Zitiervorschlag: Francesco Anselmi (Hrsg.): "N. XI", in: Il Socrate Veneto, Vol.11\ (1773), S. 40-44, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.970 [aufgerufen am: ].


[41] Ebene 1►

N. XI

Sopra la speranza

Ebene 2► Nelle vostre vicende infauste siete solito a dire, che almeno la speranza non vi può esser tolta. Ma se niuno ve la può rapire, essa però da se medesima insensibilmente svanisce; e per non preveduti accidenti spessissime volte si perde. Se sperate assai cose, conviene che necessariamente ne temiate molte altre: essendocchè la speranza non sta mai senza il timore. Quindi se aspettate dei beni, dovete temere ancor dei mali; imperciocchè siccome la speranza è opposta al timore, perchè ambidue vengono da contrarie sorgenti, e di necessità che temiate tutto ciò, ch’è opposto a quel che sperate. Voi aspettate cose grandi, ma incerte, per le quali è una vera pazzia l’abbandonare o il trascurar quelle che sono certe. Quegli che spera ciò che non ha, spesso lascia in oblivione quello che ha. Lo so che non è vietato di aspettare cose aggradevoli; ma che dovrà poi dirsi se queste sono difficili, o impossibili, e che mai succederanno; oppure se quel che sperate è cattivo, quantunque vi comparisca assai buono? Perciò quando dite che vi piace il vivere nella speranza, direste assai meglio che vi aggrada il morir con essa. Imperciocche le cose presenti sfuggono a coloro, che pensano alle future; e quelli che mirano gli oggetti troppo lontani, non veggono mai quelli che hanno sotto gli occhi. In somma, gli uomini che si dispongono a vivere dimani, non vivono oggi. E così ogni speranza essendo l’espettazione di un bene assente, ne [42] segue che chi spera soffre un male, almeno perchè non altro fa che sperare.

So che moltissimi dicono essere dolce cosa il sperar bene: ma io non capisco in che consista questa dolcezza. Imperciocchè se è dolce cosa il sperare, sarà dolce altresì l’esser privo di quel che si brama: se la speranza è dilettevole, sarà dunque un piacere l’essere sempre sospeso, ed in pena, e per conseguenza la tortura dell’animo sarà una cosa aggradevole. Eh che nulla stanca tanto lo spirito, nè tanto affretta la Vecchiaja, quanto le frivole speranze della gioventù. Perciò il Saggio chiama guadagno una speranza perduta; e veggendosi sciolto da un’infinità di desiderj, si contenta di goder de’suoi beni, senza lasciarsi sedurre da vane speranze. La speranza ch’è buona, nasce da un vero bene. Essa è allegra, dolce, vera, e beata, non inganna, nè mette in confusione chi la possiede; anzi lo porta al più alto punto di perfezione; e frattanto anticipatamente lo fa lieto per quel sovrano bene, che spera.

Ma voi al contrario dando falsamente il nome di beni a’veri mali, provate noja e tristezza attendendoli; e molto più ancora quando siete giunto al possesso. Mi risponderete che non è vostra intenzione di parlare delle cose sopranaturali, ma di tenervi soltanto all’ordine della Natura; e che in tal senso voi chiamate beni quelli che da tutti comunemente si appellano. Io vi confesso che questo nome di beni ha da gran tempo eccitata un ardua quistione tra gli uomini saggi, la quale è ancora indecisa, nè verrà mai terminata, perchè alcuni nelle cose non vogliono ammettere che un solo bene, ed altri ne riconoscono un qualche numero. Se però voi volete che noi lasciamo queste dispute a’ Filosofi, perchè voi aspettate soltanto que’beni, che stima il popolo, vi dirò dunque che non aspettate se non il vostro male. In fatti, supponiamo che questo preteso bene arrivi, se egli è unito al corpo, non avrete fatto altro che preparare l’armi al vostro nemico; se dipende dalla Fortuna, vi sarete sottoposto al giogo d’una Sovrana incostante e spietata; se poi egli risguarda lo spirito, la maggior parte de’suoi vantaggi può ridondare in sua perdizione e rovina; perchè le cose che lo allettano spesse siate pure l’offendono.

