190 ½ per Ducati 100. Banco.

Vendesi la presente Gazzetta a 5. soldi, e si ricevono le Notizie.

A San Marco. Nella Bottega da Caffè di Florian.

In Merceria. Nella Bottega di Paolo Colombani Librajo.

Giù del Ponte di S. Polo appresso la Calle dei Savoneri. Nella Bottega di Gasparo Ronconella Librajo.

In Venezia. Per Pietro Marcuzzi Stampatore.

Con Privilegio.

N.° 19. Mercoledì addi 9. Aprile 1760. Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico. Un modo assai nuovo d’allevare figliuoli m’è avvenuto d’intendere per caso Sabbato di sera; mentre, che soletto scendeva pianpiano il Ponte di Rialto. Camminavami innanzi un uomo d’età mezzana, riccamente vestito, con un figliuolino di bello aspetto, e gentile portamento di vita; ma che sopra tutto, a quello, che n’udii, avea in corpo una continua curiosità, che lo facea balzare repentinamente d’una domanda in un’altra; qualità stimata da’Maestri squisito argomento d’un ingegno attissimo a fornirsi di conoscenze. Udii dunque, che il fanciullo, levando gli occhi al Cielo domandava al Padre suo, che cosa facessero le Stelle? Quegli rispondea: Figliuol mio le Stelle sono Stelle, e cose, che risplendono, come tu vedi. Le saranno dunque, ripigliava il ragazzo, candele. Fa tuo conto, diceva il Padre, le sono appunto candele. Di sevo, o di cera? Disse il putto. Oh! di sevo in Cielo! no. Di cera, di cera, disse il Padre per isbrigarsi, trovandosi impacciato a rispondere. Ma guarda basso, seguì, che tu non inciampi; tanto hai da guardare quì in terra, che non sò qual voglia ti prenda di guardare all’insù a quest’ora. E quelle, che cosa sono? disse allora il giovanetto, voltatosi ad una Bottega di grascia a lato; e accennando non sò quali anguille. Quelle sono anguille affumicate, rispose la paterna Filosofia; nè mai potresti credere a mezzo, come le son buone a mangiarle. Le si fanno prima con diligenza scuojare, dando loro un taglio intorno intorno al collo, e appresso traendole fuori della pelle, come fa tua madre rovesciando un guanto lungo per trarne fuori il braccio: poi (impara bene, perchè tu hai un giorno a reggere le mie poche facoltà, e a comandare a’servitori, che sono un branco d’animali, se i padroni non sanno il fatto loro) poi dico, le si mettono ad immollare in acqua tiepida per certe poche ore, indi si lessano, e mettivi su olio, pepe, e sugo spremuto di limone, ch’io ti sò dire avrai fatto un intingolo da leccarti le dita. Io diceva fra me, udita qnesta (sic.) lezione. Vedi informazioni, che acquista il cervellino di questo giovanetto. Quanto all’anguilla, eccolo fatto dottore, oltre alla lodevole, e decorosa comparazione del braccio della madre tratto fuori del guanto, coll’anguilla scuojata; e forse in vita sua, da questa prima impressione crederà, che le Stelle sieno candele di cera. Andiam’oltre. E il putto domanda: Tanti carnaggi, e robe, che quì si veggono da mangiare, si mangeranno tutte? Sì tutte, rispondeva il Maestro Padre. Domani è Pasqua, giornata notabile a tutti gli uomini dabbene; nella quale per ricordanza della nostra felicità, ognuno procura di fornire abbondantemente la sua mensa, e di mangiare allegramente, e bere con la sua famiglia. Domani voglio mangiare finchè mi crepa la pelle, rispose il Putto. Il Padre rise, e voltatosi a me, vedendo, ch’io gli seguiva a passo a passo, fecemi l’occhiolino, quasi volesse dirmi: Che vi pare dello spirito di questo mio figliuolino? Giunti alla merceria, domanda il giovane: E quà, che si vende? e accenna la bottega d’un Librajo. Figliuol mio, quì si vendono libri. Io ne voglio uno, disse il Putto. Al primo giorno da lavoro, rimettiamola, disse il Padre, e ti comprerò l’Abaco. Che cosa è abaco, disse il fanciullo? È il solo libro del mondo, che