La Gazzetta Veneta: N. 13
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N.° 13.
Martedì addi 18. Marzo 1760. Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Nivel 2
Metatextualidad
Ci sono certuni, i quali debbono credere, ch’io sia una Sibilla. Mi vengono con polizze domandate Cabale, spiegazioni d’indovinelli, interpretazioni, scioglimenti di dubbii: fioccano i biglietti da ogni lato; io gli leggo, e non trovando in essi cose a proposito per questi fogli, non rispondo: privatamente non mi posso scusare del mio silenzio a chi mi scrive, non sapendo chi sia stato: alcuno si sdegna, e ritocca con polizze nuove, onde ho sempre addosso una tempesta di carte. Ho pensato di scusarmi con certuni in istampa; ognuno si prenda la scusa che va a lui, perch’io dico ora fra me qual chi semina il grano: Germoglierà dove cade.
Alla polizza, che mi domanda ch’io giudichi se sieno migliori le fatture forestiere, o le nostrali, rispondo, che la richiesta è troppo universale; e che le fatture sono di sì varii generi, e io ne so tanto di fatture quanto le fatture sanno di me. E però mi scusi se in cambio di sentenziare gli dirò una novelletta accaduta pochi anni fa in una nobilissima Città d’Italia.
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Relato general
Trovavasi in essa Città Fefautte Musico di professione, a cui soffiava ne’polmoni un certo venticello di boria, che lo rendea in molte cose nuovo, e singolare. Pure, perch’egli sapeva l’arte sua assai bene, e cantava dolcemente, avea molte persone, che per udirlo, lo visitavano la sera, onde in casa sua facevasi una garbata conversazione. Accadde, che una sera fra l’altre venne in quella compagnia condotto un dottissimo uomo, valente in Medicina, e buon Filosofo, il quale per gli arguti suoi detti, e per un certo suo vivere naturale, e quasi alla carlona, veniva grandemente amato da ogni uomo del suo Paese. Era già adunato nella stanza del Fefautte un bel cerchio di persone, quando peravventura cominciò a cadere il ragionamento sopra le fatture nostrali, e sopra le forestiere. Il Musico, che d’oltramare venuto era pochi mesi avanti, si diede ad avvilire quelle de’nostri Paesi, e a mettere in Cielo con le lodi le Inglesi. E dicea: Io per me non voglio altro in vita mia, che lavori d’Inghilterra. Cava fuori un’orivolo, ne mostra uno appiccato al muro, e dice, questi sono d’Inghilterra, fa vedere sedie, Tavolini, armadii, e capo per capo ritocca; questi sono d’Inghilterra; e in tal guisa empie gli orecchi di tutti, giurando ad ogni punto, che in vita sua non volea mai altro che roba d’Inghilterra. Il Medico, che mai non avea parlato, e a cui forse era venuta anche a noja quella vocina di zanzara, e si sentia rodere; balza in piedi, e dice: Ora m’avveggo perchè V. S. è Musico. Certo ell’ha gittata via la tal parte di sè, perchè non era d’Inghilterra. Così detto, mettesi il cappello, e va a’fatti suoi. Ogni paese ha le sue fatture particolari, che sono le migliori; e la natura è liberale d’ingegni in ogni paese.
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Relato general
Sono pochi giorni passati, che andò un Uomo alla bottega d’un Caffettiere che sta a . . . . . e dissegli. Subito quattro Caffè alla tal casa, ch’io gli attendo quì fuori, e nominò un casato degno di rispetto: mentre che il caffè bolliva, colui metteva di quando in quando il capo, dentro e dicea: Fate tosto per amor del cielo. Quando ogni cosa fu all’ordine, esce il giovane della bottega con una guantiera di metallo, e quattro belle chicchere, e un vaso da zucchero di porcellana, e trova l’uomo fuori; il quale gli dice: Il Tè dov’è? Risponde il giovane: Io non udii di Te: Oh sordi! grida l’altro: Io ardo di fretta, e qui s’ha ancora ad indugiare. Tosto fa un Tè, e da a me quì quello, ch’è fatto, ch’io vado avanti. Così detto prende la guantiera, e dice: Io ti prego spacciati, e col Tè viemmi dietro. Il Giovane rientra, si sbriga, va alla casa, non trova ordine alcuno; che l’uomo avea ordinato per se, e non per altrui.
