Gazzetta urbana veneta: Num. 7
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Num. 7. Mercordì 23. Gennajo 1788.
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L’uomo veramente grande, è tale in
tutto: nè v’hà che il falso merito, che in una parte sollevisi,
e poi s’abbassi in un’ altra. Un Autore, che sà far passar le
sue lagrime agli occhi de’suoi leggitori, dominare a sua voglia
i loro affetti, svegliarne i rimorsi, consolar le afflizioni,
render care e invidiabili le virtù anche perseguitate, o
neglette, deve certamente accoppiare ad un ingegno felice, un
retto cuore, un’anima pura, compassionevole, dolce. Tale fu
quella del Metastasio espressa sì chiaramente nell’ Opere sue, e
nelle private azioni dell’onorata sua vita. Nel Sonetto Sogni, e
favole io fingo . . . . . . Egli dipinse al vivo l’amabile
sensibilità da cui nello scrivere era penetrato, la modestia che
lo difese sempre dalla seduzion delle lodi, lo spirito di vera
Religione da cui era animato il suo zelo. Se non di rado meritò
la taccia di troppa indulgenza ne’suoi giudizj sull’Opere
altrui, e d’aver onorato de’suoi elogj delle Composizioni, che
non li meritavano, era questo un difetto nato dalla sua
gratitudine, dalla bontà del suo animo. Molestato da continui
ricorsi per avere la sua opinione sopra un’infinità di
componimenti poetici, era poco a poco disceso al sistema di
retribuire lodi per lodi onde non disgustar nessuno, e
disimbarazzarsi al più presto da tante disgustose ricerche.
Bastò a molti e molti l’avere qualche sua Lettera, o de’versi
risponsivi, per darli in luce come testimonianze onorevoli del
loro merito, quando considerar li dovevano come semplici uffizj
d’urbanità, non destinati alla luce. Potremmo provare co’fatti
la veracità di queste asserzioni:
Da simil tratto della pieghevole sua compassione
argomentare si può, che se sapeva metter gli Eroi nel più
vantaggioso punto di vista sapeva altresì usare dell’eroiche
azioni. se i Drammi del
Metastasio siano, o nò, modelli di perfezione nella tessitura,
nello stile, nell’armonia de’versi, nella situazione dell’arie,
e di tutti i pezzi cantabili. La pienezza de’voti è per
l’affermativa. I più gran compositori di Musica hanno trovato in
essi quanto di più ci può essere per infiammar l’estro, per
guidare la fantasia, per maneggiare gli affetti, i più bravi
Cantori si resero la delizia del Pubblico per la maestà de’suoi
caratteri, per l’armonica disposizione delle accentate sue
sillabe. Da quando in quà la vera bellezza poetica assoggettar
si deve alla incostanza delle mode? Non è che non si voglia più
il Metastasio, è piuttosto che non ce lo vogliono dare. Ne ha
tutta la colpa, chi introdusse sulle scene il gusto de’replicati
duetti, de’terzetti, de’rondeaux, che mai deciso non hanno del
valore d’un Musico. La gran ragione su cui fondasi
l’abbandonamento de’Drammi del Metastasio, è l’amore di novità,
e l’impossibilità di trovar nuova musica sulle sue parole dopo
che tanti Maestri vi han lavorato sopra. Impossibilità? E non
vediamo tuttora ricomparir talvolta sulle Scene qualche sua
aria, ch’ebbe lo stesso destino, e colpire il genio
degl’intelligenti ascoltatori, perché scritta da mano maestra?
Come con ventitre Lettere dell’Alfabeto si sono composti tanti
milioni di parole, e tanti milioni se ne comporranno ancora, che
per la frase, per la giacitura, per la sintassi variano
continuamente, e sempre hanno qualch’ aria di novità, così le
poche note della musica maneggiate che siano da un uomo dotto, e
di spirito originale e inventore, ponno servire a coprir di
nuovo senza ripetizioni, quella divina Poesia, che sembra fatta
per eternare in Teatro, con un diritto esclusivo, i dolci suoi
suoni. Contro l’esperienza non v’ha argomenti che vagliano. Il
Pubblico è quale si vuole, ch’ei sia. Tosto che gli si fa
perdere il gusto del bello non ama più che le follie, le
stravaganze, i capriccj, come l’uso de’ cibi composti e alterati
fanno perder il sapore delle semplici naturali vivande. Lo
vedremo meglio allorché giungeremo al punto del Teatro Comico.