Ciò nulla ostante voi concludete che avete gittata l’ancora d’una buona speranza, e che non avete il pensiero di levarla. I Nocchieri sogliono tagliar la gomona quando sopraviene qualche [43] burrasca, se non possono salvarla, o abbandonarla. Imperciocchè quantunque il Poeta dica ch’essa sia come il fondamento de’Vascelli nel porto, o quando il mare è in calma, non è però così in mezza alle furibonde tempeste; essendocchè allora non li assicura, ma piuttosto li incatena, e li abbandona al naufragio. Nella stessa guisa tra i tempestosi flutti delle cose umane una speranza ferma e costante ha condotti moltissimi al precipizio, li quali si sarebbero senza dubbio salvati, se avessero potuto distaccarsene. Conviene adunque levar qualche volta l’ancora della speranza, strapparla se è troppo attaccata; e se ciò non può farsi, tagliarla e abbandonarla in balìa degli affari, a fine di condurre una vita libera e sciolta al porto della salute col favor della Providenza. Altrimenti ben spesso accade che la vita degli uomini passi in sperar bene, e in terminar malamente.

Dalla speranza in generale voi discendete al particolare dicendomi, che sperate più cose. Ma considerate che v’è molta vanità in molta speranza, e che la Fortuna trova in essa molte vie per sorprendervi. Diverse cose mancano a coloro che molte ne aspettano; e chi spera poco, chiude, o almeno restringe il cammino ai molesti accidenti. Ma di grazia, che mai sperate? Forse un’ottima salute, vale a dire l’oblio della mortalità medesima? Forse una lunga vita, o piuttosto una lunga prigionia, in cui vi converrano vedere e soffrire molte cose a vostro mal grado? Forse un corpo robustissimo, o con più verità catene fortissime, ma aggradevoli, da cui temete d’essere liberato; oppure uno schiavo tanto più sedizioso e ribelle, quanto sarà più comodo?

Se poi l’espettazion vostra è nella bellezza esteriore, voi ricercate de’stimoli per la voluttà. Se attendete un buon esito ne’vostri amori, bramate il motivo d’una vergogna e d’un spiacere eterno. Se desiderate di trovar qualche corrispondenza nell’affetto della vostra Amante, siete appassionato per una cosa disonesta, e di corta durata. Quand’anche foste pieno di ricchezze, non avreste fatto altro che caricarvi d’un fascio di spine. Se aspettate alcuni vascelli che vengano da diversi mari, voi state aspettando alcuni scherzj della Fortuna, che sono il trastullo de’flutti, e de’scogli, e che dall’impeto de’venti possono essere condotti più presto al naufragio, che al porto. Il guadagno che pretendete di fare sopra le merci ch’essi vi portano, è un’esca che v’impegnerà in perpetue inquietudini, e che sotto l’apparenza d’un picciolo profitto vi precipiterà tantosto in somme per-[44]dite. Un Mercatante novello è sempre credulo; ma quegli che acquistò una grande sperienza e assai circospetto.

Che mai sperate ancora? Forse un matrimonio onorevole e vantaggioso per un vostro figliuolo, o per le vostre figlie? Ma non v’è cosa che d’ordinario più inganni, nè con più danno. Aspettate di nuovo una ricca eredità? questa è una miseria soggetta all’invidia. Se ricercate gli onori del Foro, essi altro non sono che strepito e polvere. Il matrimonio e la prole che aspettate sono travagli e dissensioni. Se poi mi dite che vorreste essere separato dalla vostra vecchia compagna per isposarne una giovane, voi desiderate d’essere sciolto da un legame che sta per rompersi, per legarvi con una nuova catena, che farà ancor più forte. Lo spirito, l’Eloquenza, e la Letteratura, che in voi risvegliano altri desiderj, sono veramente un’incudine, un martello, ed un pezzo di ferro, che levano il sonno a voi, e a’vostri vicini. Per fine, desiderando un’Orazion funebre, un superbo sepolcro, fama presto i posteri, ed un erede che v’ami, propriamente parlando voi bramate una dolce Musica per un sordo, una casa vagamente dipinta per un cieco, e un soave Zeffiro dopo il naufragio. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1