Gazzetta urbana veneta: Num. 12

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Num 12. Sabbato 9. Febbrajo 1788.

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Metatextualität

Sulla questione proposta intorno alla partita di Scacchi a noi indirizzasi la decisione seguente.

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Brief/Leserbrief

Nella Gazzetta Urbana di 2 Febbrajo 1788 venne esposta una contesa insorta frà due Giuocatori di Scacchi, dopo un patto particolare stabilito fra loro; il Bianco de’quali si assoggettò a riconoscersi vinto non solo nel ricevere al solito lo scacco matto, ma ancora nel non averlo potuto dare con la tal indicata pedina; perduta la quale di conseguenza avrebbe pur perduto il giuoco non rimanendogli più la pedina unico stabilito mezzo di poter vincere. Avvenne, che la Regina Mora fosse nel caso di levare nella seguente mossa la denotata bianca pedina quando il Cavallo bianco diede scacco doppio al Re, ed alla Regina; ed il Moro, in vece di muovere il suo Re, come doveva, per esimerlo dallo Scacco perdendo così anche la Regina, con essa levò anzi la denotata pedina pretendo in tal modo aver vinto la partita. Si risponde, che la pretesa del Moro è solo fondata sopra un Cavilloso Sosisma. Col nuovo patto fatto non si distrugge niuna legge del giuoco de’Scacchi, e solo si ristringe la maniera generale di dare scacco matto alla sola particolare di darlo con la data pedina. Ne segue da ciò, ch’essa pedina non può esser levata da un altro pezzo avversario, che solo quando cade sotto il colpo di quel nemico pezzo avversario, che solo quando cade sotto il colpo di quel nemico pezzo, colpo stabilito dalle regole del piuoco, per le quali non può essere levato Verbigrazia da un Alsiere sennon diagonalmente esposto; da una Torre sennon lateralmente Di più, che non può esser levato da un pezzo senon quando spetta a quello il muoversi: Ora quando il Re aveva ricevuto scacco di Cavallo spetta ad esso muoversi, e non ad altri, nè in quel caso roccava muoversi alla Regina, come fece, per levar la disegnata Pedina; come non avrebbe potuto levarla il Re stesso trovandosi ad essa contiguo, quando fosse stata da altri Pezzi difesa. La disegnata Pedina bianca non può mai considerarsi come il Re, perchè il Giocator Nero possa dire: Io lascio il Re moro esposto allo scacco del Cavallo bianco: Io levo prima la Pedina segnata, ed ho vinto la Partita. Uccidisi poi il Re moro dal Cavallo bianco, che dopo vinto non è più in tempo di fare. Questo ragionamento sarebbe conseguente trattandosi de’due Re. Il primo ucciso la Partita è finita e perduta per esso; e perciò quando uno de’Re è sotto scacco si deve salvare, e non dare scacco all’altro, che non si ha tempo d’uccidere dopo morto il primo la Pedina segnata, e così tolgo all’Avversario il modo di più vincermi; uccida pur egli il Re moro poi . . . . . . non avrebbe potuto proseguire, e la sua illusione sarebbe svanita. N. G. S

Metatextualität

Non piacerà questa sentenza a chi scrisse il caso per assoggettarlo a’giudizj del Pubblico. Egli non è il Giocator nero ma è tutto per lui così dichiarandosi nella sua Lettera in cui l’occluse.

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Brief/Leserbrief

“Questa questione ha mosso i più forti discorsi nelle radunanze degl’intendenti del gioco. Io veramente non la faccio questione, e quelli, che usano la ragione non hanno dubbio che il gioco non l’abbia vinto il Giocator nero. Pure qualche ostinato sulle Leggi generali non adattabili mai al caso presente, ch’è appoggiato a nuovi patti fuori delle solite regole, è persuaso, che si debbano osservare le regole generali contro anco i patti, senza per altro addurre una ragione, che dica il perchè sieno fatte, e senza cercare lo spirito di quelle Leggi. La parola Scacco al Re altro non vuol dire che: avverto il Re, che nella mossa ventura lo prendo, se non si difende. Egli si può difendere in tre maniere ritriandosi, coprendosi, o distruggendo l’avversario. L’anima di tutto quel gioco per il patto era la Pedina marcata. Presa questa sono tutti li avversarj morti, e per ciò incapaci d’offendere: dunque se questa fu presa, il Re si difese distruggendo con un colpo solo tutti i suoi nemici, e ciò per il patto fatto.”

