Mercordi 27. Giugno 1787.
Ecco la seconda Lettera
sulla
il nome di Maschera di ferro si suole indicar in Francia, un Prigioniere
incognito, rinchiuso prima con gran segreto nel Castello di
Pignerol, e di là trasferito nelle Isole di
Santa Margarita. Questo era un uomo di una statura
più che ordinaria, e fatto a perfezione. La sua pelle, alquanto
bruna, era dolcissima, e nella cura di mantenerla in quello
stato di morbidezza, eccedeva forse la donno più desiderosa di
piacere per le attrattive della Bellezza. Il suo gusto
principale era per la biancheria, merli, e simili frascherie.
Suonava la Chitarra con abilità, e mostrava in tutto aver
ricevuto una grande educazione. Era assai interessante il suon
della sua voce, e non si sentì mai lagnarsi della sorte, né dir
cosa che scuoprir potesse il suo stato. Nelle malattie, e
ne’viaggi, per passar da una prigione all’altra,
nascondeva il suo volto a’medici, ed a’ passanti con uno di
ferro; alcuni hanno preteso che fosse di velluto: ma la comune
opinione ha prevalso nello stabilirlo di ferro, e che nel mento
aveva delle suste d’ acciajo, perché non gli venisse impedito il
necessario movimento della bocca per mangiare. Ci era ordine
preciso di ammazzarlo subito che si scuoprisse alla presenza di
qualcheduno; benché essendo solo fosse padrone di smascherarsi.
Egli restò a Pignerol fintanto che il Signor de Saint Mars,
Comandante di quel Castello, avendo ottenuto
la Luogotenenza di Re delle Isole di Lerins, lo condusse seco lui in quella marittima
solitudine, e quando poi fu fatto Governatore della
Bastiglia, seguillo il Prigioniere sempre
mascherato. In questa ultima dimora fu trattato così bene quanto
poteva esserlo; non gli veniva rifiutata cosa alcuna di quanto
ne richiedeva; gli si davano i più ricchi abiti; gli era
imbandita lauta mensa, e rade volte il Governatore si prendeva
la confidenza di sedere in sua presenza. Essendo andato il
Marchese di Louvois a vederlo a
Santa Margarita, gli parlò con una
considerazione, che aveva assai del rispetto. Questo illustre
incognito morì il 19. Novembre 1703., e fu seppellito il giorno
seguente a quattro ore dopo mezzo giorno sotto il nome di
Marchiali, nel Cimiterio della Parrocchia
di S. Paolo. Ciò che accresce la sorpresa
si è che nell’epoca della sua Prigionia, non isparì in Europa
alcun personaggio di rango; eppure egli doveva esserlo
sicuramente, poiché oltre ciò che abbiamo detto finora, ne’primi
giorni ch’ egli fu nell’Isola, lo stesso Governatore metteva i
piatti sulla di lui tavola, e si ritirava poi dopo averlo
rinchiuso dentro. Un giorno scrisse con un coltello sopra un
tondo d’Argento, e lo gettò poi per la finestra verso un
battello, ch’era là vicino quasi al piede della Torre. Un
pescatore, cui apparteneva il battello, raccolse il tondo, e lo
portò al Governatore. Questo sorpreso domandogli se aveva
letto ciò che era scritto sul tondo, e se alcuna altra persona l’
aveva veduto: al che gli rispose il povero
uomo, ch’ ei non sapeva leggere, e che nessuno l’ aveva
potuto vedere, poiché l’ aveva portato immediatamente. Il Pescatore restò tra ferri finché il Governatore
non fu perfettamente istruito, che non aveva mai saputo leggere,
e che nessuno aveva veduto il tondo. Andate, gli disse allora, e ringraziate il Cielo
che non abbiate imparato a leggere.
Monsieur de la Grange Chancel racconta in una Lettera diretta all’Autor
dell’Anno Letterario, che quando
Saint Mars andò a prendere la Maschera di ferro,
per trasportarla alla Bastiglia, il
Prigioniere disse al suo Conduttore: Forse il Re vuol che
io muora? No, Principe, rispose Saint Mars;
la vostra vita è sicura; basta che vi lasciate condurre. Io so, aggiunge lo stesso
Autore, da uno chiamato Dubuisson, Cassiere del famoso Samuele Bernard che
essendo prigioniero nelle Isole di Santa Margarita, ed occupando una camera con altri prigionieri
sopra quella della Maschera di ferro, per il condotto del
cammino si potevano parlare, ed avendogli richiesto un giorno il
di lui nome e le sue avventure, aveva risposto loro, che dal
dirlo dipendeva la sua vita e non meno quella di coloro, cui ne
facesse confidenza: Tutti questi aneddoti provano che la
Maschera di ferro era un personaggio di grandissima importanza.
