Il Socrate Veneto: N. XVIII

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N. XVIII.

De’magnifici banchetti

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La vostra buona ciera sembra che arresti tutti i lamenti, ch’eravate solito a fare. Nulladimeno questo vantaggio, di cui vi pregiate, è ben picciolo, quantunque voi lo stimiate assai grande; e quello che tanto apprezzate, si ridurrà ben presto a nulla. Benchè voi siate nudrito delicatamente, i vermi vi tratteranno nel modo stesso in cui verrà trattato un villano, che non sarà vissuto se non di vivande grossolane. Al contrario tanto più avidamente roderanno il vostro corpo, perchè vi troveranno un più dolce pascolo. Io non voglio irragionevolmente spaventarvi, nè prendermi di voi trastullo in un argomento tanto importante. Sapete benissimo, quantunque fingiate di non saperlo, che siete una vivanda destinata per quella funesta mensa; e che l’ora si avvicina, o, almeno non è molto lontana. Avvegnacchè il giorno è corto, i convitati hanno fame, e la morte che fa il banchetto è assai diligente a prepararlo. Or potete vedere se la buona ciera, di cui vi gloriate, potrà servirvi in una costituzion sì cattiva. Che se mi dite che voi vivete alla stessa maniera, con cui fin dalla culla foste nodrito, io vi risponderò che quella fu una pessima Scuola per la vostra fanciullezza, e che non potete dar di voi gran speranze avendo passato la gioventù nell’ignoranza delle Arti liberali, e in una studiata ricerca di tutte le occasioni di dissolutezza. Non è forse vergognosa cosa per una persona della vostra condizione di sapere perfettamente le varie qualità de’gusti e de’sapori, e di avere imparato a imbandire una buona mensa? Avreste il coraggio di comparire ad una mensa magnifica in presenza di Curio, di Fabrizio, e di Coruncano, i quali non mangiavano se non que’legumi che avevano raccolti con le proprie mani; che digiuni si faticavano dalla mattina fino alla sera, e non si servivano che di vasi di terra, quando a voi quelli dello stesso argento non vi sembrano molto preziosi? Osereste altresì di produrvi dinanzi a Quinzio, dinanzi a Serrano, oppure dinanzi a Catone il Censore, il quale andando in Ispagna, donde poi ritornò trionfante, non bevè mai altro vino che di quello de’marinaj? Eppure tutti questi grandi uomini, che sì parcamente viveano, hanno conservato la loro Patria, e soggiogato Re, e Popoli. Ma sappiate che questo piacer vergognoso vi condurrà assai presto al colmo della miseria. La delicatezza delle vivande vi farà cercare l’abbondanza e il disgusto; e in vece di mangiar per vivere, il mangiare vi farà morire. Sareste più felice, se non foste tanto delicato.