vaglia qualche cosa; perchè t’insegnerà a far conti del tuo avere, di quanto riscuoti, o spendi. Quando avrai bene imparato quello, potrai dire, che sai tutto; è (sic.) ad un galantuomo non occorre altro. E quella roba, che è, dice il giovanetto? e segna col dito una bottega da frange d’oro, e d’argento. Quelle son frange dice il Padre. E che se ne fa? ripiglia il giovane. Non vedi tu? le sono di queste medesime, ch’io, e tu abbiamo sopra i nostri vestiti. E impara bene, e tieni a mente, che per essere stimato uomo dabbene, e degno di rispetto, bastano tali fornimenti; e che senza questi non sarai ben veduto, nè accolto in verun luogo. Sicchè pensaci, figliuolo mio, e tieni a mente le parole di chi ti vuol bene. Intanto s’arresta il giovanetto dinanzi ad una bottega da fiorellini, e cuffie, e guarda: e l’altro dice: Vedi tu? quando tu sarai giunto all’età d’avere una bella innamorata, e le farai qualche presente di queste chiappolerie, ella ti vorrà bene. Io vorrei, grida il putto in fretta, un fiorellino da donarlo alla Lucia. Io non sò chi diavol si fosse cotesta Lucia: ma il Padre smascellando delle risa, non mette tempo in mezzo, come avea fatto dell’Abaco, ma compera il fiorellino, e dice: Prendi, e gl’insegna una garbata cerimonia da dire alla Lucia. Io m’era già fatto amico, e compagno del viaggio, e arrestatomi a tutte queste faccende; sicchè a poco a poco lodando l’acume del fanciullo, domandai al Padre s’egli andava alla Scuola. Allora egli rivoltosi a me, che parea Catone, o Plutarco, incominciò a parlare molto in sul grave, e fra l’altre a dirmi tali parole: Il mandare i figliuoli alla scuola è un trovato di que’Padri, i quali si vogliono sbrigare dell’obbligo loro. Fino a tanto, che questi occhi saranno aperti voglio essere io medesimo il maestro di mio figliuolo. Gran legame, e gran peso è l’obbligo dell’educazione, e troppo oggidì dagli uomini maritati trascurato; e troppo è cosa malagevole l’indirizzare questi animi tenerelli al loro dovere. Le prime pieghe non si perdono più. Io m’affatico sempre d’insegnargli i doveri d’un buon Cristiano, d’un uomo onesto, e del galantuomo . . . . . In questo il putto vede un cagnuolino da Bologna smarrito per la via, e tira il Padre pel mantello, che vuole il cagnuolo. Il Padre mi saluta in fretta, e va a caccia del canino per appagare il putto, lasciando lo squarcio di morale incominciato, e me, che mezzo balordo pensava quanto è cosa facile di parlare con senno, e difficile il mettere ad esecuzione, quello che così bello in parole riesce. Molti hanno studiato per ritrovare rimedii contro a’morsi velenosi delle vipere, e de’cani arrabbiati; e massime contro alle prime un Inglese villano, cercatore di vipere ritrovò, che untandosi con olio ad un buon fuoco, e fregandosi con un canovaccio caldo lungamente, s’ha un ottimo rimedio contro al veleno di quelle. S’è però veduto più volte, che il morso dell’uomo produce funesti effetti quanto quello de’più disperati animali, quando mosso dalla collora ficchi i denti nelle carni ad alcuno; il che è noto per molte antiche sperienze; e s’è rinnovato pochi giorni sono in Murano. Quivi appiccarono quistione due uomini, i quali non avendo altre arme da offendersi, si furono addosso con le pugna, co’gombiti, e co’calci. Ma non potendo sfogare la collera venuti più alle strette, uno di loro appiccò i denti nella mano all’altro, e glieli conficcò nelle carni, spiccandone quanto ne prese. Il pover uomo ferito, che era Padre d’un Cerusico, venne con tutta la diligenza dall’amoroso Figliuolo ajutato, con quanti rimedii gli somministrò l’amore di Figliuolo, e l’arte sua; ma senza prò, perchè l’infelice Padre fra dolori acutissimi uscì di vita a’giorni passati. Ricordomi a