Num. 8 Antonio Piazza Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Ulrike Rieger Editor Julia Knittel Editor Kirsten Dickhaut Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 30.01.2015 o:mws.3192 Piazza, Antonio: Gazzetta veneta urbana. Venezia: Zerletti 1787, 1-8 Gazzetta urbana veneta 1 008 1787 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Autopoetische Reflexion Riflessione Autopoetica Autopoetical Reflection Reflexión Autopoética Réflexion autopoétique Italy 12.83333,42.83333

Num. 8

Mercordi 27. Giugno 1787.

Ecco la seconda Lettera sulla Maschera di ferro, da noi promessa al Pubblico per questo giorno. Ci lusinghiamo, che la Persona da cui venne una sì curiosa ricerca, abbia a rimanere soddisfattissima: e che dopo l’Articolo del Foglio di Leyden, e la Relazione presente, nulla le resti a desiderare. Ma gli altri Leggitori saranno poi soddisfatti? Chi aggrinza il naso, chi volta carta, chi adirasi. Pure ne veggo alcuni a leggere pazientemente, ed altri con del piacere. Le opinioni, e i gusti sono diversi: il contentar tutti è impossibile: se non si disgusta tutti, in certi casi particolari, è quanto di meglio si possa ottenere. Veramente il gentile Scrittore della seguente Lettera ci lascia in libertà d’accorciarla: ma non si potrebbe farlo, che ommettendo qualche fatto, o circostanza interessante: onde la diamo fedelmente qual egli la scrisse, protestando che su questo proposito nulla diremo in avvenire mai più. Dalla penna medesima siamo lusingati d’ avere qualche opinione sulla differenza del gusto de’Greci, e de’ Latini intorno al canto delle Cicale, la quale servirà di risposta all’anonimo, che propose il quesito. Saldi adunque a quest’ultima Mascherata di ferro, che verranno poi quelle di tela incerata, e se la godremo delle cose nostre.

Maschera di Ferro.

Sotto il nome di Maschera di ferro si suole indicar in Francia, un Prigioniere incognito, rinchiuso prima con gran segreto nel Castello di Pignerol, e di là trasferito nelle Isole di Santa Margarita. Questo era un uomo di una statura più che ordinaria, e fatto a perfezione. La sua pelle, alquanto bruna, era dolcissima, e nella cura di mantenerla in quello stato di morbidezza, eccedeva forse la donno più desiderosa di piacere per le attrattive della Bellezza. Il suo gusto principale era per la biancheria, merli, e simili frascherie. Suonava la Chitarra con abilità, e mostrava in tutto aver ricevuto una grande educazione. Era assai interessante il suon della sua voce, e non si sentì mai lagnarsi della sorte, né dir cosa che scuoprir potesse il suo stato. Nelle malattie, e ne’ viaggi, per passar da una prigione all’altra, nascondeva il suo volto a’medici, ed a’ passanti con uno di ferro; alcuni hanno preteso che fosse di velluto: ma la comune opinione ha prevalso nello stabilirlo di ferro, e che nel mento aveva delle suste d’ acciajo, perché non gli venisse impedito il necessario movimento della bocca per mangiare. Ci era ordine preciso di ammazzarlo subito che si scuoprisse alla presenza di qualcheduno; benché essendo solo fosse padrone di smascherarsi. Egli restò a Pignerol fintanto che il Signor de Saint Mars, Comandante di quel Castello, avendo ottenuto la Luogotenenza di Re delle Isole di Lerins, lo condusse seco lui in quella marittima solitudine, e quando poi fu fatto Governatore della Bastiglia, seguillo il Prigioniere sempre mascherato. In questa ultima dimora fu trattato così bene quanto poteva esserlo; non gli veniva rifiutata cosa alcuna di quanto ne richiedeva; gli si davano i più ricchi abiti; gli era imbandita lauta mensa, e rade volte il Governatore si prendeva la confidenza di sedere in sua presenza. Essendo andato il Marchese di Louvois a vederlo a Santa Margarita, gli parlò con una considerazione, che aveva assai del rispetto. Questo illustre incognito morì il 19. Novembre 1703., e fu seppellito il giorno seguente a quattro ore dopo mezzo giorno sotto il nome di Marchiali, nel Cimiterio della Parrocchia di S. Paolo. Ciò che accresce la sorpresa si è che nell’epoca della sua Prigionia, non isparì in Europa alcun personaggio di rango; eppure egli doveva esserlo sicuramente, poiché oltre ciò che abbiamo detto finora, ne’primi giorni ch’ egli fu nell’Isola, lo stesso Governatore metteva i piatti sulla di lui tavola, e si ritirava poi dopo averlo rinchiuso dentro. Un giorno scrisse con un coltello sopra un tondo d’Argento, e lo gettò poi per la finestra verso un battello, ch’era là vicino quasi al piede della Torre. Un pescatore, cui apparteneva il battello, raccolse il tondo, e lo portò al Governatore. Questo sorpreso domandogli se aveva letto ciò che era scritto sul tondo, e se alcuna altra persona l’ aveva veduto: al che gli rispose il povero uomo, ch’ ei non sapeva leggere, e che nessuno l’ aveva potuto vedere, poiché l’ aveva portato immediatamente. Il Pescatore restò tra ferri finché il Governatore non fu perfettamente istruito, che non aveva mai saputo leggere, e che nessuno aveva veduto il tondo. Andate, gli disse allora, e ringraziate il Cielo che non abbiate imparato a leggere.

