Lo Spettatore italiano: L’amor proprio
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L’amor proprio
Citation/Motto
L’amour
propre est le plus grand de tous les flatteures
La Rochefoucault~k.
L’amor proprio è il massimo degli adulatori.
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Saviamente pensarono coloro che dall’amor proprio all’amor di se
stesso fecero distinzione; conciossiachè il primo, come una passione innata, intenda alla
conservazione della nostra vita ed all’acquisto del nostro bene; e l’altro, quantunque proceda pur
da natura, non a tutti nè sempre d’un modo si faccia sentire. È il vero che alcuni filosofi tennero
non poter l’amor proprio altro partorire che male passioni ed irascibili; ma si ha per fermo dai
più, esso non istare in guerra con le dolci e delicate affezioni. Non è uomo al mondo che sia esente
dall’amor proprio, il quale opera in noi, senza che ce ne accorgiamo, in una maniera uniforme e
costante, a simiglianza del calor naturale. Quell’amor proprio il quale altro non è che una stima di
se stesso, fondata sulla giusta fiducia di aver meritata la stima degli altri, non pur non è un
vizio, ma è una disposizione d’animo utile alla società. Contendere all’uom dabbene, all’uomo di
merito, che ami sè, che si reputi d’assai è faccia a sè diritto, è un vietargli di godere i buoni
effetti di una pura coscienza. L’intimo senso della propria dignità è dato all’uomo
come per usbergo della virtù e dell’ingegno contro l’ingratitudine e l’ingiustizia, le quali gli
dinegano la meritata mercede.
Non sono adunque da biasimare gli uomini di merito se fanno conto di sè, perciocchè egli è
diritto; ma ben tutti coloro che, di soverchio se stessi esaltando, sono altieri e prosuntuosi, come
se avessero quella virtù e quell’ingegno che non hanno. E così egli non fosse, come è vero, che al
mondo nuoce più l’amor proprio degl’insensati e de’maligni, che non giova quello de’buoni e de’savi.
È tale la pertinacia del nostro amor proprio, che vogliamo trar lode e onore da quelle
medesime inclinazioni che ci malmenano la vita.
L’altrieri avendogli il corridore ch’egli montava, vinta la mano, fu gittato in terra e
percosso, e perdè i sentimenti: ed essendosi riavuto, disse, mentre che era aiutato a risorgere, a
chi lo rimproverava del soverchio suo ardore: Mi fiaccherò il collo, ma conviene ubbidire alla moda.
La dove signoreggia in eccesso l’amor proprio, non regna altro affetto.
L’amor proprio è un Proteo che in tutte forme trasfigurasi: come non ci lascia scorgere le
nostre imperfezioni le più volte, così alcune a vituperar noi stessi ci conduce.
Non avviene di rado che l’amor proprio mitiga certi mali incomportabili, e li rivolge anche
in sollazzo.
Qual sagrificio è che non siano gli uomini disposti a fare all’amor proprio? A lui sono
attribuite le cagioni del costume generale de’Romani di uccidersi, ed egli è ancora la colpa
de’suicidii che sì sovente in Inghilterra si commettono. Esagerata opinione d’onore, coscienza di
errori fatti, paura di perder nome e riputazione, e forse beni e stato, sono sì gravi cose da
sofferire agl’Inglesi, che essi, per cessar vergogna, si privano di vita. Tanto opposti sono fra
loro i principii per cui virtù opera l’amor proprio, che l’uomo sagrifica il suo essere
all’amore del suo essere, ed alla morte si lascia strascinare per uno istinto che lo muove ad amare
più se stesso che la sua vita.
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Sollecitato dall’amor proprio Emasio, si fatica a divenir valoroso e
singolare fra tutti gli altri. Vorrebbe, quello ch’egli vale, esser apprezzato, e il frutto de’suoi
meriti accorre: ma come savio dirittamente il suo amor proprio ordinando, non agogna d’essere
stimato e lodato da tutti, perchè egli conosce questo essere un troppo onorare gli stolti, e poco
pregiare i sapienti. Resterebbe Emasio più mortificato di ricevere un elogio non meritato, che di
vedersi negare un elogio giustamente dovuto. Sentesi egli di costui e di colui maggiore; ma gran
lume gli fa l’amor proprio, perchè non si reputi perfetto.