proposito di morsi, che anni fa in Mestre s’azzuffarono due. L’uno avea un lungo spadone, e l’altro si difendeva dalle stoccate col mantello ravviluppato al braccio, e non avea altre arme che il coraggio, e la collora. Lo spadaccino menava, l’altro riparavasi, e inoltrandosi sempre, gli si ficcò sotto con tanta furia, che non si potè più valere dell’arme. Il disarmato, a guisa di cane da Toro spiccò un salto, gli addentò un orecchio, e tirò sì dilicatamente, che tutto l’orecchio intero ne venne via dalla testa. Quegli, a cui fu mozzo si fuggì attonito con lo spadone, e l’altro fu ritenuto, che gli avrebbe roso il capo. L’orecchio caduto in terra venne ricolto, posto in una carta, e portato intorno per Mestre, e mostrato per le botteghe agli spettatori. Non paja strano a’Lettori, che fra le notizie della presente settimana entri un cane; la cui fedeltà è degna di riflessione. È questo cane della razza di Pomerania, ed era mantenuto da un povero falegname ammogliato, ma senza figliuoli. A dì passati il buon uomo uscì di vita; molto pianto dalla Moglie, ma non meno desiderato dal suo carissimo cane; il quale si rimase intorno al corpo del suo amato padrone, parte mirandolo fiso, parte gemendo, e talora con gli occhi dalle lagrime inumiditi. Fu il corpo portato a sotterrare, e il cane ritenuto. La moglie venne condotta via da’parenti di lei, e sta con essi. Il cane però non ha voluto seguirla; ma da dieci giorni in quà sta nella stanza del suo morto padrone solitario, e malinconico; e quando vuol uscire graffia un pochetto, e gli viene aperto da certe Donnicciuole della strada, ove abita. I vicini, che sanno quanta sia la sua fedeltà, gli buttano dalle fenestre pane, e ossami, e l’hanno provveduto d’acqua in casa. Egli mangia un pochetto di mala voglia una volta al dì, poi rientra, e non si lascia più vedere fino al vegnente giorno; gittando di tempo in tempo acutissimi urli; intanto la moglie è passata per via più volte nè allegra, nè malinconica. Sarà bello l’osservare se cesserà prima il dolore alla Vedova, o al Cane. La sera di Pascqua verso l’ore due della notte, una certa Giovanna Boldrini, moglie d’un Barcajuolo ritrovò una Bambina morta, di parto perfetto, e ben nudrito, in Campo a’Servi appresso a’gradini della Scuola di Sant’Onofrio. Ho ricevuto una Polizza da un uomo dabbene, che non so chi sia. La Polizza è di questo tenore. « Ho licenziato un Servo; ma perchè lo conosco puntuale, e amoroso al Padrone rendo conto delle cagioni, che m’hanno mosso a licenziarlo; pregato da lui di farle pubblicare nel Foglio della Gazzetta, acciocchè non si pensi male della sua fedeltà. Dilettandomi di caccia lo condussi meco. Sbuca una lepre, i cani la inseguono, ed egli dietro a’cani, e alla lepre. Questa s’intana in una buca; egli senza altro pensare ficca il capo dentro; e non lo può più trar fuori. Mi convenne trovar Villani, che con zappe, e vanghe, gittassero via terra, e sassi per cavarnelo fuori mezzo affogato. Volendo un giorno levarmi alle ore dodici gli dissi, che mi svegliasse. Io era stanco e affaticato la sera. Comincio a dormire. Odo un gran bussare alla porta, grido, chi è là? Son io, risponde. È ora, diss’io? Non Signore. Ma vengo ad avvisarla, che può dormire due ore ancora comodamente, perchè appunto sono sonate in questo momento le dieci. Gli dico un dì che mi svegli all’alba. Entra in Camera con la candela accesa. Apre la fenestra, gli domando. Spunta l’alba? Ora me ne accerterò, risponde, e mette fuori del balcone il viso, e guarda; poi dice: ancorà è bujo; piglia la candela e guarda verso Levante, per vedere con più diligenza. Innumerabili sono le volte, che scalzandomi la sera, mentre ch’io andava a letto, s’addormentava trattami la prima calza sola; e