Gazzetta urbana veneta: Num. 12
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Nivel 1
Num 12. Sabbato 9. Febbrajo 1788.
Dal Zante Una Lettera
giunta da quell’Isola in questa Città per la via di Trieste in
data delli 29 del p. p. Decembre porta, che la notte delli 20
del mese medesimo venendo li 21 si sentì colà alle ore due e un
quarto un tremuoto de’maggiori, e di più lunga durata di
quant’altri si ricordino da quegli Abitanti. Venne dalla parte
di Ponente fu ondulatorio non subsultante, e si andò rinforzando
a gradi durando il maggior impeto per tre minuti primi, dopo i
quali si diminuì la sua scossa fin che cessò affatto. Successero
a questa altre cinque piccole scosse fino alle ore cinque, e si
teme qualche cosa di peggio, il che Dio non voglia. A riserva
d’una Casetta atterrata, la cui Famiglia potè salvarsi, non
avvenne alcun male.
La seguente Relazione fu recata dal Colombani
l’altr’jeri. In sul finire della notte di Martedì decorso,
ultima del Carnovale, dopo infinite dimostrazioni di allegria,
che diede in tutte le forme possibili e convenienti alle feste
baccanali, questa lieta e buona popolazione, raccoltesi nella
gran Piazza di San Marco tutte le Maschere del ceto civile,
vestite per la maggior parte della maschera a bauta ordinaria
del Paese, se non che resa men tetra da bellissimi nastri e
fiorami, che quasi tutte portavano sopra il capello, formarono
un grandissimo cerchio, o sia Catena ad uso de’balli, che
occupava la maggior parte della Piazza, nel di cui centro alcune
di esse Maschere fecer un minuetto a cavalchina con musica
composta da pochi stromenti, che a caso là s’attrovavano, ma più
da certi flautini che in tali giornate sogliono avere le
Maschere co’quali si vanno graziando scambievolmente
all’orecchie penetrantissimi fischj. Dopo ciò, era
già spuntato il giorno, quando da più di cento cinquanta delle
stesse Maschere, coll’assistenza laboriosa di quattro Direttori
si formò un lunghissimo cordone, alla di cui testa una persona
di eminente statura graziosamente mascherata da Spagnuolo
militare, e con perfetta armonia senza che per tutta la
bellissima marcia sia nato il minimo inconveniente, si
procedette per il gran Ponte di Rialto, e dopo aver formato un
nuovo cerchio nel campo di S. Polo, ove fecero le più giocose
acclamazioni, ed evviva, continuò la marcia fino al traghetto di
S. Tommà. Ivi fù graziosa la sorpresa, e la confusione
de’Gondolieri per traghettare un tanto numero di persone, le
quali divisesi a piccole partite in tutte le gondole del
traghetto, e smontate all’opposta riva, si schierarono sopra la
riva stessa, e presero congedo per mezzo di acclamazioni, di
graziosi cenni, e di fazzoletti spiegati a guisa di bandiere
dall’altra porzione della festosa brigata rimasta alla riva
opposta, perché le gondole non furono sufficienti a fare il
tragitto in una sol volta di tutta la comitiva. Per tutto il
lunghissimo cammino già descritto per vie talora angustissime in
mezzo alla moltitudine de’lavoratori, e bottegaj, che già
uscivano dalle loro case per portarsi alle officine non è
successo il minimo inconveniente; ciò che non reca stupore a chi
già per infinite altre maggiori prove conosce l’ammirabile
docilità, e mansuetudine della nostra Nazione. Se merita giusti
elogj la marcia regolata di uno squadrone composto di Soldati
preventivamente tanto istrutti, certamente molto più era
sorprendente vedere ben condotta per sì lunga strada, e ridotta
a varie evoluzioni, ora circolari, ora quadrate, ora alla
sfilata, una squadra di persone ignote fra se stesse, e tanto
lontane da disciplina, quanto che ignoravano il pensiere de’loro
Direttori, i quali scorrendo con grandissima fatica da un capo
al fine del cordone lo comunicavano sul fatto a cadaun individuo
della brigata, che con mirabile condiscendenza, e subordinazione
volentieri concorreva nell’intenzione dei Direttori stessi.