Si rappresenti un’Opera del Metastasio senz’eccezione, nè
cangiamento veruno, messa in musica da un gran Maestro, recitata
da Personaggi di vero merito, decorata colla dovuta
magnificenza: se non piace abbiamo perduta la causa. La sorgente
di questo male non istà nel volubile genio degli uditori, nella
pretesa povertà della Musica, ma bensì nella povertà
dell’ingegno (in generale) di chi la tratta, e di chi la canta.
Certi moderni Maestri vogliono delle parole non per metterle in
musica, ma per adattarle a ciò ch’hanno scritto ed
apparecchiato, o piuttosto accozzato insieme ne’ loro plagj.
Vogliono un’aria quì, una cavatina là, in questo sito un
rondeau, in quell’ altro un terzetto; ci ha da entrar sempre la
burrasca, il tremuoto, il fulmine, il diavolo; ed i poveri Poeti
venali son condannati a servire a’loro disegni coll’ abuso più
detestabile della lor arte, che destinata ad essere il
fondamento dello Spettacolo diviene così una parte accessoria,
come sono le decorazioni, e le scene. Un Musico in fortuna non è
più subordinato al Poeta, e al Maestro, ma un genio dominatore
da cui tutto dipende. La scelta de’ Drammi, ora è un parto di
scrittura per esso. Ognuno gli accomoda purché l’arie sue cadano
nelle situazioni da lui segnate, e v’entri il suo rondeau su cui
si fà forte; istimando inutile tutto il resto. Si vuol sentir a
cantare, dicono questi Signori Musici, e ad altro non badasi.
Potrebbesi loro rispondere, che volontieri s’ascoltano quelli
ancora che fan recitare, pregio che tanto onorò il Guadagni, e
che presentemente distingue l’inimitabile Pacchierotti. Male
parole sarebbero gettare al vento: son pagati quanto vogliono,
ottengono le condizioni che bramano, un trillo, un passaggio,
una cadenza, rapiscono, incantano; se nell’azione sono statue
che non si movono, o gesteggiatori sguajati, non serve nulla.
Così l’Opera non è più Opera, ma una Musicale Accademia, che non
esige silenzio e attenzione, che a’pochi pezzi cantabili che
piacciono; il buon senso non trova l’interesse, che si promette,
l’ordine è sconvolto, la proprietà poetica conculcata, ogni
illusione distrutta, ed alle scene non restano l’ombra nemmeno
di quella maestosa regolarità, che fu opera del Metastasio, e
del suo robusto Precessore. Così il d’Alembert ha ragione di
dire che il nostro Spectacle charge de danses, de musique, de
decorations, et une sottise magnifique, mais toujours sottise.
Ma quand’ancora si volesse concedere, che i Drammi del
Metastasio non fanno più per il nostro Teatro; che l’abuso in
esso introdottosi è divenuto necessario; si dimanda perchè in
vece di lasciarlo regnare soltanto nella chiarezza delle sue
stampe, si voglia che in Teatro tratto tratto ei risorga lacero
e guasto dalle rozze ardite penne di tanti barbari rimatori, che
lo sfigurano orrendamente. Come mai non tremò la prima mano
profana, che osò di violare questo sacrario delle Muse
strappando le gemme per introdurvi le immondizie del Parnaso? Il
suo delitto aprì la strada a mill’altri. Ora non v’è Pedante
avvezzo a trattare lo staffile scolastico, ch’abbia riguardo
alcuno di cacciar de’versaccj da chitarra in mezzo a quelli d’un
Metastasio, di far de’ tagli da guastatore ne’recitativi,
d’alterar e sconvogliere l’ordine, e l’azione, di far che la
bella Donna d’Orazio non in pesce ma termini in mostro schifoso.
