Mercordi 11. Luglio 1787.
Una Dama, che onorò col
suo nome l’Assocciazione a questa Gazzetta, ebbe la compiacenza di pingerci in quattro righe il
carattere del Piovano della Villa ov’essa ritrovasi.
La relazione suddetta ci richiama alla memoria quella Parodia di Pope sull’Epigramma di Marziale:
Vitam che saciunt beatiorem,
Jucundissima martialis, baec sunt . . . . .
Un Pastore, dice l’Anglico Omero, è felice più d’un Mylord, quand’egli abbia una moglie, che sappia far delle confetture, un cavallo che possa portar due persone, della birra, del tabacco, la decima dei majali, alcuni funerali, e la gazzetta ogni settimana, senza spesa di posta.
Gli è necessario altresì una Concordanza in foglio, le Croniche d’Inghilterra, un grosso Calepino
da mettere sotto un piede della sua tavola per tenerla dritta, e dei Sermoni stampati al tempo di
Carlo Primo quando non era che Principe, affinchè il nostro Pastore non abbia
più a dire ai suoi Parrocchiani: Fratelli miei, io vi mostrerò nel mio Primo
Punto . . . . Vi farò veder nel Secondo . . . . Ma in due parole, e per abbreviarla . . . Ecco tutto il soggetto di
questo discorso, e della favorevole vostr’attenzione.
Quando Voi possederete tutte queste cose, Signor Parroco, passerete lietamente con vostra Moglie
la vita: predicherete tutte le Domeniche, e poi pranzerete bene: potrete bere tutto il resto della
settimana col Sindico e col Santese, alla salute del Re e della Regina, e burlarvi delle arguzie del
Dottor Svvift.
Tutti i Critici più famosi, da’primi Secoli fino al nostro, e in tutte le
Nazioni, nel dipingere i costumi degli uomini ci fanno toccar con mano, che in ogni tempo e in ogni
luogo sono stati sempre gli stessi. Si trova della varietà ne’modi: ma nell’essenziale delle
passioni s’assomigliano in ogni Paese, e i moderni diversi non son dagli antichi. Chi ha letto
Giuvenale ed Orazio può dire se sia questa una verità di
giusto peso. Ne’lineamenti caratteristici del Pastore di Pope, quanti e
quanti non riconosceranno de’nostri Parrochi di Campagna! C’è la differenza dall’avere la Moglie al
non averla: ed in questo i nostri Preti, oltre all’essere illesi dagli errori della Riforma, hanno il pregio della castità.
Lunedì, 9. corrente s’è riaperto il Banco Giro, servendo
all’annuo costume che fa sempre cadere nel secondo Lunedì del presente mese una delle sue quattro
riaperte. Dall’incessante giro, che fanno in esso i danari, prese questo Banco la sua denominazione.
Le quattro Serrate del medesimo ebbero il loro stabilimento dalla necessità di fare i generali
bilancj della Scrittura che si tiene a lire, soldi, e danari. È tale il credito di questo Pubblico
Banco, e son sì note le Leggi alle quali lo rese soggetto l’Eccellentissimo Senato per garantire gli
altrui capitali contro tutte le frodi possibili, e gl’immaginabili errori, che inutile sarebbe il
parlarne.
Nel seguente Martedì si celebrò la Festa di S. Paterniano nella
C. P. C. dedicata a questo Santo Vescovo, la cui antichissima origine viene determinata dagli
Storici all’anno 809. Soggiacque alla distruzione d’un incendio nell’anno 864. In cui la Famiglia
Patrizia Andrearda, unitamente alla Bancanica, Fabiana e Muzza, la riedificarono di tavole. Il Doge Candiano IV. assegnò certe rendite al parroco per il suo mantenimento. Fu
nuovamente distrutta da un fuoco acceso dal popolare furore nel 976. e un anno dappoi eretta di
mattoni da’suoi fondamenti. Ne’Secoli posteriori le fiamme distruggitrici tornarono ad incenerire
questo sventurato Tempio, prima nel 1105., poi nel 1168., indi nel 1669. La pietà de’Cittadini lo
fecero risorgere dalle sue rovine colle loro elemosine. Era adornato d’otto superbe colonne di marco
Greco trasportate da Costantinopoli, allorché i Veneziani furono padroni di quella gran Capitale.