Ma chi era mai questo personaggio? Un foglio pub-blico ha detto nel 1780., che ci era motivo
di credere che fosse un Segretario del Duca di Mantova, che
avesse operato troppo efficacemente contro la Francia. Ma questa
non è che una di tante congetture azzardate sopra quella
disgraziata vittima della Politica. Né Voltaire, né altro Autore
non ha osato mai opinare sopra questa
materia. Il primo diceva in una Lettera all’Abate di Bos essere istruito assai delle circostanze di questo
prigioniero, per aver parlato con quelli che l’avevano servito.
Non sappiamo che ci sia altro che Monsieur de Sainte-Poix che abbia
congetturato potere essere Giacomo Duca di Montmouth Figlio naturale di Carlo II. Re d’Inghilterra, nato a Roterdam nel 1649.; il
quale avendo attentato più volte contro la vita di suo Padre, e
del Duca di Yorck poi Re d’ Inghilterra
sotto il Nome di Giacomo II., questo
finalmente non li volle perdonar più e lo fece morire decapitato
sul palco in Londra ai 25. Luglio 1685. Pretende dunque
Sainte Poix che in vece sua si avesse fatto
morire un uomo che gli rassomigliava perfettamente, e che il
vero Duca fosse stato mandato in Francia per essere rinchiuso
perpetuamente colla maschera di ferro sul viso. Ma dove si
sarebbe trovata una perfetta rassomiglianza che avesse potuto
ingannar un Popolo che lo conosceva? La storia racconta che
quell’illustre Guerriero comparì sul Palco colla grandezza di
coraggio, che aveva sempre dimostrata nelle Battaglie. Quando
anche si fosse trovata la vittima somigliante, qual compenso
poteva mai farla condiscendere volontariamente a morire per lui
sopra l’ignominioso Palco?
Egli non era certamente Francesco di Vendome,
Duca di Beaufort. Ciò che ne ha detto il
sopraccitato Grange Chancel non è fondato
sopra prove dimostrative, che giungano a distruggere la certezza
morale della morte di questo celebre Generale nell’assedio di
Candia il 25. Giugno 1669.
Era dunque Luigi di Bourbon Conte di
Vermandois, come l’ha preteso l’Autor, delle
Memorie di Persia? Questo Scrittore senza
fondamento dice che questo Principe, figlio legittimato di
Luigi XIV., e della Duchessa della
Valliere, fu tolto alla cognizione degli
uomini dal suo proprio padre per castigarlo d’aver dato uno
schiaffo al Regio Delfino. Può stamparsi una Favola più zotica?
Chi ignora d’altronde, che il Conte di Vermandois morì dal Vajuolo nel Campo innanzi a Dixmude
nel 1683?
Non è meno assurdo il voler far altre congetture
sulla persona della Maschera di ferro. Per risolvere questo problemma (sic.)
Storico ci vorrebbero memorie di coloro, che avevano la chiave
di questo affar segreto; e non avendone questi lasciata alcuna
alla posterità, bisogna saper tacere, e cuoprir col silenzio ciò
che non può mai venire alla luce.
Le Sagre succedonsi in questi giorni
frequentemente, e tengono luogo di Villeggiatura a chi non può andar
in campagna per la gran ragione di non aver soldi, o per
qualch’altro impedimento. La notte del Sabbato scorso il Popolo fu
in giro per la Vigilia di San Giovanni, e le
Bettole, i Caffè,
i Frittoleri, hanno vuotate le tasche
de’nostri morbinosi artigiani, e di tanti sfaccendati viziosi, che
hanno la prerogativa d’andare in precipizio con Erbaria ebbe nella seguente
mattina un numeroso concorso di gente, che prima d’andare a letto
comperò fiori, passeggiò osservando, e formò il solito quadro
bizzarro, che serve d’ irritamento al rigido Moralista, e diverte
l’osservatore filosofo umano. Questo spettacolo risultante dalla
varietà del sesso, dell’età, delle condizioni, delle fortune, ha
sommamente divertito un Forastiero di qualità, che tutto volle
vedere ed esaminare, e non era mai stato a Venezia in questa
stagione. Alla Sagra, diss’ egli, ogni Donna
mi pareva bella, e non sapeva da qual banda voltarmi perché mi
piacevano tutte. Che brio! che eleganza! che gusto! che portamento!
