Gazzetta urbana veneta: Num. 9
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Ebene 1
Num. 9
Sabbato 30. Giugno 1787.
Ebene 2
La smania di volare co’palloni
aerostatici, o di farli viaggiare per la posta degli uccelli,
non è ancora cessata. Gl’italiani, emoli in questo del gallico
ed anglicano coraggio, fecero delle ardite esperienze, nelle
quali distinsesi il Cavaliere Milanese D. Paolo Andreani, che
nel suo volo si tolse alla vista degli spettatori curiosi. In
questa Città fu di felice riuscita quella, che abbiamo veduto
per opera dell’Eccellentissimo Signor Cavaliere e Proc. Pesaro,
che a proprie spese ci diede il grato spettacolo di far volare
uno di questi palloni, con tutta la più fina intelligenza
dell’arte, come lo provò il buon effetto. Molte Città e Terre
dello Stato Veneto hanno voluto gareggiare colla Dominante, e
fecero le loro prove, il cui destino non fu sempre felice. In un
Paese piccolo, ma pieno al solito di pregiudizj grandi, si
cominciò a pensar da qualch’ anno a non voler essere da meno
degli altri, e ad aprire un testatico per raccogliere la somma
necessaria alle spese dell’operazione. Bisogna che la tassa
fosse molto tenue, o i concorrenti in piccolissimo numero,
perché arrivò la settimana passata senza che la somma
neccessaria fosse raccolta, e fu d’uopo per farla che un
Piovano, un Medico, ed un Pizzicagnolo allargassero un poco la
mano. Non si fecero tanti congressi in Utrecht prima di
stabilire quella Pace memorabile, quanti ne hanno fatti in
cotesto Paesetto li principali dell’aerostatica Società, per
istabilir i modi, il tempo, le persone da eseguire la grand’
impresa. Per farla strepitosa si voleva, che col pallone andasse
in aria anco un uomo, e si esibì al volo un contadino furbissimo
chiamato Nardone che vantava un coraggio da andar a cavallo
d’una bomba per l’ampia strada de’venti. Costui per un mese
intero fu mantenuto a spese della compagnia: ed oltre a ciò
s’indebitò col pizzicagnolo, e con un oste, che contavano
d’esser pagati colle mancie promesse a Nardone nel giorno
dell’aereo suo ingresso. Ma quando tutto era all’ordine l’astuto
villano non si lasciò ritrovare, e a quelli che corsero alle
campagna ov’ ei lavorava, per avvisarlo che tutti aspettavan lui
solo, rispose: Dite a que’ Signori, che m’ hanno dato ben da
mangiare, che s’essi son pazzi tale io non sono. Tornati i
messaggeri al Corpo inspettore dello spettacolo,
manifestarono quanto Nardone avea detto, e sparsero uno
scompiglio universale. Si fece ricorso al Podestà eccitandolo a
punir colla corda, colla galera, o almen con una prigionia, un
bisolco si temerario, che aveva ingannato il Pubblico. Il
Podestà ascoltò pazientemente la instanza, e poi disse: Se siete
stati sì stolidi da credere che Nardone avesse perduto il
cervello, vostro danno; io non punisco delitti di questa sorta.
I ricorrenti tornarono scornati al sito dove il pallone
aspettavali, e lì su due piedi si risolse di sostituire un cane
all’accorto villano. Toccò la disgrazia ad un povero barbone che
non aveva padrone, e stava rosicando un osso vicino alla
Presidenza aerostatica. Preso e legato fu posto in una spezie di
cesta rotonda, che attaccata a una fune dal pallone pendeva.