Quelle ch’esistono tuttora, impiegate furono per serbar in qualche maniere l’antica forma di questa
Chiesa, e son pur esse pregievoli.
In memoria d’una vittoria gloriosa ottenuta dall’armi Venete in un combattimento Navale contro
de’Turchi nel 1651. per Decreto dell’Eccellen-Marco vanno ogni anno a cantare in questa Chiesa la Messa nel giorno del
Santo suo Titolare, in cui v’è Indulgenza Plenaria conceduta dal Papa fino dal 26. Maggio 1651.
Non resta a parlare che del suo campanile, il qual è annoverato trà le meraviglie di Venezia, perché l’umana sapienza non è finora giunta ad intendere la sua architettura. Venne fabbricato il medesimo nel Secolo decimo da alcuni Artigiani, che sottratti alla dura schiavitù delli Saracini, vollero erigerlo a proprie spese per mostrare la grata lor divozione al Santo Vescovo di cui avevano implorata la protezione. Questo monumento d’antichità sussiste ancora per onorare la memoria di que’buoni artefici, e per far disperare chi studia di voler capire l’idea della loro costruzione.
La Sagra di questa Contrada non è nel numero di quelle, che chiamano a
concorrervi il Popolo: nondimeno i frittoleri vanno ad assordare colle loro
grida, e la riscaldano co’loro fuochi. Peccato, s’udì dire una Vecchia abitante in tale Parrocchia,
peccato che la gente sia in Campagna. Se questa Sagra non venisse in tempo di villeggiatura, San Paternian non avrebbe soggezione né di Santa Marta né
del Redentore. All’amore della Patria và dietro quello della Contrada, e il
microscopio della parzialità ingrandir sa le più piccole.
Savj di Terraferma si radunano tutti alla Rassegna delli
Soldati, quando veramente non vi presiede che l’attuale alla Scrittura. Un
anonimo Biglietto ce lo rinfaccia, e noi confessiamo d’aver ciecamente copiato l’errore dallo
Spagnuolo Sig. Ab. Tentori ove dice, di essi parlando: e
tutti finalmente assistono alla rassegna de’Soldati. Se la memoria non ci avesse traditi al
punto di ricorrere alla sua autorità, avremmo potuto correggere il passo, senza ridursi alla
necessità di ritrattarsi.
Marco Regolo San
Bonifazio Nobile Padovano, Exgesuita, è un Oratore d’una fama sì estesa, e d’un merito sì
conosciuto, che supera qualunque elogio. Tante e tante volte egli ha decorato i pulpiti più insigni
di questa Città, con Quaresimali, Annuali, Ottavarj, e Panegirici, che non v’hà ascoltatore di
Prediche, che non veneri l’illustre suo nome. Attualmente egli spiega la Sacra Scrittura ogni
Domenica nella Chiesa che ancora dicesi de’Gesuiti, benché questa Religione sia estinta. Il concorso
è tale ch’empie quel Tempio capace di tanta gente, ed è sensibile il profitto degli Apostolici suoi
sudori, da’lumi che agevolmente riceve l’Udienza, e dall’effetto che fa ne’divoti suoi cuori la
evidenza delle di lui dimostrazioni, e la morale Evangelica che vi applica con un metodo il più
suasivo ed acconcio. Incapaci di tessere una lode corrispondente all’eccelso suo merito, noi
dobbiamo contentarci di far eco ai comuni applausi.
Il vostro Foglio può servire di mezzo ad usare degli atti d’umanità.
Abbiate la bontà d’inserirvi questa Lettera, che contiene le grida e i lamenti della
disperazione. Acerba me coegit necessitas.
Quando dall’opulenza si cade nella povertà, il minor male è di travagliare per
vivere; ma allorché dopo aver languito tre anni nella miseria, provando successivamente le più
crudeli sue estremitadi, non si può ritrovar da sussistere colle proprie fatiche nella Capitale d’un
Popolo Cristiano, dove bene o male ognun trova da collocarsi; dove la razza cagnesca tanto
accarezzasi, e la spezie umana è sì degradata; questo e ciò che tollerare non posso, perché
finalmente vaglio qualche cosa ancor io, come gli altri.