È ben vero, che gli occhi veggenti distinguono dalle pennellate
di Tiziano quelle d’uno Spegazzino, ma tutte le viste non son
compagne; e poi come può soffrirsi l’inconvenienza
d’una Pittura, che a parte offre delle bellezze insuperabili, e
nella sua totalità in contraddizione si veggono co’più
grossolani difetti? Sfogatevi Poetastri sciagurati co’vostri
Drammi moderni, lordate le scene, avvilitevi per mercede alla
servile dipendenza dagl’Impresarj, da’Maestri, da’ Musici, dalle
Donne; fate quanto di peggio sapete fare, ma rispettate la sacra
memoria del più gran Poeta, che il Mondo abbia avuto nel genere
melodrammatico, e contentatevi di far denari co’vostri aborti,
senz’avere la crudeltà di farvi i carnefici de’parti del divino
suo ingegno. Nella scorsa settimana fu eletto
nell’Eccellentissimo pieno Collegio alla Residenza della Corte
di Londra il Circospetto Signor Orazio Lavezzari attuale
Residente a quella di Torino per questa Serenissima Repubblica.
Lunedì dall’Eccelso Consiglio di X. ridotto al completo suo
numero di 17 cioè il Serenissimo Doge colli sei Consiglieri, e
li Dieci del Corpo, si fece l’elezione di 3 Secretarj di
Cancelleria, e furono gl’Illustrissimi Signori Marc’Antonio
Bellato Antonio Angelo Cavagnis Alessandro Fontana Gli altri
concorrenti erano gl’Illustrissimi Signori Gio Andrea Maria
Rubbi Giovanni Stae Conte Giuseppe Viola Santo Perazzo
Giambattista Socchi Ferdinando Crivelli Giuseppe Crucis Michel
Zorzi Pappadopoli Gio. Giacomo Trevisan Pietro Alvise Cattaneo
Ant. Franc. Morelli di E. Giorlamo Tommaso Tasca Sabbato di sera
vi furono fuochi di gioja in Contrada di San Paternian, suono di
tamburri e di trombe, per la successione al posto di Primo Prete
del M. R. Signor D. Bartolommeo Zuliani, vacato per la morte del
qu: D. Antonio Dinarello. Il suo innalzamento fece salire al
Diaconato, ch’egli occupava, il Signor D. Angiolo Mauro, e al
Suddiaconato fu eletto con ballottazione il Signor D. Antonio
Osti alunno di quella Chiesa. Esposizione per Carta. A San Vito
Teatri. Li nostri Teatri erano tutti pieni nella sera
della scorsa Domenica. A San Samuele non si reciterà più
l’accennata Opera del Robuschi. Piace tanto quella del
Guglielmi, ch’è in iscena, ch’ogni cangiamento stimasi
pericoloso. Si darà bensì un nuovo Ballo. Quella del Bianchi a
S. Benedetto comparirà questa Sera. Sino dal passato Sabbato
alla Fiaba del Teatro di S. Luca s’aggiunse il trattamento
de’giuochi d’equilibrio fatti sul filo di servo da una
bravissima Giovine, ch’otto o nov’anni sono travagliò nello
stesso modo nel Teatro di S. Gio; Grisostomo. L’entrata costa
per questo accrescimento quindici Soldi. Il Dramma del Suppiei
si sostiene mirabilmente, e replicasi con molto concorso. Si
crede ancora da molta gente, ch’egli non abbia fatto mai che
cappelli, e che la sola natura l’abbia fatto divenire Poeta
Tragico. È un inganno. Suo Padre lo fece studiare, ebbe per
Maestro il Sig. Dot. Brustolon, era incamminato al Foro, ed
esercita al presente la sua professione per sollevar il Genitore
dal peso de’suoi affari. Anche Plauto era un molinaro, ma se non
avesse studiato divenir non poteva il Primo Comico Poeta,
ch’abbia avuto la Lingua Latina. Il Fanciulletto Pacò, Ballerino
Grottesco a S. Gio Grisostomo avrà una Recita a suo benefizio.
La nuova Fiaba Andromeda e Perseo con Arlecchino possessore
della testa di Medusa, che Sabbato fu posta in iscena ebbe la
fortuna di colpire il genio del Popolo sempre inclinato al
sorprendente più snaturato e mostruoso. Versi, e prosa, Eroi, e
Numi, diavoli e Zanni, è un Pasticcione in cui v’entra di tutto.