Metatextualität

Esposta semplicemente l’insorta contesa, e pubblicato dappoi il primo giudizio, ci parve convenevole il dare in luce il parere del nostro Assocciato, che ce l’ha comunicata, onde vedere se trova appoggj autorevoli, o se la pluralità de’voti conferma la contraria decisione che abbiamo riferita.
Dal Zante Una Lettera giunta da quell’Isola in questa Città per la via di Trieste in data delli 29 del p. p. Decembre porta, che la notte delli 20 del mese medesimo venendo li 21 si sentì colà alle ore due e un quarto un tremuoto de’maggiori, e di più lunga durata di quant’altri si ricordino da quegli Abitanti. Venne dalla parte di Ponente fu ondulatorio non subsultante, e si andò rinforzando a gradi durando il maggior impeto per tre minuti primi, dopo i quali si diminuì la sua scossa fin che cessò affatto. Successero a questa altre cinque piccole scosse fino alle ore cinque, e si teme qualche cosa di peggio, il che Dio non voglia. A riserva d’una Casetta atterrata, la cui Famiglia potè salvarsi, non avvenne alcun male.

Metatextualität

La seguente Lettera, scritta da mano incognita, raccomandata a questo Foglio, è piena di sentimento; si conosce un cuore che parla, il lamento d’un’anima afflitta, il linguaggio della disperazione. Anche nella sua originale rozzezza avrebbe potuto destare la compassione delli nostri umanissimi leggitori, e chiamar qualche lagrima agli occhi de’più sensibili, effetto che in noi produsse. Ma la confusione de’pensieri, l’oscurità di qualche concetto, la mescolanza dell’idioma toscano col veneziano dialetto, e fingevano una correzione onde farla degna della pubblica luce, e per ciò ritoccandola, e dandole chiarezza ed ordine, proccuriamo che il dolore di chi la scrisse sentir si faccia da’ grandi non per turbare la loro letizia, o rimproverarli di crudeltà, ma per far che siano esauditi i voti della derellitta innocenza ne’cui vergognosi recessi viene sì di rado cercata dalla immediata carità de’possenti.