Al lume
di candela né donna né tela. Trovai
verificato questo Veneto proverbio dallo splendore del Sole, che mi
scoprì le magagne, e fece vedere che tutto il merito del colorito
lor volto l’aveva l’arte, senza che la natura ci entrasse. Cappelli,
fettuccie, veli, fiori, ricami, tutto bello, ma poi biacca e
rossetto, e faccie gialle e verdiccie, ed occhj gonsj e
ammaccati.
Non creda questo Straniero, che tutte le Veneziane siano simili a
quelle, che in Erbaria egli ha veduto. Vi
sono delle vigorose bellezze, che resistono alla veglia notturna, e
nulla perdono al lume del Sole: ma queste, o sono in Campagna, o non
erano al passeggio, ch’egli ha goduto, dove se avesse bene osservato
veduto avrebbe almeno almeno un bel visetto, che spirava amore e
rendeva più umiliante il confronto delle squallide ciere, che gli si
affacciavano. Rise sgangheratamente in disparte, il Forastiero
suddetto, vedendo una svelta gobbetta con un cimiero di fiori in
capo, che la ingrandiva, a braccio d’uno scalzo battellante, e d’un marinajo, che aveva mustacchi da
Bascià, e per vezzo incensavale il volto co’densi globi di fumo che
assorbiva dalla sua pipa di canna. Ma basti così quanto alle inezie,
e passiamo al serio.
La Solennità sacra della Domenica, giorno della Natività di San Giovanni Battista,
si celebrò, secondo l’annua consuetudine, nella Chiesa Parocchiale e
Collegiata di S. Giovanni suo Titolare, detto
volgarmente in Bragola. Il Sansovino pretende, che prendesse questa Contrada una tale
denominazione dalla pescagione che colà facevasi, e che nel
vernacolo degli antichi tempi quell’arte fosse chiamata bragolare. Per autenticare cotesta opinione
si fà valere il testo del Dante ch’ usa
replicatamente la voce brago per pantano. Ma
l’erudito Autore della Fondazione
delle Chiese di Venezia, attenendosi
all’autorità del Dandolo, asserisce con
sicurezza, scartando tutti gli altri pareri: Che
sotto il Ducato di Pietro Candiano III. Domenico Talonico
Cappellano di San Marco, e Cancelliere del Doge, creato dappoi Vescovo
Olivolense, avendo portata una Reliquia di S.
Giovanni Battista dalla Provincia Bragulia o
Bragula, la donò, e la ripose in questa Chiesa
rifabbricata da’ suoi Maggiori, laonde a cagione d’ un tal dono
chiamossi volgarmente S. Zan in Bragola.
L’origine di questo Tempio è nell’antichità più rimota. I Popoli
sottratti al furore de’ Longobardi trovarono asilo in varj seni
dell’Adriatico, e una parte d’essi si stabilì sopra due Isolette
chiamate gemelle che sorgevano dalle paludi
ove trà
. . . . poche e basse case insieme
accolte
edificarono alcune Chiesette, la maggiore delle quali fu
quella di S. Gio. Battista innalzata dal Vescovo S. Magno. Trovasi memoria della sua fondazione
nell’anno 613, e della sua rifabbricazione nel 817, fatta per opera
di Giovanni Talonico Patrizio Veneto. Venne
rialzata da’ fondamenti nel 1623, e ristaurata com’ esiste
presentemente nel 1728.
Nacque in questa Parrocchia il Sommo Pontefice Pietro Barbo, che assunse il nome di Paolo II., il quale perpetuò la dignità de’ Piovani della
medesima costituendoli Rettori dell’Università, e Collegio dell’Arti
liberali, ed investendoli con Diploma Apostolico del 1470. della
facoltà di coprirsi pubblicamente nel Coro, in alcuni gioni
determinati, delle insegne Vescovili, distinzione concessa mediante
la supplichevole instanza di Pantaleone
Quagliano da Cividal, celebre Medico. Non è
da tacere, che D. Giovanni
Bellino Parroco di questa Contrada intervenne
nel 1433. al Concilio di Basilea per la
Congregazione di San Silvestro.
Gli altari di questa Chiesa son ornati di eccellenti Pitture de’più
famosi Maestri, come sono il giovine Palina,
Carpaccio, Paris Bordone, Leonardo Corona, il Vivarini,
Domenico e Francesco Maggiotti, il Marieschi, e Giambat. da Conegliano, che nella Tavola dell’Altar maggiore, ove
dipinse Cristo battezzato da S. Giambattista, mise sull’alto d’un
colle il Castello di Conegliano sua
Patria.