Ho avuto de’beni di fortuna: li ho dissipati, ma meno per me che per i parenti
e gli amici. Nella felicità resi a molti servizio, nelle disgrazie non son mai giunto a poter
incontrare delle obbligazioni con chicchessia. Ho io offeso alcuno? Nò, perché nulla devo, nulla
temo, e non trovo nulla.
Quante volte nella mia miseria, passando dinanzi, non dirò alle Case, ma ai
Palazzi di certuni ch’ebbero d’uopo di me, e ch’ora tengono tavola aperta, invidiai la condizione
de’loro Servi! Fosfori
nati dalla putredine, sdegnano tutto ciò che ricorda la loro origine; ed alla
ingratitudine più abbominevole, aggiungono la maldicenza, il disprezzo, la detrazione, la Satira,
contro chi li ha sfamati, e potrebbe farli arrossire se non ne isfuggissero tutti gl’incontri, e non
istudiassero di tener lontani dalle loro abitazioni i testimonj autorevoli della loro antica
bassezza.
Quante volte ho scorso il Labirinto de’Forensi cavalli, dove trovano di che
vivere tanti Scribi ignoranti, e tanti scorretti Copisti, senza poter mai ottenere verun impiego, ad
onta della mia capacità!
Quante volte corsi come un Levriere da un Caffè all’altro, dall’una all’altra
adunanza, sulla lusinga di collocarmi in qualche posto vacante. Sempre giunsi tardi, o si trovò
ch’io non era a proposito.
Quante Lettere non ho scritto per reclamare della protezione, un impiego,
de’soccorsi; le cose in somma le più semplici e facili ad ottenere: promesse quante ne volli, mai un
fatto.
Avevo ritrovato due opportune occasioni d’impiegarmi: ma non essendo in istato
di comparire colla necessaria decenza, non sapendo più a chi ricorrere, mi son rivolto, cogli altrui
consigli, ad una persona che poteva soccorrermi senza incomodarsi. Le dettagliai la natura
dell’impiego, il luogo in cui esercitarlo io doveva, gli emolumenti ad esso assegnati, e le proposi
la restituzione della piccola somma che abbisognavami, sopra i prodotti di esso. Esibii
testimonianze della mia onoratezza, pregai, ripregai, dissi quanto può suggerire una eloquente
necessità: ma nulla, e poi nulla.
Dipinsi in molte Lettere la trista mia situazione ad un uomo ricco e
generosissimo, dal quale non ho ricevuto che il nome alla Fonte Battesimale, ed un zecchino di
mancia in certa occasione, che mi fece onore in Collegio.Buono ed indulgente con tutti, fu con me assai diverso da sé medesimo, e le
suppliche mie lagrimevoli ottenuto non hanno che de’pungenti rimproveri tinti nel fiele dell’astio,
non saprei con quale ragione, perché in nessun conto gli sono mai stato a carico.
Io vorrei nondimeno esistere anco a dispetto della maligna mia stella, perché
non son ancora alla metà della mia carriera, avendo ventinove anni soli d’età, senza aver fatto
nulla che meriti il supplizio di morir di miseria e di fame. Son ripieno di volontà d’esser utile:
non importa a che; perché finalmente a qualche cosa son buono. Orfano sino dall’infanzia, son
assolutamente isolato, come tutti gl’infelici, che si fuggono nelle avversità quanto si avvicinarono
nelle fortune. Ho pregato, supplicato, sollecitato una infinità di persone a proccurarmi
qualch’occupazione, non ho potuto trovarne da me, sono scordato ed abbandonato da tutti, che
vegetare mi lasciano.
Signor Gazzettiere, voi siete l’unica ed ultima mia
speranza. Non credo, che vi sia male a farsi conoscere in pubblico per un uomo che cerca ed ama un
impiego. Consumai tutto il mio, gli è vero: ho una massima parte di questa colpa; tutti me la
rimproverano; ma in buona coscienza ho per questo da fare und salto dal Campanil di S. Marco, o
d’affogarmi nella Laguna.