Se è composizione dell’Arlecchino Pelandi, come si dice, è da
stimarlo non tanto per l’invenzione quanto per alcuni versi, che
in mezzo a de’cattivi, non suonano male. E veramente il
dubitarne sarebbe un torto per lui, perché ricevé la prima sera
gli applausi come Autore, e ringranziando l’Udienza disse, che
il suo compatimento l’animava a farne qualch’ altra. Lunedì la
Prima Donna rappresentante Andromeda era nell’ Atto quinto in
bianca veste inghirlandata da Dircea, che incamminavasi al lido
per essere ingojata dall’Orca Marina. Si mostrò così penetrata
dalla sua situazione, che salutata da un palchetto proscenio
corrispose con un sorriso e con un cenno di mano: poi in una
scena susseguente questa Vittima vicina al supplizio, cogliendo
i momenti ne’quali era fuori di dialogo s’accostò
al palchetto medesimo ed inchinandosi parlò quanto più a lungo
poté con chi v’era dentro. La compatisco, disse uno Spettatore,
se non può interessarsi in questa sorta di Rappresentazioni, che
non fanno nè piangere, nè ridere, e soltanto destano
l’ammirazione del volgo. è vero, un suo vicino risposegli, ma un
Commediante in iscena non ha mai da scordarsi che serve il
Pubblico, nè farsi leciti i complimenti privati. Qualunque sia
questa Fiaba empie ogni sera il Teatro, e non si può dir che:
Bravo Pelandi! Lunedì la magnifica Accademia degli Orfei diede
un Festino, che corrispose alla splendida sontuosità di tutti
gli sprivati Spettacoli co’ quali essa sempre accrebbe il numero
de’nobili trattenimenti di questa Metropoli. La sera medesima S.
E. il Signor Conte Alessandro Pepoli aprì la sua abitazione ad
un numero favorito di scelti Spettatori i quali hanno goduto la
rappresentazione di due farse, una sua l’altra del Signor Marco
Albergati, nelle quali ambidue questi Nob. Autori hanno recitato
unitamente alla non mai bastevolmente lodata N. d’Teresa Venier.
Martedì si recitò La Sposa Persiana. Posdomani dalli Signori
Accademici Rinnovati rappresentato verrà l’Amleto. Commedie.
Metatestualità
ma è meglio il non farlo per avvicinarsi quanto più presto è
possibile alla conclusione di questo periodico Articolo, di
cui ci resta ancora non piccola parte da estendere. Prima
però di terminarlo in quanto personalmente riguarda
l’immortale nostro Cesareo Poeta, ci sia permesso il
riferire un aneddoto, che renderà più grata la sua memoria,
quand’ ancora considerarlo si voglia nelle sole qualità
morali, ch’erano proprie delle sua grand’ anima.
Livello 3
Esempio
Allorché fu in questa Città, e
scrisse per il Nobilissimo Teatro di
San Gio: Grisostomo, ebbe l’ onore d’averlo per Ospite
certa Famiglia Locatelli abitante in Corte del Sabion,
in una Casa contigua al Teatro medesimo. Decaduta questa
onesta Famiglia molti anni dappoi in povertà di stato,
per una serie di fatalità, pensò di scrivergli una
Lettera chiedendogli qualche soccorso. Toccò a noi la
fortuna di prestare la nostra penna alla supplichevole
dimanda, che produsse un pronto buonissimo effetto. Con
una risposta piena d’umanità, e gentilezza, il
Metastasio regalò di venti zecchini gli sventurati suoi
Albergatori, generosità Principesca, se si voglia
riflettere alle spese, ch’esigevano la sua lindura, e
magnificenza, con cui onorava la Corte Imperiale della
quale era al servizio.
Metatestualità
Riprendendo ora il filo
dell’interrotto discorso ci sia permesso interrogare i
Maestri di Cappella, i Musici da mille zecchini, gli amatori
del moderno musicale Teatro,
Giovedì, e Venerdì 24 e 25 corrente.
Guardian Illustrissimo Signor Antonio Tommasini Degna. Per la Translazione di San Marco Evangelista, si anticiperà la Funzione nella Ducale Basilica Venerdì 25 corrente. Trattenimenti Accademici.Metatestualità
Per avere una giusta,
ed esatta descrizione dello Spettacolo dato dalli Signori
Accademici Rinnovati ci siamo rivolti ad un conoscitore
imparziale delle Teatrali Rappresentazioni, il quale
intervenne ad esso, e ci favorì colla seguente Lettera.