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Brief/Leserbrief

Signor Gazzettiere. Il vostro Foglio, che non raccoglie soltanto ciò che diletta, o instruisce, ma quello ancora, che commove ed eccita ad atti di pietà, non ricuserà d’accettare un ricorso tendente piucché al mio sollievo a quello degli sventurati miei pari. Io sono un Capo di Famiglia colla Moglie obbligata al letto da una cronica malattia, e quattro Figli in tenera età i cui guardi innocenti mi feriscono le viscere come tanti acuti rimproveri d’averli fatti nascere per languire nella più deplorabil miseria. Non conto il quinto dissoluto e vizioso, che colle domestiche sue rapine mi precipitò nell’abisso da cui non ispero più di risorgere, ed ora da me lontano senza che nulla io sappia di lui, non si ricorda forse nemmeno d’aver un Padre, e un Padre che fece tutti i suoi sforzi, e impiego gran parte delle sue sostanze per renderlo felice. Quelli, che mi restano sono le più docili, le più amabili, le più pazienti creature che santificano la povertà con una rassegnazione cristiana da edificare il più libertino, il più perverso degli uomini. La loro Madre d’illibata coscienza, de’più puri costumi, vede la morte, che le si appressa, come un confine delle sue pene, come un transito alla vera eterna felicità, e non ha di spaventoso per Lei, che la sola idea di separarla da’cari pegni del conjugal nostro affetto, da me ch’Ell’ama con una svisceratezza, che si porrebbe in ridicolo, se fosse creduta, dalla moderna galanteria. Queste morali virtù in vece di confortare la mia miseria me la rendono più dure e pesante perché soffrire non posso di vedere a languir di fame degli esseri così degni dell’umana misericordia, e patirei meno se avessi una Moglie fastidiosa, e de’Figli malcontenti ed inquieti. Un tempo io fui benestante. Un fallimento, una lite, una naufragio, i disordini d’un mio Fratello, le malattie m’hanno poco a poco avvicinato a quel precipizio in cui finalmente mi spinse l’ingrato scialacquatore mio Figlio. Come sorgere? Da qual mano sperare tanta pietà? Venduto, o impegnato quanto c’era in Casa di meglio or ora siamo tutti ridotti alla nudità. Aggravato da un grosso debito d’affitto, e giunto all’estremità degli atti Forensi non manca che quello di farmi cacciare in istrada, o condurmi in prigione. Ho de’crediti ma non posso esigere un soldo. Perché sono vecchj si reputano invalidi: da qualche debitore fui accusato di temerità, e d’insolenza, per avergli chiesto il mio con quella insistenza, che nasce dalla necessità; taluno giunse persino a minacciarmi di farmi saltar la sua Scala se più l’avessi salita: altri poi mi consigliarono derisivamente a far lite contro di loro. Sò che in questo Paese a tutti si rende Giustizia, ma l’avanzata età mia, la miseria che mi avvilisce, i timori ch’agitano il mio spirito mi rendono inerte, e incapace a que’ forti mezzi, che unicamente giovarmi potrebbero. Nato in un rango medio, e civile non sò alcuna dell’Arti meccaniche, e non potrei abbassarmi, che all’uffizio di sportajuolo, o facchino, se la salute e le forze mel permettessero. Incapace d’esercitare un impiego di penna per la negligenza di mio Padre, che non pensò che lasciarmi in uno stato comodo senza riflettere alla caducità de’beni di questa terra, non mi resta altra via per sussistere, che quella di chiedere l’elemosina, e non lasciai di tentarla. Trà l’ombre notturne, avvolto in un logoro mantello, col cappello abbassato sugli occhi, con voce piara e tremante, con delle lagrime agli occhi, che non si vedevano, con una renitenza che appartenere dovrebbe soltanto a chi comincia a farsi colpevole, chiesi caritatevol soccorso, ma ebbi la sventura di trovar quasi tutti sordi alle mie preghiere, o d’anima così dure, che a lavorar mi mandavano, o mi trattavano da birbante. Quelli, che sono tali non si sgomentano a tal linguaggio, e insistendo sfacciatamente usurpano alla vergogno sa misera quegli ajuti, che prestar a d essa dovrebbe l’umana pietà, ma per un uomo civile ridotto alla mendicità non è tollerabile, e mi disanimo a segno tale, che non oso di far altri tentativi.