Il vostro Foglio comincia a dilatarsi, non meno in questa Capitale, che
ne’Paesi ad essa soggetti, e in qualcuno degli Stati Esteri. Se nella totalità de’suoi leggitori
ritrovasi una sola persona che si compiaccia d’impiegarmi in qualche maniera, purch’io possa
esistere, avrà luogo di ritrovarsi soddisfatta de’miei sentimenti, perché son un buono ed onesto
individuo. Vi sarà chi risponda per me, e proverò colla mia esattezza, e colla mia gratitudine, che
sono uno sventurato d’una spezie particolare, che vorrebbe guadagnarsi il pane co’sudori della sua
fronte.
Se avrò la fortuna di ritrovare questo Essere benefico, egli sarà il primo da
me sperimentato. Quanto lo amerò, e con qual zelo sarà servito da me! Quanto vi ringrazierò, Signor
Gazzettiere, se la beneficenza mi verrà dal favore che vi dimando! Non assegno ricapiti. Parlo al
Pubblico, e m’aspetto qualche risposto in istampa. Se poi volesse taluno darvela particolarmente,
non avete che ad accennarlo su questa vostra Gazzetta per farmi da voi conoscere.
Abbiamo da un Foglio oggi ricevuto, che l’Opera Giocosa intitolata La
Moglie Capricciosa, che si rappresenta nel Teatro Dolfin di quella
Città, ha un incontro niente più che mediocre. Vi sono moltissimi Forastieri, trà i quali una
quantità di Veneziani. Il Caffè del Gobbo in Piazza ha un concorso tale dalle
24. fino all’ora del Teatro, e dal mezzo giorno fino a Vespero, che forma un brillante delizioso
spettacolo. Domenica dopo pranzo s’unì il gran mondo al Caffè fuori della Porta di S. Tommaso a godere il fresco, e il passaggio di molti Legni e Sediolini in cui alcuni Signori Trevisani sollazzansi.
La Campagna ha il più favorevole aspetto. La raccolta del formento mostra d’esser copiosa, e se la siccità non delude le comuni speranze, non sarà inferiore quella del grano turco, e del vino.
Dopo un anno di malattia, a cui assistì il nostro Dot. Carlo
Allegri, mori Maddalena Fagiotto vedova del qu:
Antonio, in età d’anni cento e mesi sei. È tanto raro, che il corso della
vita umana giunga ad un Secolo, che la notizia può meritar luogo nella vostra Gazzetta. Ve ne
aggiungo una di più interessante.
Sapete quanto sia difficile l’entrare in questo Nobile Antenoreo Consiglio. Per
favorire il commercio del Lanifizio di questa Città, l’Eccellentissimo Senato Veneto con suo Decreto
dell’anno passato abilitò a poter fare la prove in esso prescritte di quattro età, li nostri
mercanti da panni, che sono nel Collegio detto del Lanifizio, indi colla
votazione delli sedici Nobili Deputati esser ammessi al Consiglio Nobile. Questo è il primo ed unico
caso in tal genere. Li primi, che parteciparono di questo pubblico beneficenza furono li Signori
Fratelli Bia ed il Signor Ogniben Cusiani, tutte e due
Famiglie doviziose e delle più accreditate nella Società Mercantile, che accoppiano ne’loro
individui le più pregievoli qualità. Questi ressero alle prove, e con pienezza di voti furono eletti
Nobili di questo Consiglio nel dì 30. del Giugno p. p.
In tale occasione fu composto per l’Illustrissimo Sig. Dot. Stefano Bia, e dedicato all’Illustrissimo Signor Gianfrancesco suo
Fratello, il seguente
In segno di stima, ed amiciziaGio: Sartorio Orfato.
Con molto fondamento s’è sparsa trà noi la voce, che il Zardon attuale Impresario di Vicenza, possa per il prossimo venturo Autunno darci un’Opera
seria in questo Teatro degli Obizzi, col celebre Cantore Marchesi, che non potrebbe fermarsi ne’Teatri di Venezia, atteso il suo impegno d’esser a Torino
per il primo di Decembre.
Nel territorio di questo Città è caduta l’altr’jeri una grandine così grossa,
che percuotendo le mani a Postiglioni, che trovavansi in viaggio, fece loro uscire il sangue, e li
ammaccò in altre parti.
Checchia nom. Madonna delle Grazie e S.