Livello 3
Lettera/Lettera al direttore
L’intreccio di questa
(Keleffa) Tragedia, parve a noi interamente frutto della
fervida immaginazione del suo giovine Autore, che ha
saputo maestrevolmente condurre un argomento affatto
nuovo, e maneggiare con pari felicità dei caratteri
nuovi non meno, che interessanti. Se gli potrebbe
soltanto obbiettare di avere lasciato
in qualche luogo troppo libero il freno alla viva sua
fantasia, come in una Scena amorosa dell’Atto secondo
tra Keleffa, e Vadimo, che non è per altro senza esempio
in qualche celebre Tragico. Felici quegli Autori cui non
si possono rimproverare che siffatti difetti, che
formano l’elogio della loro sensibilità, e ci scuoprono
nel suo vero punto di vista la natura sempre uguale sì
negli Eroi, che nei privati, benché in differenti forme
si sviluppi, ed appalesi. La parlata di Keleffa nel
quarto Atto, in cui cerca ella di persuadere, e commover
Truvor, onde revochi la fatal sentenza già pronunziata
contro il proprio figlio, che gli fa vedere già
inchinato sul ceppo di morte irrigare il suolo col
sangue è una pennellata ingegnosa, che a colpo d’occhio
presenta all’ attonito spettatore un patetitico quadro,
che commove, e spreme delle lagrime, cui si cercherebbe
invano di nascondere. L’incontro poi d’Igor, e d’Olga
nell’Atto suddetto quando questa è ancor smaniosa di
aver novelle del destino di Vadimo, ed Igor è
incamminato colla sentenza di morte già firmata dal Re
fatto con tale naturalezza, che senza parlare, e con una
sola esclamazione di Olga è messo al fatto l’uditorio,
ch’ella infino allora avea ricercate invano novelle di
Vadimo, onde obbedire al cenno di Keleffa, e che
precipitosamente andava in quel punto a narrar tutto
alla medesima nelle sue stanze, ha un aria di novità,
che nol lascia ravvisare in alcuna altra Tragedia
conosciuta. Ci colpì parimente nel principio dell’Atto
quarto un tratto che noi giudichiamo assolutamente di un
genio originale, e fu allora che incerta Keleffa del
destino del suo amante, smania sola nella Regia sala, e
inebbriata dall’immagine funesta di vedere il proprio
Sposo svisceratamente da lei amato sotto infame scure,
dall’ombra del proprio Padre che insanguinata le appare
con le ferite ancor vermiglie impressegli dal di lei
Sposo, da cui segue a smungere con le scarnate mani il
vivo sangue, spruzzandolene la faccia, e le vesti, cade
finalmente per terra, e soccorsa da Olga ripete la
parola fedele pronunziata da questa dicendo, a un
dipresso, con aria sorpresa di chi non ben è ritornato
all’ uso de sensi: E non lo sono stata allo Sposo io
pure? La continua progressione di questa Tragedia, le
tre austere unità Aristoteliche perfettamente osservate,
la catastrofe sospesa fino alla metà del quint’Atto, ed
allora solo spinta all’ ultimo grado, interessarono gli
animi di tutti quei ch’ ebbero la compiacenza di
ascoltarla per modo, che tuttora non se ne parla che con
sentimenti di ammirazione. Furono da qualcheduno non
approvate troppo le imprecazioni di Vadimo dopo la morte
di Keleffa; pare a noi anzi, che si rendano esse
necessarie nella situazione veramente Tragica, in cui si
trova, nè crediamo possano urtar punto anche un animo
delicato in confronto de’ due ultimi versi, che chiudono
la Tragedia, e che profferiti da Oskold con somma
nitidezza ci restarono impressi, e quì trascriviamo,
supponendoli almeno li stessi, nell’ atto che preghiamo
la moderazione del nobile Autore a perdonarcene il
furto. Eccoli
Questo è quanto abbiamo potuto rilvare di volo al solo sentirla in questa
Tragedia, che noi giudichiamo bellissima, e il di cui
giovine Autore può andar superbo di aver prodotto per
prima opera un pezzo, che non sarà mai considerato da
chichessia per tale. Noi, benché non abbiamo l’onor di
conoscerlo, facciamo eco alle lodi sincere
dell’illuminato Pubblico, che l’ascoltò per vantaggio ed
onore della nostra Italia animandolo a proseguire una
carriera che si può dir cominciata ove appena tanti
altri la sogliono terminare. Resta ora a parlar dello
stile, che sembrò a noi piano, e bastantemente energico.
