Lo Spettatore italiano: La morte immatura
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Livello 1
La morte immatura
Livello 2
La contemplazione di
un venerando vecchio che, sostenuto dalla filial tenerezza ed animato da religiose speranze,
dolcemente s’abbandona in braccio alla morte, eccita gravi sentimenti, senza però esacerbar di
soverchio i cuori sensibili. Allorchè i più bei giorni della vita sono trascorsi, e giungono gli
anni da niun piacere accompagnati, che resta egli da desiderare alla vecchiezza, se non che i suoi
malori vengano confortati da vigili affettuose premure, e che l’estreme sue ore sieno da un ultimo
supremo raggio rischiarate? A’vecchi, cui tanto è concesso, grata è la vita anche presso al suo
termine. Essi non cadon già come fiori che, quando la lor freschezza vien meno, perdono a un tratto
fragranza e vaghezza; ma sono simili alla rosa, che sebben priva del suo leggiadro colore, conserva
tuttavia una piacevole soavità, ed è cercata e cara ancor nel suo decadimento. Ma per un cuore
delicato non vi è spettacolo più commovente di quello d’un giovanetto o d’una donzella cui la sanità
non colorisce le gote, e che innanzi tempo discende nel sepolcro.
Livello 3
Esempio
Povero Carlo! la tua memoria in’inspira queste dolenti riflessioni.
Oimè! io t’ho veduto morir lentamente sull’april de’tuoi giorni, ed oh! con qual
pazienza, con qual coraggio tu sopportavi la tua sciagura! Allorchè tuo padre, oppresso dal dolore e
col pianto agli occhi, osservava i tuoi lineamenti trasfigurati da crudel morbo, e già di morte
segnati, tu, dimenticando l’infelice tuo stato, per consolarlo, ti sforzavi di sorridergli. Ma
sovente erano vani i tuoi sforzi; ed insufficiente a frenar la effusione del tuo cuore, ti ritiravi
appoggiato ad un antico servitore, ed in segreto versavi quelle lagrime di cui tuo padre non fu
giammai testimonio. Ahi! teco tu traesti tutto ciò che gli rendea cara la vita, ed ei non tardò a
raggiugnerti nella tomba.
Livello 3
Esempio
Non diversa fu pur la sorte della bella Elisa, la quale non avea
vedute che sedici primavere, quando la morte a troncar venne i suoi giorni. L’infelice sua
madre . . . . Ma chi può dipingere la disperazion d’una madre che piange morta l’unica sua figlia?
Il dolore le avea quasi tolta la ragione. Ella avea serbati i capelli della diletta figlia, da’quali
solamente alcun conforto prendeva. Quante volte, negli angosciosi suoi vaneggiamenti, volgendo ad
essi il discorso: Amate trecce, sclamava, la cui vista rinnova il mio pianto, ma pure allevia le mie
pene, voi avete sfuggito il sepolcro che non ha potuto ingoiarvi. Io vi miro e vi ricolmo de’miei
baci, io vi stringo al mio cuore. Ma, oh Dio! esse non più ondeggeranno sul candido collo della mia
Elisa, nè più ombreran le sue gote ove ridevan le rose! Oh come inanellate scherzar le vidi sulla
sua fronte, e caderne alcune a lei sugli omeri, ed altre velarne il bel seno! Ah se
ornamento voi più non siete d’Elisa, perchè mai, perchè al feretro vi ho rapito?