La sera dei 21. corrente vi fu nel secondo Atto di
quell’Opera un’Aria nuova del celebre Signor Maestro Bianchi eseguita dal Signor Carlo Concialini all’attuale servizio di S. M. il Re di
Prussia, di cui ecco le parole:
Se questi versi possano figurare in mezzo a quelli del Poeta Cesareo, lo lasciamo giudicare a chi ha orecchi, e discernimento.
Concialini si portò a maraviglia. In
un’altra, che l’applauso suo fu discreto, e
che in seguito non si mantenne tale per il motivo
dell’Aria, e
per le cose strane delle quali suole ornare il suo
canto. All’incontro, si soggiunge in questo Foglio, il Signor Babbini piace sempre più, e crescono di
sera in sera gli applausi meritati da questo abilissimo
Personaggio.
Sappiamo il oltre, che una piccola differenza nel giro che oggi
dovranno fare i cavalli destinati al corso nel Prato della Valle, fu cagione di varj discorsi, e di molte
contese. Finalmente si decise, che levati li punti acuti il circolo
debba restare quasi perfetto, talché i cavalli possano correre senz’
accorgersi nemmen di girare. Con ciò pretendesi di riparare a tutti
i disordini, che succedevano negli anni passati. La esperienza lo
farà conoscere, e noi non mancheremo di renderne conto al Pubblico,
tosto che saremo favoriti da chi con tanta bontà ci somministra
delle notizie su questo proposito.
Lo sò anch’io
più di tutta Chioggia, che la Medaglia da me richiesta non è
rara, e il Gazzettiere nel Secondo Numero del suo Foglio ha
detto: chi la brama accerta non essere rara. Perché dunque lo scrittore del Biglietto inserito
nel Num. 7. dice che non è di quella
rarità ch’ io suppongo? I segni ulteriori da me
richiesti, ed a bella posta taciuti, sono: La Figura d’ Onorio
in piedi in abito militare, che stà premendo un prigioniere col
piede sinistro, ed ha nella mano dritta il labaro ossia vestito Imperiale, e nelle sinistra un
picciolo (sic.) globo con sopravi la
Vittoria, la quale corona il medesimo Imperatore. Ecco se ho
bisogno di ritrar lumi nella materia onde poter valermene.
Bastava accennarmi questi ultimi contrassegni
per determinarmi all’ordinazione: di essa. Sò anco di più: che
tale medaglia è rara in argento, non già in oro: e le mie
cognizioni non sono sopra gli ami e le
reti; le lascio al debolissimo Apologista della sua Patria, che
non ha imparato nemmeno a scrivere quattro righe correttamente,
come il suo Biglietto lo mostra.
Lunedi 25. corrente vestì l’abito di Sant’ Agostino nel
nobile Monastero di San Giuseppe di Castello,
l’Illustrissima Signora Maria Occioni, che
prese il nome di Maria Lugrezia. Varie furono
le Composizioni poetiche, che celebrarono il sagrifizio di questa
Vergine, trà le quali un Sonetto dedicato alla N. D. Maria Bollani affettuosissima Sorella della
sagra Sposa, ch’è veramente qualche cosa di particolare nello stile,
ne’ pensieri, ne’ versi. Eccone un saggio.
. . . . . . . . . . per cui
Superbette talor vi compiacete
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dite, se il Ciel vi salvi . . . . .
Rafaele Melli Becchino delle Scuole della B. V. e
dell’Angiolo Rafaele, nella Parocchia di SS. Appostoli. La sera
delli 23. corrente si diede fuoco in segno d’allegrezza ad una
gondola vecchia, da noi chiamata Mozza, e gli
accesi mazzi di canna girarono per la contrada, tra gli evviva della
scalza plebaglia. Un vecchio, che aveva del cinico, e si reggeva
male su’ piedi, fu quasi gettato a terra da portatori correnti
dell’accesa canna, e dopo averne percosso uno col bastone, che per
sostegno aveva in mano, interrogò una donnetta del motivo di quella
festa Quando l’intese montò sulle furie, e gridò: Che stolidezza! Tanto se fa per
un Piovan come per un Nonzolo; no manca altro che
un zorno se veda allegrezze anco per la recuperata salute
del Manego. Vardè che stupori!
risposegli la donnetta. Saveu, Sior perrucca, che
sto Omo xe amà da tutti i Preti de sta Contrada, da tutto el
popolo? el famoso Dottor Viotti gha el merito de avernelo salvà,
che siello benedetto da Dio.