Monsieur de la Grange Chancel racconta in una Lettera diretta all’Autor dell’Anno Letterario, che quando Saint Mars andò a prendere la Maschera di ferro, per trasportarla alla Bastiglia, il Prigioniere disse al suo Conduttore: Forse il Re vuol che io muora? No, Principe, rispose Saint Mars; la vostra vita è sicura; basta che vi lasciate condurre. Io so, aggiunge lo stesso Autore, da uno chiamato Dubuisson, Cassiere del famoso Samuele Bernard che essendo prigioniero nelle Isole di Santa Margarita, ed occupando una camera con altri prigionieri sopra quella della Maschera di ferro, per il condotto del cammino si potevano parlare, ed avendogli richiesto un giorno il di lui nome e le sue avventure, aveva risposto loro, che dal dirlo dipendeva la sua vita e non meno quella di coloro, cui ne facesse confidenza: Tutti questi aneddoti provano che la Maschera di ferro era un personaggio di grandissima importanza. Ma chi era mai questo personaggio? Un foglio pub-blico ha detto nel 1780., che ci era motivo di credere che fosse un Segretario del Duca di Mantova, che avesse operato troppo efficacemente contro la Francia. Ma questa non è che una di tante congetture azzardate sopra quella disgraziata vittima della Politica. Né Voltaire, né altro Autore non ha osato mai opinare sopra questa materia. Il primo diceva in una Lettera all’Abate di Bos essere istruito assai delle circostanze di questo prigioniero, per aver parlato con quelli che l’avevano servito. Non sappiamo che ci sia altro che Monsieur de Sainte-Poix che abbia congetturato potere essere Giacomo Duca di Montmouth Figlio naturale di Carlo II. Re d’Inghilterra, nato a Roterdam nel 1649.; il quale avendo attentato più volte contro la vita di suo Padre, e del Duca di Yorck poi Re d’ Inghilterra sotto il Nome di Giacomo II., questo finalmente non li volle perdonar più e lo fece morire decapitato sul palco in Londra ai 25. Luglio 1685. Pretende dunque Sainte Poix che in vece sua si avesse fatto morire un uomo che gli rassomigliava perfettamente, e che il vero Duca fosse stato mandato in Francia per essere rinchiuso perpetuamente colla maschera di ferro sul viso. Ma dove si sarebbe trovata una perfetta rassomiglianza che avesse potuto ingannar un Popolo che lo conosceva? La storia racconta che quell’illustre Guerriero comparì sul Palco colla grandezza di coraggio, che aveva sempre dimostrata nelle Battaglie. Quando anche si fosse trovata la vittima somigliante, qual compenso poteva mai farla condiscendere volontariamente a morire per lui sopra l’ignominioso Palco?

Egli non era certamente Francesco di Vendome, Duca di Beaufort. Ciò che ne ha detto il sopraccitato Grange Chancel non è fondato sopra prove dimostrative, che giungano a distruggere la certezza morale della morte di questo celebre Generale nell’assedio di Candia il 25. Giugno 1669.

Era dunque Luigi di Bourbon Conte di Vermandois, come l’ha preteso l’Autor, delle Memorie di Persia? Questo Scrittore senza fondamento dice che questo Principe, figlio legittimato di Luigi XIV., e della Duchessa della Valliere, fu tolto alla cognizione degli uomini dal suo proprio padre per castigarlo d’aver dato uno schiaffo al Regio Delfino. Può stamparsi una Favola più zotica? Chi ignora d’altronde, che il Conte di Vermandois morì dal Vajuolo nel Campo innanzi a Dixmude nel 1683?

Non è meno assurdo il voler far altre congetture sulla persona della Maschera di ferro. Per risolvere questo problemma (sic.) Storico ci vorrebbero memorie di coloro, che avevano la chiave di questo affar segreto; e non avendone questi lasciata alcuna alla posterità, bisogna saper tacere, e cuoprir col silenzio ciò che non può mai venire alla luce.

Solennità Festive.

Le Sagre succedonsi in questi giorni frequentemente, e tengono luogo di Villeggiatura a chi non può andar in campagna per la gran ragione di non aver soldi, o per qualch’altro impedimento. La notte del Sabbato scorso il Popolo fu in giro per la Vigilia di San Giovanni, e le Bettole, i Caffè, i Frittoleri, hanno vuotate le tasche de’nostri morbinosi artigiani, e di tanti sfaccendati viziosi, che hanno la prerogativa d’andare in precipizio con allegria. L’Erbaria ebbe nella seguente mattina un numeroso concorso di gente, che prima d’andare a letto comperò fiori, passeggiò osservando, e formò il solito quadro bizzarro, che serve d’ irritamento al rigido Moralista, e diverte l’osservatore filosofo umano. Questo spettacolo risultante dalla varietà del sesso, dell’età, delle condizioni, delle fortune, ha sommamente divertito un Forastiero di qualità, che tutto volle vedere ed esaminare, e non era mai stato a Venezia in questa stagione. Alla Sagra, diss’ egli, ogni Donna mi pareva bella, e non sapeva da qual banda voltarmi perché mi piacevano tutte. Che brio! che eleganza! che gusto! che portamento! Al lume di candela né donna né tela. Trovai verificato questo Veneto proverbio dallo splendore del Sole, che mi scoprì le magagne, e fece vedere che tutto il merito del colorito lor volto l’aveva l’arte, senza che la natura ci entrasse. Cappelli, fettuccie, veli, fiori, ricami, tutto bello, ma poi biacca e rossetto, e faccie gialle e verdiccie, ed occhj gonsj e ammaccati.

Non creda questo Straniero, che tutte le Veneziane siano simili a quelle, che in Erbaria egli ha veduto. Vi sono delle vigorose bellezze, che resistono alla veglia notturna, e nulla perdono al lume del Sole: ma queste, o sono in Campagna, o non erano al passeggio, ch’egli ha goduto, dove se avesse bene osservato veduto avrebbe almeno almeno un bel visetto, che spirava amore e rendeva più umiliante il confronto delle squallide ciere, che gli si affacciavano. Rise sgangheratamente in disparte, il Forastiero suddetto, vedendo una svelta gobbetta con un cimiero di fiori in capo, che la ingrandiva, a braccio d’uno scalzo battellante, e d’un marinajo, che aveva mustacchi da Bascià, e per vezzo incensavale il volto co’densi globi di fumo che assorbiva dalla sua pipa di canna. Ma basti così quanto alle inezie, e passiamo al serio.

La Solennità sacra della Domenica, giorno della Natività di San Giovanni Battista, si celebrò, secondo l’annua consuetudine, nella Chiesa Parocchiale e Collegiata di S. Giovanni suo Titolare, detto volgarmente in Bragola. Il Sansovino pretende, che prendesse questa Contrada una tale denominazione dalla pescagione che colà facevasi, e che nel vernacolo degli antichi tempi quell’arte fosse chiamata bragolare. Per autenticare cotesta opinione si fà valere il testo del Dante ch’ usa replicatamente la voce brago per pantano. Ma l’erudito Autore della Fondazione delle Chiese di Venezia, attenendosi all’autorità del Dandolo, asserisce con sicurezza, scartando tutti gli altri pareri: Che sotto il Ducato di Pietro Candiano III. Domenico Talonico Cappellano di San Marco, e Cancelliere del Doge, creato dappoi Vescovo Olivolense, avendo portata una Reliquia di S. Giovanni Battista dalla Provincia Bragulia o Bragula, la donò, e la ripose in questa Chiesa rifabbricata da’ suoi Maggiori, laonde a cagione d’ un tal dono chiamossi volgarmente S. Zan in Bragola.