Gio: Battista Cap. Francesco Biasini Veneto, con can. 10. e mar. 12, per Smirne e
Costantinopoli.
Partirà entro il mese corrente.
T. Dom. Bressan Mezzano.
Adì 7. Luglio 1787.
Pielego San Francesco P. Andrea Patota Veneto,
da Zara con poco oglio.
Ad. Detto. Trabacolo nom. S. Iseppo P. Zuanne Supisich Veneto, da Zara con castrati e oglio.
Ad. Detto. Pielego Mad. dei Carmini P. Zorzi Benuzzi Veneto, da Zara con poco oglio.
Ad. Detto. Brac. Sant’Euffemia P. Domenico Rismondo
Veneto da Spalatro e Traù con soli
Tramessi.
Ad. Detto. Trab. Mad. del Rosario P. Paulo Maras Veneto
da Zara con Bovi e poc’oglio.
Ad. Detto. Checchia Rondinella Cap. Everst Olandese
da Amsterdam con legno da colori, caccao, cannella,
garofoli, pevere, e droghe diverse.
Ad. 9. Detto. Brigantino la Giovanna Cap. Giovanni
Petrina Veneto da Genova e S. Maura, con sale.
6. Luglio 1787.
Roma sessantatrè e tre ottavi.
Napoli cento diciassette e tre quarti.
Livorno cento e due e un quarto.
Milano cento e cinquantadue e mezzo.
Anversa novanta e un terzo.
Amsterdam novantatrè e mezzo.
Londra cinquantuno e mezzo.
Augusta cento e tre.
Vienna duecento.
Parigi cinquantasette e un quarto.
Questa s’è accennata nel Foglio p. p. Sabbato, ma se ne rinnova nel presente la memoria
perché l’affar è importante; e molto può accomodare e tentar qualche Possessore, una somma
considerabile. La Nobile ricca Persona, che vorrebbe farne l’acquisto, lo brama in situazione comoda
e bella. L’indirizzo è dal mentovato Speziale da Medicine a SS. Apostoli.
Nelle vicinanze di S. Luca o S. Angiolo,
un uomo solo desidera di trovare una camera grande, chiara e bon fornita, in casa di onesta gente.
Il suo ricapito è al Caffè a S. Luca in Calle dei Fuseri
ove potrà darne l’avviso chi ne avesse una a proposito, e colà prendere le debite informazioni
di chi la ricerca.
Questo prodigioso rimedio giova moltissimo particolarmente a quelli, che principiano ad
esser sordastri, ed impedisce l’avanzamento alla maggior otturazione degli organi auriculari; e
adoprato col metodo prescritto nella Ricetta, risana in pochissimo tempo. Si dispensa in picciole
boccettine del peso di un’oncia al tenue prezzo di soldi dieci; e se alcuno ne desiderasse di
maggior peso ve ne saranno; sempre a raguaglio dello stesso prezzo. Chiunque volesse approfittarsi
di questo singolarissimo specifico, si porti dal Sig. Giacomo Pompeati, che
n’è il dispensatore, il quale abita in casa del Sig. Pietro Piati Calderajo
in Salizada a San Canziano, che sarà prontamente servito.
Una povera Donna solita a vender zucca in campo a S. Polo si
diede molte ferite con una forbice. Il volgo crede, che sia impazzita perché essendo fresca dal
parto, il fetore del canale vicino a cui ella abita, prodotto dallo scavare il fango, le abbia
guastato il cervello. Decidano i Fisici se una tal causa possa produrre simile effetto.
A Chiozza certa Elena Montichia, che sevi in Casa
delli Signori Conti Coleti in qualità di cameriera, alle ore 18. del giorno
9. corr. si lanciò nuda da un balcone del Secondo Piano della sua Casa, e da lì a tre ore mancò di
vita. Nel dì 7. del passato Marzo aveva tentato d’affogarsi essendosi gettata in acqua dal ponte di
San Domenico, ma un uomo poté salvarla. Le convulsioni interne alle quali era
soggetta, la resero frenetica, e risoluta di liberarsene con un suicidio.
Il Reverendo Signor Don Giambattista Vescovi Suddiacono Titolato
della Parrocchia di Santa Margherita.
Dalla Stamperia Zerletti Venezia.