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Exemplum

La più orrida, e lugubre di tutte le notti, Signor Gazzettiere, che sinora ho passato, fu ultima dello spirato Carnovale. Ho mandato in giro un uomo con de’biglietti bagnati del doloroso mio pianto chiedendo il mio per carità, o qualche soccorso da chi ebbe del bene da me, o mi fu amico nelle fortune. Chi non li aperse nemmeno, che mandò a dirmi che quello non era tempo da importunare la gente: niuno mi assistì. La mia desolazione giunse agli eccessi, e l’accrebbe il festoso romore popolare da cui non poteva in alcun angolo della mia Casa allontanarmi a segno di non sentirlo. Mentre la Piazza, e le vie di questa Città eccheggiavano di grida di gioja, ed erano illuminate dalle mascherate gioconde, mentre la Plebe medesima spendeva in zuffoli, o in fanaletti, mentre alle mense lautamente imbandite soprabbondavano le preziose vivande io non aveva di che sfamare la mia languente Famiglia (sic.), che piangeva al mio pianto, e cedeva a’bisogni della natura.
La rimembranza del mio passato ben essere mi rendeva più acerba l’attualità dell’indigenza. Tutti i segni d’allegrezza erano insulti per essa, mi sarei cacciato in un sepolcro per non udirli. Il sonno ricusò di chiudere gli occhi miei gonfi dal pianto, vegliai trà gli affanni, e le smanie, e com’è dolce agli afflitti il dare uno sfogo al loro dolore, così nella seguente mattina mi misi a scrivere questa Lettera, pregandovi a correggerla, ripulirla, e farla stampare nel vostro Foglio. Vi taccio il mio nome, non v’accenno la mia abitazione ma molti conosceranno chi sono, e sentiranno forse qualche rimorso. In questa Capitale non mancano delle pie Instituzioni per suffragare i poveri, nè delle anime buone, che molto danno in elemosina: il male si è, che nella distribuzione viene fraudata la volontà de’vivi, e de’morti, e le mani rapaci gran parte tolgono di ciò che alla miseria destinasi, o le parziali nutriscono de’viziosi in vece di sfamare degl’innocenti. Se veder si potesse di giorno in giorno la somma a cui montano l’elemosine, che si cavano dalle tasche degli abitatori di questo Paese non si potrebbe fare più dell’elogio alla loro pietà. Ma se altresì vedesse quanta porzione n’ entra nelle taverne, e ne’luoghi di chiasso mentre la timida miseria languisce ne suoi ritiri, sarebbe da compiangere il destino di tanti soldi mal impiegati. Giacché le ceneri della Chiesa asperse sul capo de’Grandi, ha loro rammentato in questo tempo di penitenza, che tutti siamo eguali, animate il loro zelo, Signor Gazzettiere, ad infiammarsi per la cause de’poveri, a cercarli personalmente ne’loro tugurj, a non fidarsi degli altri in un oggetto di tanta importanza, a conoscere cogli occhi proprj la calamità alle quali riduconsi tante civili sventurate Famiglie, a toccare con mano la gran verità, che il maggiore, l’estremo bisogno quello non è, che và mendicando; che i saggi nostri Antenati hanno assegnato de’fondi a questa Povertà vergognosa, ma che tutto è soggetto all’abuso, e che il non far male non lascia innocente que’ tali che potendo non impediscono che sia fatto. Persuadeteli, che la loro grandezza abbassandosi a queste ricerche s’innalza, che la viltà stà nel torcere il guardo dall’afflittivo quadro della miseria: che il contemplarlo sveglia la compassione ed eccita a delle opere più gloriose, che quelle di dare un Festino, od apprestare un banchetto a chi non ha fame, o nutre de’buffoni, e de’parasiti. Secondate dal canto vostro, quanto più v’è possibile, gl’impulsi degli Oratori Evangelici da’quali questa Cristiana Carità è tanto inculcata, che se mai giungerete ad esser mezzo di qualche bene, le vostre fatiche avranno dal Cielo un giusto compenso.
La seguente Relazione fu recata dal Colombani l’altr’jeri. In sul finire della notte di Martedì decorso, ultima del Carnovale, dopo infinite dimostrazioni di allegria, che diede in tutte le forme possibili e convenienti alle feste baccanali, questa lieta e buona popolazione, raccoltesi nella gran Piazza di San Marco tutte le Maschere del ceto civile, vestite per la maggior parte della maschera a bauta ordinaria del Paese, se non che resa men tetra da bellissimi nastri e fiorami, che quasi tutte portavano sopra il capello, formarono un grandissimo cerchio, o sia Catena ad uso de’balli, che occupava la maggior parte della Piazza, nel di cui centro alcune di esse Maschere fecer un minuetto a cavalchina con musica composta da pochi stromenti, che a caso là s’attrovavano, ma più da certi flautini che in tali giornate sogliono avere le Maschere co’quali si vanno graziando scambievolmente all’orecchie penetrantissimi fischj. Dopo ciò, era