L’Osservatore veneto: N. VI

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N. VI.

Sopra l’eloquenza

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La sublime Eloquenza, di cui voi vi pregiate, io pur lo confesso che sia uno stromento di gloria assai grande, ma molto pericoloso. È una spada che ha due tagli e due punte; ed importa moltissimo che sappiate bene adoprarla. In fatti, non è già senza ragione che alcuni paragonino lo scorrere della lingua d’un uomo malvaggio oppure d’uno stordito al ferro d’un furioso; avvegnacchè sarebbe d’uopo che l’uno e l’altro comparissero in pubblico senz’armi. Voi pure paragonate l’Eloquenza vostra a un rapido torrente; ma sappiate che i torrenti fanno più strepito e danno, che bene ne’luoghi ove passano; e che proprio è d’essi l’assordire e dare il guasto a ogni cosa. Se il vostro discorso è chiaro e nitido, avete a riflettere che vi sono pure diverse spezie di chiarezza; imperciocchè siccome il Sole è luminoso; così un incendio parimenti ha dello splendore, le Comete le più funeste, i più forbiti acciari, e le armature de’nemici altresì risplendono. Affinchè dunque la vostra luminosa Eloquenza sia veramente gloriosa, conviene che sia moderata dalla bontà di vita e dalla sapienza. Quando la copia delle belle parole va unita alla modestia, a dire il vero è un bene eccellente, e che oltrepassa l’ordinario stile degli uomini: altrimenti è meglio assai l’esser muto, che facondo. Se mal seguiste a pregiarvi della vostra eloquenza, leggete Salustio, vedrete che il più scellerato di tutti gli uomini era altresì fornito d’una gran facondia, ma di poca sapienza. Non è già che Catilina si vantasse d’essere eloquente per trarne gloria; ma per abusarsene a suo disonore: quantunque propriamente parlando il suo discorso fosse piuttosto una diceria artifiziosa, che una Orazion ragionata. In fatti il solo uomo dabbene può essere un buon Oratore, vale a dire un vero Maestro d’Eloquenza. Se dunque essendo voi saggio e virtuoso, come io vi stimo, vi date a credere che quel fiume di parole, il quale alle volte è più fecondo negli uomini viziosi ed arditi, che negli altri, oppure che l’Arte stessa del ben dire sia bastevole a formare un Oratore perfetto, voi v’ingannate; essendo cosa certissima che la velocità di lingua, l’affluenza delle parole, e l’Arte medesima di spacciarle a proposito, sono vantaggi comuni e agli uomini buoni e a’malvaggi. La perfezione che voi ricercate, ritrovasi ne’soli buoni, ed anzi in pochissimi del lor carattere; e a tutti i cattivi è vietato di giungere a tanta gloria, perchè sono senza i due beni dell’animo, che vi son necessarj, cioè la Virtù, e la Sapienza. Se non capite ancora una verità sì bella, io ben presto ve la darò ad intendere. Basta che vi ricordiate di queste due cose, di cui poco fa vi ho fatto parola, e che richiamiate alla vostra memoria due definizioni eccellenti, una delle quali è di Catone, e l’altra di Cicerone. Il primo dice, che

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l’Qratore è un uomo dabbene, che sa ben parlare;
e l’altro ci dà per massima,