All’opportuno momento si sciolsero i ritegni, che lo
trattenevano, e si sollevo obbliquamente con molta rapidità trà
gli applausi sonori del Popolo, a cui rispondeva latrando lo
sventurato barbone. Il Globo fece un viaggio brevissimo. O fosse
troppo forte il gaz, o in troppa quantità, o mal collocato,
certo si è che s’accese il pallone, e cadde ondeggiando mezz’
arso su un fiumicello, dove il misero cane affogossi, nuovo
Icaro della sua razza degno di cangiar il nome a quell’acque. Un
Cappellano, che aveva apparecchiato un Capitolo di settecento
versi in lode di quello spettacolo, lo lacerò rabbiosamente
quando ne vide un esito così tristo. Chi ci da questa Relazione
è dello stesso Paese, ma non ha alcuno de’suoi pregiudizj. Uomo
colto dilettasi delle Composizioni poetiche veramente belle, e
ci accompagna il fatto con quella che segue dicendo: Narrate
questo avvenimento curioso, e poi giacché viene in acconcio,
regalate il Pubblico della bellissima Canzone che vi trasmetto,
e vi farete onore davvero. Noi non abbiamo punto esitato a
servirlo. Si può ridere del bizzarro caso narrato, e c’è molto
da ammirare in questi eruditi elegantissimi versi, de’quali si
fà Autore il Signor Abbate Monti. Al signore
di Montgolfier
Canzone
d’autore anonimo
Stampata altra volta in parigi. Quando Giason dal Pelio Spinse nel mar gli abeti. E primo corse a rompere Coi remi il seno a Teti; Sull’alta poppa intrepido Col fior del sangue Acheo Vide la Grecia ascendere Il giovinetto Orfeo. Stendea le dita eburnee Sulla materna lira, E al Tracio suon chetavasi De’ venti il fischio e l’ira. Maravigliando accorsero Di Doride le figlie, Nettuno ai verdi alipedi Lasciò cader le briglie. Cantava il Vate Odrifio D’ Argo la gloria intanto, E dolce errar sentivasi Sull’alme greche i canto. O della Senna ascoltami Novello Tifi invitto: Vinse i portenti argolici L’aereo tuo tragitto. Tentar del mare i vortici Forse è sì gran pensiero, Come occupar de’fulmini L’inviolato impero? Deh perché al nostro secolo Non diè propizio il fato D’ un altro Orfeo la cetera, Se Montgolfier n’ ha dato? Maggior del prode Esonide Surse di Gallia il figlio. Applaudì, Europa attonita, Al volator naviglio. Non mai natura, all’ordine Delle sue leggi intesa, Dalla potenza chimica Soffrì più bella offesa. Mirabil arte, ond’ alzasi Di Sthallio e Black la fama; Pera lo stolto cinico, Che frenesia ti chiama. De’ corpi entro le viscere Tu l’acre sguardo avventi, E in van celarsi tentano Gl’ indocili elementi. Dalle tenaci tenebre La verità traesti, E delle rauche ipotesi Tregua al furor ponesti. Brillò Sofia più fulgida Del tuo splendor vestita, E le sorgenti apparvero, Ondo il creato ha vita. L’igneo terribil aere, Che dentro il suol profondo Pasce i tremuoti, e i cardini Fa vacillar del mondo, Reso innocento or vedilo Da’ patrj corpi uscire, E già domato ed utile Al domator servire. Per lui del pondo immemore, Mirabil cosa! in alto Va la materia, e insolito Porta alle nubi assalto. Il gran prodigio immobili I riguardanti lassa, E di terrore un palpito In ogni cor trapassa. Tace la terra, e suonano Del ciel le vie deserte: Stan mille volti pallidi, E mille bocche aperte. Sorge il diletto, e l’estasi In mezzo allo spavento, E i piè mal fermi agognano In dietro al guardo attento. Pace e silenzio, o turbini; Deh non vi prenda sdegno, Se umane salme varcano Delle tempeste il regno. Rattien la neve, o Borea, Che giù dal cria ti cola, L’etra sereno e libero Cedi a Robert, che vola. Non egli vien d’Orizia A insidiar le voglie: Costa rimorsi e lagrime Tentar d’un Dio la moglie. Mise Teseo nei talami Dell’atro Dite il piede: Punillo il fato, e in Erebo Trà ceppi eterni or siede. Ma già di Francia il Dedalo Nel mar dell’aure è lunge; Lieve lo porta zeffiro, E l’occhio appena il giunge. Fosco di là profondasi Il suol fuggente ai lumi, E come larve appajono Città, foreste, e fiumi. Certo la vista orribile