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Non vi sovviene che Cesare Augusto, il quale poteva imbandire una mensa assai più splendida della vostra, usava poche vivande alla sua tavola, e queste erano di cibi assai comuni? Non voglio dirvi quello ch’egli accostumava di mangiare, per timore che non pensiate ch’egli fosse piuttosto un villano, che un Imperadore; e affinchè il pane dozzinale, un poco di cascio, ed alcuni piccioli pesci che si mettevano in tavola a questo Principe non vi diano motivo di ridere tra le pernici e i fagiani, che d’ordinario sono posti su la vostra mensa.
Quanto meglio sarebbe stato che quegli uccelli, che oggidì sono il maggior pregio de’banchetti e la felicità della gola, fossero sempre stati nascosti tra’boschi, nè avessero mai volato in queste nostre regioni per corrompere il Mondo, e servir di pascolo alla gola. Quanto più felice del nostro fu quel Secolo, che ci viene dal Poeta descritto? In que’tempi, dice egli, i pesci nuotavano alla vista degli uomini senza temere nè gli ami, nè le reti. Il salvaggiume de’Paesi stranieri era sconosciuto nella nostra Italia, e tanto era lontano che gli abitanti pensassero di andar a caccia fuori delle lor terre, che neppur si sognavano di farla dentro le proprie possessioni. Confesso che provasi un gran piacere nel godere i cibi squisiti; ma se è vietato di gustare con troppo diletto le cose stesse oneste, con più ragione non sarà poi permesso di gustare delle basse e vili. Come mai avete il coraggio di mettere la soddisfazione d’un’anima immortale in ciò che risguarda il servigio d’un corpo mortale? Volete voi a’giorni vostri rendere autorevole un domma di Epicuro, ch’è stato in altri tempi solennemente ributtato come pieno d’infamia. Si è sempre creduto che l’anima non possa, senza far torto a una sua nobiltà, immergersi ne’piaceri sensuali; e che quelli che vengono dal gusto siccome sono i più bassi, sieno altresì i più vergognosi. In fatti ci sono comuni con le bestie, e rendono gli uomini brutali, metodo che cessino d’essere ragionevoli. Or qual maggior svantaggio può ricevere un uomo che di essere degradato dalla sua natura? Che se vi è ancora in voi qualche scintilla d’intendimento, vergognatevi di essere sogetto al vostro ventre come una bestia. Persuadetevi che non potrete tollerar lungo tempo questa vita, che voi trovate sì dolce. La sazietà è sempre vicina al disgusto; e il digiuno è il miglior condimento di tutte le vivande. La fame niente trova che sia amaro ed insipido, avvegnacchè tutto le sembra buono. Quando una vivanda viene in fastidio, si rigetta per quanto essa sia delicata. Coloro stessi che sono i più soggetti a’piaceri della bocca dicono che l’appetito li rende più dolci. L’abbondanza e la facilità ci disgustano d’ogni cosa; e fanno che ritroviamo qualche volta dell’amarezza, ove noi cercavamo soavità e dolcezza.

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Epicuro medesimo, che solennemente professava uno stato voluttuoso, insegnò col suo esempio e co’suoi precetti, che conviene mangiar poco per vivere con molto contento. Egli attribuisce alla voluttà quel che gli altri accordano alla sobrietà e alla modestia; per insegnarvi che qualunque sia il metodo di vivere che vogliate seguire, vi è di bisogno di prendere un medesimo cammino, benchè egli abbia due differenti uscite. Dovete essere temperante, e piegare piuttosto dalla parte dell’astinenza, che della dissolutezza. E se per non offendere il convenevole siete alle volte costretto di ritrovarvi a qualche lauto convito, attendete di non far mai nulla contro le leggi della temperanza. Questa maniera di vivere asciuga tutti gli umori pessimi in luogo di accrescerli. Conserva la bellezza, che la gola guasta; e impedisce che i corpi non così facilmente si corrompano, tenendoli sempre con un temperato governo.
Che se voi disprezzate tutte queste considerazioni, sprezzarete ancora le malattie e la morte medesima, che verrà dietro a’vostri stravizzi? So che a’cuori ben fatti essa non reca spavento quando presentasi in una maniera naturale e non contraria all’onestà; ma certamente essa apporta vergogna e spavento qualor viene per un motivo infame, e da una pessima vita. Se chiudete gli orecchi a’miei consigli, apriteli a quelli dell’Ecclesiastico.

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Citation/Motto

Non mangiate, dice egli, con troppa avidità, e non vi gittate sopra ogni sorta di vivande. Coloro che mangiano assai, faranno pure assai fragili; e quelli che nudriscono con troppa cura i loro corpi, alimentano delle passioni, che finalmente li uccideranno. Moltissimi sono morti per la gola; ma quelli che sono sobrj viveran lungo tempo.
Persuadetevi ancora che la carne vostra è una bestia, che vi fu data a nudrire affinchè vi serva. Se la trattate con troppa asprezza, non potrà sostenersi; e se la nudrite con troppa delicatezza, alzerà la testa contro di voi. Chi ciò non ostante vuol vivere tra i piaceri del gusto, deve pensare al suo fine. Il pensier della morte estinguerà senza dubbio quelli del piacere.