Carte Pubbliche. Li N. N. U. U. Governatori dell’Ospitale della
Pietà, deputati alla vendita degl’infrascritti bene, e
l’Eccellente Sebastiano Zocchi come deputato dal Magistrato
Eccellentissimo sopra Ospitali per conto di quello
degl’Incurabili, si porteranno sopra il Pubblico Incanto nella
Sala dello Scudo il giorno 11 Feb. cor. per il primo Incanto per
essere deliberati nelli susseguenti Incanti al maggior offerente
con riserva delle Polizze secrete. Il prezzo dell’acquisto, o
acquisti dovrà essere con legnato per metà liberamente
all’Ospitale della Pietà e l’altra metà depositata nel
Magistrato Eccellentis. sopra Orpitali per esser dato a chi sarà
di ragione. Le spese tutte d’Acque, Messettaria, Grammatici,
Notajo, Comandador &c. cadranno a peso del compratore. A
lume degli offerenti sia noto, che non potranno essere turbati
negli acquisti con titoli di prelazioni, e ciò in esecuzione
della legge del Serenissimo M. C. 20. Sett. 1767. In Villa
Trefiegole Territorio Padovano Campi 22 affittati al Signor Gio:
Marin Carlin pagasi d’affitto formento St. 28 Vino
mosto mastelli 28 contanti lir. 62 Regalie. Capponi Paja 8
Pollastri p. 3. Galli p. 3. Ovi num. 100. Campi 8 circa con Casa
di muro affittati ad Antonio Talier senza ristauro Duc. 52.
Chiusura con Cason affittata al sud Duc. 16. Diversi Pezzi di
Terra parte arativi, e parte prativi, delle quantità in cui si
trovano con Case, il tutto affittato a Paolo Isoletto Duc. 26.
Onoranze. Da Natale Capponi P. 1. Da Carnovale Pollastre P. 1.
Da S. Pietro Galli P. 1. Da Pasqua Ovi num. 50. Casetta con un
Campo ca. sopra l’Arzeron che và a Miran affittata a Lor.
Battillana Duc. 17. Onoranze. Da Natale Capponi P. 1. Da
Carnovale Galline P. 1. Da S. Pietro Galli P. 1. Da Pasqua Ovi
num. 50. Chiusura in più Pezzi affittata a Bart. Carraro per
l’anno Duc. 18. Onoranze. Da San Pietro Galli P. 2 ovvero L. 6:
4 in contanti. Furti. Lunedì 4 cor. alle ore 14 appena aperta la
Chiesa di S. Marina s’introdusse un ladro che rubò due
candelotti all’Altare del Santissimo. È molto, che i frequenti
castighi non ispaventino questi malvagj. Trionfo dell’Innocenza.
Era carcerato per forti indizj di latrocinio domestico un
Servitore di cui si scoprì l’innocenza, che fu fatta
pubblicamente conoscere dal Collegio de’Signori di notte al
Criminal uno de’cui Fanti lo accompagnò Giovedì coperto delle
insegne della sua Carica per tutta la Piazza e la merceria e
sino all’Abitazione dove serviva. Il Fante dichiarava ad alta
voce ch’era innocente, trà gl’interrotti suoni di tamburri e
trombette. Esposizione per Carta.
Nivel 2
Metatextualidad
Sulla questione proposta intorno
alla partita di Scacchi a noi indirizzasi la decisione
seguente.
Nivel 3
Carta/Carta al director
Nella Gazzetta Urbana di 2
Febbrajo 1788 venne esposta una contesa insorta frà due
Giuocatori di Scacchi, dopo un patto particolare
stabilito fra loro; il Bianco de’quali si assoggettò a
riconoscersi vinto non solo nel ricevere al solito lo
scacco matto, ma ancora nel non averlo potuto dare con
la tal indicata pedina; perduta la quale di conseguenza
avrebbe pur perduto il giuoco non rimanendogli più la
pedina unico stabilito mezzo di poter vincere. Avvenne,
che la Regina Mora fosse nel caso di levare nella
seguente mossa la denotata bianca pedina quando il
Cavallo bianco diede scacco doppio al Re, ed alla
Regina; ed il Moro, in vece di muovere il suo Re, come
doveva, per esimerlo dallo Scacco perdendo così anche la
Regina, con essa levò anzi la denotata pedina pretendo
in tal modo aver vinto la partita. Si risponde, che la
pretesa del Moro è solo fondata sopra un Cavilloso
Sosisma. Col nuovo patto fatto non si distrugge niuna
legge del giuoco de’Scacchi, e solo si ristringe la
maniera generale di dare scacco matto alla sola
particolare di darlo con la data pedina. Ne segue da
ciò, ch’essa pedina non può esser levata da un altro
pezzo avversario, che solo quando cade sotto il colpo di
quel nemico pezzo avversario, che solo quando cade sotto
il colpo di quel nemico pezzo, colpo stabilito dalle
regole del piuoco, per le quali non può essere levato
Verbigrazia da un Alsiere sennon diagonalmente esposto;
da una Torre sennon lateralmente Di più, che non può
esser levato da un pezzo senon quando spetta a quello il
muoversi: Ora quando il Re aveva ricevuto scacco di
Cavallo spetta ad esso muoversi, e non ad altri, nè in
quel caso roccava muoversi alla Regina, come fece, per
levar la disegnata Pedina; come non avrebbe potuto
levarla il Re stesso trovandosi ad essa contiguo, quando
fosse stata da altri Pezzi difesa. La disegnata Pedina
bianca non può mai considerarsi come il Re, perchè il
Giocator Nero possa dire: Io lascio il Re moro esposto
allo scacco del Cavallo bianco: Io levo prima la Pedina
segnata, ed ho vinto la Partita.