L’almo agghiacciar dovrìa, Ma di Robert nell’anima Chiusa è al terror la via. E già l’audace esempio I più ritrosi acquista, Già mille globi ascendono Alla fatal conquista. Umano ardir! pacifica Filosofia sicura! Qual forza mai, qual limite Il tuo poter misura? Rapisti al ciel le folgori, Che debellate innante Con tronche ali ti caddero, E ti lambir le piante. Frenar, guidati i calcoli Dal tuo pensiero ardito, Degli astri il moto, e l’orbite, L’olimpo e l’infinito. Svelano il volto incognito Le più rimote stelle, Ed appressar le timide Lor vergini fiammello. Del Sole i rai dividere, Pesar quest’aria osastì, La terra, il fuoco, il pelago, Le sere, e l’uom domasti. Oggi a calcar le nuvole Giunse la tua virtute, E di natura stettero Le leggi inerti e mute. Chi più ti mesta? infrangere Anche alle morte il telo, E della vita il nettare Libar con Giove in cielo. Solennità Festive La bellezza della corrente stagione, e il caldo che allontana la gente da’Caffè, e da’Casini, ha fatto che i concorso alla Sagra di S. Pietro sia in quest’anno numeroso e frequente. Le putte Castellane se l’hanno goduta la notte della vigilia co’loro balli, e a forza di furlane e di nio si sono spossate e sciolte in sudore. Le maestre della musica regolatrice de’loro movimenti si sfiatarono, logorandosi i diti suonando il cimbano, cantando le solite canzonette, che son ripiene di simili espressioni gentili: El malan che Dio ve dia Che l’osso del collo ve vaga via. L’arsenale ha somministrata la cera per qualche Festino da strada, e per qualch’ altro si adoperò delle lucerne da frittoleri. Il famoso Bava fece molte faccende, e col solito della sua buona grazia proccurò di soddisfare tutti, ma molto più di restar soddisfatto. In generale vi fu dell’allegria, del movimento, del chiasso, ma i vecchi della Contrada si lagnano, e fra loro ripetono: i nostri tempi ove sono? si va di male in peggio: siamo tutti miserabili, e or’ ora Castello è un Ospital di Chiozzotti. Le buone Famiglie de’nostri Capitani sdegnano di star quì, e dopo ch’hanno perduta la bella semplicità de’loro Antenati, e scordandosi il cappotto si sono addomesticati colla seta e collo scarlatto, vogliono abitare a S. Marco, e a Rialto. Povero Castello! La sacra funzione di venerdì chiamò dalle parti più lontane una gran quantità di persone divote nella Chiesa Patriarcale di San Pietro, una delle più belle e magnifiche di questa Città. Non fu nella sua antica origine che piccola cosa ed ebbe ingrandimento nel 639, quando la Sede Vescovile in essa fu stabilita dal Sommo Pontefice Severino. Nel 1451. soppresso da Niccolò V. il Patriarcato di Grado fu investito del titolo di Patriarca di Venezia il glorioso S. Lorenzo Giustiniani. Nel giorno 10. Febbrajo del 1603. il fuoco distrusse molti argenti che v’ erano nella Sagristia, e con essi delle ricche suppellettili, e gli antichi Libri del Coro di valor inestimabile, ed altre scritture importanti. Per un tale danno sofferto, e per l’antichità che minacciava una rovina, fu questo Tempio rialzato da’fondamenti sotto il Patriarcato di Giovanni Tiepolo nel 1621, e nel 1642. alli 2. di Settembre ebbe il suo compimento e venne consecrato dal Patriarca Federico Corner. Il suo lastricato di fini marmi a diversi colori fu fatto nel 1725. quando sosteneva la dignità Patriarcale Monsignor Marco Gradenigo. L’Altare isolato della Cappella maggiore, fu eretto per voto pubblico nel 1649. nella occasione della guerra di Candia, e la statua di S. Lorenzo che vi soprastà è opera molto stimata di Baldassare Longhena. Trà gli ornamenti rarissimi di questa Chiesa evvi la Cattedra di pietra su cui S. Pietro sedeva in Antiochia, nella quale scolpite veggonsi molte antiche Samaritane parole. Fu questo un dono del Greco Imperatore Michele III. figliuolo di Teofilo, a Giustiniano Participazio, per i molti favori ch’ei ricevè da questa Repubblica verso la metà del secolo nono. Il