già spuntato il giorno, quando da più di cento cinquanta delle stesse Maschere, coll’assistenza laboriosa di quattro Direttori si formò un lunghissimo cordone, alla di cui testa una persona di eminente statura graziosamente mascherata da Spagnuolo militare, e con perfetta armonia senza che per tutta la bellissima marcia sia nato il minimo inconveniente, si procedette per il gran Ponte di Rialto, e dopo aver formato un nuovo cerchio nel campo di S. Polo, ove fecero le più giocose acclamazioni, ed evviva, continuò la marcia fino al traghetto di S. Tommà. Ivi fù graziosa la sorpresa, e la confusione de’Gondolieri per traghettare un tanto numero di persone, le quali divisesi a piccole partite in tutte le gondole del traghetto, e smontate all’opposta riva, si schierarono sopra la riva stessa, e presero congedo per mezzo di acclamazioni, di graziosi cenni, e di fazzoletti spiegati a guisa di bandiere dall’altra porzione della festosa brigata rimasta alla riva opposta, perché le gondole non furono sufficienti a fare il tragitto in una sol volta di tutta la comitiva. Per tutto il lunghissimo cammino già descritto per vie talora angustissime in mezzo alla moltitudine de’lavoratori, e bottegaj, che già uscivano dalle loro case per portarsi alle officine non è successo il minimo inconveniente; ciò che non reca stupore a chi già per infinite altre maggiori prove conosce l’ammirabile docilità, e mansuetudine della nostra Nazione. Se merita giusti elogj la marcia regolata di uno squadrone composto di Soldati preventivamente tanto istrutti, certamente molto più era sorprendente vedere ben condotta per sì lunga strada, e ridotta a varie evoluzioni, ora circolari, ora quadrate, ora alla sfilata, una squadra di persone ignote fra se stesse, e tanto lontane da disciplina, quanto che ignoravano il pensiere de’loro Direttori, i quali scorrendo con grandissima fatica da un capo al fine del cordone lo comunicavano sul fatto a cadaun individuo della brigata, che con mirabile condiscendenza, e subordinazione volentieri concorreva nell’intenzione dei Direttori stessi. Carte Pubbliche. Li N. N. U. U. Governatori dell’Ospitale della Pietà, deputati alla vendita degl’infrascritti bene, e l’Eccellente Sebastiano Zocchi come deputato dal Magistrato Eccellentissimo sopra Ospitali per conto di quello degl’Incurabili, si porteranno sopra il Pubblico Incanto nella Sala dello Scudo il giorno 11 Feb. cor. per il primo Incanto per essere deliberati nelli susseguenti Incanti al maggior offerente con riserva delle Polizze secrete. Il prezzo dell’acquisto, o acquisti dovrà essere con legnato per metà liberamente all’Ospitale della Pietà e l’altra metà depositata nel Magistrato Eccellentis. sopra Orpitali per esser dato a chi sarà di ragione. Le spese tutte d’Acque, Messettaria, Grammatici, Notajo, Comandador &c. cadranno a peso del compratore. A lume degli offerenti sia noto, che non potranno essere turbati negli acquisti con titoli di prelazioni, e ciò in esecuzione della legge del Serenissimo M. C. 20. Sett. 1767. In Villa Trefiegole Territorio Padovano Campi 22 affittati al Signor Gio: Marin Carlin pagasi d’affitto formento St. 28 Vino mosto mastelli 28 contanti lir. 62 Regalie. Capponi Paja 8 Pollastri p. 3. Galli p. 3. Ovi num. 100. Campi 8 circa con Casa di muro affittati ad Antonio Talier senza ristauro Duc. 52. Chiusura con Cason affittata al sud Duc. 16. Diversi Pezzi di Terra parte arativi, e parte prativi, delle quantità in cui si trovano con Case, il tutto affittato a Paolo Isoletto Duc. 26. Onoranze. Da Natale Capponi P. 1. Da Carnovale Pollastre P. 1. Da S. Pietro Galli P. 1. Da Pasqua Ovi num. 50. Casetta con un Campo ca. sopra l’Arzeron che và a Miran affittata a Lor. Battillana Duc. 17. Onoranze. Da Natale Capponi P. 1. Da Carnovale Galline P. 1. Da S. Pietro Galli P. 1. Da Pasqua Ovi num. 50. Chiusura in più Pezzi affittata a Bart. Carraro per l’anno Duc. 18. Onoranze. Da San Pietro Galli P. 2 ovvero L. 6: 4 in contanti. Furti. Lunedì 4 cor. alle ore 14 appena aperta la Chiesa di S. Marina s’introdusse un ladro che rubò due candelotti all’Altare del Santissimo. È molto, che i frequenti castighi non ispaventino questi malvagj. Trionfo dell’Innocenza. Era carcerato per forti indizj di latrocinio domestico un Servitore di cui si scoprì l’innocenza, che fu fatta pubblicamente conoscere dal Collegio de’Signori di notte al Criminal uno de’cui Fanti lo accompagnò Giovedì coperto delle insegne della sua Carica per tutta la Piazza e la merceria e sino all’Abitazione dove serviva. Il Fante dichiarava ad alta voce ch’era innocente, trà gl’interrotti suoni di tamburri e trombette. Esposizione per Carta.

