Citazione bibliografica: Giovanni Ferri di S. Costante (Ed.): "Necessità di rendere amabile lo studio", in: Lo Spettatore italiano, Vol.2\09 (1822), pp. 39-47, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.999 [consultato il: ].


Livello 1►

Necessità di rendere amabile lo studio

Citazione/Motto► Studium discendi, voluntate, quae cogi non potest,
constat . . . Jucundus maxime debet esse praeceptor,
ut quae alioqui natura sunt aspera, molli manu
leniantur

Quint.. lib. I. cap. 3.

Volo se efferat in adolescente jucunditas

Cicer.. ◀Citazione/Motto

Livello 2► L’età della fanciullezza è inverso di sè il più dolce, il più lieto, il più avventuroso tempo di nostra vita: ma come si può egli felicitare un fanciullo, come ripararlo dalla tristezza e dalle gravi sollecitudini, ove non si cerchi di agevolargli l’acquisto del sapere, e rendergli amabile lo studio? Ecco il principale debito a ogni saggio insegnatore: ecco una regola costante, sicura, e che non ammette eccezioni. Nulladimeno ci sono ancora molti partigiani d’una educazione falsa e pedantesca, i quali non che si curino di sparger fiori nel cammin delle lettere, ma vietano altresì di levarne le spine, anzi adoperano di moltiplicarle all’infinito. Citazione/Motto► « Essi usano gran diligenza, dice Montaigne, a descrivere la scienza come una cosa inaccessibile ai fanciulli, e la dipingono di un viso arcigno, tenebroso e terribile; laddove non è al mondo nessuna cosa che sia più soave, più gioconda e quasi ch’io dissi più scherzevole. » ◀Citazione/Motto Ei credono stoltamente che nulla si possa imparare senza una [40] lunga e penosa fatica, come se il far progresso in una disciplina qualsiasi dipendesse dalle difficoltà che le sono congiunte. È dunque necessario che il navigante per afferrare il porto sia prima sbattuto dalla tempesta? Fa egli mestieri che il cammino sia rotto e malagevole, affinchè il viandante arrivi al termine del suo viaggio? Gli antichi filosofi e coi precetti e cogli esempi riprovano gagliardamente tutti questi stranissimi errori. Citazione/Motto► Leggete in Platone, in Plutarco, in Cicerone, in Quintiliano, e vedete con quanto zelo essi raccomandino che dagli studi non venga mai scompagnato il diletto. “Addottrinando un fanciullo nelle scienze, dice Platone, bisogna guardare di non sottometterlo a nessuna noia e disagio; perchè gl’insegnamenti che voi introdurrete per viva forza nell’animo di lui, non vi riposeranno nemmeno un istante: onde fate piuttosto di maniera ch’egli si addestri nelle arti della sapienza, come per via di trastullo.” ◀Citazione/Motto Citazione/Motto► “Sopra il tutto, dice Quintiliano, si conviene il maestro essere talmente ragionevole e discreto che non induca i garzonetti ad odiare le scienze, e ciò in un tempo che essi per ancora non possono esserne innamorati. Conciossiachè sarebbe forte da temere che avendo una volta provato ch’elle sanno di amaro, ei non ne diventassero schivi per sempre. Lo studio non debbe essere per loro altro che un giuoco.” ◀Citazione/Motto Presso i Greci e i Romani l’idea dei giuochi era sì fattamente collegata con quella degli studi, che nelle lor lingue le medesime parole volevano significare due cose che secondo la comune opinione sembravano tra sè repugnanti e difformi.

[41] Il Retore romano per primo, e dopo lui tutti i gran savi dell’età susseguente hanno scritto Citazione/Motto► “che lo studio dipende interamente dalla notstra volontà, la quale non può essere tratta a forza.” ◀Citazione/Motto Or dunque è d’uopo che gli ammaestratori s’imprimano bene di questo principalissimo vero, e se ne faccian norma per adempire degnamente il loro nobile ufficio. Di fatto nessuno dubita che non si possa, per così dire, porre in ceppi un discepolo, conficcarlo in un duro sedile, e costringerlo a stillarsi il cervello sopra un libro che non gli è dato di comprendere. Ma questo affaticarsi così servilmente ed a suono di sferza, si merita egli il nome di studio? Ed all’ultimo, qual altro frutto si cava da sì perversa istruzione, eccetto che un odio perpetuo contro i libri, le scienze e i maestri? Adunque non si debbe intendere a soggiogare il corpo, ma sì bene la volontà degli allievi; il che non si può effettuare con altro mezzo, che coll’attrattiva del piacere, cioè a dire col rendere amabile lo studio. E questo fine non è punto difficile a conseguire, quando il prudente educatore sappia giovarsi di quell’acuto desiderio che muove i fanciulli a cercare di conoscere la ragione di tutte quante le cose. Perciocchè il mentovato desiderio si deriva da un’innata curiosità, che è propria d’ogni individuo razionale per tutto ciò che lo può interessare. E tale curiosità è il primo movente delle operazioni de’fanciulli, ne’quali ogni cosa di questo mondo è cosa nuova. Però si vuole eccitarla con opportune domande, ed acquetarla con risposte franche e precise. Da principio ella si volge [42] spontaneamente alla considerazione degli oggetti sensibili, e quindi passando di grado in grado, arriva alla cognizione degli oggetti intellettuali. Nelle prime operazioni dello spirito noi non dobbiamo avere altra scorta che i sensi; ed allora il mondo ci sia in vece d’ogni libro, ed i fatti in luogo d’ogni maestro. Questo primo studio, se è lecito di così chiamarlo, è utile sopra ogni credere, e tutto pieno di care lusinghe.

