La pedanteria Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Jürgen Holzer Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

o:mws-117-926

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 213-219 Lo Spettatore italiano 2 41 1822 Italien
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La pedanteria

Non vitae, sed scholae discimus . . . . ut fuerit meliusnon didicisse

Senec..

Non per la vita, ma per la scuola s’impara; cosicchèil non aver imparato sarebbe il meglio.

Sotto il nome di pedanteria s’intende ordinariamente una ridicola ostentazione di dottrina, un ricerco e studiato parlare, che procedono dall’abuso dei libri e dalla poca cognizione del mondo. Ma quasi tutti vanno generalmente d’accordo nel dare a questo nome un più esteso significato, applicandolo a tutti coloro che hanno costume di dare molestia altrui col ragionare o degli studi, o degli ufficii, ed anche dei piaceri loro. Si trova pedanteria in ogni stato della vita, come ne’due sessi: non ne va esente il foro, non il liceo, non la divisa militare, non l’elegante zerbino, non la donnicciuola che sta sulla moda. Donde avviene mai che nella società sono più di tutti gli altri presi di mira i pedanti della prima classe? Ciò non deriva certamente dall’esser costoro più comuni degli altri; ma la preminenza dei talenti e della dottrina che affettano irrita più l’amor proprio e si fa più notare; e l’ignoranza e la dappocaggine, che si veggono costrette a riconoscere il merito preminente anche più modesto, si rifanno accusandolo di pedanteria.

Ortensio non può lagnarsi di essere a torto accusato di questo difetto. Osservatene il ridevole contegno, la comica serietà. Il Senato romano, nel tempo in cui parve a Cinea un’adunanza di Re, mostrò egli mai fronte più grave? Con che durezza non parla mai Ortensio alla numerosa gioventù che gli fa corona! Quel magistral sembiante, quella precettoria arroganza che ha contratto co’suoi discepoli, egli li porta seco dalla scuola nel mondo. Vorrebbe tenere sotto la sua sferza tutta la società, e si crede maestro del genere umano. Vien lodato il sapere di Ortensio, e la sua abilità nell’arte d’addottrinare altrui. Ma costui che sa tante belle cose, sa egli poi che la maggior disgrazia che possa accadere agli alunni suoi, è quella di divenir simili a lui?

Centone accoppia ad una rara memoria una prodigiosa applicazione. Egli ha divorato infiniti volumi, e si è cacciato nel cervello una vasta erudizione; ma ha consumato tanto tempo nel leggere, che non gli è rimasto un momento per pensare. Privo di raziocinio e d’ingegno, egli cita sempre allo sproposito, fa pompa del suo indigesto sapere, e non prova mai nulla nelle sue lunghe dicerie. Or Centone è pur la meraviglia della gente sciocca; ma presso quelli che guardano al segno, è il peggiore de’pedanti.

Donne letterate, o che di letteratura pizzichino, poche sono senza pedanteria. Armanda si è messa a far qualche verso, ed eccola divenuta donna di spirito: d’allora in poi conversazione di persone di spirito, carteggio di spirito, in somma spirito da per tutto; quindi concorso in sua casa di poeti alla moda, di dotti, o di gente che passa per dotta. Ad ogni parola d’Armanda essi fan plauso: se per caso e si affaccia alla memoria qualche cosa di spiritoso, che diluvio di lodi non sente pioversi addosso! Così si tiene donna di spirito per troppo udirsi attribuire un tal nome; nè si accorge la semplice che al suo cuoco unicamente è obbligata di tutte queste scipidezze. Dovrebbero avvertirnela le risate che nelle società si fanno sulla sua pedanteria.

Letterata è alquanto Araminta, e qualche opera che ella ha messo in luce, le ha acquistato un certo nome fra gli eruditi. Ma sacrificando alle Muse, essa ha interamente trascurato le Grazie. Il parlar suo non solo non è sempre conveniente alla modestia del suo sesso, ma offende spesse volte la civiltà. Araminta è impaziente di contraddizioni; e a chi niente volesse i suoi concetti disaminare, si riscalda con la boria di quegli scienziati onde ebbe copia il sedicesimo secolo. Siccome ognuno conosce il suo debole, non è mai, per rispetto del suo sesso, contraddetta; ed ella si piace e si loda delle vittorie che crede avere degli avversari non riferendole ad altro che all’altezza dell’ingegno suo.

Se deve chiamarsi pedanteria tutto ciò che tende a distruggere quell’uguaglianza nel conversare, che è tanto necessaria per renderlo ameno e dilettevole, il maggior numero de’pedanti non si trova tra coloro che si dedicano allo studio delle lettere e delle scienze. Collidoro, tornato dalla milizia, non ha mai in tutta la vita sua aperto un libro, eppure egli è il pedante più importuno del mondo. Dal primo fino all’ultimo dì dell’anno d’altro non sa parlare che d’accampamenti, di assedii, di battaglie. Egli si rende sopra tutto memorando ai suoi uditori per la lunghezza con che narra le sue gesta e le sue gloriose imprese.

