Lo Spettatore italiano: Il primo dovere dei padri
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Il primo dovere dei padri
perchè non s’appartien meno ai padri lo ammaestrare essi medesimi i figli, che alle madri il
lattarli; nè povertà nè disavventura nè ignoranza ne li potrebbe escusare. Se non sono tutti i padri
in condizione di coltivare l’ingegno de’figli, son tutti però nell’agio di educarli alla morale,
ossia di ben formarli di cuore e di ben costumarli. È lecito al padre di farsi aiutare ad altri nel
coltivare l’intelletto de’figli; ma l’educazion del cuore a lui solo e non altrui si vuole affidata,
perchè ella richiede una continua cura, una perpetua guardia, a cui i padri solo chiamati sono. Or
questa morale educazione non tanto dagli ammaestramenti esteriori, quanto dall’intimo sentimento dee
procedere; e per farla apprendere valgono più gli esempi che i ragionamenti, perchè si
ha da parlare al cuore solamente. Così quando un fanciullo ha in alcuna cosa fallato, se anzi
turbatetta che no gli si mostri la madre, gli farà più forza d’assai che qualunque pedagogo, da cui
per lo più convenevole modo e con le più savie dicerie fosse ripigliato. E se ci volessimo ritornare
in mente quella età tenerissima, chi è di noi che non abbia ancora memoria di alcuna di così fatte
lezioni, e non le conservi ancora nel cuore quali egli le apprese la prima volta? Infinite utilità
sentono i genitori dal fornire questo sagro dovere; perciocchè da prima cominciano ad amare vie più
la lor casa, poi vengono gustando i piaceri e le virtù domestiche, ed ultimamente sono costretti a
badare dì e notte a te stessi. Non è uomo mai sì viziato e sì lordo, che non s’abbia a guardare che
il figlio non pensi male di lui; e questo pensiero dell’esempio ch’egli dee dare di sè, non è a lui
uno de’più forti ritegni? Sono senza numero i mariti e le mogli, che se avessero avuto presso a sè i
figliuoli per educarli, e gli uni e le altre si avrebbero tuttavia quell’amore fervente così, come
il primo. Oh quanto conferiscono a tenere le case in accordo le successive cure dell’educazione!
Ecco il modo di diventar buon marito, buon padre e buon figlio: perocchè in esso, oltre alla
coscienza ed all’obbligo, si trova una mutua compiacenza, essendo opera di natura che all’esecuzione
de’suoi comandamenti tenga perpetuamente dietro un verace e sincero diletto.
Citation/Devise
Ego adolescentulos existimo in soholis fieri stultissimos,
quia nihil ex iis quae in usu habemus, aut
audiunt, aut vident.Io reputo diventare i giovinetti nelle scuole stoltissimi,
quia nihil ex iis quae in usu habemus, aut
audiunt, aut vident.
Petron.~k, Sat~k.
Io reputo diventare i giovinetti nelle scuole stoltissimi,
perciocchè delle cose
che abbiamo dattorno non ne
ascoltano, o non ne veggono pur una.
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Récit général
Andai un giorno in compagnia d’un amico mio a pranzo da Ruscolo, che
un’ampia possessione avea in quella vicinanza. Ruscolo, dissemi l’amico, acquistossi fama di abile
agricoltore. A lui si debbe se questo terreno, ingombro una volta sol di sterpi infruttuose,
presenta ora l’aspetto d’una campagna ridente ed ubertosa. Egli va superbo, e con ragione, del
felice successo con cui vide coronati i suoi lavori, e senza dubbio si affretterà di farveli
osservare. E fu il vero; perciocchè non sì tosto si fu ognuno alzato di tavola, che Ruscolo ci
aperse i suoi giardini, e non senza compiacersi ci trattenne nel suo parco. Vedete voi, ci cominciò
a dire, questi alberi che ombreggiano sì ampiamente il terreno? Io, sono io quegli che colle mie
stesse mani gli ho piantati: sono io che gli ho allevati. Ancora mi sovviene del tempo in cui queste
querce rigogliose erano tenere pianticelle, anzi ghiande. Vedete ora a quale altezza prodigiosa
alzan la cima: potrebbesi certamente con gli alberi da me posti fabbricar navigli per tutta
un’armata. Ammirai l’utile industria di Ruscolo: che puossi egli fare di più vantaggioso
alla società, dissi al mio amico, e qual più dolce piacere può l’uomo procacciare a se stesso di
quello che nasce dal moltiplicare sì ricche produzioni? E bene il crederete? mi rispose l’amico:
Costui che con tanto studio e travaglio ha coltivato piante ed alberi d’inanimata natura, costui
sdegnò di allevare i suoi propri figliuoli; e laddove non crederebbe queste piante alla cura del più
esperto e laborioso coltivatore, perchè egli vuol guidare le opere e starvi presente, ha commesso il
governo de’suoi figliuoli ad ignoranti e spensierati maestri, i quali anzichè secondare le buone
disposizioni della loro natura, altro non fecero che sopprimerle e forse corromperle. Or non direste
voi che Ruscolo ha riputato più lodevol cosa il produrre al mondo i superbi e ben fronzuti alberi,
che gli uomini saggi e virtuosi? Mentre in questa guisa tra noi ragionavamo, ecco scorgemmo il
rispettabile Aristo, che con un garzone di forse venti anni dallato veniva alla nostra volta.
Siccome erano essi conosciuti dal mio amico, entrammo con loro in conversazione. La reciproca
tenerezza che in tutte le loro maniere appalesavano, mi fa credere che Aristo fosse di quel giovane
il padre, e seco lui mi congratulai che avesse sì amabile figliuolo. Punto non v’ingannate, rispose
Aristo: benchè Armando non sia che mio pupillo, pur gli son padre, ed egli nutre in cuore per me un
affetto veramente da figlio, talchè egli è il mio vanto e il conforto mio. Ruscolo ha senza dubbio
ritratte molte utilità da’suoi sudori, ma non mi ha fatto invidia per questo, nè ho
gittate le mie cure giammai su l’inanimata natura. S’abbia pure egli il contento di avere
sott’occhio sterminati boschi, cresciuti a forza delle sue braccia, ch’io mi godo della dolcezza che
mi fa gustare questo bello e buon giovinetto, caro frutto delle sollecitudini mie. Fin da fanciullo
perdette Armando i suoi genitori; ed il padre suo stando in caso di morte me lo consegnò di sua
mano, ed io l’accettai in forma di caro e sacro deposito. Promisi di fare le sue veci, ed io stesso
ho educato il suo figliuolo. Non è egli questo il primo dovere di un padre? Qual v’è ragione che ne
lo assolva e gli permetta di non allevare per se medesimo i propri figli? Ragionava Aristo d’obbligo
così sacro con tutta l’eloquenza di un cuore veramente paterno: e non senza ragione;