Domenica Busata si mise a servire una
povera vecchia, nella suddetta contrada, ch’era sola in una casetta
decentemente aredata. Agravata dagli anni, e da una febbre leggiera,
chiamò il medico Sig. Dottore Biasioli, senza
ordine del qualle la Serva diede all’ammalata una Cassia, che le
fece evacuar gl’intestini, e mandolla all’altro mondo.
La felicità di questa cura fece trovare alle Busata un’altra occasione di collocarsi appresso una
Greca, che vivea d’elemosine raccolte nella Chiesa di SS. Apostoli.
Cadde questa infelice ammalata, ed il Medico le ordinò diciotto
cartine di certa polvere da prenderne una al giorno, ed anco un po’
di pasta per fare gli vescitatorj. Domenica
diedele in una sola dose tutta la polvere ripartita in diciotto
porzioni, e dodici cartuccie di chinna in una sol volta; e se il
Medico non giungeva a tempo d’ impedirlo, le dava da ingojare in
bocconicini anco la pasta accennata: sebebbene sarebbe stato lo
stesso, perché la polvere fu rimedio bastevole da guarirla da tutti
i mali facendole terminare i suoi giorni. L’avviso può servire di
regola a chi non vuol penare in un letto, e in vece di chiamar
medici, che non sempre son bravi al pari della Busata, si vaglia dell’abilità sperimentata di questa
Donne sì utile a’beccamorti.
Genio innamorato della venustà de’nostri Euganei, a dir vero amenissimi Colli del Territorio Padovano, parte da se stesso a principio, parte dagli altrui incitamenti dappoi, trasportato ad offrir loro in certo modo un tributo celebrandoli co’ suoi Carmi, ha condotto insensibilmente a termine un piccolo Drama d’un tessuto e d’una natura curiosa e nuova.
Nell’incertezza dond’essi traggano la loro denominazione, sulla quale molte e diversi cose furono dette dagli Storici discordanti, si è formato a talento un’idea per cui dic’ egli pur quanto crede, ma in modo adattato alla libera capricciosa Poesia, accomodandola a quelle leggi, che gli son tornate migliori all’oggetto, siccome confessa nella non ispregevole sua Prefazione.
Compiuta l’opera, e letta da varj amici suoi, l’obbligarono a darla alle Stampe (locchè ne forma sincera l’Apologia) non già per somministrare alle Repubblica Letteraria un prezioso documento di sapere, ma onde presentare alle colte persone un mezzo di vago, piacevole e non disutile intrattenimento.
L’Opera dunque, che verrà stampata dal Librajo Giammaria Bassaglia
Chi è vago di nuove produzioni si procuri questa pure assocciandosi, e si spera ragionevolmente che non avrà a pentirsene, né a condannarla fra il numero delle proscritte.
È uscito il Tomo Primo.
22. Giugno 1787.
Lione cinquantotto e un ottavo.
Parigi cinquantasette e tre
ottavi.
Roma sessantatre e un quarto.
Napoli cento diciassette e
mezzo.
Livorno cento e due e tre
quarti.
Milano cento e cinquantatre.
Genova novanta.
Amsterdam novantaquattro.
Londra cinquantuno e mezzo.
Augusta cento e tre e mezzo.
Vienna duecento.
Anselmi a S. Severo nel tagliare la vipere con suo Figlio, ad uso della
teriaca, per uno di que’ fatali accidenti, da cui la vita umana
sovente dipende, ebbe lo spasimo di vedere ferito dal morso velenoso
d’una di esso, lo stesso Figliuolo suo. Gli si diè subito a bere del
vino puro, si mise a correre dopo averlo bevuto, gli si fecero dei
tagli nella mano offesa, ed ebbe tutti i soccorsi dell’arte colla
prontezza necessaria a serbarlo in vita. Si reputa, che fuori ei sia
di pericolo. Le precauzioni non sono mai sufficienti quando i rischj
sono sì gravi.
La N. D. Orsetta Giovanelli
Bonsadini.
Il Sig. Giambattista Quazzi.
Il N. H. E. Iseppo Corner di San Canziano. Questo Patrizio Figlio del fu. E.
Flaminio Corner, d’ onorevole rimembranza,
soggiacque jeri ad un colpo apopletico mentre trovavasi sotto i
claustri del Convento di SS. Giovanni e
Paolo. Ne aveva già avuto un altro da cui era reso incapace di
camminare senz’ essere sostenuto.
23. Giugno.
Capit. Niccolò Comello Veneto per Malta con carico tavole et altri
generi.
25. detto. Capit. Paolo Comello Veneto per Palermo con stuoje, tavole, et altro.
Dalla Stamperia zerletti Venezia.