L’origine di questo Tempio è nell’antichità più rimota. I Popoli sottratti al furore de’ Longobardi trovarono asilo in varj seni dell’Adriatico, e una parte d’essi si stabilì sopra due Isolette chiamate gemelle che sorgevano dalle paludi ove trà

 . . . .  poche e basse case insieme accolte

edificarono alcune Chiesette, la maggiore delle quali fu quella di S. Gio. Battista innalzata dal Vescovo S. Magno. Trovasi memoria della sua fondazione nell’anno 613, e della sua rifabbricazione nel 817, fatta per opera di Giovanni Talonico Patrizio Veneto. Venne rialzata da’ fondamenti nel 1623, e ristaurata com’ esiste presentemente nel 1728.

Nacque in questa Parrocchia il Sommo Pontefice Pietro Barbo, che assunse il nome di Paolo II., il quale perpetuò la dignità de’ Piovani della medesima costituendoli Rettori dell’Università, e Collegio dell’Arti liberali, ed investendoli con Diploma Apostolico del 1470. della facoltà di coprirsi pubblicamente nel Coro, in alcuni gioni determinati, delle insegne Vescovili, distinzione concessa mediante la supplichevole instanza di Pantaleone Quagliano da Cividal, celebre Medico. Non è da tacere, che D. Giovanni Bellino Parroco di questa Contrada intervenne nel 1433. al Concilio di Basilea per la Congregazione di San Silvestro.

Gli altari di questa Chiesa son ornati di eccellenti Pitture de’più famosi Maestri, come sono il giovine Palina, Carpaccio, Paris Bordone, Leonardo Corona, il Vivarini, Domenico e Francesco Maggiotti, il Marieschi, e Giambat. da Conegliano, che nella Tavola dell’Altar maggiore, ove dipinse Cristo battezzato da S. Giambattista, mise sull’alto d’un colle il Castello di Conegliano sua Patria.

Padova.

La sera dei 21. corrente vi fu nel secondo Atto di quell’Opera un’Aria nuova del celebre Signor Maestro Bianchi eseguita dal Signor Carlo Concialini all’attuale servizio di S. M. il Re di Prussia, di cui ecco le parole:

A qual mi serba il Fato Crudele e Fier tormento! Quest’alma in tal momento Può appena respirar. Ah perdo il Genitore Non trovo più consiglio L’idea del suo periglio Va il core a lacerar.

Se questi versi possano figurare in mezzo a quelli del Poeta Cesareo, lo lasciamo giudicare a chi ha orecchi, e discernimento.

In una Lettera ci vien detto che il Concialini si portò a maraviglia. In un’altra, che l’applauso suo fu discreto, e che in seguito non si mantenne tale per il motivo dell’Aria, e per le cose strane delle quali suole ornare il suo canto. All’incontro, si soggiunge in questo Foglio, il Signor Babbini piace sempre più, e crescono di sera in sera gli applausi meritati da questo abilissimo Personaggio.

Sappiamo il oltre, che una piccola differenza nel giro che oggi dovranno fare i cavalli destinati al corso nel Prato della Valle, fu cagione di varj discorsi, e di molte contese. Finalmente si decise, che levati li punti acuti il circolo debba restare quasi perfetto, talché i cavalli possano correre senz’ accorgersi nemmen di girare. Con ciò pretendesi di riparare a tutti i disordini, che succedevano negli anni passati. La esperienza lo farà conoscere, e noi non mancheremo di renderne conto al Pubblico, tosto che saremo favoriti da chi con tanta bontà ci somministra delle notizie su questo proposito.

Fine delleBaruffe ChiozzottePer la medaglia d’ onorio.

Tollerate anco queste quattro linee per carità, leggitori umanissimi, sopra questa benedetta Medaglia, che c’impegniamo pubblicamente di non parlare mai più. Esige il nostro dovere di dare in luce nel Foglio presente la giustificazione deffinitiva dell’Anonimo, che l’ha ricercata, per non dargli occasione d’ un giusto risentimento. Non abbiamo l’imprudenza di stampare quanto ei ci scrive: ma stimiamo convenevole d’epilogare le sue ragioni nel seguente paragrafo.

Lo sò anch’io più di tutta Chioggia, che la Medaglia da me richiesta non è rara, e il Gazzettiere nel Secondo Numero del suo Foglio ha detto: chi la brama accerta non essere rara. Perché dunque lo scrittore del Biglietto inserito nel Num. 7. dice che non è di quella rarità ch’ io suppongo? I segni ulteriori da me richiesti, ed a bella posta taciuti, sono: La Figura d’ Onorio in piedi in abito militare, che stà premendo un prigioniere col piede sinistro, ed ha nella mano dritta il labaro ossia vestito Imperiale, e nelle sinistra un picciolo (sic.) globo con sopravi la Vittoria, la quale corona il medesimo Imperatore. Ecco se ho bisogno di ritrar lumi nella materia onde poter valermene. Bastava accennarmi questi ultimi contrassegni per determinarmi all’ordinazione: di essa. Sò anco di più: che tale medaglia è rara in argento, non già in oro: e le mie cognizioni non sono sopra gli ami e le reti; le lascio al debolissimo Apologista della sua Patria, che non ha imparato nemmeno a scrivere quattro righe correttamente, come il suo Biglietto lo mostra.

Vestizioni Monacali.

Lunedi 25. corrente vestì l’abito di Sant’ Agostino nel nobile Monastero di San Giuseppe di Castello, l’Illustrissima Signora Maria Occioni, che prese il nome di Maria Lugrezia. Varie furono le Composizioni poetiche, che celebrarono il sagrifizio di questa Vergine, trà le quali un Sonetto dedicato alla N. D. Maria Bollani affettuosissima Sorella della sagra Sposa, ch’è veramente qualche cosa di particolare nello stile, ne’ pensieri, ne’ versi. Eccone un saggio.