Ci ferirono, e sorpresero grandemente molti tratti di
dialogismo vibrato, che non isdegnerebbe di aver scritti
lo stesso moderno Sofocle Italiano Conte Vittorio
Alfieri, siccome se ben ci ricorda, il contrasto
nell’Atto terzo di Vadimo, e di Truvor, mentre vorrebbe
questi sposar Keleffa in onta delle rimostranze del
figlio, e dà ordine ai Soldati di condurla all’ ara, e
segli oppone il figlio medesimo scoprendosi per ultimo
di lei Sposo; e verso il fine del quarto Atto quando ad
Igor che viene a recare la falsa nuova della morte di
Vadimo ricercano anelanti Keleffa, Truvor, Oskold che
mai ne sia avvenuto. Noi si siamo augurati in questo
caso una più felice memoria per ritenerli, e farli quì
ammirare ai nostri Leggitori nella loro originale
bellezza, senza esser costretti a scemarne la forza col
riportarne soltanto il sugo in iscorcio. Se mai avverrá,
come desideriamo, che sormontando i riguardi d’una
troppo austera modestia condiscenda il Nob. Autore alle
sollecitazioni de’ suoi Amici, a Coacademici facendo al
pubblico parte di questa Tragedia, si renderà a tutti
palpabile la verità di questo elogio. Non dobbiamo tacer
per ultimo degli eccellenti Attori, che la
rappresentarono: chi più, chi meno, tutti però si
distinsero. Il nostro tragico Autore ci sorprese nella
parte sua di Vadimo. Nobile nell’azione, robusto nelle
espressioni dignitose, oltremodo sensibile negli affetti
unisce a questi pregi una figura veramente teatrale, una
fisonomia insinuante, e che da se stessa si raccomanda,
una voce robusta, e ben modulata: tutti insomma que’
naturali doni, che si ricercano a rendere perfetto un
abile declamatore. Che diremo poi della Nob. Attrice,
che con tanto valore sostenne la parte di Keleffa?
Converrebbe tacere temendo di non poterne dire
abbastanza. Questo genio singolare del Secol nostro,
corredato delle più amabili qualità sociali, che seppe
colla music’ arte stendere il proprio nome per tutta
Europa, ed oltre l’Europa ancora, può far vedere all’
emula Francia che v’ è pur nell’ Italia chi è capace di
sostenere la dignità del coturno. Noi per essa abbiamo
più volte inarcate le ciglia; pur l’Amenaide, la
Gertrude ci presagirono, per dir così, le sue gran doti,
ma nella Keleffa brillarono queste nel maggior loro
lume, e giunsero all’ultimo grado di sublimità. Se nella
Musica si rese superiore a qualunque elogio più
raffinato, nell’arte del declamare è pervenuta a sì
altro segno, cui tenteremmo invano d’aggiungere colle
nostre lodi. Igor, Oskold furon da noi ammirati, e i
colpi veramente da professore di questo, il è morto di
quello alla fine del quart’Atto ci convinsero che anche
nelle piccole parti distinguer si ponno gli eccellenti
declamatori. A rendere lo Spettacolo in ogni sua parte
magnifico concorse l’ammirabil pennello del
Cav. Fontanesi, che quì ancor si distinse nella ben
ideata Scena, e nel nuovo Sipario. Il vestiario altresì
fu tutto vago, e di carattere, ma sovra gli altri si
segnalò l’abito del nostro Autore. Non è però
meraviglia, se attentissima si vide la numerosa, e
scelta Udienza, e se la splendidezza, la precisione, il
decoro con cui venne eseguita questa tragica azione fece
dire comunemente non essersi da molto tempo veduto
altrettanto. Nella brillante Farsa, che seguitò la
Tragedia fu prima accolto al comparire in iscena il
nostro Autore con gli applausi, e gli evviva del Nobile
Uditorio, al quale non bastando il solo battere palma a
palma univa l’acclamazione della viva voce, che faceva
conoscere esser essi spontanei figli di un intima
persuasione.
Citazione/Motto
Livello 4
Citazione/Motto
Oh tremenda del
Ciel vindice destra! Gli eterni arcani tuoi
rispetti il Mondo.
Metatestualità
Nel foglio venturo daremo il
promesso dettaglio dell’Istituzione dell’Accademia &c.