Malombra, il Basaiti, il Liberi, Pietro Ricchi Lucchese, Francesco Rusta, il Giordao, Trizianello, il Padovanini, il Bellucci, il Lazzarini, Girolamo Pellegrini, hanno fregiato co’celebri loro pennelli questo magnifico Tempio: ma il più prezioso di tutte le sue pitture è quella tavola di Paolo Veronese rappresentante S. Giovanni Evangelista coi SS. Pietro e Paolo. L’architettura, i scolpiti marmi, le pinte tele, saziano il guardo curioso dell’intelligente osservatore: e son penetrati i cuori da una divozione soave al riflettere che questa Chiesa sì celebre è governata attualmente da Monsignor Federico Giovanelli vivente tabernacolo di santità. Jeri si sciolse la riduzione del Serenissimo M. C. senza poter fare le destinate elezioni, perché al numero necessario mancava un solo Patrizio, e s’è trasferita al giorno d’oggi, in cui pure si radunerà nel dopo pranzo il Senato, ad eleggere, secondo l’annuo costume, gli Eccellentissimi Savj. Vicenza. Tutte le relazioni, che abbiamo dell’Opera già cominciata in cotesta bella e deliziosa Città, generalmente s’accordano a dirne bene. Si ritrova la musica studiata, piacevole, armoniosa, ed eseguita maravigliosamente da un’abilissima Orchestra: La Signora Pozzi si fà molto onore nell’aria sua del Primo Atto, e particolarmente nel rondeau dell’Atto Secondo, non meno che nel Duetto, e nel Terzetto. Questa rinomata Virtuosa, che felicemente s’accosta alle maniera dell’impareggiabil Marchesi, riscuote i primi e più universali applausi, quantunque si trovi in una Compagnia cantante piena di merito. Il Primo Musico ha una bellissima voce, e un’abilità, che lo lascia poco indietro da’gran Nomi da Cartello, che si dividono il Primato Teatrale. Il Tenore Cavi sostiene degnamente la di lui Parte, ed è non poco applaudito; il Franchi, altro Tenore, quantunque di mal ferma salute, contribuisce al generale piacere, e si dimostra un imitatore del famoso Babbini, atto a de’luminosi progressi. Il Finale, che chiude l’Atto Secondo, è a più voci, concertato sì maestrevolmente con sortite, attacchi, ed altri ingegnosi raffinamenti dell’arte, che nulla lasciando desiderare all’intelligente uditorio, lo colmano di melodica soavità. Il Primo Ballo ebbe un esito felicissimo, e il Signor Muzzarelli che lo compose, fu chiamato fuori a ricevere i meritati applausi, unitamente alle Signore Volcani e Pitrot, che rappresentarono in esso le Prime Parti con tutta la bravura possibile. Scene, Vestiario, decorazione, tutto corrisponde al bello essenziale dello Spettacolo, ed alla magnificenza di che presiede alle sua direzione. Varii saranno i pubblici divertimenti, che durante l’Opera verranno dati, trà i quali due Palii nel Campo Marzio ove si stà formando un Anfiteatro co’gradini e loggie alla Palladiana, che verrà dipinto dalli abilissimi Mauri. Non si può negare che li Signori Vicentini abbiano un ottimo gusto ed una generosità non ordinaria, quando si tratta di chiamare il concorso de’Forastieri a’loro Spettacoli. Padova. Lo Spettacolo del passato Mercordì ebbe la più felice riuscita. Il circondario del Prato della Valle fu al solito ripieno d’innumerabili Spettatori, che formarono un colpo d’occhio sorprendente e allettante. Dicianove furono li cavalli, che fecer prova della loro velocità due de’quali nel precorrere agli altri stettero quasi sempre uniti, ed ottennero il Primo e Secondo Premio in poca distanza l’uno dall’altro. La novità dello steccato, che soffrì tante opposizioni prima d’esser permessa, fece conoscere in pratica il torto di chi gli era contrario, perché la corsa si eseguì così bene, senza il menomo inconveniente, che recò una soddisfazione universale, e richiamò alla memoria i disordini degli anni passati per trovarla al confronto più degna di lode. La sera il Teatro fu pieno. Si ha tutta la ragione di credere, che il concorso alla corsa seconda delli Fantini non abbia ad essere minore del primo.