Uccidisi poi il Re moro dal Cavallo bianco, che dopo
vinto non è più in tempo di fare. Questo ragionamento
sarebbe conseguente trattandosi de’due Re. Il primo
ucciso la Partita è finita e perduta per esso; e perciò
quando uno de’Re è sotto scacco si deve salvare, e non
dare scacco all’altro, che non si ha tempo d’uccidere
dopo morto il primo la Pedina segnata, e così tolgo
all’Avversario il modo di più vincermi; uccida pur egli
il Re moro poi . . . . . . non avrebbe potuto
proseguire, e la sua illusione sarebbe svanita. N. G. S
Metatextualidad
Non piacerà questa sentenza a chi
scrisse il caso per assoggettarlo a’giudizj del Pubblico.
Egli non è il Giocator nero ma è tutto per lui così
dichiarandosi nella sua Lettera in cui l’occluse.
Nivel 3
Carta/Carta al director
“Questa questione ha mosso i
più forti discorsi nelle radunanze degl’intendenti del
gioco. Io veramente non la faccio questione, e quelli,
che usano la ragione non hanno dubbio che il gioco non
l’abbia vinto il Giocator nero. Pure qualche ostinato
sulle Leggi generali non adattabili mai al caso
presente, ch’è appoggiato a nuovi patti fuori delle
solite regole, è persuaso, che si debbano osservare le
regole generali contro anco i patti, senza per altro
addurre una ragione, che dica il perchè sieno fatte, e
senza cercare lo spirito di quelle Leggi. La parola
Scacco al Re altro non vuol dire che: avverto il Re, che
nella mossa ventura lo prendo, se non si difende. Egli
si può difendere in tre maniere ritriandosi, coprendosi,
o distruggendo l’avversario. L’anima di tutto quel gioco
per il patto era la Pedina marcata. Presa questa sono
tutti li avversarj morti, e per ciò incapaci
d’offendere: dunque se questa fu presa, il Re si difese
distruggendo con un colpo solo tutti i suoi nemici, e
ciò per il patto fatto.”
Metatextualidad
Esposta semplicemente l’insorta
contesa, e pubblicato dappoi il primo giudizio, ci parve
convenevole il dare in luce il parere del nostro Assocciato,
che ce l’ha comunicata, onde vedere se trova appoggj
autorevoli, o se la pluralità de’voti conferma la contraria
decisione che abbiamo riferita.
Metatextualidad
La seguente Lettera, scritta da mano incognita, raccomandata
a questo Foglio, è piena di sentimento; si conosce un cuore
che parla, il lamento d’un’anima afflitta, il linguaggio
della disperazione. Anche nella sua originale rozzezza
avrebbe potuto destare la compassione delli nostri
umanissimi leggitori, e chiamar qualche lagrima agli occhi
de’più sensibili, effetto che in noi produsse. Ma la
confusione de’pensieri, l’oscurità di qualche concetto, la
mescolanza dell’idioma toscano col veneziano dialetto, e
fingevano una correzione onde farla degna della pubblica
luce, e per ciò ritoccandola, e dandole chiarezza ed ordine,
proccuriamo che il dolore di chi la scrisse sentir si faccia
da’ grandi non per turbare la loro letizia, o rimproverarli
di crudeltà, ma per far che siano esauditi i voti della
derellitta innocenza ne’cui vergognosi recessi viene sì di
rado cercata dalla immediata carità de’possenti.