 . . . . . . . . . . per cui

Superbette talor vi compiacete

 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Dite, se il Ciel vi salvi . . . . . 

Fuochi di Gioja.

Dopo una malattia di tre mesi e mezzo circa, ricuperò la sua salute Rafaele Melli Becchino delle Scuole della B. V. e dell’Angiolo Rafaele, nella Parocchia di SS. Appostoli. La sera delli 23. corrente si diede fuoco in segno d’allegrezza ad una gondola vecchia, da noi chiamata Mozza, e gli accesi mazzi di canna girarono per la contrada, tra gli evviva della scalza plebaglia. Un vecchio, che aveva del cinico, e si reggeva male su’ piedi, fu quasi gettato a terra da portatori correnti dell’accesa canna, e dopo averne percosso uno col bastone, che per sostegno aveva in mano, interrogò una donnetta del motivo di quella festa Quando l’intese montò sulle furie, e gridò: Che stolidezza! Tanto se fa per un Piovan come per un Nonzolo; no manca altro che un zorno se veda allegrezze anco per la recuperata salute del Manego. Vardè che stupori! risposegli la donnetta. Saveu, Sior perrucca, che sto Omo xe amà da tutti i Preti de sta Contrada, da tutto el popolo? el famoso Dottor Viotti gha el merito de avernelo salvà, che siello benedetto da Dio.

Nella mattina della seguente Domenica si videro dei Sonetti manoscritti congratulatorj. A chi ci biasima per aver scritto questo articolo, daremo la risposta della Donnetta al Vecchio rabbioso, aggiungendo che ogni festa ordinaria o straordinaria di questa Città, appartiene alla nostra Gazzetta.

Serva che guarisce Ammalati.

Pochi giorni sono certa Domenica Busata si mise a servire una povera vecchia, nella suddetta contrada, ch’era sola in una casetta decentemente aredata. Agravata dagli anni, e da una febbre leggiera, chiamò il medico Sig. Dottore Biasioli, senza ordine del qualle la Serva diede all’ammalata una Cassia, che le fece evacuar gl’intestini, e mandolla all’altro mondo.

La felicità di questa cura fece trovare alle Busata un’altra occasione di collocarsi appresso una Greca, che vivea d’elemosine raccolte nella Chiesa di SS. Apostoli. Cadde questa infelice ammalata, ed il Medico le ordinò diciotto cartine di certa polvere da prenderne una al giorno, ed anco un po’ di pasta per fare gli vescitatorj. Domenica diedele in una sola dose tutta la polvere ripartita in diciotto porzioni, e dodici cartuccie di chinna in una sol volta; e se il Medico non giungeva a tempo d’ impedirlo, le dava da ingojare in bocconicini anco la pasta accennata: sebebbene sarebbe stato lo stesso, perché la polvere fu rimedio bastevole da guarirla da tutti i mali facendole terminare i suoi giorni. L’avviso può servire di regola a chi non vuol penare in un letto, e in vece di chiamar medici, che non sempre son bravi al pari della Busata, si vaglia dell’abilità sperimentata di questa Donne sì utile a’beccamorti.

Libri.

Genio innamorato della venustà de’nostri Euganei, a dir vero amenissimi Colli del Territorio Padovano, parte da se stesso a principio, parte dagli altrui incitamenti dappoi, trasportato ad offrir loro in certo modo un tributo celebrandoli co’ suoi Carmi, ha condotto insensibilmente a termine un piccolo Drama d’un tessuto e d’una natura curiosa e nuova.

Nell’incertezza dond’essi traggano la loro denominazione, sulla quale molte e diversi cose furono dette dagli Storici discordanti, si è formato a talento un’idea per cui dic’ egli pur quanto crede, ma in modo adattato alla libera capricciosa Poesia, accomodandola a quelle leggi, che gli son tornate migliori all’oggetto, siccome confessa nella non ispregevole sua Prefazione.

Compiuta l’opera, e letta da varj amici suoi, l’obbligarono a darla alle Stampe (locchè ne forma sincera l’Apologia) non già per somministrare alle Repubblica Letteraria un prezioso documento di sapere, ma onde presentare alle colte persone un mezzo di vago, piacevole e non disutile intrattenimento.

L’Opera dunque, che verrà stampata dal Librajo Giammaria Bassaglia divisa in tre Tomi, non costerà che sole lire sei venete, in ragione di lire due per ogni Tomo, da esborsarsi alla consegna del libro stesso. Un numero di Associati sufficiente a ritrarne le spese della Stampa, basterà per vederla alla luce, giacchè non si tien mira a guadagno.

Chi è vago di nuove produzioni si procuri questa pure assocciandosi, e si spera ragionevolmente che non avrà a pentirsene, né a condannarla fra il numero delle proscritte.

È uscito il Tomo Primo.

Cambj.

22. Giugno 1787.

Lione cinquantotto e un ottavo.

Parigi cinquantasette e tre ottavi.

Roma sessantatre e un quarto.

Napoli cento diciassette e mezzo.

Livorno cento e due e tre quarti.

Milano cento e cinquantatre.

Genova novanta.

Amsterdam novantaquattro.

Londra cinquantuno e mezzo.

Augusta cento e tre e mezzo.

Vienna duecento.

Disgrazie.

Jeri lo Speziale da Medicine Anselmi a S. Severo nel tagliare la vipere con suo Figlio, ad uso della teriaca, per uno di que’ fatali accidenti, da cui la vita umana sovente dipende, ebbe lo spasimo di vedere ferito dal morso velenoso d’una di esso, lo stesso Figliuolo suo. Gli si diè subito a bere del vino puro, si mise a correre dopo averlo bevuto, gli si fecero dei tagli nella mano offesa, ed ebbe tutti i soccorsi dell’arte colla prontezza necessaria a serbarlo in vita. Si reputa, che fuori ei sia di pericolo. Le precauzioni non sono mai sufficienti quando i rischj sono sì gravi.

Morti.

La N. D. Orsetta Giovanelli Bonsadini.

Il Sig. Giambattista Quazzi.

Il N. H. E. Iseppo Corner di San Canziano. Questo Patrizio Figlio del fu. E. Flaminio Corner, d’ onorevole rimembranza, soggiacque jeri ad un colpo apopletico mentre trovavasi sotto i claustri del Convento di SS. Giovanni e Paolo. Ne aveva già avuto un altro da cui era reso incapace di camminare senz’ essere sostenuto.