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che l’Eloquenza altro non è che la Sapienza, che parla con gran copia.
Quindi voi ben vedete che la sapienza e la bontà sono necessarie alla costituzione essenziale dell’Oratore, e dell’Eloquenza medesima; ma non bastano ancora, se non vengono accompagnate dall’arte, e dall’abbondanza. Di modo che le due prime di queste perfezioni formano soltanto un uomo dabbene e un vero sapiente; e l’altre prese separatamente non fanno l’uomo nè buono, nè saggio, nè eloquente, ma ciarlone. Essendo tutte unite costituiscono un vero Oratore, e danno il compimento alla sua Arte, la quale certamente è più rara e più elevata di quel che credono coloro, che la pongono nelle ciarle. Da questo io concludo, che se voi cercate il nome di vero Oratore, e la vera gloria dell’Eloquenza, dovete primieramente applicarvi alla Virtù e alla Sapienza. Altrimenti crederete in vana che la vostra Eloquenza sia perfetta, poichè le mancheran molte cose. Voglio anche concedervi che la vostra Eloquenza abbia seco tutte le dolcezze, e tutti i più vaghi ornamenti; ma queste soavità, e questa pompa mostrano bensì un non so che di piacevole di falso, nulla però di maestoso, di nobile, e di sincero. E tutti coloro che sono giusti giudici delle cose non fanno più conto d’un discorso abbellito e lisciato da un impostore, che del belletto d’una meretrice, d’un veleno inzuccherato, della forza d’un frenetico, e dell’oro d’un Avaro. Qualunque apparenza essa abbia, e per quanto solletichi le persone, vi deve sempre parere un bel nulla, se le manca il principio essenziale. Non vi fidate molto di quella eloquenza, che bene spesso conduce al precipizio. Il confidar molto aprì qualche volta la strada a’più gran pericoli. È d’uopo che lo spirito umano s’innalzi, e prenda in mano il freno di se medesimo; conviene che si conosca a fondo, e che maturamente esamini qual cosa sia da farsi: per tenersi in tal guisa egualmente lontano dal dispregio e dall’insolenza. Che se egli trascurando di conoscere se stesso, perde altresì di vista la misura delle sue forze, allora non è più confidenza, ma temerità, ma audacia: che è un difetto il più contrario alla perfetta Sapienza. Essa allor francamente intraprendendo ogni cosa, diviene più dannosa della pigrizia e della codardia medesima. Imperciocchè queste trattengono gli uomini in se medesimi e nella propria Casa senza onore, e senza impiego; ma l’altra ritrovandoli già pieni di ardore, li spinge e li precipita, quando credevasi che avesse anzi a fargli grandi e famosi. Ella fu che balzò dal loro posto onorevole molti valenti Guerrieri; ella che fa conoscere imprudenti nella lor condotta alcuni Politici, e che, per ridursi al nostro argomento, ha fatto che si tenessero per fanciulli i più facondi uomini della terra: poichè pensando essi di dire qualche volta cose grandi e mirabili, si sono lasciati trasportare a puerilità ridicole. Ma ciò nulla ostante voi seguite a dire che la vostra Eloquenza vi sembra grande e magnifica. Quand’anche si dovesse prestar fede alla storia, la quale ci fa sapere che la vostra età più rimote l’autorità d’un solo uomo eloquente abbracciavasi come una verità infallibile; quando pure dubitassimo di ciò che dice il più perfetto Maestro dell’Arte Oratoria, cioè che l’Eloquenza non può sussistere senza la Sapienza, sempre però sarà vero che 1’Eloquenza da se sola è tanto più pericolosa e dannevole, quanto sembra esser più grande. Non fu forse quest’Arte singolare, che apportò la rovina a tanti uomini incomparabili Greci e Latini? Demostene, Cicerone, ed Antonio non potrebbero negare questa verità, che fu a lor sì funesta. Io pur confesso che l’Eloquenza sia un fregio assai plausibile, e che se saprete di essa servirvene con innocenza, e senza una vana ostentazione, non vi sarà cosa alcuna, che possa conciliarvi più facilmente l’amor del popolo, nè innalzarvi a un sublime grado di gloria: seppur se ne può acquistare per altra strada, che per quella della Virtù. Che se voi impiegherete i più bei fregi dell’Eloquenza con arroganza, o per un fine malvagio, di certo vi trarrete addosso con somma agevolezza gravissimi pericoli, e l’odio di molte persone. L’Oracolo è infallibile che la morte e la vita stanno in poter della lingua. Le lingue di alcuni hanno rovesciato gli Stati interi. La lingua e il peggior membro e il più crudele, che apporti male all’uomo. Non v’e cosa d’essa più dolce, nè più amara. E qui sul fine per parlarvi con più soavità vi dirò, che se la vostra eloquenza è rimbombante e rovinosa, lo sono parimenti il tuono e il fulmine; s’essa poi e florida, alcune erbe velenose sono anch’esse fiorite. In somma, da qualunque parte voi vi possiate volgere, avete un cammino assai difficile per salire alla gloria, e molto precipitoso per farvi cadere nella maldicenza di tutti.