La lettura, che troppo spesso è il primo tormento de’poveri fanciulli, non ha in sè niente di abborrevole, purchè il precettore, usando un metodo facile e dilettivo, sappia far nascere in quelli il desiderio di apprenderla. Il far progresso in questa esercitazione dipende sopra tutto dalla scelta de’primi libri elementari che si mettono per le mani dell’allievo. Per il che è d’uopo che essi trattino di materie che sieno conformi al gusto ed alle inclinazioni di lui, acciocchè primieramente ei procuri di ben comprendere le nozioni semplici; e poscia, mediante una insensibile progressione, si conduca all’acquisto delle nozioni composte e difficili. Questo metodo, prescrìtto dalla natura, siccome è l’unico che possa ad un tempo istruire e dilettare i fanciulli, così è quello che noi dobbiamo adoperare nell’insegnare loro le lettere e le scienze: ma non sì tosto elli sanno leggere, ed ecco che il precettore li condanna a studiar grammatica; il quale studio astratto e difficile, confondendo loro l’intelletto, spegne in essi il desiderio dell’imparare. Anzi, quasi che questo studio non fosse di per se stesso estremamente [43] malagevole, vien subito rivolto a fare apprendere ai fanciulli, non già le regole della lingua nativa che tanto importa a sapersi, ma quelle d’una lingua morta che da essi non è punto compresa, e che forse riuscirà loro inutile e vana. Tutti i grandi maestri vogliono che adoperiamo di nutrire ed accrescere quelle facoltà che nei fanciulli si mostrano per prime, cioè la memoria e l’immaginazione. Perchè non dare alla loro curiosità nessun altro pascolo fuorchè quello di regole inintelligibili, dalle quali ei non possono ritrarre nè utilità nè diletto? Forse che non ci sono altre cognizioni, come la geografia, l’istoria, i principii della morale, l’aritmetica, ec., le quali sieno atte a formare l’attenzione dei fanciulli, ordinare la lor mente, e prepararli a dar opera ad altri studi più severi e difficili?

Ma non basta che altri obblighi i fanciulli ad uno studio che avanza la naturale capacità del loro intelletto: si costringono ancora ad attendere ad esso molti anni, e si chiude loro la strada di acquistare nozioni più piacevoli ed utili. Se ci è al mondo una verità incontrastabile, al certo si è questa, che i fanciulli, le cui percezioni sono sì rapide, la memoria sì attiva, la ragione sì duttile, non debbon esser racchiusi dentro un cerchio d’idee che sieno tutte della medesima specie. La varietà e pienezza dell’istruzione sono approvate dalla ragione, dall’esperienza, e conformi alle leggi della natura. Vedete un fanciullo sotto la disciplina di quella muta insegnatrice: vedetelo sottoposto alle impressioni degli oggetti, ed usante le sue facoltà intellettuali, secondo i suoi bisogni. Qual [44] corso enciclopedico egli abbraccia! Come cresce in mezzo alle scoperte! Come ogni ora, ogni minuto gli conducono nella mente idee nuove e sopra oggetti tutti diversi! Questo ente nato per imparare e per conoscere, e dotato, per così parlare, d’una porosità intellettuale, diviene egli ottuso quando entra nell’età dell’adolescenza? E i suoi maestri, i libri e i metodi non ponno essi continuare l’opera della natura? Alcune volte restiamo meravigliati che certi giovanetti, i quali, quando stavano in collegio, erano stimati di grosso ingegno, siano poi divenuti uomini famosi pei loro talenti. La cagione si è, che vennero costretti a studiare una sola sorta di umane cognizioni, e che si porse alla loro curiosità una sola pagina di quel libro immenso che sta sempre aperto da tutti i lati a tutte le ore e per tutti. Le facoltà dell’adolescenza debbono, per così dire, essere interrogate. Però è necessario presentare ai giovinetti tutti quegli oggetti che sono idonei a scuoprire i loro gusti e le loro interne disposizioni: siccome una volta l’aspetto delle armi fece manifesto il bellicoso ardore di Achille.