Nivel 3
Carta/Carta al director
Signor Gazzettiere. Il vostro
Foglio, che non raccoglie soltanto ciò che diletta, o
instruisce, ma quello ancora, che commove ed eccita ad
atti di pietà, non ricuserà d’accettare un ricorso
tendente piucché al mio sollievo a quello degli
sventurati miei pari. Io sono un Capo di Famiglia colla
Moglie obbligata al letto da una cronica malattia, e
quattro Figli in tenera età i cui guardi innocenti mi
feriscono le viscere come tanti acuti rimproveri
d’averli fatti nascere per languire nella più deplorabil
miseria. Non conto il quinto dissoluto e vizioso, che
colle domestiche sue rapine mi precipitò nell’abisso da
cui non ispero più di risorgere, ed ora da me lontano
senza che nulla io sappia di lui, non si ricorda forse
nemmeno d’aver un Padre, e un Padre che fece tutti i
suoi sforzi, e impiego gran parte delle sue sostanze per
renderlo felice. Quelli, che mi restano sono le più
docili, le più amabili, le più pazienti creature che
santificano la povertà con una rassegnazione cristiana
da edificare il più libertino, il più perverso degli
uomini. La loro Madre d’illibata coscienza, de’più puri
costumi, vede la morte, che le si appressa, come un
confine delle sue pene, come un transito alla vera
eterna felicità, e non ha di spaventoso per Lei, che la
sola idea di separarla da’cari pegni del conjugal nostro
affetto, da me ch’Ell’ama con una svisceratezza, che si
porrebbe in ridicolo, se fosse creduta, dalla moderna
galanteria. Queste morali virtù in vece di confortare la
mia miseria me la rendono più dure e pesante perché
soffrire non posso di vedere a languir di fame degli
esseri così degni dell’umana misericordia, e patirei
meno se avessi una Moglie fastidiosa, e de’Figli
malcontenti ed inquieti. Un tempo io fui benestante. Un
fallimento, una lite, una naufragio, i disordini d’un
mio Fratello, le malattie m’hanno poco a poco avvicinato
a quel precipizio in cui finalmente mi spinse l’ingrato
scialacquatore mio Figlio. Come sorgere? Da qual mano
sperare tanta pietà? Venduto, o impegnato quanto c’era
in Casa di meglio or ora siamo tutti ridotti alla
nudità. Aggravato da un grosso debito d’affitto, e
giunto all’estremità degli atti Forensi non
manca che quello di farmi cacciare in istrada, o
condurmi in prigione. Ho de’crediti ma non posso esigere
un soldo. Perché sono vecchj si reputano invalidi: da
qualche debitore fui accusato di temerità, e
d’insolenza, per avergli chiesto il mio con quella
insistenza, che nasce dalla necessità; taluno giunse
persino a minacciarmi di farmi saltar la sua Scala se
più l’avessi salita: altri poi mi consigliarono
derisivamente a far lite contro di loro. Sò che in
questo Paese a tutti si rende Giustizia, ma l’avanzata
età mia, la miseria che mi avvilisce, i timori
ch’agitano il mio spirito mi rendono inerte, e incapace
a que’ forti mezzi, che unicamente giovarmi potrebbero.
Nato in un rango medio, e civile non sò alcuna dell’Arti
meccaniche, e non potrei abbassarmi, che all’uffizio di
sportajuolo, o facchino, se la salute e le forze mel
permettessero. Incapace d’esercitare un impiego di penna
per la negligenza di mio Padre, che non pensò che
lasciarmi in uno stato comodo senza riflettere alla
caducità de’beni di questa terra, non mi resta altra via
per sussistere, che quella di chiedere l’elemosina, e
non lasciai di tentarla. Trà l’ombre notturne, avvolto
in un logoro mantello, col cappello abbassato sugli
occhi, con voce piara e tremante, con delle lagrime agli
occhi, che non si vedevano, con una renitenza che
appartenere dovrebbe soltanto a chi comincia a farsi
colpevole, chiesi caritatevol soccorso, ma ebbi la
sventura di trovar quasi tutti sordi alle mie preghiere,
o d’anima così dure, che a lavorar mi mandavano, o mi
trattavano da birbante. Quelli, che sono tali non si
sgomentano a tal linguaggio, e insistendo sfacciatamente
usurpano alla vergogno sa misera quegli ajuti, che
prestar a d essa dovrebbe l’umana pietà, ma per un uomo
civile ridotto alla mendicità non è tollerabile, e mi
disanimo a segno tale, che non oso di far altri
tentativi.
