Lo Spettatore italiano: La passion del giuoco
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Niveau 1
La passion del giuoco
Citation/Devise
Quis ludos appellet eos ex quibus crimina oriuntur? Digest.~k Giuochi nominar
chi può quelli che partoriscono ma
Giuochi nominar
chi può quelli che partoriscono ma
leficii?
Niveau 2
La maggior parte degli errori nostri sentono di qualche buona qualità;
ma vizio puro e senza mistura alcuna è la passion del giuoco, come quella che siede in su la
sciocchezza, l’ingiustizia, la crudeltà e il furore, e che ha per compagni tutti i vizi e delitti, e
per seguaci tutte le sventure. Un ricco come potrà scolparsi di essersi lasciato vincere alla
passion del giuoco? Null’altro che la sua mentecattaggine può scusare chi mettesi a rischio di
perdere il necessario per acquistare il superfluo. Non vi è per lui proporzione fra le felici o le
infelici sorti, perchè nessuna comparazione è dell’utilità di raddoppiare la facoltà propria al
discapito di perdere ogni cosa; perocchè nel primo caso si guadagna solo il superfluo, nel secondo
perdesi il necessario. Or qual giuoco può essere più insensato? Certo così stolto non è quegli che
nulla avendo, e stretto da durissimi bisogni, s’abbandona al giuoco: ma guardate quanto le cagioni
che vel conducono son vituperose! Costui fa vedere che a tutte le oneste vie di procacciarsi da vivere antepone il giuoco; e che volendo far suo il bene degli altri, nella
deliberazion fra ‘l giuoco e il furto, quello elegge che lo mette a minori pericoli. Adunque la
viltà è quella che determina l’elezione. I giuocatori, per sentenza d’Aristotile, sono più vili e
più da dispregiar che i ladroni e gli assassini, i quali non fanno rapine senza arrischiar la vita
loro. Si raffidano i giuocatori di questa spezie nella loro destrezza, o nella frode. Nei giuochi
che dipendono da esperienza o da scandaglio, chi è di professione ha vantaggi che non temono della
fortuna; ma l’eccellenza di quest’arte accostasi tanto con la frode, che sovente si confondono
insieme. Più è ammaestrato un giuocatore, dice un antico, più è ingiusto: coll’esser ingannato
incomincia, e finisce coll’ingannare. Non ve n’è alcuno, nei casi disperati, che potendo impunemente
la frode usare, non vi rincorra. Qual giuocatore che avesse il privilegio di girare a suo modo la
sorte, non ne userebbe per mandare in rovina il suo avversario? Sia un giuoco quanto si voglia
onesto, ne sarà per questo legittimo il guadagno? Colui che confonde l’intelletto e corrompe le
massime del suo simile, dell’amico suo, per maniera che il fa consentire al proprio danno, è peggior
nemico di chi, per forza e per violenza, del suo avere lo spogliasse: imperciocchè non solamente lo
spoglia, ma spesso lo avvilisce del tutto, corrompendo le più nobili doti col veleno dei vizi. Bello
nel vero il titolo di arraffare l’altrui è un colpo di dadi o di carte! Ma questo
titolo, dirà alcuno, è divenuto sacro per l’usanza e per l’onore, più potenti delle leggi scritte.
L’usanza! questa moltiplica, non giustifica gli abusi. L’onore! e può questo irne scompagnato
dall’onestà? Tutti i dannosi patti, quantunque secondo il comunale errore non si possano rompere
senza nota di vergogna, sono nulli de jure; e i profitti de’giuocatori altro non sono, che che essi
ne dicano, se non rapine. Volete voi il guadagno del giuoco apprezzare? guardate quali sono i
giuocatori che più si disprezzano, e vedrete non esser quelli no più maltrattati dalla sorte;
perciocchè di loro si può almeno presumere che legittimamente abbiano corse le vicende della
fortuna. Oh! quanto di reverenza è degno il romano moralista, il quale giudicò che la povertà e la
morte medesima sono da anteporre all’arricchire per lo impoverir d’un altro! Pur dove sono le
persone che abbiano col giuoco arricchito? Per quanto sia uom fortunato, ha la fortuna il suo
termine. Prosperare stabilmente quanti se ne sono mai veduti? e quanto tempo ha durato il regno
loro? Non può la fortuna di un solo reggersi alla gara di tanti che corrono questo infelice arringo;
e il furor che si ostina, va ultimamente a ferir sopra i suoi scogli. Ma pria che a questo doloroso
termine pervengano i giuocatori, i rivolgimenti della buona e della mala ventura hanno fatta amara
la lor sorte, E quali tormenti agguagliano quelli da cui essi sono straziati? Ah! sì, il varcar
dall’asprissimo gelo al cocentissimo caldo non è che una debole immagine di quei loro
subitanei e continuamente reiterati passaggi dalla paura alla speme, dalla gioia alla disperazione;
ond’è che sarebbe il giuocatore di tutte le creature la più degna di pietà, se non fosse la più
dispregevole. Quando si pongono dieci pezzi di carta in certo ordine, egli fuor di misura e fino
alla follia gioisce; ma se nel colmo delle sue speranze sopravviene un impreveduto cangiamento,
diviene incontanente il più sconsolato uomo che ancor ci fosse. Mirate il tumulto delle passioni che
lo tempesta, la vergogna che avvampagli il viso, il minaccioso fuoco che gli scintilla dagli occhi,
l’interna rabbia che limagli e consuma il cuore, gl’impeti segreti che lo trasportano a bestemmiar
duramente le carte, le disfide, se medesimo e la natura.