infinite quelle, che si presentava alla compagnia per versare il caffè sulla guantiera senza le chicchere. Finalmente giungendo io a casa poche sere fa, e picchiando me lo vidi a comparire innanzi tutto scorticato, e insanguinato la faccia. Domando, che è stato? egli tace, e brontola, e mi vien detto, che picchiando io, abbajando il cane di casa, e chiamandolo gli altri servi, si levò, accese la torcia, e si mosse con tanta furia, che non accortosi d’una porta di lastre serrata, ma parendogli le lastre aria, v’infilzò dentro la testa, e si conciò a quel modo. Per non vedere altri spettacoli gli diedi licenza. Per altro a chiunque lo volesse, fo una pubblica fede, ch’egli è puntuale, che mai non risponde, e che dal risico in fuori di scavezzarsi un dì il collo, o di rovinare in qualche altra forma sè medesimo, non ha altri difetti. Libri nuovi in Venezia. Trattato de’doveri generali del suddito verso il Principe. Venezia 1760. in 8. appresso Paolo Colombani. Questo picciolo libretto, che non oltre passa i sette fogli; è scritto con buon metodo e giudizio. Una Prefazione, e otto capitoli contengono tutto l’argomento. Nella prefazione provasi che l’ubbidienza, e soggezione alla pubblica podestà è inculcata dalle sagre lettere. Ribatte la sfacciataggine d’alcuni, che nelle loro dottrine spacciarono altre opinioni, valendosi della corruzione e cecità de’tempi. Anima ognuno a far conoscere tal verità negli insegnamenti al gregge Cristiano, e chiude il Proemio con un ingegnosa scusa. Le contenenze degli otto Capitoli sono queste. Cap. I. Origine del Principato, e beni, che da esso provengono. Cap. II. Dell’onore che si deve al Principe. Cap. III. Della Natura del patto. Cap. IV. Dell’obbedienza che si deve al Principe. Cap. V. Doveri del suddito verso il Principe Tiranno. Cap. VI. Doveri del suddito verso il Principe Eretico. Cap. VII. Della guerra, e de’tributi. Cap. VIII. Delle mormorazioni contro il Principe. In questo brevissimo Libro sono a luogo loro assegnati per prova delle sue verità molti notabili passi delle sagre carte, de’Filosofi morali, antichi e moderni, e de’Poeti. Tutte queste avvertenze formano un’operetta, che in pochi fogli insegna una nobilissima dottrina, e riduce a brevità un argomento molto necessario, e degno delle più mature riflessioni. Libri nuovi fuori di Venezia. Colonia. Il Signor Marco Michele Bousquet ha dato alla luce il Libro, che segue: Cornelii Van Binkershoeck Jurisconsulti Famigeratissimi Senatus Supremi Hollandiae, Zelandiae & Frisiae olim Praesidis. Opera omnia, hactenus inedita; in quibus multa ex Romano veteri, nec non ex Gentium & Publico Universali etiamque Hollandiae cum Publico tum Privato Jure capita elegantissime doctissemque tractantur & c. in duobus Tomos distributa cum repertorio generali ad calcem adjecto. Edente & praesante B. Philippo Vicat, Juris in Academ. Lausannensi Antecessore. Tomus primus. 1760. Fol. Case da Fittare. Casa d’affittar a S. Catterina, con tutte le sue comodità, cioè Entratta con Magazzen, Portico, Camere Cucina, Soffitta con terazzi fatti da nuovo in Calle delli Colori, paga all’anno Duc. 40. Le Chiavi sono da quel del Caffè a piedi del Ponte di S. Catterina. Legni arrivati. Adi 27. Marzo. Bracera, Patron Domenico Privilei, venuto da Sebenico, con 5. cai Oglio. 28. Detto. Tartanon, Patron Domenico Pagiarin, venuto da Ancona, e Pesaro, con 45. Balle Gotton. 8. Balla Garzi. 3. Fag. Libri. 12. Balle Lana di Spagna. 3. Balle Pelle di Volpe. 3. Sacchi Cacao. 1. cassetta Perle di Albastro. 1. Mier carne Porcina salata. 29. Detto. Palandra nominata Marie Soffie, Capitan Lorence Nicolau Lorencen Danese, manca da Lisbona 6. Settimane, e 2. giorni raccomandata a sè medemo, con 180. casse Zuccaro. 