Come non dar nome di pedante al damerino Florimondo, che non ha a parlar d’altro che di moda? e non ne parla già levemente, ma la considera addentro, e fa nel tempo istesso ammirare il suo abbigliamento. Nessuno, dice egli, ha portato prima di me questi bottoni che sono il capo d’opera de’più bravi artefici di Parigi. Queste fibbie sono il modello di quelle che porta il principe di C * *. Ho inventato io stesso il cappio del mio cappello, e se lo hanno fatto i giovani più eleganti della città. Quando Florimondo si diffonde con tanta compiacenza su queste frivolezze, non è egli forse pedante come il vecchio suo precettore, quando declama i versi di Pindaro, narra le storie di Erodoto, e perde le ore all’interpretazione di una particella greca?

Valicasto, da giovane, ha fatto un viaggio per le principali città d’Italia, e a sentirlo par che di fresco ne sia tornato, perciocchè d’altro non parla che delle cose ivi vedute. Egli v’intertiene in principio sopra l’eccellenza della musica, ora posta in oblio, e sopra l’istoria de’principali cantori di Roma e di Napoli, i quali da gran tempo hanno lasciato il teatro. Poscia tocca la pittura e la scultura, e vi mena per i musei del Vaticano e di Firenze, e ridice la lezione che gli hanno detta i suoi Ciceroni. Finalmente, se voi gli date tempo, egli si mette per l’architettura, vi conduce al tempio di S. Pietro, e vi fa salire fin dentro la palla della cupola famosa.

Oh! quante donne della pedanteria d’Armanda e di quelle d’Araminta gabbandosi, sono pure pedanti! Non sarà forse pedante Mirina, quando s’immerge in un interminabile discorso sopra una acconciatura di capo? Non lo sarà forse Cleona, quando consuma quattro ore nel descrivere l’intero ceremoniale d’un battesimo? Non forse Berta, quando ragiona mezza giornata delle trastullevoli ciance di una sua figliuoletta appena spoppata? Celiana è ancora pedante, ma in un modo più strano e non meno ridicolo, perchè discorre perpetuamente del suo marito, contando una per una le sue doti, delle quali la prima, come è facile l’indovinarlo, è quella di adorare Celiana.

Vi è una specie di pedanteria che è in qualche maniera naturale, e che perciò può scusarsi, quando non oltrepassi certi limiti: nasce questa da un certo abito che ci fa contrarre lo stato nostro, la nostra professione. Dello spirito ci accade quel medesimo che del corpo; cioè che come un atteggiamento, un esercizio, una fatica continuata per lungo tempo piega e talvolta storce le membra; così un incessante applicarsi ad un medesimo ordine d’idee imprime d’una particolar stampa l’intelletto, e non di rado lo difforma e falsifica. Per la qual cosa se l’arte d’un meccanico dalle mani, dalle ginocchia e dagli omeri si può ricogliere, colla stessa facilità si conoscono la professione e lo stato delle altre classi della società al linguaggio, alle idee, alle maniere stesse. Or queste particolarità, per le quali l’una classe dall’altra differisce, formano una specie di pedanteria che spesso è soggetta agli scherni ed ai sarcasmi, ma che ciò non ostante merita più l’indulgenza, e deve più facilmente ottenerla, perchè ogni professione ne ha ugualmente bisogno.

Ci sono brigate così dedite alle inezie, che colui il quale non vi si piegasse, e conversazione cercasse più degna delle persone sensate, saria ripreso di pedanteria. In tal caso è più necessario il ripararsi contro il timore di questa taccia, che contro il difetto stesso. Questo timore è quello che bandisce dalla conversazione tutto ciò che può renderla veramente fruttuosa, e che pareggia gli uomini alle femmine educate, anzi sagrificate alle inezie. Quanti uomini ingegnosi, al loro ingresso nel mondo, dicono a se stessi che vi è odiosa ogni apparenza di sapere, e che per esser bene accolto conviene lasciare tutto ciò che è grave, savio ed utile! Quanti non ve ne sono i quali si studiano di contemplare attenti le bagattelle, e di porre tutto il loro ingegno in complimenti! Ma pochi vengono a capo di simil impresa; perchè l’arte di scherzare con grazia non s’impara colle secrete meditazioni. La sola pratica del mondo insegna quella disinvolta piacevolezza, quella festevole vivacità, che è sì buon condimento delle leggiere compagnie. Addiviene spesso che coloro i quali, per non esser creduti pedanti, studiano l’arte di piacere alle donne ed agli sfaccendati, si rendono oggetti di derisione, e perdono quella stima che anche i vani non negano ai talenti e al sapere.