Oh malnata passione! Oh giuoco esecrabile! Tu sei la scuola d’ogni vizio e d’ogni delitto! Ed
a che mai non sarà disposto un uomo avido, violento, quando si desta nelle braccia della miseria?
Sarà il suo destarsi quello della scelleranza. Quanti giuocatori, nell’uscire dai ridotti, si sono
gittati alle strade a rubare e assassinare la gente, per ristorare le perdite fatte! Là
in quei ricettacoli d’infatuati giocatori, i cospiratori e gli scellerati d’ogni specie cercarono e
rinvennero i complici dei loro misfatti. E se consultare si vorranno i criminali registri, dico quei
tristi annali dei delitti, si troverà la passion del giuoco essere, più che tutte altre, genitrice
delle grandi scelleratezze.
Niveau 3
Hétéroportrait
Entriamo in uno di que’luoghi pubblici, e pure clandestini, sacri alla
cupidità. Quale orribile spettacolo ci presenta una brigata di giocatori! Raccapriccia il solo
aspetto degli attori smorti e tremanti, or mutoli, ora in terribili imprecazioni scoppianti. Meno
degni di compassione che i gladiatori quando a velati occhi dovevano duellare, stanno questi
insensati alla ruota sospesi della Fortuna, che li aggira e trasporta. Ecco là dove in un punto si
veggono tutte le guise della disperazione. Essi, a modo de’cani che danno di morso nel sasso a loro
tratto, s’avventano ad ogni cosa, addentano le carte e i dadi, fracassano le masserizie, e se
medesimi percuotono. Ma tali atti di furore sono nulla in paragone delle angoscie segrete: nel
cuore, più che altrove, inaspriscono i tormenti. Due giuocatori la rabbia loro
dimostravano, l’uno col tetro silenzio, l’altro con bestemmie spaventevoli. Adiratosi questi della
colui freddezza, rampognavalo che, così impietrato, non si dolesse di tante perdite di colpo in
colpo raddoppiate. Ecco, risponde quegli, rimira qui: è mostragli un brano sanguinoso ch’egli
stracciando n’aveva portato dal petto. Il giuocatore intanto più misero deve chiamarsi, in quanto
perchè autore, com’è, di sua miseria, non vi può mettere un termine. Per lo farnetico del giuoco,
che d’ogni parte gli percuote e sconvolge l’anima, non può pensare nè raccorgersi, e solamente agli
improvvisi suoi incitamenti obbedisce. Gli è un furibondo che, chiusi gli occhi, si precipita in un
abisso: e potrà egli, nel mezzo del cader suo, rattenersi? Spesso queste orribili scene durano tutta
notte. Che dico? Si vedono giuocatori restarsene più e più giorni assisi alla tavola stessa del
giuoco. Si direbbero quasi non più soggetti ai bisogni della natura; non dormono punto, nè vegliano;
e lo stato loro somiglia il vegghiar che i malfattori sofferiscono quando pensano alla tortura.
Parecchi giuocatori al fine delle orrende conversazioni non sanno più quel che si dicono, nè quello
che fanno; e spesse volte, perduto il senno del tutto, l’ultima lor furia è volgere in sè le
disperate mani, e recare a termine con volontaria morte la misera vita. Se la passion del giuoco
solamente quelli che la secondano facesse infelici, potrebbe essere riputata come la giusta lor
pena. Ma troppo è il vero che da lei surgono tutti i vizi e tutte le scelleratezze; e
viene perciò a farsi la tribulazione degli altri e il flagello della società. Il giuocatore non
osserva più i principii di giustizia e di umanità, siccome nè quelli della ragione altresì. Egli non
conosce pietà: il perditore guata indarno nel viso dell’avversario a veder se ci apparisce un segno
di compassione e di generosità. Leggevi solo queste parole: Non grazie, non dilazioni, pagar
conviene. E posso io? gridava già un perdente: svenami, o spietato; la mia vita sola ho io,
prendila. Paga prima, rispose quegli, e poi t’ucciderò. Il giuocatore non sente amicizia; egli
giuoca contro al fratello e contro al suo più famigliare compagno. Spoglia crudelmente quello
sventurato ch’egli, sotto spezie d’amistà, ha tratto nell’inganno, e ridegli in viso eziandio nel
dargli del pugnale nel petto. Egli non prova più affetti di marito e di padre: se gli è cortese la
fortuna, va a godere altrove de’suoi trionfi; se avversa, reca in casa lo sconforto, la durezza, la
tirannia, privando la moglie e i figliuoli suoi del necessario sostentamento. Sopra le carte, o ad
un trar di dadi giuocasi egli la sua donna e i suoi figli, come fanno i selvatici Affricani.