30. Detto. Burchio. Patron Giacomo Popolin, venuto da Livenza, con 2000. Remi. 31. Detto. Nave nominata Santa Chiara, Capitan Simon Ran Olandese, manca da Peterburgo li 8. Novembre, e da Amstardam li 2. Febraro, raccomandata a sè medemo, con 136. colli Bulgari. 1839. Verghe ferro. 300. colli Lin in Balle, e a refuso. Detto. Tartana nominata Madona del Rosario, e Sant’Antonio di Padova, Capitan Iseppo Camenarovich, manca dalla Valona 2. Mesi, da Durazzo 21. giorno, e Castel Novo 16. giorni, raccomandata a sè medemo, con 35. Miera Pegola. 22. colli Cera. 6. Maurizze Semenze di Lin. 12. Balle cordoani, e Montonine. 100. Balle Tabacco. 417. Balle detto in Fogia. 200. Stera Formento per Transito. 861. Fag., e 2. mezzi Fag. Lana. 4. colli Seda Mazzetti 2388. 4. colletti detta. 5. Fag. Grana. 22. Ballette Damaschini zali Pelle 3444. 35. Ballettine chiussoline Pelle 647. 1. Balla Pelle di Lupi. Pelle Zachali. Pelle di Gatti Salvatichi, e coe di Volpe. 19. Balle Zenie. Detto. Pieligo, Patron Antonio Sorbola, venuto da Piran, con 10. cai Oglio. Adi 1. Aprile. Pieligo, Patron Antonio Quarantaotto, venuto da Rovigno, con 12. cai Oglio. Detto. Pieligo, Patron Vicenzo Friziero, venuto da Primier, con 83. Mazzi canevo. Detto. Pieligo, Patron Antonio Gregorio, venuto da Primier con 83. Mazzi canevo. 1. Balla Telle canevazze. Detto. Trabacolo, Patron Michiel Vice, venuto da Sebenico, con 1000. Stera Formento. Detto. Trabacolo, Patron Tomaso Fachinetti, venuto da Sebenico con 1500. Stera Formento. Detto. Pieligo, Patron Zorzi Lucovich, venuto da Castel Novo, con 1000. Stera Formento. Detto. Pieligo, Patron Nadalin Rosada, venuto da Palma Nova, con 210. Stera Formento a refuso. 500. Stera Formento a refuso. 500. Stera Formenton in Sacchi, e a refuso. Detto. Trabacolo, Patron Vicenzo Scarpa, venuto da Palma nova, con 500. Stera formenton a refuso. 2. Detto. Pieligo, Patron Nicolò Maraspin, venuto da Sebenico, con 4. cai Oglio. 500. Stera Formento. Detto. Bracera, Patron Piero de Pangher, venuto da Capo d’Istria, con 25. Balle Tabacco. 3. Detto. Bracera, Patron Antonio Privilegio, venuto da Sebenico, con 6. cai Oglio. 6. colli Cera. 5. Fag. Pelle di Lepre. 1. Fagotto Pelle di Tasso. 1. Fagotto Pelle di Gatto Salvatico. 1. Fagotto Rame vecchio. Si replica il seguenteAvviso Da quì avanti se alcuno volesse associarsi di nuovo all’acquisto de’presenti Fogli, s’avvisa, che si prendono nuovi Associati a’dì sei d’Aprile, e così di due mesi in due mesi verrà rinnovata l’associazione; sicchè dal giorno in cui alcuno s’affocierà, comincierà la sua associazione di sei mesi o d’un anno dal Foglio dopo i sei d’Aprile. +++ Cambj per le Piazze Estere, corsi addi 5. Aprile 1760. Lione Ducati- 59 1/8 Banco per Scudi d’Oro Sole N. 100. da Lire 3. l’uno. Bolzano Soldi- 132 1/3 per un Scudo da Carantani 93. Roma Scudi Oro Stampe 62 ½ per Ducati 100. Banco. Napoli Ducati Regno 120 1/4 per Ducati 100. Banco. Firenze Scudi- 80 Oro da Lir. 7 ½ per Ducati 100. Banco. Livorno Pezze da 8/r 103 3/4 per Ducati 100. Banco. Milano Soldi- 155 1/4 per un Scudo di Soldi 117. Imperiali. Genova Soldi- 94 7/8 per un Scudo da Lir. 4: 12 Fuori Banco. Anversa grossi- 94 per un Ducato Banco Amsterdam grossi- 90 ½ per un Ducato Banco. Amburgo grossi- 91 per un Ducato Banco. Londra Sterlini- 51 per un Ducato Banco. Augusta Taleri- 98 ½ per 100. Ducati Banco. Vienna Fiorini- 190 ½ per Ducati 100. Banco. Vendesi la presente Gazzetta a 5. soldi, e si ricevono le Notizie. A San Marco. Nella Bottega da Caffè di Florian. In Merceria. Nella Bottega di Paolo Colombani Librajo. Giù del Ponte di S. Polo appresso la Calle dei Savoneri. Nella Bottega di Gasparo Ronconella Librajo. In Venezia. Per Pietro Marcuzzi Stampatore. Con Privilegio.