La pedanteria Non vitae, sed scholae discimus . . . . ut fuerit meliusnon didicisse Senec.~k. Non per la vita, ma per la scuola s’impara; cosicchèil non aver imparato sarebbe il meglio. Sotto il nome di pedanteria s’intende ordinariamente una ridicola ostentazione di dottrina, un ricerco e studiato parlare, che procedono dall’abuso dei libri e dalla poca cognizione del mondo. Ma quasi tutti vanno generalmente d’accordo nel dare a questo nome un più esteso significato, applicandolo a tutti coloro che hanno costume di dare molestia altrui col ragionare o degli studi, o degli ufficii, ed anche dei piaceri loro. Si trova pedanteria in ogni stato della vita, come ne’due sessi: non ne va esente il foro, non il liceo, non la divisa militare, non l’elegante zerbino, non la donnicciuola che sta sulla moda. Donde avviene mai che nella società sono più di tutti gli altri presi di mira i pedanti della prima classe? Ciò non deriva certamente dall’esser costoro più comuni degli altri; ma la preminenza dei talenti e della dottrina che affettano irrita più l’amor proprio e si fa più notare; e l’ignoranza e la dappocaggine, che si veggono costrette a riconoscere il merito preminente anche più modesto, si rifanno accusandolo di pedanteria. Ortensio non può lagnarsi di essere a torto accusato di questo difetto. Osservatene il ridevole contegno, la comica serietà. Il Senato romano, nel tempo in cui parve a Cinea un’adunanza di Re, mostrò egli mai fronte più grave? Con che durezza non parla mai Ortensio alla numerosa gioventù che gli fa corona! Quel magistral sembiante, quella precettoria arroganza che ha contratto co’suoi discepoli, egli li porta seco dalla scuola nel mondo. Vorrebbe tenere sotto la sua sferza tutta la società, e si crede maestro del genere umano. Vien lodato il sapere di Ortensio, e la sua abilità nell’arte d’addottrinare altrui. Ma costui che sa tante belle cose, sa egli poi che la maggior disgrazia che possa accadere agli alunni suoi, è quella di divenir simili a lui? Centone accoppia ad una rara memoria una prodigiosa applicazione. Egli ha divorato infiniti volumi, e si è cacciato nel cervello una vasta erudizione; ma ha consumato tanto tempo nel leggere, che non gli è rimasto un momento per pensare. Privo di raziocinio e d’ingegno, egli cita sempre allo sproposito, fa pompa del suo indigesto sapere, e non prova mai nulla nelle sue lunghe dicerie. Or Centone è pur la meraviglia della gente sciocca; ma presso quelli che guardano al segno, è il peggiore de’pedanti. Donne letterate, o che di letteratura pizzichino, poche sono senza pedanteria. Armanda si è messa a far qualche verso, ed eccola divenuta donna di spirito: d’allora in poi conversazione di persone di spirito, carteggio di spirito, in somma spirito da per tutto; quindi concorso in sua casa di poeti alla moda, di dotti, o di gente che passa per dotta. Ad ogni parola d’Armanda essi fan plauso: se per caso e si affaccia alla memoria qualche cosa di spiritoso, che diluvio di lodi non sente pioversi addosso! Così si tiene donna di spirito per troppo udirsi attribuire un tal nome; nè si accorge la semplice che al suo cuoco unicamente è obbligata di tutte queste scipidezze. Dovrebbero avvertirnela le risate che nelle società si fanno sulla sua pedanteria. Letterata è alquanto Araminta, e qualche opera che ella ha messo in luce, le ha acquistato un certo nome fra gli eruditi. Ma sacrificando alle Muse, essa ha interamente trascurato le Grazie. Il parlar suo non solo non è sempre conveniente alla modestia del suo sesso, ma offende spesse volte la civiltà. Araminta è impaziente di contraddizioni; e a chi niente volesse i suoi concetti disaminare, si riscalda con la boria di quegli scienziati onde ebbe copia il sedicesimo secolo. Siccome ognuno conosce il suo debole, non è mai, per rispetto del suo sesso, contraddetta; ed ella si piace e si loda delle vittorie che crede avere degli avversari non riferendole ad altro che all’altezza dell’ingegno suo. Se deve chiamarsi pedanteria tutto ciò che tende a distruggere quell’uguaglianza nel conversare, che è tanto necessaria per renderlo ameno e dilettevole, il maggior numero de’pedanti non si trova tra coloro che si dedicano allo studio delle lettere e delle scienze. Collidoro, tornato dalla milizia, non ha mai in tutta la vita sua aperto un libro, eppure egli è il pedante più importuno del mondo. Dal primo fino all’ultimo dì dell’anno d’altro non sa parlare che d’accampamenti, di assedii, di battaglie. Egli si rende sopra tutto memorando ai suoi