Bastimenti Partiti

23. Giugno.

Capit. Niccolò Comello Veneto per Malta con carico tavole et altri generi.

25. detto. Capit. Paolo Comello Veneto per Palermo con stuoje, tavole, et altro.

Dalla Stamperia zerletti Venezia.

Num. 8 Mercordi 27. Giugno 1787. Ecco la seconda Lettera sulla Maschera di ferro, da noi promessa al Pubblico per questo giorno. Ci lusinghiamo, che la Persona da cui venne una sì curiosa ricerca, abbia a rimanere soddisfattissima: e che dopo l’Articolo del Foglio di Leyden, e la Relazione presente, nulla le resti a desiderare. Ma gli altri Leggitori saranno poi soddisfatti? Chi aggrinza il naso, chi volta carta, chi adirasi. Pure ne veggo alcuni a leggere pazientemente, ed altri con del piacere. Le opinioni, e i gusti sono diversi: il contentar tutti è impossibile: se non si disgusta tutti, in certi casi particolari, è quanto di meglio si possa ottenere. Veramente il gentile Scrittore della seguente Lettera ci lascia in libertà d’accorciarla: ma non si potrebbe farlo, che ommettendo qualche fatto, o circostanza interessante: onde la diamo fedelmente qual egli la scrisse, protestando che su questo proposito nulla diremo in avvenire mai più. Dalla penna medesima siamo lusingati d’ avere qualche opinione sulla differenza del gusto de’Greci, e de’ Latini intorno al canto delle Cicale, la quale servirà di risposta all’anonimo, che propose il quesito. Saldi adunque a quest’ultima Mascherata di ferro, che verranno poi quelle di tela incerata, e se la godremo delle cose nostre. Maschera di Ferro. Sotto il nome di Maschera di ferro si suole indicar in Francia, un Prigioniere incognito, rinchiuso prima con gran segreto nel Castello di Pignerol, e di là trasferito nelle Isole di Santa Margarita. Questo era un uomo di una statura più che ordinaria, e fatto a perfezione. La sua pelle, alquanto bruna, era dolcissima, e nella cura di mantenerla in quello stato di morbidezza, eccedeva forse la donno più desiderosa di piacere per le attrattive della Bellezza. Il suo gusto principale era per la biancheria, merli, e simili frascherie. Suonava la Chitarra con abilità, e mostrava in tutto aver ricevuto una grande educazione. Era assai interessante il suon della sua voce, e non si sentì mai lagnarsi della sorte, né dir cosa che scuoprir potesse il suo stato. Nelle malattie, e ne’viaggi, per passar da una prigione all’altra, nascondeva il suo volto a’medici, ed a’ passanti con uno di ferro; alcuni hanno preteso che fosse di velluto: ma la comune opinione ha prevalso nello stabilirlo di ferro, e che nel mento aveva delle suste d’ acciajo, perché non gli venisse impedito il necessario movimento della bocca per mangiare. Ci era ordine preciso di ammazzarlo subito che si scuoprisse alla presenza di qualcheduno; benché essendo solo fosse padrone di smascherarsi. Egli restò a Pignerol fintanto che il Signor de Saint Mars, Comandante di quel Castello, avendo ottenuto la Luogotenenza di Re delle Isole di Lerins, lo condusse seco lui in quella marittima solitudine, e quando poi fu fatto Governatore della Bastiglia, seguillo il Prigioniere sempre mascherato. In questa ultima dimora fu trattato così bene quanto poteva esserlo; non gli veniva rifiutata cosa alcuna di quanto ne richiedeva; gli si davano i più ricchi abiti; gli era imbandita lauta mensa, e rade volte il Governatore si prendeva la confidenza di sedere in sua presenza. Essendo andato il Marchese di Louvois a vederlo a Santa Margarita, gli parlò con una considerazione, che aveva assai del rispetto. Questo illustre incognito morì il 19. Novembre 1703., e fu seppellito il giorno seguente a quattro ore dopo mezzo giorno sotto il nome di Marchiali, nel Cimiterio della Parrocchia di S. Paolo. Ciò che accresce la sorpresa si è che nell’epoca della sua Prigionia, non isparì in Europa alcun personaggio di rango; eppure egli doveva esserlo sicuramente, poiché oltre ciò che abbiamo detto finora, ne’primi giorni ch’ egli fu nell’Isola, lo stesso Governatore metteva i piatti sulla di lui tavola, e si ritirava poi dopo averlo rinchiuso dentro. Un giorno scrisse con un coltello sopra un tondo d’Argento, e lo gettò poi per la finestra verso un battello, ch’era là vicino quasi al piede della Torre. Un pescatore, cui apparteneva il battello, raccolse il tondo, e lo portò al Governatore. Questo sorpreso domandogli se aveva letto ciò che era scritto sul tondo, e se alcuna altra persona l’ aveva veduto: al che gli rispose il povero uomo, ch’ ei non sapeva leggere, e che nessuno l’ aveva potuto vedere, poiché l’ aveva portato immediatamente. Il Pescatore restò tra ferri finché il Governatore non fu perfettamente istruito, che non aveva mai saputo leggere, e che nessuno aveva veduto il tondo. Andate, gli disse allora, e ringraziate il Cielo che non abbiate imparato a leggere. Monsieur de la Grange Chancel racconta in una Lettera diretta all’Autor dell’Anno Letterario, che quando Saint Mars andò a prendere la Maschera di ferro, per trasportarla alla Bastiglia, il Prigioniere disse al suo Conduttore: Forse il Re vuol che io muora? No, Principe, rispose Saint Mars; la vostra vita è sicura; basta che vi lasciate condurre. Io so, aggiunge lo stesso Autore, da uno chiamato Dubuisson, Cassiere del famoso Samuele Bernard che essendo prigioniero nelle Isole di Santa Margarita, ed occupando una camera con altri prigionieri sopra quella della Maschera di ferro, per il condotto del cammino si potevano parlare, ed avendogli richiesto un giorno il di lui nome e le sue avventure, aveva risposto loro, che dal dirlo dipendeva la sua vita e non meno quella di coloro, cui ne facesse confidenza: Tutti questi aneddoti provano che la Maschera di ferro era un personaggio di grandissima importanza. Ma chi era mai questo personaggio? Un foglio pub-blico ha detto nel 