Lo Spettatore italiano: La vedova fedele
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Livello 1
La vedova fedele
Citazione/Motto
Ille
meos, primus qui me sibi junxit, amores.
Abstulit; ille habeat secum, servetque sepulcro.Chi a me primo s’aggiunse, ei l’amor mio
Abstulit; ille habeat secum, servetque sepulcro.
Virg.
Chi a me primo s’aggiunse, ei l’amor mio
Rapissi; ei l’abbia, e nella tomba il
serbi.
Livello 2
Livello 3
Racconto generale
Celestina~k, ricca ereditiera, dotata di tutte le avvenevolezze e di
tutte le virtù domestiche, fu per moglie dimandata da una schiera di vagheggiatori, offerendole di
splendidi parentadi e di titoli assai onorevoli. Ed ella estimando le sue divizie non ad altro
doverle servire che a farla beata, si elesse Isidoro, bello e pregiato giovane, di onesto ma non
chiaro lignaggio, e di mezzano stato. Giammai donna alcuna non ebbe maggior guiderdone dell’aver
sacrificato la vanità al sentimento che avesse ella: nè mai fu tanta felicità, quanto quella era,
onde in braccio al suo Isidoro Celestina godea. Ma, ahimè, quanto fu breve il godimento! In capo di
forse un anno e mezzo l’amato suo amante morì. Io che d’Isidoro era amico, mi tenni obbligato di
consolare per alcuna guisa la dolorosa vedovella, e fui ad essa in campagna, dove ella s’era ridotta
per passare la sua doglia e la sua vedovanza in un piccolo abituro, ereditario
poderetto del suo sposo. Dopo così compiuti diletti, come furono quelli di cui ho goduto, mi disse
ella, non potrò mai ripensare a quel fiero punto che mi ha tolto il mio Isidoro, senza provare un
altissimo dolore; nè di quella piaga, che tanta perdita m’ha fatto nel cuore, potrò io più guerire.
Non è più per me il mondo; in mezzo delle sue liete e splendidi scene io non so gustare alcun
piacere, e le sue occupazioni vengono a tormentarmi fin sotto queste romite alberate. Un’ora sola di
pace e di riposo non posso io trovare. Gli amici s’ingegnano a mostrarmi che gravi siano loro le mie
fatiche: la fortuna mi arride; la lusinga e l’adulazione si adornano delle più piacevoli sembianze
per isvellermi dalla mia solitudine. Molti amanti, le cui ottime doti mi rammentavano Isidoro, hanno
tentato inspirarmi di teneri sentimenti: ma il mio cuore è pieno del suo primo affetto; il quale non
e più quella passion fervente che vive solo fra i vivi, e della comunicazione della cosa amata si
nutrica. Egli è un amore affreddato, ma non ispento, il cui soggetto è sotterra; è un amor che
piange sopra un sepolcro con l’arco allentato e con le saette infrante. Solo una dolce rimembranza
mi sostiene in vita e mi fa sofferire il peso di quella. Io ho già rinunziato al mondo, e mi sono in
questi solinghi luoghi ricolta, che furono già da Isidoro abitati. Per quivi egli i suoi dì
conduceva in mezzo ai piaceri della vita campestre, sollevando l’umile sua fortuna con tutti i vantaggi degli studi dei buon gusto e del sapere. Ecco per dove egli mi portava quella
ardente affezione, la quale per la modesta sua indole gli saria rimasa sempre chiusa nel petto, se
io non avessi i suoi pregi traveduti, e diveltogli di bocca il segreto d’amore. Io gli rendei foco
per foco, e lo innalzai ad uno stato cui egli ornò ai uno splendore, ah! troppo breve e transitorio.
Proponimento ho fatto di passare nell’eremo d’Isidoro il rimanente dei giorni della mia vedovanza.
Vedete: quegli alberi e quegli arboscelli sono stati piantati e cresciuti da lui; egli ha in quel
canale le acque di questa vena ristrette, ed inviate sopra quella rupe onde elle caggiono con
dilettevole mormorio e continuo. Questo portico d’ordine dorico, dove noi seggiamo, è opera
dell’immaginazion sua; e quelle imprese d’amore e d’amicizia, adornamento di quella parete, sono
suoi pensieri. Nè posso io passeggiare per questi viali, nè farmi per entro questa selvetta, nè
andarmene riva riva di questo aggirevole fiumicello, senza riconoscervi i segni dall’antica fiamma,
già dolce, or disperata, della quale fui io il suggetto e la mercede. Ah! che io qui non ho altro
ornamento aggiunto, che quello del culto; siccome è l’arca sepolcrale da me in questa solitaria
parte collocata sotto l’ombra dei funerei salci. Quello io vengo a visitare allo spuntar del mattino
e all’imbrunir della sera. Colà mi pasco del mio dolore. Ah! no, io non lascerò mai più
questo luogo dolente e caro. Ma che dissi? Oh Dio! la mia speranza è di lasciarlo in breve, per
andarne a rivedere il mio diletto.