uditori per la lunghezza con che narra le sue gesta e le sue gloriose imprese. Come non dar nome di pedante al damerino Florimondo, che non ha a parlar d’altro che di moda? e non ne parla già levemente, ma la considera addentro, e fa nel tempo istesso ammirare il suo abbigliamento. Nessuno, dice egli, ha portato prima di me questi bottoni che sono il capo d’opera de’più bravi artefici di Parigi. Queste fibbie sono il modello di quelle che porta il principe di C * *. Ho inventato io stesso il cappio del mio cappello, e se lo hanno fatto i giovani più eleganti della città. Quando Florimondo si diffonde con tanta compiacenza su queste frivolezze, non è egli forse pedante come il vecchio suo precettore, quando declama i versi di Pindaro, narra le storie di Erodoto, e perde le ore all’interpretazione di una particella greca? Valicasto, da giovane, ha fatto un viaggio per le principali città d’Italia, e a sentirlo par che di fresco ne sia tornato, perciocchè d’altro non parla che delle cose ivi vedute. Egli v’intertiene in principio sopra l’eccellenza della musica, ora posta in oblio, e sopra l’istoria de’principali cantori di Roma e di Napoli, i quali da gran tempo hanno lasciato il teatro. Poscia tocca la pittura e la scultura, e vi mena per i musei del Vaticano e di Firenze, e ridice la lezione che gli hanno detta i suoi Ciceroni. Finalmente, se voi gli date tempo, egli si mette per l’architettura, vi conduce al tempio di S. Pietro, e vi fa salire fin dentro la palla della cupola famosa. Oh! quante donne della pedanteria d’Armanda e di quelle d’Araminta gabbandosi, sono pure pedanti! Non sarà forse pedante Mirina, quando s’immerge in un interminabile discorso sopra una acconciatura di capo? Non lo sarà forse Cleona, quando consuma quattro ore nel descrivere l’intero ceremoniale d’un battesimo? Non forse Berta, quando ragiona mezza giornata delle trastullevoli ciance di una sua figliuoletta appena spoppata? Celiana è ancora pedante, ma in un modo più strano e non meno ridicolo, perchè discorre perpetuamente del suo marito, contando una per una le sue doti, delle quali la prima, come è facile l’indovinarlo, è quella di adorare Celiana. Vi è una specie di pedanteria che è in qualche maniera naturale, e che perciò può scusarsi, quando non oltrepassi certi limiti: nasce questa da un certo abito che ci fa contrarre lo stato nostro, la nostra professione. Dello spirito ci accade quel medesimo che del corpo; cioè che come un atteggiamento, un esercizio, una fatica continuata per lungo tempo piega e talvolta storce le membra; così un incessante applicarsi ad un medesimo ordine d’idee imprime d’una particolar stampa l’intelletto, e non di rado lo difforma e falsifica. Per la qual cosa se l’arte d’un meccanico dalle mani, dalle ginocchia e dagli omeri si può ricogliere, colla stessa facilità si conoscono la professione e lo stato delle altre classi della società al linguaggio, alle idee, alle maniere stesse. Or queste particolarità, per le quali l’una classe dall’altra differisce, formano una specie di pedanteria che spesso è soggetta agli scherni ed ai sarcasmi, ma che ciò non ostante merita più l’indulgenza, e deve più facilmente ottenerla, perchè ogni professione ne ha ugualmente bisogno. Ci sono brigate così dedite alle inezie, che colui il quale non vi si piegasse, e conversazione cercasse più degna delle persone sensate, saria ripreso di pedanteria. In tal caso è più necessario il ripararsi contro il timore di questa taccia, che contro il difetto stesso. Questo timore è quello che bandisce dalla conversazione tutto ciò che può renderla veramente fruttuosa, e che pareggia gli uomini alle femmine educate, anzi sagrificate alle inezie. Quanti uomini ingegnosi, al loro ingresso nel mondo, dicono a se stessi che vi è odiosa ogni apparenza di sapere, e che per esser bene accolto conviene lasciare tutto ciò che è grave, savio ed utile! Quanti non ve ne sono i quali si studiano di contemplare attenti le bagattelle, e di porre tutto il loro ingegno in complimenti! Ma pochi vengono a capo di simil impresa; perchè l’arte di scherzare con grazia non s’impara colle secrete meditazioni. La sola pratica del mondo insegna quella disinvolta piacevolezza, quella festevole vivacità, che è sì buon condimento delle leggiere compagnie. Addiviene spesso che coloro i quali, per non esser creduti pedanti, studiano l’arte di piacere alle donne ed agli sfaccendati, si rendono oggetti di derisione, e perdono quella stima che anche i vani non negano ai talenti e al sapere.