Oratori. Ogni Domenica nella
Chiesa di San Geremia, il Sacerdote Veneto D. Antonio Zalivani
alunno della Chiesa di San Niccolò, spiega la Sacra Scrittura
con un metodo facile e chiaro, ed una eloquenza a portata del
Popolo, che rendono fruttuose le sue fatiche apostoliche, e
chiamano un numeroso concorso. Questo sacro Oratore ha reso
chiaro il suo merito su molti pulpiti, non meno di questa
Dominante, che d’altri Paesi ad essa soggetti, e nella prossima
passata Quaresima predicò in S. Giovanni di Rialto con molto
applauso. Avvertimenti. La Persona, che ricercava la Serva,
nella contrada di S. Luca, l’hà ritrovata a proposito; così
quella che bramava una Stanza fornita la rinvenne a norma del
suo desiderio in Contrada di SS. Apostoli. Le porcellane sono
state esaminate, e c’è chi vi applica all’acquisto. Ecco i beni
d’una Gazzetta quando cominciano le ricorrenze. Ma queste son
poche, e non si vuol intendere che un Foglio pubblico sia un
gran mezzo per le vendite, gli acquisti, i contratti, e il
commercio delle spirito. Alcuni hanno tal ripugnanza a vedersi
in istampa, che pare che una Gazzetta, pero loro, sia un Bando
ignominioso. Cambj. Nota
de’Protesti delle Lettere di Cambio
Dal
Giorno 21. Giugno 1787. fino il 27. Venezia. Furon poste anco la
Acc. scorsa settimana senza la spiegazione che il Signor Antonio
di Giacinto Colombo paga per onor della Valuta. Lettere di
Pietro Lisignol qu. Bortolo, dirette a se medesimo, pagabili con
girate ad Antonio di Giacinto Colombo, Valuta da Paolo dalla
Casa in due Cambiali L. 310 Venezia Acc. Lettera di Pietro
Angelini, diretta ad Antonio Giardini di Feltre, pagabile
all’ordine del Traente, Valuta intelaci L. 842 Bassano. Acc.
Sig. Girolamo Fracasso paga per onor di Firma. Lettera di
Niccolò Bianchi, diretta a Gio: Marinoni qu. Baldissera di
Bassano, pagabile con girata a Rech e Lamminit, Valuta da Mattia
e Melchior Romer L. 605
di Montgolfier
Canzone
d’autore anonimo
Stampata altra volta in parigi. Quando Giason dal Pelio Spinse nel mar gli abeti. E primo corse a rompere Coi remi il seno a Teti; Sull’alta poppa intrepido Col fior del sangue Acheo Vide la Grecia ascendere Il giovinetto Orfeo. Stendea le dita eburnee Sulla materna lira, E al Tracio suon chetavasi De’ venti il fischio e l’ira. Maravigliando accorsero Di Doride le figlie, Nettuno ai verdi alipedi Lasciò cader le briglie. Cantava il Vate Odrifio D’ Argo la gloria intanto, E dolce errar sentivasi Sull’alme greche i canto. O della Senna ascoltami Novello Tifi invitto: Vinse i portenti argolici L’aereo tuo tragitto. Tentar del mare i vortici Forse è sì gran pensiero, Come occupar de’fulmini L’inviolato impero? Deh perché al nostro secolo Non diè propizio il fato D’ un altro Orfeo la cetera, Se Montgolfier n’ ha dato? Maggior del prode Esonide Surse di Gallia il figlio. Applaudì, Europa attonita, Al volator naviglio. Non mai natura, all’ordine Delle sue leggi intesa, Dalla potenza chimica Soffrì più bella offesa. Mirabil arte, ond’ alzasi Di Sthallio e Black la fama; Pera lo stolto cinico, Che frenesia ti chiama. De’ corpi entro le viscere Tu l’acre sguardo avventi, E in van celarsi tentano Gl’ indocili elementi. Dalle tenaci tenebre La verità traesti, E delle rauche ipotesi Tregua al furor ponesti. Brillò Sofia più fulgida Del tuo splendor vestita, E le sorgenti apparvero, Ondo il creato ha vita. L’igneo terribil aere, Che dentro il suol profondo Pasce i tremuoti, e i cardini Fa vacillar del mondo, Reso innocento or vedilo Da’ patrj corpi uscire, E già domato ed utile Al