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Vedete là in Narcilio gli effetti d’un amor proprio che non ha
fondamento alcuno: con tutto che egli sia pronto e sottile nello scorgere i pregi suoi, niuno è più
tardo di lui nel conoscere i propri difetti, per modo che li dissimula a se medesimo, e più
all’ultimo non se ne accorge. Solamente quelli che lui ammirano, sono per lui uomini
d’intelletto; nè altri, che chi sente con lui, è di buon sentimento. Se d’alcun fallo tu lo
riprendi, egli ti chiama col titolo d’ingiusto o d’invidioso. Nè solamente pone sè innanzi a tutti,
ma gli aggradirebbe che tutti innanzi a se medesimi lo ponessero, come se fosse egli il perno della
ruota mondana. Ecco come dallo sfrenato e indomito amor proprio levano principio rei e detestabili
vizi.
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Poco dista dalla follia un intemperato amor proprio: di che fa
argomento Vatinio, il quale si dà ad intendere ch’egli sia primo poeta dell’età sua; talchè se
persona lo agguagliasse all’Ariosto o al Tasso, egli l’avrebbe forte per male. Egli intanto è
differente dagli altri pazzi, in quanto quelli dicono tutto ciò che va lor per la mente, ed egli ha
l’arte alcuna volta ed il senno di non manifestar la sua pazzia tutta quanta: ma non però che egli
la si conosca, o nella stima che fa di se stesso suspichi di potersi ingannare; egli il fa, perchè
sa che saria scandolo e fastidio a discoprire alle persone cosiffatti pensieri, eziandio se veri e
dritti fossero.
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Si vanagloria Modigero di essere il più pronto seguitatore della
moda, alla quale egli ogni altro suo affetto sottopone. Egli è per sua natura liberale e
disinteressato, e nemico del giuoco; ma corre la moda di dover giuocare, ed egli con sua gran noia
ha al giuoco perduto non poco delle sue sostanze. Ha egli per moglie una bella ed
amorosa donna, da lui eletta e onorata, ed anche avuta cara; ma imponendo la moda che un suo pari
aver debba un’amica, egli nell’usare una cantatrice che disprezza, spende senza ritegno. De’cavalli
non si diletterebbe egli gran fatto, nè di maneggiarli è molto maestro; ma comanda la moda che si
tengano barberi, e che a guisa di cavallerizzo si cavalchino; e Modigero mette a pericolo le sue
sostanze e fin la vita per seguire la moda.
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Cleandro, il quale ha fama d’uomo volubile e incapace d’amicizia, è
tutto composto di sedo amor proprio, e vuol essere stimato pieno di quelle doti delle quali non ha
pur l’ombra. La cagione del suo andare in cerca di nuove amicizie non è tanto il fastidio che gli
muovono ormai le antiche, o la vaghezza di variare, quanto il dispetto di non essere da quei che lo
conoscono, compiutamente ammirato.
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Alchita, quando altrui dipinge se stesso, si fa vedere uom grosso e
materiale; ma ognuno sa che è egli fornito d’ingegno e di cognizioni. Vuol mostrarsi
avarissimo; ma ognuno è persuaso ch’egli è magnanimo e liberale. Nè per altro piacegli dir male di
sè, se non perchè questo rende dell’inusitato e del nuovo; e per conseguente se vede che chi lo
ascolta si stringe nelle spalle, allora egli par tutto rallegrarsi e compiacersi.
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Di ciò vidi esempio in un dotto medico della università di Leida, il
quale io udii leggere un giorno e trattare della gotta: e perciocchè egli era a questa dura
infermità più d’ogni altro sottoposto, lieve era a pensare ch’egli forte e vivamente ragionar ne
dovesse. Ma altrimenti andò la bisogna: egli cominciò da traverso le laudi della gotta, producendo
che i letterati e i nobili, più che gli idioti e i volgari, ne sogliono infermare; e le
predisponenti cause della malattia ricercando, s’aggirò largo spazio intorno all’altezza
dell’ingegno.