1780., che ci era motivo di credere che fosse un Segretario del Duca di Mantova, che avesse operato troppo efficacemente contro la Francia. Ma questa non è che una di tante congetture azzardate sopra quella disgraziata vittima della Politica. Né Voltaire, né altro Autore non ha osato mai opinare sopra questa materia. Il primo diceva in una Lettera all’Abate di Bos essere istruito assai delle circostanze di questo prigioniero, per aver parlato con quelli che l’avevano servito. Non sappiamo che ci sia altro che Monsieur de Sainte-Poix che abbia congetturato potere essere Giacomo Duca di Montmouth Figlio naturale di Carlo II. Re d’Inghilterra, nato a Roterdam nel 1649.; il quale avendo attentato più volte contro la vita di suo Padre, e del Duca di Yorck poi Re d’ Inghilterra sotto il Nome di Giacomo II., questo finalmente non li volle perdonar più e lo fece morire decapitato sul palco in Londra ai 25. Luglio 1685. Pretende dunque Sainte Poix che in vece sua si avesse fatto morire un uomo che gli rassomigliava perfettamente, e che il vero Duca fosse stato mandato in Francia per essere rinchiuso perpetuamente colla maschera di ferro sul viso. Ma dove si sarebbe trovata una perfetta rassomiglianza che avesse potuto ingannar un Popolo che lo conosceva? La storia racconta che quell’illustre Guerriero comparì sul Palco colla grandezza di coraggio, che aveva sempre dimostrata nelle Battaglie. Quando anche si fosse trovata la vittima somigliante, qual compenso poteva mai farla condiscendere volontariamente a morire per lui sopra l’ignominioso Palco? Egli non era certamente Francesco di Vendome, Duca di Beaufort. Ciò che ne ha detto il sopraccitato Grange Chancel non è fondato sopra prove dimostrative, che giungano a distruggere la certezza morale della morte di questo celebre Generale nell’assedio di Candia il 25. Giugno 1669. Era dunque Luigi di Bourbon Conte di Vermandois, come l’ha preteso l’Autor, delle Memorie di Persia? Questo Scrittore senza fondamento dice che questo Principe, figlio legittimato di Luigi XIV., e della Duchessa della Valliere, fu tolto alla cognizione degli uomini dal suo proprio padre per castigarlo d’aver dato uno schiaffo al Regio Delfino. Può stamparsi una Favola più zotica? Chi ignora d’altronde, che il Conte di Vermandois morì dal Vajuolo nel Campo innanzi a Dixmude nel 1683? Non è meno assurdo il voler far altre congetture sulla persona della Maschera di ferro. Per risolvere questo problemma (sic.) Storico ci vorrebbero memorie di coloro, che avevano la chiave di questo affar segreto; e non avendone questi lasciata alcuna alla posterità, bisogna saper tacere, e cuoprir col silenzio ciò che non può mai venire alla luce. Solennità Festive. Le Sagre succedonsi in questi giorni frequentemente, e tengono luogo di Villeggiatura a chi non può andar in campagna per la gran ragione di non aver soldi, o per qualch’altro impedimento. La notte del Sabbato scorso il Popolo fu in giro per la Vigilia di San Giovanni, e le Bettole, i Caffè, i Frittoleri, hanno vuotate le tasche de’nostri morbinosi artigiani, e di tanti sfaccendati viziosi, che hanno la prerogativa d’andare in precipizio con allegria. L’Erbaria ebbe nella seguente mattina un numeroso concorso di gente, che prima d’andare a letto comperò fiori, passeggiò osservando, e formò il solito quadro bizzarro, che serve d’ irritamento al rigido Moralista, e diverte l’osservatore filosofo umano. Questo spettacolo risultante dalla varietà del sesso, dell’età, delle condizioni, delle fortune, ha sommamente divertito un Forastiero di qualità, che tutto volle vedere ed esaminare, e non era mai stato a Venezia in questa stagione. Alla Sagra, diss’ egli, ogni Donna mi pareva bella, e non sapeva da qual banda voltarmi perché mi piacevano tutte. Che brio! che eleganza! che gusto! che portamento! Al lume di candela né donna né tela. Trovai verificato questo Veneto proverbio dallo splendore del Sole, che mi scoprì le magagne, e fece vedere che tutto il merito del colorito lor volto l’aveva l’arte, senza che la natura ci entrasse. Cappelli, fettuccie, veli, fiori, ricami, tutto bello, ma poi biacca e rossetto, e faccie gialle e verdiccie, ed occhj gonsj e ammaccati. Non creda questo Straniero, che tutte le Veneziane siano simili a quelle, che in Erbaria egli ha veduto. Vi sono delle vigorose bellezze, che resistono alla veglia notturna, e nulla perdono al lume del Sole: ma queste, o sono in Campagna, o non erano al passeggio, ch’egli ha goduto, dove se avesse bene osservato veduto avrebbe almeno almeno un bel visetto, che spirava amore e rendeva più umiliante il confronto delle squallide ciere, che gli si affacciavano. Rise sgangheratamente in disparte, il Forastiero suddetto, vedendo una svelta gobbetta con un cimiero di fiori in capo, che la ingrandiva, a braccio d’uno scalzo battellante, e d’un marinajo, che aveva mustacchi da Bascià, e per vezzo incensavale il volto co’densi globi di fumo che assorbiva dalla sua pipa di canna. Ma basti così quanto alle inezie, e passiamo al serio. La Solennità sacra della Domenica, giorno della Natività di San Giovanni Battista, si celebrò, secondo l’annua consuetudine, nella Chiesa Parocchiale e Collegiata di S. Giovanni suo Titolare, detto volgarmente in Bragola. Il Sansovino pretende, che prendesse questa Contrada una tale denominazione dalla pescagione che colà facevasi, e che nel vernacolo degli antichi tempi quell’arte fosse chiamata bragolare. Per autenticare cotesta opinione si fà valere il testo del Dante ch’ usa replicatamente la voce brago per pantano. Ma l’erudito Autore della Fondazione delle Chiese di Venezia, attenendosi all’autorità del Dandolo, asserisce con sicurezza, scartando tutti gli altri pareri: Che sotto il Ducato di Pietro Candiano III. Domenico Talonico Cappellano di San Marco, e Cancelliere del Doge, creato dappoi Vescovo Olivolense, avendo portata una Reliquia di S. Giovanni Battista dalla Provincia Bragulia o Bragula, la donò, e la ripose in questa Chiesa rifabbricata da’ suoi Maggiori, laonde a cagione d’ un tal dono chiamossi volgarmente S. Zan in Bragola. L’origine di questo Tempio è nell’antichità più rimota. I Popoli sottratti al furore de’ Longobardi trovarono asilo in varj seni dell’Adriatico, e una parte d’essi si stabilì sopra due Isolette chiamate gemelle che sorgevano dalle paludi ove trà  . . . .  