domator servire. Per lui del pondo immemore, Mirabil cosa! in alto Va la materia, e insolito Porta alle nubi assalto. Il gran prodigio immobili I riguardanti lassa, E di terrore un palpito In ogni cor trapassa. Tace la terra, e suonano Del ciel le vie deserte: Stan mille volti pallidi, E mille bocche aperte. Sorge il diletto, e l’estasi In mezzo allo spavento, E i piè mal fermi agognano In dietro al guardo attento. Pace e silenzio, o turbini; Deh non vi prenda sdegno, Se umane salme varcano Delle tempeste il regno. Rattien la neve, o Borea, Che giù dal cria ti cola, L’etra sereno e libero Cedi a Robert, che vola. Non egli vien d’Orizia A insidiar le voglie: Costa rimorsi e lagrime Tentar d’un Dio la moglie. Mise Teseo nei talami Dell’atro Dite il piede: Punillo il fato, e in Erebo Trà ceppi eterni or siede. Ma già di Francia il Dedalo Nel mar dell’aure è lunge; Lieve lo porta zeffiro, E l’occhio appena il giunge. Fosco di là profondasi Il suol fuggente ai lumi, E come larve appajono Città, foreste, e fiumi. Certo la vista orribile L’almo agghiacciar dovrìa, Ma di Robert nell’anima Chiusa è al terror la via. E già l’audace esempio I più ritrosi acquista, Già mille globi ascendono Alla fatal conquista. Umano ardir! pacifica Filosofia sicura! Qual forza mai, qual limite Il tuo poter misura? Rapisti al ciel le folgori, Che debellate innante Con tronche ali ti caddero, E ti lambir le piante. Frenar, guidati i calcoli Dal tuo pensiero ardito, Degli astri il moto, e l’orbite, L’olimpo e l’infinito. Svelano il volto incognito Le più rimote stelle, Ed appressar le timide Lor vergini fiammello. Del Sole i rai dividere, Pesar quest’aria osastì, La terra, il fuoco, il pelago, Le sere, e l’uom domasti. Oggi a calcar le nuvole Giunse la tua virtute, E di natura stettero Le leggi inerti e mute. Chi più ti mesta? infrangere Anche alle morte il telo, E della vita il nettare Libar con Giove in cielo. Solennità Festive La bellezza della corrente stagione, e il caldo che allontana la gente da’Caffè, e da’Casini, ha fatto che i concorso alla Sagra di S. Pietro sia in quest’anno numeroso e frequente. Le putte Castellane se l’hanno goduta la notte della vigilia co’loro balli, e a forza di furlane e di nio si sono spossate e sciolte in sudore. Le maestre della musica regolatrice de’loro movimenti si sfiatarono, logorandosi i diti suonando il cimbano, cantando le solite canzonette, che son ripiene di simili espressioni gentili: El malan che Dio ve dia Che l’osso del collo ve vaga via. L’arsenale ha somministrata la cera per qualche Festino da strada, e per qualch’ altro si adoperò delle lucerne da frittoleri. Il famoso Bava fece molte faccende, e col solito della sua buona grazia proccurò di soddisfare tutti, ma molto più di restar soddisfatto. In generale vi fu dell’allegria, del movimento, del chiasso, ma i vecchi della Contrada si lagnano, e fra loro ripetono: i nostri tempi ove sono? si va di male in peggio: siamo tutti miserabili, e or’ ora Castello è un Ospital di Chiozzotti. Le buone Famiglie de’nostri Capitani sdegnano di star quì, e dopo ch’hanno perduta la bella semplicità de’loro Antenati, e scordandosi il cappotto si sono addomesticati colla seta e collo scarlatto, vogliono abitare a S. Marco, e a Rialto. Povero Castello! La sacra funzione di venerdì chiamò dalle parti più lontane una gran quantità di persone divote nella Chiesa Patriarcale di San Pietro, una delle più belle e magnifiche di questa Città. Non fu nella sua antica origine che piccola cosa ed ebbe ingrandimento nel 