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Relato general
Un giorno di questo mese in Calle larga a San Lorenzo, fu picchiato ad un uscio. Affacciasi una Signora alla finestra, e vedendo un uomo con un Canestretto d’erbe chiede, chi v’ha mandato? Rispose: mandami l’Erbolajo mio Padrone; io non so poi chi abbia commesso a lui, che vi mandi quest’erbe. Al nome sia del Cielo, disse la Signora, venite; e apre. L’uomo sale la scala, lascia il canestro, torna giù, e chiude l’uscio con romore; ma non esce, anzi in iscambio, di nuovo fa la scala, ed entrato in una picciola Stanza appiattasi sotto ad un letto. Di là a poco giunge una Signora amica delle Padrone, le quali l’accolgono appunto nella Stanza, ov’era appiattato il ladro. Fanno cerchio, ragionano, entra un cagnuolino gira attorno al letto; ma senza abbajare fa attucci, ringhia, arriccia il pelo. Le Signore lo chiamano, gli sgridano, ed egli pur saldo. Mentre ch’esse giudicano, ch’egli vegga qualche gatto, il ladro, che forse stava a disagio allunga un pochetto una mano, e tutte la veggono. Pensi ognuno quello che fu delle povere Signore, e qual animo ebbero tutte. La voce si chiuse loro in gola, uscirono tutte della Stanza, più che di fretta. Ma la furia del ladro fu maggiore, perchè sbucato di là come una folgore, fu in istrada, prima ch’esse avessero aperte le fenestre, e chiamato soccorso. Di là ad un’ora picchia un altro, e chiede il canestro, dicendo, che il compagno suo aveva sbagliato la casa. Le Signore gli fanno buon viso, e l’invitano a salire, e a prendere il canestro. La soverchia cortesia diede indizio, che la trama non era riuscita, ond’egli senz’altro dire si partì dall’uscio; e lasciò le Signore sconsolate, che aveano forse intenzione di pagar lui, anche di quello, che doveano al suo Compagno.
Metatextualidad
Sono grandemente obbligato ad un valentuomo, il quale parecchi giorni fa m’ha favorito della polizza, che segue. Egli ha gran ragione, ond’io non tocco pure una parola della sua scrittura, e quale mi fu da lui inviata la presento al Pubblico.
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Carta/Carta al director
L’idea della Gazzetta Veneta non può essere certamente più giusta, e non v’è cosa, che in qualche circostanza alla Società recar possa maggior vantaggio. Questo vantaggio sì è lo scopo principale, a cui essa mira, e perciò tutto quello che procaccia utile al Pubblico, e singolarmente al Paese in cui siamo, io mi dò a credere, che dagli Autori di quella, sarà stimato degno di essere nella Gazzetta inserito. Se così è, ecco un
Suggerimento a’Libraj, utile al pubblico e utilissimo a loro.
Non abbisognano solamente i Libraj di suggerimenti. Quello ch’io fo ad essi, altri possono fare ad altri d’altro mestiere. Ricordisi al pentolajo nuova maniera di pentole, ma più durevoli. Diasi lume di nuovo stromento al Tessitore per tessere in un dì quel ch’egli tesse in due; Trovisi cosa, che abbreviar possa la fatica degli Uomini, ed accrescerne gli agj. Tuttociò che illustra le Arti e le Scienze, benchè sembri cosa da niente o leggiera, merita l’approvazione de’saggi, poichè da molte piccolissime cose non di rado risultane un grandissimo bene. Dobbiamo noi sempremai dall’estere Nazioni lasciarsi nello inventar sopraffare?
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Cita/Lema
Negli Atti delle principali Accademie vengono indistinte a foggia di miscellanea stampate Dissertazioni d’ogni fatta a ciascun’Arte, e a ciascheduna Scienza spettanti. V’ha dunque in essi di che soddisfare ogni genere di Persone studiose, ma non sono essi libri, a vero dire, per tutti. Hannosi a comperare a carissimo prezzo, ed ogni galantuomo non ha sempre onde acquistarli. Il Matematico ne abbisogna per le Dissertazioni, che su le Matematiche versano; il Medico per quelle, che colla Medicina hanno relazione, l’Astronomo per le sue, e lo stesso dicasi del rimanente. Pertanto accade talora, che in un Tomo ben grande non trovi o’l Medico o l’Astronomo o’l Matematico se non sè poche pagine, che gli confacciano, e deve tuttavia, se ha brama di vedere o nuovi ritrovati al mestier suo appartenenti, o goder nuovi lumi, che gli ponno senza dubbio giovare, deve egli, dico, se non ha da gittarne, come avviene sovente, smembrare per provvedersene la metà del suo patrimonio. Bella cosa per conseguenza sarebbe, che uno Stampatare avveduto, da illuminata Persona diretto scegliesse dalle Accademie tutte con ordine di tempo le Dissertazioni, e separatamente stampassele secondo le sue proprie classi. Si potrebbe cominciare per saggio da una soltanto, da una vale a dire, che probabilmente avesse più spaccio. Potrebbe esser questa per esempio la Classe della Medicina. Sotto ad essa verrebber la Chimica, la Botanica, l’Anatomia, la Chirurgia, la Storia naturale, la Materia Medica, le Osservazioni Pratiche ec. Ogni Anno stringerebbesi in poco tuttociò, che dai valentuomini delle cospicue Società Membri in un Anno vien detto di cose alla Categoria Medica relative. Questi sarebbero Libri da chiamarsi con ragione sicuri. L’esito a giudicio mio non può non aversene. Recherebbero certamente d’altra parte al Pubblico più di vantaggio di quello che ne facciano cogli estratti loro succintissimi delle Opere straniere lontane gl’innumerabili odierni Giornali.