Parecchi sofisti mentre che approvano questa varietà di studi, che è conforme alla natura dello spirito umano e agli interessi della civile comunanza, vorrebbero che in quel che appartiene al modo d’insegnare si desse alle scienze ogni preminenza sopra le lettere, siccome quelle che sono più utili. Ma siffatto sistema sovverte l’ordine della natura, e corrompe le leggi dell’intelligenza; poichè è cosa indubitata che la memoria e l’immaginazione sono le nostre prime [45] facoltà, laddove la ragione non si matura che col tempo. Le lettere sono le vere maestre della gioventù. Esse hanno sulle differenti specie delle cognizioni umane il prezioso vantaggio di sviluppare ad un tempo il sentimento e l’intelligenza, e di comprendere in sè tutto quanto l’uomo. L’allievo dell’istruzione letteraria arricchisce la sua memoria, allarga la sua immaginazione, raffina il suo gusto e appaga il suo giudizio. Egli attinge alla medesima sorgente il senso del bello e l’amor del bene. Per questo modo i vizi si dimostrano al suo sguardo in tutta la lor bruttezza, e le virtù in tutto il loro splendore. Egli non giunge nel mondo come un uomo straniero, ma quasi per mezzo di una anticipata esperienza ne conosce le potenze e i travagli. Si presume di porre innanzi a tutti gli altri studi quello delle scienze, perchè è in sè di maggiore utilità. Ma che cosa avvi al mondo di più utile, che l’imparare a conoscere ciò che è onesto, ed a conformarsi alle leggi della virtù? Sentite l’Orator romano con quanta gratitudine dichiara che nel governo della repubblica egli ebbe sempre dinanzi alla mente quella moltitudine di grandi uomini, di cui gli scrittori greci e romani avevano lasciato così vive testimonianze non solamente per attrarre i nostri sguardi, ma per empirci l’animo di una generosa emulazione. Qual cosa mai si può soprapporre ad una istruzione tutta viva, tutta d’esempi, la quale penetra nel fondo del cuore, introduce i giovinetti nel cammino della virtù, e gli anima a servire la patria e i loro simili? Certamente le scienze fanno fede dell’immenso [46] ingegno dell’uomo; e questi, mercè le grandi scoperte fatte per mezzo di quelle, è veramente divenuto il re della natura. Ma solamente alle lettere appartiene la prima e la più universale istruzione: la prova che di tal nuovo sistema si è fatta in un grande impero, ne ha posto in chiaro gli errori e i pericoli.

La scelta degli studi e la bontà dei metodi non bastano punto a rendere l’istruzione facile e piacevole; ma è mestieri altresì che l’ammaestratore sia fornito di acuto ingegno, di utili cognizioni e di amabili qualità. Il precettore volgare non ammaestra con altro che coi libri, e spende tutto il suo tempo in dettare con ridicola gravità le lezioni ai suoi allievi. Immaginandosi che gli convenga prendere apparenza d’uomo dignitoso e grande, tien quelli in poca stima, ed affetta di trattarli sempre come fanciulli; per contrario il saggio maestro schifa la moltitudine de’precetti, ed istruisce cogli esempi. Egli ascolta benignamente i suoi allievi, e gli avvezza a ben ragionare intorno alle cose che loro appartengono. Egli li fa, per così dire, camminare dinanzi a sè per poter giudicare del loro andamento, e proporzionare il moto del suo piede al moto de’piedi di essi. Citazione/Motto► “Certo è l’effetto di un animo generoso e gagliardo, dice Montaigne, il saper secondare e regolare siffatti andamenti puerili.” ◀Citazione/Motto Il precettor volgare pretende che non si debbano convertire in giuoco le lezioni che si danno ai fanciulli; e stima che sia cosa indispensabile l’ammaestrarli con lezioni aride e fastidiose, a fine d’insegnare loro a sottomettersi alla [47] necessità, ed a far sacrifizio della propria volontà in ogni cosa. Il discreto maestro sa che ai suoi allievi non mancherà mai l’occasione di adoperarsi in questa trista esercitazione. Egli reputa dover far loro gran pro che la lezione sia trasformata in giuoco, e che essi imparino a congiungere ai loro trastulli qualche idea grave e severa. Il danno che recano le lezioni regolari e pedantesche, si è quello di separare affatto l’idea dell’occupazione e quella del diletto, e di unire esclusivamente a quest’ultimo l’idea dell’ozio. Di maniera che il miglior tempo della vita dei fanciulli, il solo che è propriamente tutto in loro balía, è il tempo in cui essi non fanno nulla. Solo questo momento ei risguardano con amore, e tengono in conto di dolcissima cosa. Il rimanente tempo ei procurano di perderlo, perchè l’hanno per una cosa che appartenga altrui. Per l’opposito bisogna avvezzare i fanciulli a stimare tutto il lor tempo siccome un mezzo che molto importi alla loro felicità, e disporli sin da principio a seguire il corso ordinario della vita, i cui sollazzi sono tante eccezioni, e i cui consueti piaceri consistono in occupazioni or più or meno serie e difficili. ◀Livello 2 ◀Livello 1