poche e basse case insieme accolte edificarono alcune Chiesette, la maggiore delle quali fu quella di S. Gio. Battista innalzata dal Vescovo S. Magno. Trovasi memoria della sua fondazione nell’anno 613, e della sua rifabbricazione nel 817, fatta per opera di Giovanni Talonico Patrizio Veneto. Venne rialzata da’ fondamenti nel 1623, e ristaurata com’ esiste presentemente nel 1728. Nacque in questa Parrocchia il Sommo Pontefice Pietro Barbo, che assunse il nome di Paolo II., il quale perpetuò la dignità de’ Piovani della medesima costituendoli Rettori dell’Università, e Collegio dell’Arti liberali, ed investendoli con Diploma Apostolico del 1470. della facoltà di coprirsi pubblicamente nel Coro, in alcuni gioni determinati, delle insegne Vescovili, distinzione concessa mediante la supplichevole instanza di Pantaleone Quagliano da Cividal, celebre Medico. Non è da tacere, che D. Giovanni Bellino Parroco di questa Contrada intervenne nel 1433. al Concilio di Basilea per la Congregazione di San Silvestro. Gli altari di questa Chiesa son ornati di eccellenti Pitture de’più famosi Maestri, come sono il giovine Palina, Carpaccio, Paris Bordone, Leonardo Corona, il Vivarini, Domenico e Francesco Maggiotti, il Marieschi, e Giambat. da Conegliano, che nella Tavola dell’Altar maggiore, ove dipinse Cristo battezzato da S. Giambattista, mise sull’alto d’un colle il Castello di Conegliano sua Patria. Padova. La sera dei 21. corrente vi fu nel secondo Atto di quell’Opera un’Aria nuova del celebre Signor Maestro Bianchi eseguita dal Signor Carlo Concialini all’attuale servizio di S. M. il Re di Prussia, di cui ecco le parole: A qual mi serba il Fato Crudele e Fier tormento! Quest’alma in tal momento Può appena respirar. Ah perdo il Genitore Non trovo più consiglio L’idea del suo periglio Va il core a lacerar. Se questi versi possano figurare in mezzo a quelli del Poeta Cesareo, lo lasciamo giudicare a chi ha orecchi, e discernimento. In una Lettera ci vien detto che il Concialini si portò a maraviglia. In un’altra, che l’applauso suo fu discreto, e che in seguito non si mantenne tale per il motivo dell’Aria, e per le cose strane delle quali suole ornare il suo canto. All’incontro, si soggiunge in questo Foglio, il Signor Babbini piace sempre più, e crescono di sera in sera gli applausi meritati da questo abilissimo Personaggio. Sappiamo il oltre, che una piccola differenza nel giro che oggi dovranno fare i cavalli destinati al corso nel Prato della Valle, fu cagione di varj discorsi, e di molte contese. Finalmente si decise, che levati li punti acuti il circolo debba restare quasi perfetto, talché i cavalli possano correre senz’ accorgersi nemmen di girare. Con ciò pretendesi di riparare a tutti i disordini, che succedevano negli anni passati. La esperienza lo farà conoscere, e noi non mancheremo di renderne conto al Pubblico, tosto che saremo favoriti da chi con tanta bontà ci somministra delle notizie su questo proposito. Fine delleBaruffe ChiozzottePer la medaglia d’ onorio. Tollerate anco queste quattro linee per carità, leggitori umanissimi, sopra questa benedetta Medaglia, che c’impegniamo pubblicamente di non parlare mai più. Esige il nostro dovere di dare in luce nel Foglio presente la giustificazione deffinitiva dell’Anonimo, che l’ha ricercata, per non dargli occasione d’ un giusto risentimento. Non abbiamo l’imprudenza di stampare quanto ei ci scrive: ma stimiamo convenevole d’epilogare le sue ragioni nel seguente paragrafo. Lo sò anch’io più di tutta Chioggia, che la Medaglia da me richiesta non è rara, e il Gazzettiere nel Secondo Numero del suo Foglio ha detto: chi la brama accerta non essere rara. Perché dunque lo scrittore del Biglietto inserito nel Num. 7. dice che non è di quella rarità ch’ io suppongo? I segni ulteriori da me richiesti, ed a bella posta taciuti, sono: La Figura d’ Onorio in piedi in abito militare, che stà premendo un prigioniere col piede sinistro, ed ha nella mano dritta il labaro ossia vestito Imperiale, e nelle sinistra un picciolo (sic.) globo con sopravi la Vittoria, la quale corona il medesimo Imperatore. Ecco se ho bisogno di ritrar lumi nella materia onde poter valermene. Bastava accennarmi questi ultimi contrassegni per determinarmi all’ordinazione: di essa. Sò anco di più: che tale medaglia è rara in argento, non già in oro: e le mie cognizioni non sono sopra gli ami e le reti; le lascio al debolissimo Apologista della sua Patria, che non ha imparato nemmeno a scrivere quattro righe correttamente, come il suo Biglietto lo mostra. Vestizioni Monacali. Lunedi 25. corrente vestì l’abito di Sant’ Agostino nel nobile Monastero di San Giuseppe di Castello, l’Illustrissima Signora Maria Occioni, che prese il nome di Maria Lugrezia. Varie furono le Composizioni poetiche, che celebrarono il sagrifizio di questa Vergine, trà le quali un Sonetto dedicato alla N. D. Maria Bollani affettuosissima Sorella della sagra Sposa, ch’è veramente qualche cosa di particolare nello stile, ne’ pensieri, ne’ versi. Eccone un saggio.  . . . . . . . . . . per cui Superbette talor vi compiacete  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  Dite, se il Ciel vi salvi . . . . .  