Metatextualidad
Fui graziato di due polizze. Contengono due novelle. L’una ha un costume da Manuscritto, non da Stampa; l’altra è questa.
Nivel 3
Relato general
Martedì sera, alle ore 5. della notte passò il ponte di Rialto un forestiere, il quale stando di casa a Sant’Andrea, non sapea la strada, e trovavasi grandemente impacciato. Parevagli d’essere in un bosco, guardava ove dovesse aggirarsi, e qualche parola gli usciva di lamento. L’udì quel Cieco, il quale è usato a stare sulla sommità del Ponte, e gli domandò, che avesse. Il Forestiere gli conta il caso. Il Cieco si leva, e gli dice: Vi guiderò io. Quegli si tiene beffato. Pur finalmente per avere compagnia consente. Prendesi il Cieco la sua picciola sedia sotto il braccio, e diventa, come dire, lanterna di quello, che avea la vista. Voltasi di quà, voltasi di là, come se avesse gli occhi di Lince, e lo guida all’uscio di sua casa, per via d’indzii. Il Forestiere quasi smemorato, gli da la mancia; e da quella sera in poi non fa limosina ad altri, che a’ciechi.
Metatextualidad
Bella è (sic.) graziosa richiesta è quella, che mi vien fatta da un incognito, il quale intende, ch’io sgridi contro all’incostanza delle femmine, perchè una l’ha piantato, e vorrebbe, ch’io provassi, ch’ella ha il torto. Prima, mi perdoni esso Signore, converrebbe, ch’io vedessi, che viso egli ha, ch’io sapessi i costumi suoi, e forse forse, ch’io fossi informato delle sue rendite: e poi ancora non m’impaccerei a dire nè bene nè male. Non so s’egli abbia veduta una certa favola di Pigmalione. La non sarebbe quì forse fuori di proposito.
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Utopía
Pigmalione valentissimo nella statuaria, fece una Statua così bella, che s’innamorò di essa. Tanto pregò gli Dei, che la diventò una femmina. Essa che non avea veduto mai altro, che Pigmalione, ricevette a poco a poco tutte le idee, e i pensieri da lui; e per lui s’accorse, ch’era al mondo, e ch’era viva; intese quello, che fosse vita, e mondo da lui, e in somma il cuore, e la testa le vennero dagl’insegnamenti di Pigmalione formati, come poco prima le avea formate le membra. Di che essa gli avea una grandissima obbligazione, e glielo dicea mille volte al giorno. Avvenne che Pigmalione volle far sapere la sua fortuna a diversi suoi amici, e ne invitò una buona quantità a cena, alla quale v’era anche la sua statua divenuta femmina. Ella dunque fra molti giovani, che quivi erano, pose gli occhi addosso a uno, e se n’innamorò. Avvidesi Pigmalione di questo, perchè da quel dì in poi, la donna non gli si mostrava lieta come prima, e seco si dolse; ma ella piangendo gli fè conoscere ingenuamente, che fra tutti i sentimenti, che insegnati le avea, non le avea insegnato quello dell’amore; e ch’egli fino a quel punto s’era ingannato, prendendo un effetto di civiltà per amore. Non so quello, che Pigmalione si dicesse; ma io non saprei come dare il torto alla Donna.
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Nella Gazzetta Economica, d’Augusta, o come in Tedesco vien nominata: Foglio dell’Intelligenza, leggesi questa notizia, che per la sua curiosità mi par degna d’essere quì riferita.
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Cita/Lema
Jacopo Giovanni Venceslao Dobrzensky Dottore:
Del modo di fare Nani con arte.
Del modo di fare Nani con arte.
Cita/Lema
„Il dottore Marco Marci mi raccontò, che un Religioso gli domandò una volta, se fosse possibile il fare Nani con mezzi naturali. Imperocchè egli conosceva un pover uomo, il quale soleva ungere la spina del dosso a’suoi fanciulli nel giorno in cui nascevano con certi grassumi mescolati di varii animali. Di che avveniva, che l’ossa d’essi bambini induravansi in guisa, che non crescevano più, ma rimanevano piccolini, ed essendo cari in tal maniera a’Signori grandi, davano in tal guisa a’parenti loro un copioso mantenimento.”