639, quando la Sede Vescovile in essa fu stabilita dal Sommo Pontefice Severino. Nel 1451. soppresso da Niccolò V. il Patriarcato di Grado fu investito del titolo di Patriarca di Venezia il glorioso S. Lorenzo Giustiniani. Nel giorno 10. Febbrajo del 1603. il fuoco distrusse molti argenti che v’ erano nella Sagristia, e con essi delle ricche suppellettili, e gli antichi Libri del Coro di valor inestimabile, ed altre scritture importanti. Per un tale danno sofferto, e per l’antichità che minacciava una rovina, fu questo Tempio rialzato da’fondamenti sotto il Patriarcato di Giovanni Tiepolo nel 1621, e nel 1642. alli 2. di Settembre ebbe il suo compimento e venne consecrato dal Patriarca Federico Corner. Il suo lastricato di fini marmi a diversi colori fu fatto nel 1725. quando sosteneva la dignità Patriarcale Monsignor Marco Gradenigo. L’Altare isolato della Cappella maggiore, fu eretto per voto pubblico nel 1649. nella occasione della guerra di Candia, e la statua di S. Lorenzo che vi soprastà è opera molto stimata di Baldassare Longhena. Trà gli ornamenti rarissimi di questa Chiesa evvi la Cattedra di pietra su cui S. Pietro sedeva in Antiochia, nella quale scolpite veggonsi molte antiche Samaritane parole. Fu questo un dono del Greco Imperatore Michele III. figliuolo di Teofilo, a Giustiniano Participazio, per i molti favori ch’ei ricevè da questa Repubblica verso la metà del secolo nono. Il Malombra, il Basaiti, il Liberi, Pietro Ricchi Lucchese, Francesco Rusta, il Giordao, Trizianello, il Padovanini, il Bellucci, il Lazzarini, Girolamo Pellegrini, hanno fregiato co’celebri loro pennelli questo magnifico Tempio: ma il più prezioso di tutte le sue pitture è quella tavola di Paolo Veronese rappresentante S. Giovanni Evangelista coi SS. Pietro e Paolo. L’architettura, i scolpiti marmi, le pinte tele, saziano il guardo curioso dell’intelligente osservatore: e son penetrati i cuori da una divozione soave al riflettere che questa Chiesa sì celebre è governata attualmente da Monsignor Federico Giovanelli vivente tabernacolo di santità. Jeri si sciolse la riduzione del Serenissimo M. C. senza poter fare le destinate elezioni, perché al numero necessario mancava un solo Patrizio, e s’è trasferita al giorno d’oggi, in cui pure si radunerà nel dopo pranzo il Senato, ad eleggere, secondo l’annuo costume, gli Eccellentissimi Savj. Vicenza. Tutte le relazioni, che abbiamo dell’Opera già cominciata in cotesta bella e deliziosa Città, generalmente s’accordano a dirne bene. Si ritrova la musica studiata, piacevole, armoniosa, ed eseguita maravigliosamente da un’abilissima Orchestra: La Signora Pozzi si fà molto onore nell’aria sua del Primo Atto, e particolarmente nel rondeau dell’Atto Secondo, non meno che nel Duetto, e nel Terzetto. Questa rinomata Virtuosa, che felicemente s’accosta alle maniera dell’impareggiabil Marchesi, riscuote i primi e più universali applausi, quantunque si trovi in una Compagnia cantante piena di merito. Il Primo Musico ha una bellissima voce, e un’abilità, che lo lascia poco indietro da’gran Nomi da Cartello, che si dividono il Primato Teatrale. Il Tenore Cavi sostiene degnamente la di lui Parte, ed è non poco applaudito; il Franchi, altro Tenore, quantunque di mal ferma salute, contribuisce al generale piacere, e si dimostra un imitatore del famoso Babbini, atto a de’luminosi progressi. Il Finale, che chiude l’Atto Secondo, è a più voci, concertato sì maestrevolmente con sortite, attacchi, ed altri ingegnosi raffinamenti dell’arte, che nulla lasciando