Sabbato e Domenica 9 e 10 corrente

Alla Carità. Oratore il P. D. Sebast. Rossi Domenicano Oss.

Lunedì, Martedì, Mercordì, e Giovedì 11, 12, 13, e 14. cor.

A S. Simeon Profeta. Guardiano il Sig. Giuseppe Loris Oratori. ne’due primi giorni il Rev. Sig. D. Francesco Vescovi della Chiesa sud. ne’seguenti il Sig. Ab. Giustiniani Veronese. In Senato.

7 Febbrajo.

Riformatore dello Studio di Padova E. Gir. Asc. Zustinian K. Sopra Feudi E. Giacomo Miani Correzioni nel Catalogo de’Predicatori. A S. Samuel Domenica, Martedì, Mercordì, e Venerdì di mattina, e nel dopo pranzo Venerdì e Domenica. A S. Zultan Bonetti non Boruti. A S. Cassan di Villa Franca non di Verona. A Ss. Apostoli non Schioldi ma Ghioldi. A S. Luca non da Bologna ma da Milano Ex Provinciale di Bologna. A S. Silvestro non P. Abbate ma Signor Abbate La sera non Pre Gian Dom ma Padre Gian Dom. S. Giac. dall’Orio non Canonico di Palermo, ma di Sassuolo Cappellano d’onore di S. A. R. di Parma. Alli Carmini non Boniforti ma Beneforti. Ss. Gio. e Paolo non Toscano ma Milanese. Alle Cappuccine Il Rev. D. Matteo Dorigo Sacerdote Veneto. Al Corpus Domini non da Venezia Vic. ma Cap. Aggiunta. A Ss. Gio. e Paolo La sera il M. R. P. Vicenzo Giracari. A S. Gio. Laterano tutte le Feste l’Illustrissimo Sig. Ab,. D. Dom. Coletti Ex Gesuita Veneto. A S. Franc. di Paola il M. R. P. Felice Ferro de’Minimi Lettor giubilato. All’Umiltà tutti li Venerdì dopo pranzo il P. M. Gius. Biancardi. In Piazza di S. Marco Il P. Pr. Gen. Pietro Piaggia.

5 Febbrajo

Bastimenti di Partenza. Per Amsterdam. Capit. Lorenzo Hauten trà un mese. Per Lisbona. Capit. Andrea Zanchi ebbe proroga d’un mese. Per Livorno. Capit. Quillico Marino trà un mese. Per Zante. Par. Tommaso Gellich trà un mese. Per Corfù e Zante. Capit. Pietro Sbutega trà un mese Per Corfù. Capit. Bartol. Scarpa trà un mese. Per Cattaro. Pat. Andrea Lipovas trà un mese. Per Zara. Par. Franc. Davanzo trà 15 giorni. Sull’articolo Mascherata steso nel prossimo passato Foglio, è cosa molto opportuna che il Pubblico sappia non avere l’estensore di questa Gazzetta arbitrato nè punto nè poco in lodare o schernire la mascherata della Portantina. L’allegro inventore di essa con pari allegria e disinvoltura ha voluto esserne ancora le scherzoso narratore. Egli medesimo ne ha fatto avere un picciolo foglio, che conteneva la narrazione e così poter ridere egli a suo bell’agio sovra essa, persuaso, che ciò dovesse compiere il ridicolo e la frivolezza della mascherata medesima. Se il capriccio in lui non si cangia darà a suo tempo altre mascherate ancora, e poi altri articoli, e poi altri o scherzi, o derisioni, o ironici tratti sopra oggetti solamente suoi proprj, giacché la lode debbesi riserbare per gli altri e nella invincibile smania di criticare rivolgersi piuttosto a criticare se medesimi. Cambj

8 Febbrajo 1788.

Lione cinquantotto e tre quarti. Parigi cinquantotto e mezzo. Roma sessantatre e un quarto. Napoli cento e diciotto e mezzo. Livorno centuno e un quarto. Genova novantadue e un quarto. Amsterdam novantuno e mezzo. Londra quarantanove e mezzo. Augusta centuno e mezzo. Vienna cento e novantaquattro e mezzo.