Fuochi di Gioja. Dopo una malattia di tre mesi e mezzo circa, ricuperò la sua salute Rafaele Melli Becchino delle Scuole della B. V. e dell’Angiolo Rafaele, nella Parocchia di SS. Appostoli. La sera delli 23. corrente si diede fuoco in segno d’allegrezza ad una gondola vecchia, da noi chiamata Mozza, e gli accesi mazzi di canna girarono per la contrada, tra gli evviva della scalza plebaglia. Un vecchio, che aveva del cinico, e si reggeva male su’ piedi, fu quasi gettato a terra da portatori correnti dell’accesa canna, e dopo averne percosso uno col bastone, che per sostegno aveva in mano, interrogò una donnetta del motivo di quella festa Quando l’intese montò sulle furie, e gridò: Che stolidezza! Tanto se fa per un Piovan come per un Nonzolo; no manca altro che un zorno se veda allegrezze anco per la recuperata salute del Manego. Vardè che stupori! risposegli la donnetta. Saveu, Sior perrucca, che sto Omo xe amà da tutti i Preti de sta Contrada, da tutto el popolo? el famoso Dottor Viotti gha el merito de avernelo salvà, che siello benedetto da Dio. Nella mattina della seguente Domenica si videro dei Sonetti manoscritti congratulatorj. A chi ci biasima per aver scritto questo articolo, daremo la risposta della Donnetta al Vecchio rabbioso, aggiungendo che ogni festa ordinaria o straordinaria di questa Città, appartiene alla nostra Gazzetta. Serva che guarisce Ammalati. Pochi giorni sono certa Domenica Busata si mise a servire una povera vecchia, nella suddetta contrada, ch’era sola in una casetta decentemente aredata. Agravata dagli anni, e da una febbre leggiera, chiamò il medico Sig. Dottore Biasioli, senza ordine del qualle la Serva diede all’ammalata una Cassia, che le fece evacuar gl’intestini, e mandolla all’altro mondo. La felicità di questa cura fece trovare alle Busata un’altra occasione di collocarsi appresso una Greca, che vivea d’elemosine raccolte nella Chiesa di SS. Apostoli. Cadde questa infelice ammalata, ed il Medico le ordinò diciotto cartine di certa polvere da prenderne una al giorno, ed anco un po’ di pasta per fare gli vescitatorj. Domenica diedele in una sola dose tutta la polvere ripartita in diciotto porzioni, e dodici cartuccie di chinna in una sol volta; e se il Medico non giungeva a tempo d’ impedirlo, le dava da ingojare in bocconicini anco la pasta accennata: sebebbene sarebbe stato lo stesso, perché la polvere fu rimedio bastevole da guarirla da tutti i mali facendole terminare i suoi giorni. L’avviso può servire di regola a chi non vuol penare in un letto, e in vece di chiamar medici, che non sempre son bravi al pari della Busata, si vaglia dell’abilità sperimentata di questa Donne sì utile a’beccamorti. Libri. Genio innamorato della venustà de’nostri Euganei, a dir vero amenissimi Colli del Territorio Padovano, parte da se stesso a principio, parte dagli altrui incitamenti dappoi, trasportato ad offrir loro in certo modo un tributo celebrandoli co’ suoi Carmi, ha condotto insensibilmente a termine un piccolo Drama d’un tessuto e d’una natura curiosa e nuova. Nell’incertezza dond’essi traggano la loro denominazione, sulla quale molte e diversi cose furono dette dagli Storici discordanti, si è formato a talento un’idea per cui dic’ egli pur quanto crede, ma in modo adattato alla libera capricciosa Poesia, accomodandola a quelle leggi, che gli son tornate migliori all’oggetto, siccome confessa nella non ispregevole sua Prefazione. Compiuta l’opera, e letta da varj amici suoi, l’obbligarono a darla alle Stampe (locchè ne forma sincera l’Apologia) non già per somministrare alle Repubblica Letteraria un prezioso documento di sapere, ma onde presentare alle colte persone un mezzo di vago, piacevole e non disutile intrattenimento. L’Opera dunque, che verrà stampata dal Librajo Giammaria Bassaglia divisa in tre Tomi, non costerà che sole lire sei venete, in ragione di lire due per ogni Tomo, da esborsarsi alla consegna del libro stesso. Un numero di Associati sufficiente a ritrarne le spese della Stampa, basterà per vederla alla luce, giacchè non si tien mira a guadagno. Chi è vago di nuove produzioni si procuri questa pure assocciandosi, e si spera ragionevolmente che non avrà a pentirsene, né a condannarla fra il numero delle proscritte. È uscito il Tomo Primo. Cambj. 22. Giugno 1787. Lione cinquantotto e un ottavo. Parigi cinquantasette e tre ottavi. Roma sessantatre e un quarto. Napoli cento diciassette e mezzo. Livorno cento e due e tre quarti. Milano cento e cinquantatre. Genova novanta. Amsterdam novantaquattro. Londra cinquantuno e mezzo. Augusta cento e tre e mezzo. Vienna duecento. Disgrazie. Jeri lo Speziale da Medicine Anselmi a S. Severo nel tagliare la vipere con suo Figlio, ad uso della teriaca, per uno di que’ fatali accidenti, da cui la vita umana sovente dipende, ebbe lo spasimo di vedere ferito dal morso velenoso d’una di esso, lo stesso Figliuolo suo. Gli si diè subito a bere del vino puro, si mise a correre dopo averlo bevuto, gli si fecero dei tagli nella mano offesa, ed ebbe tutti i soccorsi dell’arte colla prontezza necessaria a serbarlo in vita. Si reputa, che fuori ei sia di pericolo. Le precauzioni non sono mai sufficienti quando i rischj sono sì gravi. Morti. La N. D. Orsetta Giovanelli Bonsadini. Il Sig. Giambattista Quazzi. Il N. H. E. Iseppo Corner di San Canziano. Questo Patrizio Figlio del fu. E. Flaminio Corner, d’ onorevole rimembranza, soggiacque jeri ad un colpo apopletico mentre trovavasi sotto i claustri del Convento di SS. Giovanni e Paolo. Ne aveva già avuto un altro da cui era reso incapace di camminare senz’ essere sostenuto. Bastimenti Partiti 23. Giugno. Capit. Niccolò Comello Veneto per Malta con carico tavole et altri generi. 25. detto. Capit. Paolo Comello Veneto per Palermo con stuoje, tavole, et altro. Dalla Stamperia zerletti Venezia.