La rimembranza del mio passato ben essere mi
rendeva più acerba l’attualità dell’indigenza. Tutti i
segni d’allegrezza erano insulti per essa, mi sarei
cacciato in un sepolcro per non udirli. Il sonno ricusò
di chiudere gli occhi miei gonfi dal pianto, vegliai trà
gli affanni, e le smanie, e com’è dolce agli afflitti il
dare uno sfogo al loro dolore, così nella seguente
mattina mi misi a scrivere questa Lettera, pregandovi a
correggerla, ripulirla, e farla
stampare nel vostro Foglio. Vi taccio il mio nome, non
v’accenno la mia abitazione ma molti conosceranno chi
sono, e sentiranno forse qualche rimorso. In questa
Capitale non mancano delle pie Instituzioni per
suffragare i poveri, nè delle anime buone, che molto
danno in elemosina: il male si è, che nella
distribuzione viene fraudata la volontà de’vivi, e
de’morti, e le mani rapaci gran parte tolgono di ciò che
alla miseria destinasi, o le parziali nutriscono
de’viziosi in vece di sfamare degl’innocenti. Se veder
si potesse di giorno in giorno la somma a cui montano
l’elemosine, che si cavano dalle tasche degli abitatori
di questo Paese non si potrebbe fare più dell’elogio
alla loro pietà. Ma se altresì vedesse quanta porzione
n’ entra nelle taverne, e ne’luoghi di chiasso mentre la
timida miseria languisce ne suoi ritiri, sarebbe da
compiangere il destino di tanti soldi mal impiegati.
Giacché le ceneri della Chiesa asperse sul capo
de’Grandi, ha loro rammentato in questo tempo di
penitenza, che tutti siamo eguali, animate il loro zelo,
Signor Gazzettiere, ad infiammarsi per la cause
de’poveri, a cercarli personalmente ne’loro tugurj, a
non fidarsi degli altri in un oggetto di tanta
importanza, a conoscere cogli occhi proprj la calamità
alle quali riduconsi tante civili sventurate Famiglie, a
toccare con mano la gran verità, che il maggiore,
l’estremo bisogno quello non è, che và mendicando; che i
saggi nostri Antenati hanno assegnato de’fondi a questa
Povertà vergognosa, ma che tutto è soggetto all’abuso, e
che il non far male non lascia innocente que’ tali che
potendo non impediscono che sia fatto. Persuadeteli, che
la loro grandezza abbassandosi a queste ricerche
s’innalza, che la viltà stà nel torcere il guardo
dall’afflittivo quadro della miseria: che il
contemplarlo sveglia la compassione ed eccita a delle
opere più gloriose, che quelle di dare un Festino, od
apprestare un banchetto a chi non ha fame, o nutre
de’buffoni, e de’parasiti. Secondate dal canto vostro,
quanto più v’è possibile, gl’impulsi degli Oratori
Evangelici da’quali questa Cristiana Carità è tanto
inculcata, che se mai giungerete ad esser mezzo di
qualche bene, le vostre fatiche avranno dal Cielo un
giusto compenso.
Nivel 4
Ejemplo
La più orrida, e
lugubre di tutte le notti, Signor Gazzettiere, che
sinora ho passato, fu ultima dello spirato
Carnovale. Ho mandato in giro un uomo con
de’biglietti bagnati del doloroso mio pianto
chiedendo il mio per carità, o qualche soccorso da
chi ebbe del bene da me, o mi fu amico nelle
fortune. Chi non li aperse nemmeno, che mandò a
dirmi che quello non era tempo da importunare la
gente: niuno mi assistì. La mia desolazione giunse
agli eccessi, e l’accrebbe il festoso romore
popolare da cui non poteva in alcun angolo della
mia Casa allontanarmi a segno di non sentirlo.
Mentre la Piazza, e le vie di questa Città
eccheggiavano di grida di gioja, ed erano
illuminate dalle mascherate gioconde, mentre la
Plebe medesima spendeva in zuffoli, o in
fanaletti, mentre alle mense lautamente imbandite
soprabbondavano le preziose vivande io non aveva
di che sfamare la mia languente Famiglia (sic.),
che piangeva al mio pianto, e cedeva a’bisogni
della natura.