desiderare all’intelligente uditorio, lo colmano di melodica soavità. Il Primo Ballo ebbe un esito felicissimo, e il Signor Muzzarelli che lo compose, fu chiamato fuori a ricevere i meritati applausi, unitamente alle Signore Volcani e Pitrot, che rappresentarono in esso le Prime Parti con tutta la bravura possibile. Scene, Vestiario, decorazione, tutto corrisponde al bello essenziale dello Spettacolo, ed alla magnificenza di che presiede alle sua direzione. Varii saranno i pubblici divertimenti, che durante l’Opera verranno dati, trà i quali due Palii nel Campo Marzio ove si stà formando un Anfiteatro co’gradini e loggie alla Palladiana, che verrà dipinto dalli abilissimi Mauri. Non si può negare che li Signori Vicentini abbiano un ottimo gusto ed una generosità non ordinaria, quando si tratta di chiamare il concorso de’Forastieri a’loro Spettacoli. Padova. Lo Spettacolo del passato Mercordì ebbe la più felice riuscita. Il circondario del Prato della Valle fu al solito ripieno d’innumerabili Spettatori, che formarono un colpo d’occhio sorprendente e allettante. Dicianove furono li cavalli, che fecer prova della loro velocità due de’quali nel precorrere agli altri stettero quasi sempre uniti, ed ottennero il Primo e Secondo Premio in poca distanza l’uno dall’altro. La novità dello steccato, che soffrì tante opposizioni prima d’esser permessa, fece conoscere in pratica il torto di chi gli era contrario, perché la corsa si eseguì così bene, senza il menomo inconveniente, che recò una soddisfazione universale, e richiamò alla memoria i disordini degli anni passati per trovarla al confronto più degna di lode. La sera il Teatro fu pieno. Si ha tutta la ragione di credere, che il concorso alla corsa seconda delli Fantini non abbia ad essere minore del primo.
Ebene 3
Abbominevole Ingratitudine.
Exemplum
Un
Giovane d’ottimi sentimenti, ma privo della esperienza
del mondo necessaria a preservarsi dalle insidie e da
tradimenti, si privò di quanti denari aveva, e delli due
suoi orologj, per soccorrere a titolo di prestanza un
uomo volgare e di cattiva condotta, che si trovava in
pericolo di perdere un impiego, atteso l’arbitrio
presosi di valersi di certa somma di soldi, che per
conto altrui maneggiava. Dopo un mese circa il generoso
creditore chiese il suo alle sconoscente beneficato, che
s’offese della ricerca, e passò dal risentimento alle
minaccie e alle ingiurie, indi sguainata un’arma da
taglio inseguì il suo disarmato benefattore, e tentò li
lordarsi le mani nel di lui sangue. Unitamente ad altre
anime scellerate al paro della sua, formò una congiura
per togliere dal mondo chi aveva salvata la sua
riputazione collo spogliarsi per lui, destinando un’arma
da fuoco per istrumento d’un così nero delitto. Il
povero Giovine, per non essere la vittima d’una sì
esecrabile ingratitudine, si tenne nascosto per più
giorni in casa d’altrui, e fu liberato dal possente
braccio della Giustizia, che assumendo le sue ragioni
cercò d’impossessarsi dell’iniquo mostro di sconoscenza;
ma costui si sotrasse (sic.) al suo sdegno con una fuga.
Metatextualität
Il caso è verissimo, nato pochi
giorni sono, e noto a molte persone. Si tace il Paese in cui
è seguito, e il nome dell’innocente, e del reo, come la
prudenza esige da noi. Narrandolo non abbiamo
altra mira, che quella d’insegnare con tale esempio alla
gioventù sconsigliata ad iscegliere delle compagnie che non
istrascinino al precipizio, difetto in cui cade sì sovente
chi non conosce il mondo, o non vuol badare a’suggerimenti
degli uomini saggj.